The Holy See
back up
Search
riga

IL DIACONATO, ESPRESSIONE DEL SERVIZIO NELLA CHIESA

 

II testo del documento della Commissione Teologica Internazionale (CTI) su Il diaconato: evoluzione e prospettive (cfr Civ. Catt. 2003 I 253-336), come si legge nella «Nota preliminare», è frutto di un lavoro decennale di due Sottocommissioni e della revisione della Commissione in seduta plenaria. Esso costituisce una espressione significativa della funzione dei teologi nella Chiesa, che consiste nell'«acquisire, in comunione con il Magistero, un'intelligenza sempre più profonda della parola di Dio contenuta nella Scrittura ispirata e trasmessa dalla tradizione viva della Chiesa» (cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, La vocazione ecclesiale del teologo [1990], n. 6). Infatti, non solo fa un esauriente excursus del passato, ma espone anche le posizioni maturate nel postconcilio, invitando a ulteriori ricerche. Da tale lavoro potrà derivare una rilettura e un rinnovamento (recréation): ossia qualcosa di nuovo, benché nella continuità di fondo con la Tradizione. Si tratta di operare secondo la legge dello sviluppo nella continuità. La storia della salvezza infatti procede e si realizza — «tende alla verità tutta intera» (Gv 16,13) — nel tempo e sempre creativamente, approfondendo il depositum fidei, anche in dialogo con la situazione storico-culturale.

In tal senso è significativo il sommario che apre il cap. VII, il quale invita a esaminare come i testi conciliari relativi al diaconato «siano stati recepiti e poi approfonditi nei documenti del Magistero, [a] tenere conto del fatto che il ripristino del diaconato si è realizzato in modo disuguale nel periodo postconciliare e, soprattutto, [a] prestare una particolare attenzione alle oscillazioni di tipo dottrinale che hanno accompagnato come un'ombra tenace le varie posizioni pastorali». Il documento, dopo aver ricordato che «diversi e numerosi sono gli aspetti che richiedono oggi uno sforzo di chiarificazione teologica», in quest'ultimo capitolo intende contribuire allo sforzo di chiarificazione, identificando «dapprima le radici e le ragioni che fanno dell'identità teologica ed ecclesiale del diaconato (permanente e transitorio) un'autentica quaestio disputata su determinati aspetti»; e precisando poi «una teologia del ministero diaconale che possa costituire la base comune e sicura capace di ispirarne il rinnovamento (recréation) fecondo nelle comunità cristiane». Tale rinnovamento deve essere attuato, come dicevamo, nella continuità della Tradizione. Uno stimolo su questa strada viene dal cap. II del documento, che ricostruisce scientificamente il senso di una eredità.

* * *

II cap. II del documento sottolinea come i termini diakonein e diakonos nel Nuovo Testamento siano «molto generici». In particolare At 6,1-6 «descrive l'istituzione dei "Sette" "per il servizio delle mense". La ragione è data da Luca con l'indicazione di una tensione all'interno della comunità: "Sorse un malcontento tra gli ellenisti (egeneto goggysmos) verso gli ebrei, perché venivano trascurate le loro vedove nella distribuzione quotidiana" (At 6,1)». Ma — osserva la CTI — «la ragione data per la designazione dei Sette eletti (le mormorazioni tra gli ellenisti) è in contraddizione con la loro attività com'è descritta successivamente da Luca. Non sappiamo nulla del servizio delle mense».

All'epoca della Didachè (prima del 130 d. C.) «i diaconi erano responsabili della vita della Chiesa riguardo alle opere di carità in favore delle vedove e degli orfani [...]. Le loro attività erano senza dubbio connesse con la catechesi e probabilmente anche con la liturgia. I dati su questo argomento però sono talmente succinti che è difficile dedurne quale fosse di fatto la portata delle loro funzioni». Sant'Ignazio di Antiochia, poi, nella Lettera ai cristiani di Smirne, scrive: «Seguite tutti il vescovo, come Gesù Cristo [segue] il Padre, e i presbiteri come gli apostoli; quanto ai diaconi, rispettateli come la legge di Dio».

