Card. Victor Manuel Fernández Prefetto del
Dicastero per la Dottrina della Fede
"Pasci il tuo popolo con il tuo bastone"
Omelia del Card. Víctor M. Fernández nel Convegno Internazionale
“Uomo-Donna immagine di Dio. Per una antropologia delle vocazioni”,
Basilica di San Pietro, 02 marzo 2024.
In questi giorni si intendeva “offrire motivi di speranza e di impegno”
nell’esercizio della propria vocazione. Per questa ragione vorrei prendere un messaggio che scaturisce dalla prima
lettura (Mich 7, 14-15, 18-20) e ci mette di fronte al cuore di pastore del
nostro Dio. Questo messaggio ci offre motivi di un rinnovato impegno nella
nostra missione.
Il breve brano del profeta Michea si apre con queste parole rivolte al Signore:
“Pasci il tuo popolo con il tuo bastone”.
Mi ha impressionato e commosso notare come il profeta, nella sua supplica al
Signore, non abbia dimenticato di menzionare “il bastone”, quale segno che
identifica Dio stesso come pastore. Ma oggi credo che il Signore rivolga questa
frase a me, ad ognuno di noi: “Pasci il mio popolo con il tuo bastone”.
Non sembra casuale o superficiale che il Signore dica a Mosè: «Va’ dal faraone
al mattino [...] tenendo in mano il bastone» (Es 7,15).
Lo stesso accade quando il Signore manda Mosè a dissetare il suo popolo con
l’acqua scaturita dalla roccia e gli dice: «Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e va’! Ecco, io starò davanti a te […] tu batterai sulla roccia, ne uscirà acqua e il
popolo berrà» (Es 17, 5-6).
Prima della battaglia contro Amalek, poi, Mosè chiede fiducia al popolo e
assicura: «Io starò ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio»
(Es 17, 9).
Potremmo provare a percepire l'infinita tenerezza di Dio in queste parole:
“Pasci il mio popolo con il tuo bastone”.
Innanzi tutto, questa frase mi ricorda che è suo il popolo da pascere, non il
mio, ed esprime il suo desiderio, cioè che il popolo sia portato ai buoni
pascoli, sia accompagnato, sia curato.
Il popolo è di Dio, la missione è di Dio, la forza per farlo viene da Dio, ma
allo stesso mi chiede di pascere il suo popolo col mio bastone; è un dono che mi
è stato fatto in modo tale che diventi veramente mio, che mi rappresenti, che
faccia parte della mia identità.
Il bastone, cioè la propria missione, non è un accessorio decorativo, ne è un
elemento che si possa separare dalla mia stessa persona. Perché, come dice Papa
Francesco, io non “ho” una missione da svolgere in questa terra, ma io “sono”
una missione per gli altri. Questo vale per i ministri ma anche per le altre
vocazioni: una madre, un insegnante, un politico.
Quel bastone diventa lo strumento dell’amore e del potere di Dio per liberare il
suo popolo, e quando si dice al pastore “prendi il tuo bastone”, gli si dice:
“non addormentarti, non scoraggiarti, riconosci il tuo dono, prendi sul serio e
con fierezza la missione che ti ho dato”.
Infatti, si vede che Mosè l’aveva capito dato che, quando parte, ben deciso, a
liberare il popolo dagli egiziani, la Bibbia sottolinea questo fatto: «Mosè
prese in mano il bastone di Dio» (Es 4, 20).
Continuando la mia ricerca sul bastone nella Bibbia ho trovato che il bastone di
quelli che guidano il popolo diventa subito il canale di un bene soprannaturale.
Così nel Levitico si dice che la decima parte del bestiame che passa sotto il
bastone del pastore «sarà consacrata al Signore» (Lv 27, 32). Nel libro di
Giudici si racconta che «l’angelo del Signore stese l’estremità del bastone
che aveva in mano e toccò la carne […]: dalla roccia salì un fuoco che consumò
la carne» (Gdc 6, 21).
Questo bastone esprime sia la missione che Dio ci ha regalato che il potere
donatoci da Dio per il bene del popolo. Ma ha di solito un senso di protezione e
guida: «Anche se vado per una vale oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me,
perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno
sicurezza» (Sal 23,4).
Ancora, il bastone che serve per le pecore è allo stesso tempo un sostegno per
lo stesso pastore. Il bastone della mia missione e un bene per me. Ad esempio,
per Davide il bastone è un’arma di difesa quando affronta Golia: «Prese in mano il suo bastone» (1 Sam 17,40). Mentre Zaccaria mostra come i vecchi pastori si appoggiano
al proprio bastone: «Ognuno con il bastone in mano per la loro
longevità» (Zac 8, 4).
Questo ci aiuta a ricordare che, nel momento in cui stiamo compiendo la nostra
missione con generosità, allo stesso tempo siamo sostenuti da essa, diventiamo
forti grazie alla stessa missione ben compiuta. La fatica della missione non è
un veleno che ci consuma o ci distrugge, ma una forza che ci tiene fermi e pieni
di vita.
Così comprendiamo che non abbiamo bisogno di altre cose per sopravvivere.
Ecco perché diciamo che nei momenti di prova non dobbiamo diminuire la nostra
dedizione a Dio e al popolo, ma raddoppiarla, intensificarla.
In tal modo, si giunge a diventare umilmente fieri del proprio bastone, non per
ritenersi orgogliosamente privilegiati, ma per essere teneramente consapevoli di
aver ricevuto un dono che ci innalza e ci trascende.
Allora ci ritroviamo immeritatamente abbracciati dal Padre misericordioso e ci
stupiamo che Egli faccia festa per noi. Ma allo stesso tempo ci riconosciamo
sostenuti e incoraggiati dal suo amore, perché ci abilita a essere segni del suo
cuore di pastore. Così ognuno di noi potrebbe dire: “Ecco questo servo, povero e
debole, ma sicuro col mio bastone”.
Per ringraziare Dio di questo dono immeritato, che ci fa partecipare alla sua
missione di pastore del popolo, riprendiamo le parole del Salmo, e dal profondo
del nostro cuore salga sincera a Dio la nostra lode:
“Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome. Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tutti i suoi benefici!” (Sal
103, 1-2).
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