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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE
DELLA "NOTA DOTTRINALE
SU ALCUNI ASPETTI DELL’EVANGELIZZAZIONE"
A CURA DELLA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede
Venerdì, 14 dicembre 2007

 

  • INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. WILLIAM JOSEPH LEVADA

  • INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. IVAN DIAS

  • INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. FRANCIS ARINZE

  • INTERVENTO DI S.E. MONS. ANGELO AMATO, S.D.B.


  • INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. WILLIAM JOSEPH LEVADA

    La Congregazione per la Dottrina della Fede è lieta di presentare il nuovo documento: "Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione". Saluto i rappresentanti dei mezzi di comunicazione che partecipano alla presente Conferenza Stampa e, anche a nome di Sua Eccellenza l’Arcivescovo Angelo Amato, Segretario della Congregazione, ringrazio due dei 18 Cardinali e Vescovi Membri della nostra Congregazione, Sua Eminenza Cardinale Francis Arinze, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti e Sua Eminenza Cardinale Ivan Dias, Prefetto della Congregazione della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, della loro presenza.

    Dopo le mie brevi note introduttive, l’Arcivescovo Amato offrirà alcune riflessioni teologiche relative alla Nota Dottrinale, a cui seguiranno i commenti del Cardinale Arinze sulla situazione missionaria in Africa, e del Cardinale Dias sulla teologia e l’evangelizzazione nel Continente asiatico. Al termine delle osservazioni introduttive, risponderemo alle vostre domande.

    La Nota Dottrinale affronta un tema centrale della comprensione cattolica e cristiana del nostro credere in Gesù Cristo, il tema dell’evangelizzazione. Come Gesù fu inviato dal Padre per portare la Buona Novella della salvezza al mondo, così Egli comandò ai suoi discepoli di annunciare la Buona Novella – il Vangelo – a tutto il mondo e a tutte le genti. Questa opera di evangelizzazione appartiene alla natura più autentica della Chiesa. Poiché i cristiani hanno ricevuto questo grande dono dell’amore di Dio in Cristo, naturalmente essi hanno il desiderio, anzi il dovere di condividere questo dono con le proprie famiglie, con gli amici e i vicini.

    In questo tempo di Avvento, ancora una volta in attesa della bella festa del Natale, ricordiamo come il Vangelo di San Luca (Capitolo 2) narra dell’Angelo che annuncia la Buona Novella della nascita di Gesù ai pastori nei pascoli attorno a Betlemme. Potremmo dire che l’Angelo è stato il primo Evangelista. In sintonia con la prossima festività natalizia, la Congregazione offre in dono alla Chiesa la presente Nota Dottrinale.

    Perché un documento sull’evangelizzazione? Dalle sue conversazioni con i Vescovi nel mondo, e dall’analisi di una certa confusione riguardo all’interrogativo se i cattolici debbano dare testimonianza della propria fede in Cristo, la Congregazione ha deciso di esaminare alcuni punti specifici che sembrano pregiudicare la realizzazione del mandato missionario di Cristo. Ciò avviene in tre punti fondamentali.

    Le implicazioni antropologiche dell’evangelizzazione riguardano due fattori chiave dell’esistenza umana: la libertà e la verità. È convinzione della fede cristiana che la rivelazione di Dio, del suo amore per noi in Cristo, conduca l’umanità verso la verità dell’intenzione di Dio e del suo piano divino di creazione e di redenzione. Conoscere questa verità è una grande benedizione per l’umanità e per ogni singolo essere umano.

    Nel contempo, la dignità umana richiede che la ricerca di tale verità rispetti la libertà della coscienza umana. In merito San Paolo descrive "la conversione alla fede cristiana come una liberazione"; perciò "la piena adesione a Cristo, che è la Verità, e l’ingresso nella sua Chiesa non diminuiscono ma esaltano la libertà umana e la protendono verso il suo compimento". (n. 7). Ne consegue che l’evangelizzazione non deve mai ricorrere ad "una azione coercitiva né" convertire "con artifizi indegni del Vangelo" (n. 8) e, allo stesso tempo, la libertà religiosa impone che l’evangelizzazione non sia ostacolata da misure restrittive.