La Tradizione apostolica di Ippolito di Roma (morto il 23.5) «presenta per la prima volta lo statuto teologico e giuridico del diacono nella Chiesa. Egli lo annovera nel gruppo degli ordinati con l'imposizione delle mani (cheirotonein), opponendoli a coloro che nella gerarchia sono chiamati istituti. L "ordinazione" dei diaconi è fatta unicamente dal vescovo. Tale vincolo definisce l'ampiezza dei compiti del diacono, che è a disposizione del vescovo per eseguirne gli ordini, ma che è escluso dalla partecipazione al consiglio dei presbiteri». «Riassumendo — prosegue la CTI — possiamo dire che, al di là del fatto dell'esistenza del diaconato in tutte le Chiese sin dall'inizio del II secolo e del suo carattere di ordine ecclesiastico, i diaconi all'inizio svolgono dappertutto lo stesso ruolo, benché gli accenti posti sui diversi aspetti del loro impegno siano distribuiti diversamente nelle varie regioni. Il diaconato raggiunge la sua stabilizzazione nel corso del IV secolo. [... Infatti il] sec. IV segna la conclusione del processo che ha condotto a riconoscere il diaconato come un grado della gerarchia ecclesiale, posto dopo il vescovo e i presbiteri, con un ruolo ben definito. Legato alla missione e alla presenza del vescovo, tale ruolo comprendeva tre compiti: il servizio liturgico, il servizio di predicare il Vangelo e di insegnare la catechesi, come anche una vasta attività sociale concernente le opere di carità e un'attività amministrativa secondo le direttive del vescovo».

Circa il ministero delle diaconesse, l'ultima sezione del cap. II afferma che «è veramente esistito un ministero di diaconesse che si è sviluppato in maniera diseguale nelle diverse parti della Chiesa. Sembra evidente che tale ministero non era inteso come il semplice equivalente femminile del diaconato maschile. Si tratta per lo meno di una funzione ecclesiale, esercitata da donne, talvolta menzionata prima del suddiacono nella lista dei ministeri della Chiesa. Tale ministero era conferito con un'imposizione delle mani paragonabile a quella con cui erano conferiti l'episcopato, il presbiterato e il diaconato maschile? Il testo delle Costituzioni apostoliche lo lascerebbe pensare, ma si tratta di una testimonianza quasi unica, e la sua interpretazione è oggetto di intense discussioni. L'imposizione delle mani sulle diaconesse deve essere equiparata a quella compiuta sui diaconi o si situa piuttosto nella linea dell'imposizione delle mani fatta sul suddiacono e sul lettore? E difficile diri-mere la questione partendo dai soli dati storici».

Nel cap. III il documento esamina la progressiva scomparsa del diaconato permanente, il quale si trasforma in passaggio temporaneo verso il presbiterato, mentre nel sec. X sono del tutto scomparse le diaconesse. Infatti — osserva la CTI — la «storia dei ministeri mostra che le funzioni sacerdotali hanno avuto la tendenza ad assorbire le funzioni inferiori. Quando il cursus clericale si è stabilizzato, ogni grado possiede competenze supplementari in rapporto al grado inferiore: ciò che fa un diacono lo può fare anche un presbitero. Al vertice della gerarchia, il vescovo può esercitare la totalità delle funzioni ecclesiastiche. Questo fenomeno di concentrazione delle competenze e di sostituzione delle funzioni inferiori con quelle superiori, la frammentazione delle competenze originarie dei diaconi in molte funzioni subalterne clericalizzate, l'accesso alle funzioni superiori per gradum spiegano come il diaconato, in quanto ministero permanente, abbia perduto la sua ragion d'essere. Gli rimanevano soltanto i compiti liturgici esercitati ad tempus dai candidati al sacerdozio».

Connessi al diaconato ci sono vari problemi complessi e di non facile soluzione, che richiamiamo per cenni. Sicuramente il diaconato è un ministero antichissimo, già presente nella Chiesa apostolica, e di grande rilevanza nei primi secoli. Un secondo punto concerne il fatto che Gesù, in modo diretto, istituì solamente il Collegio apostolico. Ma già Atti 6 attesta che gli Apostoli sentono il bisogno di avere alcuni collaboratori cui affidare il servizio delle mense. Una lunga tradizione vede in questo l'istituzione del ministero diaconale, benché oggi ciò non sia universalmente accettato. E comunque fuori discussione che la Chiesa, nell'arco dei secoli, ha sempre inteso l'istituzione della pienezza del ministero sacerdotale negli Apostoli congiunta alla potestà di individuare altre funzioni particolari.

