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COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE

Pluralismo. Unità della fede e pluralismo teologico

(volume di Edizioni Dehoniane, Bologna 1974, pp. 250)

 

Indice

Premessa

Parte prima: Quindici tesi sul pluralismo e loro commento

Introduzione (Joseph Ratzinger)

I. Le dimensione del problema.

Tesi 1-8: commento di Joseph Ratzinger

II. L’aspetto missionario.

Tesi 9: commento di Petrus Nemeshegyi

III. La validità permanente delle formulazioni dommatiche.

Tesi 10-12: commento di Joseph Ratzinger

IV. Unità e pluralità in teologia morale.

Tesi 13-15: commento di Philippe Delhaye

Parte seconda: Studi sul pluralismo

I. Unità e pluralità delle immagini di Gesù nei vangeli sinottici (Beda Rigaux)

II. Unità della fede e pluralismo secondo i documenti del magistero romano negli ultimi dici anni (1962-1972) (Philippe Delhaye)

III. Unità e pluralismo nella storia della teologia (Louis Bouyer)

IV. Incontro tra cristianesimo e cultura in Asia: nuovi aspetti del pluralismo teologico (Petrus Nemeshegyi)

V. Pluralismo filosofico e pluralismo teologico (Walter Kern)

Bibliografia essenziale

* * *

Premessa

Il presente libro, scaturito dalle ricerche della « Commissione Teologica Internazionale» (CTI), riunisce testi di orientamento molteplice. Le tesi che formano l’impalcatura della prima parte sono state approvate nel loro insieme dalla commissione a grande maggioranza (talune all’unanimità), nella seduta del 5 ottobre 1972; sono pertanto da ritenere, come tali, testo della commissione. Il commento è stato elaborato da una sottocommissione formata da L. Bouyer, W. T. Burghardt, A.H. Maltha, P. Nemeshegyi, J. Ratzinger e Th. Sagi-Bunic. Vi hanno partecipato spesso come consulenti anche H. U. von Balthasar e il segretario di commissione Ph. Delhaye. Tra i membri di commissione hanno inviato comunicazioni scritte G. Philips, Y. Congar e B. Lonergan. Un indice di tutti i documenti consultati dalla commissione si trova alla fine del presente volume. La redazione finale del commento è opera rispettivamente di J. Ratzinger per le tesi 1-8 e 10-12, di P. Nemeshegyi per la tesi 9 e di Ph. Delhaye per le tesi 13-15.

Nella seconda parte del libro sono pubblicati alcuni lavori, presentati alla sottocommissione. Tali riflessioni vanno rapportate alla responsabilità dei singoli autori.

* * *

Quindici tesi sul pluralismo e loro commento

Introduzione

Può apparire in certo senso paradossale che il pluralismo sia divenuto oggi una parola d’ordine della teologia, dato che il mondo tende sempre più all’unità in forza di una civilizzazione tecnicizzata. Nonostante le tensioni politiche e sociali che dividono il mondo in blocchi, esiste oggi tra gli uomini un’unità mai prima verificatasi nella storia. I mass media sono riusciti ad uniformare il comportamento degli uomini, nei settori più intimi e persino nelle espressioni più personali, pressocché in ogni angolo della terra. Creano modelli di comportamento, forme di linguaggio, di pensiero, di gestire improntati allo stesso modo e che né i continenti né i confini politici riescono a modificare.

Questa convergenza, che condiziona l’uomo dall’esterno e fino nella sfera più intima, è determinata da un tipo di comunicazione volta alla strutturazione tecnica del mondo e che si radica a sua volta suuna interpretazione matematica della natura. Mentre le grandi filosofie conservano una certa loro peculiarità e, pur avendo punti in comune nei problemi fondamentali, salvaguardano una inconfondibile fisionomia nella visione dell’uomo e del mondo – vedi per esempio la diversità di pensiero tra occidente ed oriente, fra Grecia e India – la scienza matematica e le relative discipline tecniche sono, culturalmente, quasi indifferenziate. Si potrebbero evidenziare le diverse radici culturali da cui derivano; ma in fondo la scienza matematica appare unitaria e allo stesso tempo divenuta linguaggio unificante dell’umanità e non contempla pluralismo di sorta. Nel settore politico ed economico si prendono decisioni generali sempre più convergenti; i meccanismi politici e sociali, scossi dalla violenza della realtà quotidiana, sono costretti a ravvicinare sempre più i loro sistemi contrapposti.