    Le implicazioni ecclesiologiche della Nota Dottrinale ci ricordano che: "Sin dal giorno della Pentecoste .... il Vangelo, nella potenza dello Spirito, è annunciato a tutti gli uomini, affinché credano e diventino discepoli di Cristo e membri della sua Chiesa". La "Conversione" è un "cambiamento di mentalità e di azione, come espressione della vita nuova in Cristo".

    Per l’evangelizzazione cristiana, "l’incorporazione di nuovi membri alla Chiesa non è l’estensione di un gruppo di potere, ma l’ingresso nella rete di amicizia con Cristo, che collega cielo e terra, continenti ed epoche diverse. (...) La Chiesa è, dunque, veicolo della presenza di Dio e perciò strumento di una vera umanizzazione dell’uomo e del mondo". (n. 9).

    Infine, l’importanza della testimonianza cristiana della santità e della carità è essenziale per la credibilità dell’evangelizzazione.

    Nell’affrontare le implicazioni ecumeniche, la Nota Dottrinale si colloca nel solco del moderno movimento ecumenico, le cui origini si devono, all’inizio del secolo scorso, in larga parte alle preoccupazioni dei missionari cristiani che vedevano il loro sforzo missionario vanificato dalle molteplici e concorrenziali strutture ecclesiali esistenti.

    L’opera di evangelizzazione fra i cristiani di varie confessioni conduce al dialogo e alla condivisione di doni che promuovono una più profonda conversione a Cristo. Quando le singole persone decidono in coscienza di aderire alla Chiesa Cattolica, tale decisione deve essere rispettata senza accusare la Chiesa Cattolica di una negativa forma di proselitismo.

    La Nota Dottrinale si conclude con una bella citazione dalla Prima Lettera Enciclica di Papa Benedetto XVI: "L’amore che viene da Dio ci unisce a Lui e ‘ci trasforma in un Noi che supera le nostre divisioni e ci fa diventare una cosa sola, fino a che, alla fine, Dio sia ‘tutto in tutti’ (1 Cor 15:28)". Auspico che questo Documento sia strumento di rinnovamento nell’opera di evangelizzazione dei cattolici e di tutti i cristiani, e linea guida verso l’unità e la fratellanza di tutta la famiglia umana.

     

  • INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. IVAN DIAS

    Commenti da una prospettiva teologica asiatica

    L’Asia è il continente più esteso del mondo e contiene quasi due terzi della popolazione umana. È la culla di molte civiltà, tradizioni religiose e culture. Per esempio: l’induismo, il buddismo, il jainismo e il sikhismo sono nati nel subcontinente indiano. Il giudaismo, lo zoroastrismo e l’islam ebbero origine nel Medio Oriente, mentre gli insegnamenti socio-filosofici di Confucio ed i riti dello shintoismo fiorirono in Cina, Giappone e nell’Estremo Oriente. Oggi, queste tradizioni religiose e culturali sono ben radicate in Asia. Ciascuna di esse ha propri libri sacri, preghiere, simboli, luoghi di culto, pratiche ascetiche, ed influenzano i pensieri ed i modi di vita dei loro seguaci. Ognuna di queste contiene valori davvero pregevoli (1), e talvolta anche elementi o pratiche che non sono consoni con l’ethos cristiano, come p.es. il sistema delle caste, la regola della vendetta, la condizione sociale della donna, il trattamento delle vedove, i pregiudizi contro le nascite femminili, etc.

    Questo mosaico di –ismi religiosi nello scenario asiatico è oggi complicato da dottrine pseudo-religiose, come il New Age, Reiki, Fengshui e da pratiche esoteriche che si stanno facendo strada anche in Europa e nelle Americhe, che sono continenti considerati prevalentemente cristiani.