Infine sta il fatto che il diaconato, importantissimo nei primi secoli, decadde progressivamente fino a ridursi a semplice grado temporaneo del cursus clericale; e che il Vaticano II intese riproporlo come ministero permanente. Nella Lumen gentium (n. 29) «la proposizione secondo la quale si impongono le mani ai diaconi "non ad sacerdotium, sed ad ministerium" diventerà un riferimento chiave per la comprensione teologica del diaconato. Tuttavia molti interrogativi sono rimasti aperti sino ai nostri giorni per le ragioni seguenti: la soppressione del riferimento al vescovo nella formulazione accettata, l'insoddisfazione di alcuni di fronte alla sua ambiguità, l'interpretazione data dalla Commissione, e la sortala della distinzione stessa tra sacerdotium e ministerium». La commissione dottrinale del Concilio si espresse in questi termini: significanti diaconos non ad corpus et sanguinem Domini offerendum sed ad servitium caritatis in Ecclesia.

Il documento, dopo aver esaminato il motuproprio Ad pascendum (1972) di Paolo VI, prosegue: «In conclusione: se il Vaticano II ha parlato con prudenza ed ex obliquo della natura sacramentale del diaconato, non è stato solamente a causa della preoccupazione di non condannare nessuno, ma piuttosto a motivo dell'”incertitudo doctrinae”. Dunque, per assicurare la natura sacramentale non basta ne l'opinione maggioritaria dei teologi (c'era anche relativamente al suddiaconato), ne la sola descrizione del rito dell'ordinazione (che occorre chiarire alla luce di altre fonti), ne la sola imposizione delle mani (che può essere di natura non sacramentale)».

* * *

Come dunque dobbiamo intendere oggi questo servizio? «Quando si esaminano le statistiche disponibili — afferma la CTI nel cap. VI —, ci si rende conto dell'immensa disparità esistente nella ripartizione dei diaconi nel mondo. Su un totale di 25.122 diaconi nel 1998, l'America del Nord ne conta da sola un po' più della metà, cioè 12.801 (50,9%), mentre l'Europa ne enumera 7.864 (31,3%): ciò rappresenta per i Paesi industrializzati del Nord del pianeta un totale di 20.665 diaconi (82,2%). Il rimanente 17,8% si suddivide così: America del Sud: 2.370 (9,4%); America Centrale e Antille: 1.387 (5,5%); Africa: 307 (1,22%); Asia: 219 (0,87%). L'Oceania chiude l'elenco con 174 diaconi, cioè lo 0,69% del totale. Un fatto non può non colpirci: il diaconato si è sviluppato soprattutto nelle società industriali progredite del Nord. Ciò non era stato affatto previsto dai Padri conciliari quando avevano chiesto una "riattivazione" del diaconato permanente. Si aspettavano piuttosto uno sviluppo rapido nelle giovani Chiese in Africa e in Asia, nelle quali la pastorale si appoggiava su un gran numero di catechisti laici. [...] Le statistiche ci permettono di intravedere che si è dovuto reagire a due situazioni molto diverse. Da una parte, la maggior parte delle Chiese nell'Europa Occidentale e nell'America del Nord hanno dovuto far fronte, dopo il Concilio, a una diminuzione molto forte del numero dei preti e hanno dovuto procedere a una riorganizzazione significativa dei ministeri. Dall'altra, le Chiese sorte in maggioranza dagli antichi territori di missione si erano date da molto tempo una struttura ricorrendo all'impegno di un gran numero di laici, i catechisti».

Avviandosi alla conclusione, nel cap. VII/2 il documento riafferma che «considerare il diaconato come una realtà sacramentale costituisce la dottrina più sicura e più coerente con la prassi ecclesiale. Se se ne negasse la sacramentalità, il diaconato costituirebbe una forma di ministero fondato sul battesimo; rivestirebbe un carattere funzionale, e la Chiesa godrebbe di una grande capacità di decisione relativamente alla sua instaurazione o alla sua soppressione, come pure alla sua configurazione concreta; in ogni caso godrebbe di una libertà di azione molto più ampia di quella che le è concessa sui sacramenti istituiti da Cristo. Negando così la sacramentalità, si farebbero scomparire i principali motivi che fanno del diaconato una questione teologicamente disputata. Ma tale negazione ci condurrebbe ai margini della linea del Vaticano II. È dunque a partire dalla sua sacramentalità che si dovrà trattare degli altri problemi concernenti la teologia del diaconato».