Sarebbe tuttavia errato vedere, nell’ondata pluralistica della teologia cattolica, soltanto un’espressione di sfasamento. Infatti l’uniformismo tecnico dell’umanità, anziché risolvere il problema dell’unità fra gli uomini, lo ha, sotto molti aspetti, riacutizzato. L’opposizione ad una civilizzazione unitaria, che si manifesta ovunque in un ritorno alle culture locali, è soltanto un sintomo del problema insoluto. Le profonde tensioni che la nostra società manifesta tra popoli ricchi e poveri e all’interno dei singoli organismi politici e sociali, sino agli eccessi di guerre civili, dimostrano eloquentemente la perdurante inquietudine. Senza dubbio è possibile individuare diverse cause di questa situazione. Decisamente significativo potrebbe essere il fatto che la civiltà della tecnica è, per sua essenza, positivista. Essa abbraccerà soltanto quegli aspetti della realtà totale che sono misurabili con il metodo positivo e perciò stesso soggetti a falsificazione. Sono esclusi così i giudizi di valore e le verità problematiche.

Si spiega allora il fatto paradossale che l’unificazione operata dalla civiltà della tecnica abbia condotto alla frammentazione della coscienza filosofica e delle verità in genere. Uno dei più preoccupanti fenomeni del nostro tempo sta nel fatto che la filosofia ha cessato di porre problemi sulla verità; essa cerca di darsi una parvenza scientifica, mediante la rinuncia al problema della verità. Si appaga del vero verificabile, escludendo, dal suo orizzonte di ricerca, i problemi della verità, come ascientifici. Ancor più radicale appare questo processo quando la verità è sostituita dalla « di-mostrazione »: la verità diventa, nel caso, prodotto dell’attività umana; vero è ciò che rende attuabile il futuro.

Si comprende allora perché la teologia, intesa come scienza, aspiri a commisurarsi a questo nuovo sistema e diventare « positiva » e a escludere quei problemi della verità non verificabili con il metodo positivo (ossia con il canone della falsificabilità), cadendo infine nel sospetto di fungere da ideologia. In alcune discipline il metodo positivo trova il suo facile campo naturale: la teologia storica per es. può attenersi strettamente ai canoni delle scienze storiche. Nelle materie sistematiche invece ciò appare pressocché impossibile. Questo potrebbe essere il motivo per cui l’orientamento neo-marxista tende a ripristinare quello positivistico. E così non soltanto si esclude la verità, ma la si sostituisce con la prassi umana. Nella compagine delle discipline teologiche la cosiddetta teologia pratica si presenta allora come il punto di partenza e di arrivo di tutto. In una simile prospettiva, l’intera struttura delle materie teologiche si dovrebbe interpretare come un aspetto dell’impegno per il futuro dell’uomo, sulla base della « memoria » trasmessa dalla fede nel suo sviluppo storico.

Su questo problema altre dilucidazioni sono date nel commento alla tesi 8. Per ora riteniamo quanto segue: il concetto di una teologia in cui la prassi ha preso il posto della verità non prevede in definitiva nessun pluralismo, in quanto esso è quasi estraneo al marxismo, il quale ritiene necessario il pluralismo solo nella fase di passaggio. Ossia, finché perdura la teologia derivata dal credo – quale autentica teologia della chiesa – ci si appella al pluralismo per introdurre una teologia fondata sulla prassi;un pluralismo dunque come fenomeno transitorio, un postulato tattico (imposto dalla « prassi » e dalle sue conseguenze) per giungere a una visione nuova. In questo processo si intravvedono parallelismi politici, ossia il sincronismo interno tra teologia e problemi dell’ora presente. Nello stesso tempo appare come sia sorto e si sia imposto il pluralismo quale problema specifico delle chiese.

A questo punto si possono tentare solo alcuni rilievi. La questione del pluralismo affonda le sue radici nel concilio; emerse allorché si cercò il significato delle « ecclesiae » nella « Ecclesia ». Ciò è traducibile in due problemi pratici: quello del significato dell’ufficio episcopale in rapporto a quello di Pietro e quello della liturgia autonoma nella chiesa locale. Altri problemi ne derivano come logica conseguenza: rapporto tra presbitero e vescovo; posto del laico nella chiesa, questione meglio esplicitata nella ricerca e nell’assunzione libera di responsabilità del cristiano nell’impegno per il mondo, tenuto conto dei compiti magisteriali della gerarchia; istanza che si trasformò ben presto in problema interno alla chiesa come esigenza alla corresponsabilità laicale (« democratizzazione »). Infine va rilevato il problema della libertà della teologia rispetto al magistero della chiesa, e dell’autonomia del settore dottrinale rispetto a quello pastorale. Nello sviluppo postconciliare, la problematica sul pluralismo è andata meglio delineandosi nei singoli settori sopraricordati, subendo pure un processo di radicalizzazione nel tentativo di chiarire il concetto non ancor ben definito di « chiesa locale ». Espressioni quali « comunità », « base », « gruppo » sono sottentrate al concetto di chiesa locale. Il fatto è di capitale importanza in quanto mette in causa tutto il significato di chiesa; la « comunità » succede alla « chiesa ». Per conseguenza la comunità si dà una liturgia propria, i propri ministri, la propria teologia e solleva, assieme all’esigenza di una corresponsabilità estesa a tutti, il problema del « laico ». L’« unitarismo » della comunità, in questo caso, può essere facilmente la conseguenza della totale « pluralizzazione » della chiesa.