    Anche il cristianesimo ha avuto le sue origini in Asia. Gli asiatici sono fieri del fatto che Dio abbia scelto il loro continente come luogo ove compiere il mistero dell’incarnazione del Suo Figlio e della redenzione dell’umanità. I primi due millenni hanno visto l’evangelizzazione dell’Europa, delle Americhe e dell’Africa. Nel novembre 1999, quando il Papa Giovanni Paolo II venne a New Delhi per rendere pubblica la Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Asia, egli affermò profeticamente che il terzo millennio sarà caratterizzato dall’evangelizzazione dell’Asia. In quel documento, infatti, il Papa legge i segni dei tempi insieme ai Vescovi dell’Asia e delinea ciò che lo Spirito sta dicendo alla Chiesa in Asia all’inizio del terzo millennio cristiano.

    L’evangelizzazione in un contesto di pluralismo religioso non è una novità per la Chiesa. Sin dai suoi inizi, infatti, la Chiesa ha dovuto affrontare la sfida di predicare la Buona Novella di Gesù Cristo in mezzo ad una varietà di tradizioni religiose, cominciando dalla religione ebraica in cui il cristianesimo è nato e poi con le fedi esistenti nelle nazioni ove i cristiani andavano – nel mondo greco-romano e altrove. Tuttavia, l’evangelizzazione pone una sfida particolare nei tempi moderni, dato che viviamo in un’epoca in cui persone di diverse religioni si incontrano e interagiscono più che in qualunque altro periodo della storia umana.

    Il Concilio Vaticano II esaminò i rapporti tra la Chiesa e le religioni non cristiane e dichiarò: "La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscono da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini. Essa però annuncia, ed è tenuta ad annunciare, il Cristo che è via, verità e vita(2), in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato con Se stesso tutte le cose"(3).

    Questa affermazione conciliare mette in evidenza due aspetti importanti dell’argomento che stiamo trattando: primo, un sincero rispetto per le altre religioni che "non raramente riflettono un raggio della verità che illumina tutti gli uomini"; secondo: la necessità di annunciare la pienezza di vita religiosa in Cristo che è via, verità e vita.

    Perciò, davanti ad una così vasta gamma di tradizioni religiose nel mondo asiatico, i cristiani devono cercare di scoprirvi l’azione dello Spirito Santo – cioè i semi della verità, come li ha chiamati il Concilio Vaticano II (4) - e di condurle, senza alcun complesso di superiorità, alla piena conoscenza della verità in Gesù Cristo.

    Davanti a tale sfida, alcuni teologi sono tentati di negare la necessità di proclamare l’unicità di Gesù Cristo e l’universalità della sua salvezza e di riservare tali verità unicamente ai cristiani, perché – dicono – i non cristiani potranno salvarsi con i propri mezzi. Col pretesto di non ostacolare il dialogo interreligioso, alcuni perfino mettono Gesù, che è vero Dio e vero uomo, sullo stesso piano dei fondatori, talvolta mitologici, di altre religioni. Tale atteggiamento contraddice il mandato di Nostro Signore di predicare il Vangelo e di fare discepoli in tutto il mondo; nega inoltre l’insegnamento di San Pietro che "non esiste sotto il cielo altro nome dato agli uomini per mezzo del quale possano essere salvati"(5), nonché la proclamazione di San Paolo che "nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi in cielo, in terra e negli inferi, ed ogni lingua confessi che Cristo Gesù è il Signore, a gloria di Dio Padre"(6).