* * *

Per delineare una sintesi del documento possiamo ripartire da questo passaggio: «L'esercizio concreto del diaconato nei diversi ambienti contribuirà anche a definire la sua identità ministeriale, modificando, se necessario, un quadro ecclesiale nel quale il suo vincolo con il ministero del vescovo appare appena, e la figura del prete è identificata con la totalità delle funzioni ministeriali. A tale evoluzione contribuirà la coscienza viva che la Chiesa è "comunione". Tuttavia, gli interrogativi teologici relativi ai "poteri" specifici del diaconato potranno difficilmente trovare una soluzione soltanto attraverso la via pratica. [...] Così si possono osservare diverse proposte della teologia contemporanea che cercano di conferire al diaconato solidità teologica, accettazione ecclesiale e credibilità pastorale» (IV/2).

Un elemento positivo è l'indicazione di una triplice determinazione del sacramento dell'ordine in episcopato, presbiterato e diaconato: ai primi due è collegata la presidenza dell'Eucaristia, mentre il terzo ha soltanto un accenno a una possibile presidenza liturgica (liturgia della parola, matrimonio, esequie). Ulteriore indicazione sufficientemente acquisita è la ripresentazione di Cristo capo e servo. Prezioso è anche il riferimento di tutto il sacramento dell'ordine e, in particolare, a modo suo proprio, del diaconato al bene di tutta la Chiesa (edificazione e missione), col tentativo di identificare un proprium non parcellizzato in singole direzioni (liturgia, carità, pastorale) ma sempre con uno sguardo unitario, ossia ai vari ambiti di organica attuazione dell'azione ecclesiale, che si avvale dei diversi elementi strutturanti l'azione della fraternità cristiana.

* * *

La sacramentalità del diaconato va compresa nella prospettiva unitaria del sacramento dell'Ordine. La sacramentalità dell'Ordine consiste nel rendere presente Cristo che agisce nella persona del ministro che guida la Chiesa (capo), nello stile del servizio (servo) per condurre la Chiesa stessa (pastore), resa feconda con la parola e i sacramenti nel dono dello Spirito (sposo) verso i pascoli della vita eterna (escatologia), avendo compiuto la missione di evangelizzare l'umanità per l'edificazione del regno di Dio. L'Ordine, pur essendo un unico sacramento che abilita al ministero, assume diverse espressioni di attuazione del ministero stesso — episcopato, presbiterato e diaconato — non riducibili ne sostituibili tra loro: agiscono in unità organica per mettere in grado la fraternità ecclesiale di edificarsi in corpo di Cristo e di compiere la missione ricevuta dallo stesso Cristo. La sacramentalità dell'Ordine trova la sua espressione fondamentale nella presidenza, a partire dall'Eucaristia, che costituisce la funzione sintetica e originante di tutta la vita e l'azione della Chiesa.

Ciascuna delle tre espressioni ne esercita con vera titolarità una esigenza: l'episcopato, con la sua presidenza dell'Eucaristia di tutta la fraternità ecclesiale diocesana, serve l'unità dell'azione dell'intero popolo di Dio che vive nella diocesi, nella diversità dei soggetti, nella varietà dei campi, nella molteplicità degli impegni individuati attraverso il discernimento pastorale comune. Il presbiterato, con la presidenza dell'Eucaristia celebrata nelle molte localizzazioni della fraternità ecclesiale diocesana, serve — a somiglianza del vescovo e in unione con lui — l'attuarsi della Chiesa secondo l'esigenza e le possibilità dei diversi luoghi. Il diaconato, infine, senza una presidenza dell'Eucaristia, ma a partire dall'Eucaristia presieduta dal vescovo o dal presbitero, esercita la responsabilità di mettere in opera o di curare l'attuazione (sia diretta, sia attraverso la valorizzazione operativa dei carismi e ministeri di altri) dell'azione ecclesiale nei suoi vari ambiti (prima evangelizzazione, educazione del cristiano, edificazione della fraternità ecclesiale, presenza efficace nella società) come collaboratore ordinato dell'ordine episcopale e dell'ordine presbiterale.

