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DISCORSO DELL’EM.MO CARD. JOZEF TOMKO IN OCCASIONE
DELL’APERTURA DEL CONGRESSO MISSIOLOGICO INTERNAZIONALE (ROMA, 17-20 OTTOBRE 2000)
Martedì, 17 Ottobre 2000
Sono lieto di inaugurare questo congresso che ci vede riuniti
per riflettere sul dono della salvezza in Gesù Cristo. Il primo sentimento
che mi sento di esprimere è un vivo ringraziamento al Padre, dal quale viene
ogni bene: da lui abbiamo il dono della fede che professiamo con convinzione e
con gioia. Insieme al ringraziamento a Dio, vorrei però esprimere il più
sincero benvenuto ai teologi ed agli esperti, venuti fin qui per offrire il
loro contributo e la loro riflessione sulla missione. Come Prefetto della
Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli coltivo la speranza che la
loro numerosa e qualificata presenza offra un prezioso patrimonio di
riflessioni e di indicazioni alla missione del terzo millennio; come Gran
Cancelliere di questa Università, auspico che il dibattito scientifico,
libero ed aperto, sia ricco di frutti. La Chiesa non ha paura di una teologia
consapevole della sua collocazione e dei suoi compiti ecclesiali; anzi ne
sollecita il contributo.
Questo Congresso si colloca a pieno titolo nelle celebrazioni
del Grande Giubileo durante il quale festeggiamo il bimillenario della venuta
del nostro Salvatore nel mondo. Lo ringraziamo per il dono della salvezza in
un momento che scandisce il passaggio da un millennio all'altro che dovrebbe
segnare anche una forte ripresa dell'annuncio di Gesù Cristo e della sua
incarnazione e missione salvifica.
Il tema del Congresso è affascinante ed attualissimo in
rapporto al Giubileo, come pure nell'ambito della situazione missionaria
concreta e missiologica. Ci riporta nel vivo delle discussioni non solo
astratte e puramente dottrinali, ma anche esistenziali. Il Congresso dovrebbe
fornire le "risposte missiologiche e missionarie" al quesito
centrale che scuote oggi tante coscienze: "Chi dite che io sia?" -
la questione di Gesù che è pure la questione su Gesù di
Nazareth. Domanda che il Congresso pone "nel contesto delle Religioni e
delle Culture".
Un tema e una riflessione che non è nuova a questa
Università che è l'unica al mondo ad essere esclusivamente missionaria.
Questo Congresso trova il precedente nell'analogo se non identico tema che nel
1988 si è posto il congresso missiologico internazionale, organizzato dalla
Università Urbaniana su "La salvezza oggi". Anche se il principale
relatore Hans Urs von Balthasar morì appena tre mesi prima, alcune idee
provocarono in seguito una notevole discussione teologica al livello
internazionale con i frutti raccolti in un volume pubblicato da Paul Mojzes e
Leonard Swidler. Giovanni Paolo II ha ritenuto necessario intervenire al
livello magisterialenella sua grande enciclica missionaria "Redemptoris
missio" di cui celebreremo fra due mesi il decimo anniversario.
Recentemente la Dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede
"Dominus Jesus", approvata in modo speciale dal Papa, ha
riproposto la dottrina cattolica su molti punti che sono coinvolti nella
tematica di questo Congresso invitando tuttavia i teologi a proseguire nel
loro ulteriore approfondimento.
Pertanto la continuità della ricerca sfocia nella piena
attualità di carattere e di interesse dottrinale ed insieme pastorale, come
lo indica anche il sottotitolo del congresso: "Chi dite che io
sia?". Risposte missiologiche e missionarie nel contesto
delle Religioni e delle Culture.
Come tutti sappiamo la questione cristologica che rappresenta
il tema di questo congresso ha le sue radici nel pluralismo religioso del
nostro tempo, un pluralismo diverso da situazioni simili del passato. La
novità consiste nel fatto che le religioni vivono l'una interna all'altra;
inoltre là dove questo non avviene, la forza della comunicazione globale è
oggi tale che una certa esperienza delle altre religioni e del loro confronto
è ormai insito nel formularsi della fede di ogni persona e di ogni comunità.
Il mondo occidentale secolarizzato poi, guarda a questa esperienza sul
prolungamento dei processi di frantumazione della unità cristiana e vi coglie
come l'eco delle critiche illuministe ed il risultato di una crisi di fiducia
nella verità. Altri mondi culturali, meno segnati da un così gravoso
passato, guardano a questo frangente come alla opportunità di ripensare le
forme della universalità del popolo di Dio e sognano una comunione dove, in
virtù della cattolicità, "le singole parti portano i propri doni alle
altre parti ed a tutta la chiesa, e così il tutto e le singole parti sono
rafforzate, comunicando ognuna con le altre e concordemente operando per il
completamento nell'unità" .