    Per cui, anche se le varie religioni non cristiane posseggono i semina Verbi piantati in esse dallo Spirito Santo e le persone che li seguono potranno essere salvate, ciò non significa che la proclamazione della Buona Novella di Gesù Cristo sia irrilevante. È nostro compito far maturare i semina Verbi affinché trovino la loro pienezza in Cristo. Gesù stesso ha detto chiaramente che egli non è venuto per abolire la legge e i profeti, ma per portarli al compimento(7). In questa ottica, negli Atti degli Apostoli troviamo San Paolo che cerca di istruire i cittadini di Atene circa il "dio ignoto" che essi veneravano senza conoscere(8). Anche nell’episodio di Pietro e del centurione Cornelio, Pietro fu ammonito di non chiamare impuro ciò che Dio aveva purificato, sicché, quando vide che lo Spirito Santo portò al battesimo Cornelio e i membri della sua casa, tutti pagani, Pietro esclamò: "In verità, riconosco che Dio non ha preferenze di persone, ma chiunque che lo teme e osserva la giustizia, di qualunque nazione che sia, è a lui gradito(9)".

    Evangelizzazione e Dialogo Interreligioso

    Lo Spirito Santo è il protagonista principale dell’opera dell’evangelizzazione. Egli l’ha cominciata in due modi al momento stesso in cui Gesù nacque a Betlemme: in modo diretto, mandando una schiera di angeli per annunciare l’avvento di un Salvatore ai pastori che vigilavano sulle loro pecore quella notte; e in modo indiretto, facendo apparire una stella nell’oriente che condusse i Magi, anche attraverso difficoltà e tribolazioni, al luogo dove si trovava Gesù e là lo adorarono(10).

    Il dialogo interreligioso fa parte di questo modo indiretto di evangelizzazione: con esso i cristiani presentano la propria identità e sono attenti alle convinzioni religiose dei loro interlocutori non cristiani. Si tratta di esporre e proporre la propria fede, senza voler imporla a nessuno. Come Papa Giovanni Paolo II disse durante l’incontro che ebbe con i rappresentanti di religioni non cristiane a New Delhi nel 1999: "Il dialogo (interreligioso) non è mai un modo di imporre le nostre vedute sugli altri... né suppone che noi dobbiamo abbandonare le nostre convinzioni. Significa invece che, tenendo fermamente a ciò che crediamo, ascoltiamo con rispetto gli altri, cercando di discernere tutto ciò che è buono e santo, tutto ciò che favorisce la pace e la cooperazione"(11).

    Nella sua enciclica Redemptoris Missio, il Papa Giovanni Paolo II ritiene che il dialogo interreligioso faccia "parte della missione evangelizzatrice della Chiesa"(12). Esso, afferma il Pontefice, "non nasce da tattica o da interesse, ma è un'attività che ha proprie motivazioni, esigenze, dignità: è richiesto dal profondo rispetto per tutto ciò che nell'uomo ha operato lo Spirito, che soffia dove vuole. Con esso la Chiesa intende scoprire i "germi del Verbo", "raggi della verità che illumina tutti gli uomini", germi e raggi che si trovano nelle persone e nelle tradizioni religiose dell'umanità. Il dialogo si fonda sulla speranza e sulla carità e porterà frutti nello Spirito. Le altre religioni costituiscono una sfida positiva per la Chiesa: la stimolano, infatti, sia a scoprire e a riconoscere i segni della presenza del Cristo e dell'azione dello Spirito, sia ad approfondire la propria identità e a testimoniare l'integrità della rivelazione, di cui è depositaria per il bene di tutti. Deriva da qui lo spirito che deve animare tale dialogo nel contesto della missione. L'interlocutore dev'essere coerente con le proprie tradizioni e convinzioni religiose e aperto a comprendere quelle dell'altro, senza dissimulazioni o chiusure, ma con verità, umiltà, lealtà, sapendo che il dialogo può arricchire ognuno. Non ci deve essere nessuna abdicazione né irenismo, ma la testimonianza reciproca per un comune progresso nel cammino di ricerca e di esperienza religiosa e, al tempo stesso, per il superamento di pregiudizi, intolleranze e malintesi. Il dialogo tende alla purificazione e conversione interiore che, se perseguìta con docilità allo Spirito, sarà spiritualmente fruttuosa"(13).