Ciò richiede il servizio del diaconato nelle azioni liturgiche (o in collaborazione con il vescovo e il presbitero, o per celebrazioni del battesimo, del matrimonio senza Eucaristia, esequie, celebrazioni della Parola), nelle azioni di educazione dei cristiani nella fede (itinerari catecumenali e di iniziazione cristiana, catechesi e formazione), nelle azioni di edificazione della fraternità ecclesiale (individuazione, formazione e valorizzazione dei carismi e ministeri dei battezzati, attuazione dei progetti diocesani e parrocchiali), nelle azioni di presenza nella cultura e nella società, di promozione e di solidarietà (nei molteplici campi individuati dalla evangelizzazione della cultura, dalla dottrina sociale e dalla sollecitudine verso le molte povertà).

* * *

II documento ricorda opportunamente e in più luoghi che la teologia del sacramento dell'Ordine ha oscillato tra le diverse immagini che esprimono la ricchezza della persona di Cristo nel voler indicare riferimenti specifici per le diverse attuazioni: capo, pastore, sposo, servo. Le prime tre sono state preferibilmente collegate con l'episcopato e il presbiterato, mentre l'ultima per lo più con il diaconato, anche se non manca — sia nelle elaborazioni teologiche sia negli insegnamenti del Magistero — il riferimento del presbiterato e dell'episcopato a Cristo servo e del diaconato a Cristo capo. In realtà, occorre recuperare il riferimento di ogni espressione ministeriale alla persona completa del Cristo, poiché le diverse caratteristiche non sono aggiuntive l'una all'altra, ma indicano un'articolazione interna e una finalizzazione dell'opera del Cristo e, quindi, di chi ne è strumento sacramentale, ciascuno, nel modo che gli è proprio, per rendere presente Cristo nella sua interezza.

Nel documento si parla spesso del diaconato permanente come la forma da recuperare e riesprimere oggi nella Chiesa. In proposito è importante richiamare quanto lo stesso documento sottolinea nella Conclusione: «II diaconato, per il suo modo di partecipare all'unica missione di Cristo, realizza sacramentalmente questa missione come servizio ausiliario». Pur nella sua peculiarità inconfondibile, esso «mantiene, proprio in quanto tale, un legame costitutivo col ministero sacerdotale, al quale presta il proprio servizio (cfr Lumeri gentium, n. 41). Non è un servizio qualsiasi che è attribuito al diacono nella Chiesa: il suo servizio appartiene al sacramento dell'Ordine in quanto collaborazione stretta con il vescovo e con i presbiteri, nell'unità della medesima attualizzazione ministeriale della missione di Cristo». Il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1554) cita sant'Ignazio di Antiochia: "Tutti riveriscano i diaconi come Gesù Cristo, come pure il vescovo, che è l'immagine del Padre e i presbiteri come il senato di Dio e come l'assemblea degli apostoli: senza di loro non si può parlare di Chiesa».

Circa le diaconesse il documento fa un rapido accenno nella conclusione, rimandando al discernimento del Magistero un pronunciamento sull'intera questione: «Per quel che riguarda l'ordinazione delle donne al diaconato, conviene notare due indicazioni importanti che emergono da quanto è stato sin qui esposto: 1) le diaconesse di cui si fa menzione nella Tradizione della Chiesa primitiva — secondo ciò che suggeriscono il rito di istituzione e le funzioni esercitate — non sono puramente e semplicemente assimilabili ai diaconi; 2) l'unità del sacramento dell'Ordine, nella chiara distinzione tra i ministeri del vescovo e dei presbiteri da una parte, e il ministero diaconale dall'altra, è fortemente sottolineata dalla Tradizione ecclesiale, soprattutto nella dottrina del Concilio Vaticano II e nell'insegnamento postconciliare del Magistero. Alla luce di tali elementi posti in evidenza dalla presente ricerca storico-teologica, spetterà al ministero di discernimento che il Signore ha stabilito nella sua Chiesa pronunciarsi con autorità sulla questione».

E il documento così si conclude: «Al di là di tutti i problemi che solleva il diaconato, è bene ricordare che dopo il Concilio Vaticano II la presenza attiva di questo ministero nella vita della Chiesa suscita, in memoria dell'esempio di Cristo, una coscienza più viva del valore del servizio per la vita cristiana».

La Civiltà Cattolica

 
top