Sulla scia della problematica pluralistica sorse nel Vaticano II un’altra questione di primaria importanza: quella delle chiese e delle comunità separate. Il problema del rapporto fra chiesa universale e chiesa locale subì una modifica e un approfondimento decisivi: che grado di unità – si pensava – deve promuovere la chiesa affinché l’adesione all’unica chiesa non si riduca a frase vuota? e fin dove può giungere il pluralismo per non imporre un giogo esprimente più la schiavitù di una legge umana che la unità del vangelo? (At 15,10: prospettano difficoltà analoghe nella chiesa primitiva). A questo punto sembra che il concetto « comunità » possa offrire la risposta: se la chiesa è nella comunità, le singole comunità esprimono quell’unità che riescono a realizzare. La sostituzione di « chiesa » con « comunità » corrisponde alla sostituzione di « ecumenismo » con « ecumene locale », voci oggi assai correnti. Le « grandi chiese » diventano, partendo da questa ottica, cornici organizzative la cui pluralità non fa più problema in quanto sono state private del loro interesse teologico.

Rilevando questa « tendenza generale » non si vuol ridurre tutta la situazione odierna differenziata ad un unico comune denominatore. Si tratta piuttosto di spingere lo sguardo sino ai punti di partenza per comprendere i nuovi orientamenti. La CIT ha tenuto presente nelle riflessioni sul pluralismo tutti questi problemi, cosciente tuttavia di poter approfondire soltanto qualche aspetto ben delimitato. Ha deciso pertanto di indagare unicamente l’aspetto teologico del pluralismo, per offrire alcune linee di comportamento.

Tutte le altre questioni sottese (pluralismo nella liturgia, nella costituzione ecclesiale, nell’ecumenismo ecc.) sono state volutamente escluse. Una tale scelta, sotto certi punti di vista, comporta, come ogni altra scelta, qualcosa di soggettivo. È possibile tuttavia che rispetti la gerarchia dei problemi in quanto tocca il problema della verità, alla radice di tutti gli altri. In queste puntualizzazioni si era già trovata d’accordo anche la commissione teologica nel 1969, in occasione dell’assemblea costituente. Il punto di partenza della stessa furono le discussioni sempre più aspre derivanti da nuove istanze teologiche in diversi paesi e le prese di posizione da parte del magistero papale. Mentre il magistero papale dichiarava che alcune nuove tesi non concordavano con il criterio della tradizione, si fece osservare sull’altro fronte che non era più possibile proporre e stabilire come termine di confronto una norma già definita in modo preciso nel linguaggio e nel pensiero; nella nuova situazione creatasi si sarebbe dovuto ritornare alla verità preconcettuale, esprimibile con concetti nuovi, diversi dalle formule passate. Il problema così impegnativo del rapporto tra linguaggio e verità verrà chiarito, nelle sue linee fondamentali, nel commento che seguirà. Forse è pure necessario evidenziare la trama politica che è sottesa a questa tesi, senza tuttavia volerne negare la serietà. Tale tesi, in definitiva, per un verso esige sensibilità nel tradurre rettamente il pensiero in concetti e per un altro difende la possibilità di così molteplici concettualizzazioni nello e dello stesso pensiero, tali da non esprimere più lo stesso pensiero e divenire contraddittorie. Una posizione così contrastante, che da un lato elimina il delicato problema dei rapporti tra pensiero e concetti e dall’altro accentua al massimo – a livello discorsivo – il problema, postulando un pluralismo assoluto, è logicamente insostenibile. Per molti aspetti questa posizione ricorda l’impiego nel medioevo del principio della doppia verità che portò a una situazione simile a quella odierna. Anche in quell’epoca i fautori dell’umanesimo e della creatività artistica si battevano – in nome di questo principio – per l’autonomia contro l’intromissione della « auctoritas » teologica.

L’idea della doppia verità fu una forma medievale di pluralismo, in una chiesa politicamente condizionata. Con tale sistema si tentò di assicurare alla filosofia uno spazio libero per lo sviluppo di espressioni indipendenti e talora in contrasto con la fede e nello stesso tempo salvaguardare la validità delle verità di fede.

Nell epoca postconciliare, per l’interesse crescente rivolto al pluralismo, non di rado si ricorre a criteri analoghi, non nella convinzione che il pluralismo sia un fenomeno che sempre persisterà, ma con l’intento di aprire nuove prospettive con l’aiuto del pensiero pluralista. Si può pertanto lasciare aperta la problematica pluralista e contemporaneamente considerare la questione nella sua totalità, senza perdersi in quisquilie marginali.

Le prime nove tesi hanno lo scopo di scoprire le dimensioni essenziali del problema, cioè il pluralismo nella teologia; le altre sei tesi affrontano il problema della validità definitiva delle formulazioni dogmatiche, e la pluralità e unità in teologia morale: due questioni di fondamentale importanza.

Joseph Ratzinger

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