    Ricordando i due modi – diretto e indiretto – usati dallo Spirito Santo per proclamare la Buona Novella di Gesù Cristo sin dalla sua nascita in Betlemme, l’evangelizzazione nel contesto del pluralismo interreligioso in Asia entra nella sfera della proclamazione indiretta e ci fa pensare ai Magi e alla loro stella. Vedo nei Magi quell’immensa schiera di seguaci di religioni non cristiane che seguono le proprie stelle (libri sacri, saggi, santi) e portano nel loro seno i preziosi tesori ivi messi dallo Spirito Santo come semi della verità. Tocca a noi cristiani accompagnare e far maturare questi semi fino a che raggiungano la pienezza della verità, usando la via del dialogo interreligioso, finché un giorno – su questa terra o dopo - incontreranno "il dio ignoto" che adoravano senza conoscere, e che altro non sarà che Gesù Cristo Nostro Signore, via, verità e vita.


    (1) Ecclesia in Asia, 6

    (2) Gv 16:6

    (3) Nostra Aetate, 2

    (4) Ad gentes, n.6

    (5) At 4:12

    (6) Fil 2:10-11

    (7) Cf. Mt 5:17

    (8) At 17:23

    (9) Cf At 10:1-11:18

    (10) Cf. Mt 2:1-12

    (11) Discorso a Vigyan Bhavan, New Delhi, 7 novembre 1999

    (12) n. 55

    (13) Ibid, n.56

    * * *

     

  • INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. FRANCIS ARINZE

    Alcune implicazioni antropologiche
    sull’evangelizzazione fra i popoli di Religione Africana Tradizionale

    Poiché provengo da un paese africano sub-sahariano, vorrei applicare alcune implicazioni antropologiche dell’evangelizzazione, prese in esame dalla Nota Dottrinale, ad aree dell’Africa sub-sahariana. In queste regioni, la Religione Africana Tradizionale è stata per secoli il contesto religioso e culturale dominante. È anche da quel contesto che proviene la maggior parte dei convertiti al Cristianesimo di quei paesi negli ultimo 200 anni.

    La Religione Africana Tradizionale, tenendo nel debito conto le variazioni locali, generalmente si distingue per il fatto di credere in un solo Dio, negli spiriti del bene e del male e negli antenati, con il conseguente culto che mai pone gli spiriti e gli antenati allo stesso livello dell’unico Dio Creatore. Questa religione tradizionale permea una cultura che ha un notevole senso del sacro, che crede nella vita dopo la morte, che conferisce un alto valore al matrimonio, alla famiglia e alla vita umana, e che ha un forte senso della comunità e desiderio di celebrazione.

    I missionari cristiani hanno ritenuto tale contesto religioso una preparazione provvidenziale, un fertile terreno per diffondere il Vangelo, la Buona Novella della salvezza in Gesù Cristo. Riflettendo sulla Nota Dottrinale della Congregazione per la Dottrina della Fede, si potrebbero fare quattro osservazioni relative all’evangelizzazione nelle aree dove si professa la Religione Africana Tradizionale:

    1. La proposta missionaria di fede in Gesù Cristo rende omaggio alla libertà umana dell’Africano e alla sua capacità di conoscere e di amare ciò che è buono e vero."L’obbedienza della fede" (Rm 16:26) data a Dio che rivela, non solo non fa violenza all’intelletto e alla volontà umana, ma anzi le nobilita. Aiutare un altro essere umano che liberamente ascolta, ragiona e riflette, ad accettare il Messaggio di salvezza di Gesù Cristo, è un incontro che onora sia il missionario che il convertito.

    2. Il nostro Documento giustamente nota che lo Spirito Santo "anima l’azione materna della Chiesa nell’evangelizzazione delle culture" (n. 6). Questa difficile opera di inculturazione, delicata e colma di sfide, ha avuto inizio nella molteplicità delle lingue, culture e popoli dell’Africa. C’è ancora molta strada da percorrere. La Prima Assemblea per l’Africa del Sinodo dei Vescovi (1994) ha ribadito l’importanza dell’inculturazione. Se le Chiese locali in Africa si doteranno di un clero ben preparato, di teologi, religiosi, centri di riflessione accademica e pastorale e di monasteri, operando congiuntamente con la Sede Apostolica, la promozione dell’inculturazione potrà procedere più speditamente.