In un simile contesto la riflessione di questo convegno
investe a fondo la Chiesa e la sua missione; al termine del secondo millennio
ed all'inizio del terzo ci lasciamo interpellare dalle parole di Gesù:
"voi chi dite che io sia?". Non ho la pretesa di anticipare le
riflessioni che questo congresso, arricchito dalla presenza di tanti esperti,
formulerà; ugualmente vorrei formulare alcune riflessioni introduttive.
Prendo lo spunto per la prima dal testo che vede Gesù
interrogare i discepoli: "La gente chi dice che sia il Figlio
dell'uomo". Perché Gesù vuol sapere cosa dice chi non lo segue e
perché, volendolo sapere, lo chiede ai suoi discepoli? Al di là di una
risposta di comodo - si tratta di sapienza pedagogica volta a far emergere a
poco a poco una posizione personale - credo si possa anche ritenere che la
domanda implichi un suggerimento importante: la risposta della fede cristiana
deve rendere ragione anche delle ricerche di chi non è giunto a condividerla.
Questa, del resto, era già la posizione del Concilio quando invitava la
Chiesa a non rifiutare nulla di quanto di vero e santo si trova nelle altre
religioni.
Dal Concilio in poi, la Chiesa non ha più rinunciato a questo
impegno e Redemptoris missio ha di conseguenza insegnato che il dialogo
con le altre religioni "fa parte della missione evangelizzatrice della
Chiesa" provando a chiarirne il perché, dira che Dio si rende presente
ai popoli "mediante le loro ricchezze spirituali, di cui le religioni
sono precipua ed essenziale espressione". Sempre in questa linea, il
documento Dialogo e Annuncio riconoscerà che "la
realtà incoativa di questo Regno si può trovare anche oltre i confini della
Chiesa, per esempio nei cuori dei seguaci di altre tradizioni religiose nella
misura in cui vivono i valori evangelici e rimangono aperti all'azione dello
Spirito Santo". Non è più possibile che le comunità cristiane pensino
di formulare una risposta piena all'interrogativo su Cristo tacendo il mistero
di salvezza all'opera nel mondo. Le altre religioni hanno qui la loro
importanza; sono addirittura vitali per la pienezza della fede cristiana.
Di questo fatto alcuni teologi hanno ritenuto di poter
ricavare una insistenza sul dialogo e lo hanno legato al riconoscimento della
validità salvifica di altre vie religiose, considerate indipendentemente da
ogni rapporto con Gesù Cristo. Solo questo pluralismo di vie salvifiche
rispetterebbe a fondo la dignità delle altre religioni e segnerebbe la fine
di ogni pretesa di superiorità del cristianesimo. Queste scelte chiamano in
causa il cuore della missione e della fede cristiana. Su questi e altri temi
il congresso che oggi iniziamo darà meditate e articolate risposte. Da parte.
mia vorrei solo osservare che queste teologie hanno perso di vista il vero
dialogo; quale dialogo può mai instaurarsi da parte di chi rinuncia alla
propria identità e posizione? E più ancora, il superamento del
cristocentrismo e l'affermazione della pari dignità salvifica di tutte le
religioni non dipendono dal fatto che la salvezza ha ormai perso la sua
rilevanza ed il suo spessore di verità? E' certamente vero che il dialogo con
le diverse religioni può portare anche ad una crescita nella comprensione
della fede cristiana ma questo processo potrà riguardare gli stessi dogmi
della fede applicando la famosa distinzione tra forma e contenuto? E se il
dialogo interreligioso prescinde volutamente dalla tensione di salvezza, farà
ancora parte della missione evangelizzatrice?
Per questo mi sembra utile riprendere il nostro testo; alla
domanda di Gesù, Pietro risponde: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio
vivente". Una simile affermazione è indicativa della capacità della
conoscenza credente di illuminare il fatto storico di Gesù fino a cogliervi
la presenza di qualcosa che solo la fede sa mettere in luce: la confessione di
Pietro è confessione della universalità e della definitività di Gesù.