    3. La condivisione della nostra fede cattolica con coloro che non conoscono ancora Cristo, deve essere considerata un’opera di amore, a condizione che sia portata a compimento nel pieno rispetto della loro dignità umana e della loro libertà. Se un cristiano non cercasse di diffondere il Vangelo condividendo la perfetta conoscenza di Gesù Cristo (cf Fil 3:8), potremmo pensare che quel cristiano non sia pienamente convinto della sua fede, o che, a causa di egoismo e pigrizia, non intenda condividere con il suo prossimo i copiosi e abbondanti mezzi della salvezza.

    4. La conversione al Cristianesimo è giustamente vista come una liberazione, come scrive San Paolo nella Lettera ai Colossesi. È entrare "nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati" (Col 1:13-14).

    Considero la presente Nota Dottrinale di grande rilevanza ed attualità.

     

  • INTERVENTO DI S.E. MONS. ANGELO AMATO

    L’annuncio di Gesù Cristo celebra la libertà umana

    1. Nella sua Lettera enciclica sulla speranza, il Santo Padre Benedetto XVI scrive: «il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita» (Spe salvi, 2). Questa affermazione pone subito al centro della nostra attenzione una grande verità: il cristianesimo, prima ancora che una dottrina, è l’annuncio della presenza fra noi della persona di Gesù Cristo, di colui che è il Salvatore dell’umanità e del cosmo.

    E Gesù è anche al centro di ciò che la Chiesa vive, propone ed annuncia. Anzi è proprio la riscoperta quotidiana e grata della presenza di Gesù Cristo fra noi - di colui che è l’unico vero Signore "buono" della storia (cf. Spe salvi, 3) - che rende necessario, oggi, come duemila anni fa, l’annuncio a tutti gli uomini di una salvezza che non cessa di rendersi vicina ed accessibile all’uomo. È la presenza salvifica di Gesù Cristo la grande speranza che sta al cuore della speranza ecclesiale e che muove la Chiesa incontro al mondo.

    Per questo la Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione afferma che evangelizzare significa non soltanto insegnare una dottrina bensì annunciare il Signore Gesù con parole ed azioni, cioè farsi strumento della sua presenza e azione nel mondo. L’evangelizzazione coincide, infatti, col farsi portatori di questa speranza, che si fa "carne" per noi nella persona di Gesù e che rinnova la sua dimora in mezzo a noi nella Chiesa. Nulla è, infatti più urgente ed importante, per noi cristiani che essere un’eco credibile di questa presenza e di questa speranza.

    Nessuna obiezione può dunque ragionevolmente frenare od ostacolare l’impeto che dal cuore della Chiesa come fuoco di carità muove i nostri cuori ad annunciare, con parole ed opere, Colui che è la speranza attesa segretamente da ogni cuore: «Tutto il cuore dell’uomo, infatti, attende di incontrare Gesù Cristo» (n. 10).

    2. La Nota intende anzitutto richiamare che questo impeto ad evangelizzare, che proviene dal mandato stesso di Cristo, si radica in una profonda certezza antropologica: la ricerca e la scoperta della verità non mettono in pericolo e non coartano la libertà umana ma la celebrano e ne favoriscono il compimento. E ciò vale, in particolare ed anzitutto, per quella Verità che è Gesù Cristo: «la piena adesione a Cristo, che è la Verità, e l'ingresso nella sua Chiesa non diminuiscono ma esaltano la libertà umana e la protendono verso il suo compimento, in un amore gratuito e colmo di premura per il bene di tutti gli uomini» (n. 7).

    È questa certezza che spinge la Chiesa a considerare la libertà umana come «una risorsa ed una sfida offerta all'uomo da Colui che lo ha creato. Un'offerta rivolta alla sua capacità di conoscere ed amare ciò che è buono e vero» (n. 4), «una libertà che non è indifferenza ma tensione al bene» (n. 10).

    Infatti, nulla come la ricerca del bene e della verità mette in gioco la libertà umana, sollecitandola ad un'adesione tale da coinvolgere gli aspetti fondamentali della vita. È questo «il caso della verità salvifica, che non è soltanto oggetto del pensiero ma avvenimento che investe tutta la persona - intelligenza, volontà, sentimenti, attività e progetti - quando essa aderisce a Cristo» (n. 10).

    3. L’accoglienza di Cristo e la conversione a lui consentono altresì di riconoscere e guardare in modo adeguato l’incorporazione alla Chiesa, che «non è l’estensione di un gruppo di potere, ma l’ingresso nella rete di amicizia con Cristo, che collega cielo e terra, continenti ed epoche diverse» (n. 9). La Chiesa non è una utopia politica, ma germe e inizio del Regno di Dio. Essa è già presenza di Dio nella storia e porta in sé anche il vero futuro, quello definitivo. Si tratta di una presenza necessaria, poiché solo Dio può portare al mondo pace e giustizia autentiche. Per questo la Chiesa è strumento di una vera umanizzazione dell’uomo e del mondo: «Il dilatarsi della Chiesa, che è la finalità della missione, è un servizio alla presenza di Dio mediante il suo Regno» (n. 9).

    Ciò è ancora più urgente nell’ora presente - come spesso ci ha ricordato il S. Padre Benedetto XVI – in cui conosciamo sempre più "diverse forme di deserto", che nascono soprattutto dal deserto dell'oscurità di Dio e dello svuotamento delle anime, un deserto in cui si trovano tanti nostri fratelli che vivono «senza più coscienza della dignità e del cammino dell'uomo» (Benedetto XVI, Omelia durante la Santa Messa per l’inizio del Pontificato, 24 aprile 2005).

    Proprio l’esistenza di tale "deserto" ci impone di considerare come compito prioritario della Chiesa il condurre gli uomini all’amicizia con Gesù Cristo nella libertà e nel rispetto dell’altrui coscienza. Per tale motivo l’evangelizzazione è «un dovere ed anche un diritto irrinunciabile», «un diritto che purtroppo, in alcune parti del mondo, non è ancora legalmente riconosciuto ed in altre non è rispettato nei fatti» (n. 10).

    Ed è questo un compito che è spesso «contrassegnato dal martirio« (n. 8): ma «proprio il martirio dà credibilità ai testimoni, che non cercano potere o guadagno ma donano la propria vita per Cristo. Essi manifestano al mondo la forza inerme e colma di amore per gli uomini che viene donata a chi segue Cristo fino al dono totale della sua esistenza» (n. 10). Sono proprio i martiri, con il dono della loro stessa vita – offerta non per uccidere, ma per donare più vita – che documentano in modo inequivocabile come «la pienezza del dono di verità che Dio fa, rivelandosi all’uomo, rispetta quella libertà che Egli stesso crea come tratto indelebile della natura umana» (n. 10).

    4. Si comprende dunque come questo orizzonte, fatto di verità e di libertà, debba determinare anche l’ambito ecumenico. Anche qui, il necessario rispetto delle diverse sensibilità e delle rispettive tradizioni, non può eludere né l’esigenza della libertà né quella della verità, che sono i presupposti insostituibili di ogni forma di dialogo. Il dialogo sincero, effettuato nella verità, nella libertà e nella carità, infatti, «non priva del diritto né esime dalla responsabilità di annunciare in pienezza la fede cattolica agli altri cristiani, che liberamente accettano di accoglierla» (n. 12). Tale dialogo, infatti, «non è soltanto uno scambio di idee ma di doni, affinché si possa offrire loro la pienezza dei mezzi di salvezza» (n. 12).

    L’unità nella verità, e l’esercizio della libertà nella carità, sono le vie esigenti ma preziose che la Nota intende richiamare all’oneroso e affascinante compito di testimoniare la fede cristiana all’inizio del terzo millennio.

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