Attraverso il rapporto tra Gesù e la storia di Israele, Pietro coglie un più
profondo rapporto con il disegno universale ed escatologico di Dio; le sue
parole utilizzano titoli cristologici - Cristo, Signore, Figlio di Dio - che
si svelano carichi di futuro. Così compresi, questi titoli presentano Gesù
come il rivelatore universale e definitivo del Padre; lo fanno non già
sovrapponendosi alla storia ma, piuttosto, cogliendola in quella sua verità
ultima che è sempre relativa a Dio. Affermando che Gesù è Cristo e Figlio
del Dio vivente, Pietro coglie in Gesù qualcosa che riguarda tutti gli
uomini, anche se lo esprime nelle categorie del tempo; per sviluppare queste
affermazioni, che la successiva tradizione ha ricondotto alla piena divinità
ed alla piena umanità di Gesù, essa si è servita delle nozioni mutuate
dalla cultura greca di "natura" e di "persona". Abbiamo
così un singolare intreccio di universalità e di particolarità:
l'intenzione universale, insita nella confessione di fede di Pietro, è così
espressa nelle forme particolari di una cultura.
Al riguardo mi limito a richiamare l'insegnamento della
dichiarazione Mysterium Ecclesiae 5 (1973). Innanzitutto riconosce che
"avviene talora che qualche verità dogmatica in un primo tempo sia
espressa in modo incompleto, anche se falso mai, e in seguito, considerata in
un più ampio contesto di fede o anche di conoscenze umane, riceva più
completa e perfetta espressione". Vi è qui un invito a guardare con
fiducia il carattere storico della rivelazione e della fede che non andrà
trascurato. Entrando poi nel merito del dibattito, la dichiarazione lega con
forza la fede alle Scritture ed alla Tradizione ma ammette che "sebbene
le verità che la Chiesa con le sue formule dogmatiche intende insegnare si
distinguano dalle mutevoli concezioni di una determinata epoca e possano
essere espresse anche senza di esse, può darsi tuttavia che quelle stesse
verità del sacro magistero siano enunciate con termini che risentono di tali
concezioni"; per questo, anche se il significato delle formule dogmatiche
"rimane sempre vero e coerente", la sua comunicazione può essere
"maggiormente chiarita e meglio compresa". Vi è qui un secondo
impegnativo compito di questo congresso.
Il nostro brano, infine, riporta il commento di Gesù; dopo
che Pietro ha confessato la sua fede in Gesù come il Cristo, il Figlio del
Dio vivente, Gesù gli dice: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché
né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei
cieli". Anche qui abbiamo un suggerimento importante: questa professione
di fede è opera della grazia, opera del "Padre che sta nei cieli",
la ricchezza di questo suggerimento ci porta a riconoscere l'opera della
grazia paterna, dovunque si manifesti, procede e sostiene la fede: sospinge
ogni persona verso una adesione personale e libera a quel Gesù che è via,
verità e vita. Non solo. Questa grazia divina sostiene pure l'umana ricerca
di Assoluto, l'umana tensione verso il Divino, dando così a tutti "la
possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero
pasquale". Mentre incoraggia ad approfondire questa tematica
"perché è senza dubbio utile alla crescita della comprensione dei
disegni salvifici di Dio e delle vie della loro realizzazione", il
recente documento Dominus Iesus mette in guardia dal considerare la
Chiesa come una via di salvezza accanto a quelle costituite dalle altre
religioni, le quali sarebbero complementari alla Chiesa, anzi sostanzialmente
equivalenti ad essa, pur se convergenti con questa verso il Regno di Dio
escatologico".
Questa messa in guardia non pone limiti all'agire salvifico di
Dio ma chiede di pensarlo globalmente. Da una parte una corretta comprensione
della fede trinitaria ci permette di cogliere come lo Spirito renda universale
ed escatologica la rivelazione del Padre nel Figlio Gesù; dall'altra la
Chiesa ci si svela come testimone e serva di questo dinamismo, come insegna il
bel numero 20 di Redemptoris missio. La Parola e il Soffio, il Verbo e
lo Spirito aprono così la Chiesa ad una dinamica di particolarità e di
universalità, di incarnazione storica e di tensione scatologica.
Questa testimonianza non può quindi essere ridotta alla sola
prassi; l'impegno rigoroso del servizio è il risultato di una fede per la
quale "la vita si è fatta visibile, noi l'abbiamo veduta e di ciò
rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre
e si è resa visibile a noi". E' Cristo, quindi, a mantenere in unità -
attorno al disegno del Padre ed alla dynamis dello Spirito, all'invio del
Figlio ed al suo vangelo - il Regno, la Chiesa e la storia umana.
Erano questi i pensieri che mi sentivo di condividere con voi
all'inizio di questo Congresso. Nel darvi ancora una volta il benvenuto, vi
auguro un lavoro intenso e fruttuoso, certo che i risultati corrisponderanno
alle attese delle Chiese ed al volere di Dio. Riprendendo l'immagine del laboratorio
della fede, mi sento di invocare il Padre che sta nei cieli perché, alla
confessione di Pietro, noi sappiamo aggiungere quella di una riflessione
teologica profondamente ecclesiale ed all'altezza delle sue sfide.
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