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Prefazione del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede,
l’Arcivescovo Gerhard Ludwig Müller,
al volume di Fabio Fabene,
Il vescovo maestro della fede

(LEV, Città del Vaticano 2012, pp. 3-10)

 

«Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti come custodi per essere pastori della Chiesa di Dio, che si è acquistata con il sangue del proprio Figlio» (At 20,28).

Con queste parole rivolte ai responsabili della Chiesa di Efeso, l’apostolo Paolo mostra che l’ufficio episcopale e sacerdotale è fondato sul disegno salvifico di Dio. Egli richiama l’attenzione sulla dignità dell’ufficio dei pastori d’anime delle comunità e, degli annunciatori del Vangelo di Cristo. Ciò significa anche mantenere uno stile di vita esemplarmente cristiano.

Pietro, quale apostolo e presbitero tra i presbiteri, si esprime in modo simile: « Pascete il gregge di Dio che vi è affidato... facendovi modelli del gregge » (1 Pt 5, 2s.). Poiché essi annunciano, santificano e guidano i credenti su mandato e nel nome di Gesù Cristo, il « Pastore supremo », il « pastore e custode delle vostre anime » (1 Pt 2,25).

1. Nel passaggio dalla fondazione apostolica della Chiesa al periodo sub-apostolico, l’esercizio differenziato della missione e della potestà apostolica è andato definendosi nei tre gradi dell’ordine sacro. In ogni Chiesa locale c’è un vescovo monarchico il quale, in comunione con i presbiteri e coadiuvato dai diaconi, rappresenta l’unità dei vescovi e delle Chiese locali tra loro e con l’origine apostolica di esse. I vescovi e i sacerdoti, nel servire in persona Christi, capo della Chiesa, la salvezza dell’uomo con l’annuncio della Parola e con l’amministrazione dei sacramenti, rendono presente l’unità della Chiesa con Gesù Cristo, il Figlio del Padre e l’unto dello Spirito Santo.

A volte si sostiene che al sacerdozio ministeriale cattolico mancherebbe il fondamento biblico, oppure che il Nuovo Testamento conterrebbe ordinamenti ministeriali tanto differenziati che ben difficilmente potrebbero essere unificati.

In realtà, il Nuovo Testamento indica il principio di ogni autorità spirituale nella Chiesa del Dio trinitario. Ed è in base ad esso che si è avuto lo sviluppo profondo e coerente che ci viene presentato nel magistero della Chiesa, vincolante dal punto di vista dogmatico, sul sacramento dell’ordine (cfr. Lumen gentium, capitolo III).

2. Decisiva è la missione del Figlio di Dio in questo mondo come universale mediatore di salvezza. «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi » (Gv 1,14). Poiché Dio si è fatto uomo, in Cristo ci viene trasmessa la salvezza in forma umana. Gesù Cristo rende gli apostoli partecipi della sua consacrazione messianica e della sua missione divina. Con un atto sovrano di elezione e di vocazione egli istituisce i Dodici « per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demòni» (Mc 3, 13-15); vale a dire perché, con la forza di Cristo, vincano il male e il peccato che dominano gli uomini, derubandoli della loro libertà e dignità di figli di Dio.

Il principio della fondazione apostolica e dello sviluppo del sacramento dell’ordine nella dottrina e nella prassi della Chiesa è chiaramente espresso nelle parole con cui il Signore risorto invia gli apostoli, e con ciò anche la Chiesa, sino alla fine della storia: «Come il Padre ha mandato me, io mando voi... Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati » (Gv 20,22s.).

La stessa cosa troviamo espressa con una diversa formulazione: «Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato » (Lc 10,16).

3. La classica critica di tipo protestante/riformato al sacerdozio ministeriale cattolico parte dal concetto, tratto dall’ambito della storia delle religioni, del sacerdote come mediatore tra il popolo semplice e le potenze superiori, con le quali ci si dovrebbe riconciliare per mezzo di sacrifici umani. Se nella teologia cattolica i vescovi e i presbiteri dal II secolo vengono chiamati anche sacerdos/hiereus, chiaramente con questo si intende la partecipazione all’operare santo di Gesù, che agisce per mezzo di loro quali «servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio» (cfr. 1 Cor 4,1). Dio stesso è il soggetto della riconciliazione degli uomini con Dio. E Cristo stesso ha affidato agli apostoli la parola della riconciliazione. Ed è per questo che l’auto comprensione degli apostoli e dei loro successori nell’ufficio episcopale e sacerdotale trova una formulazione ideale allorché con Paolo essi dicono: «In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor 5,20).

4. Nelle Lettere pastorali a Timoteo e a Tito e nel tredicesimo capitolo della Lettera agli Ebrei, troviamo esposta, in modo simile agli Atti degli Apostoli, la forma basilare dell’ufficio episcopale e presbiterale. Ne è esempio Paolo, fatto da Cristo «messaggero e apostolo... maestro dei pagani nella fede e nella verità» (2 Tim 2,7).

Quando parliamo d’ufficio ministeriale, pastorale e sacerdotale, non intendiamo uffici realmente differenti, uniti nella persona del vescovo. Il servizio dell’insegnare, il servizio del guidare e del santificare rappresentano unicamente gli aspetti più importanti dell’unica missione e potestà spirituale. Così, la formulazione secondo la quale il vescovo, nella successione apostolica, è « maestro della fede » illumina da una prospettiva particolare l’intero suo ufficio quale servizio per la salvezza degli uomini, che, in Gesù Cristo, tutti noi riceviamo in misura sovrabbondante e inesauribile.

Mediante «la parola della fede che annunciamo», per mezzo della fede, della speranza e della carità, la salvezza operata da Cristo una volta per tutte è data ad ogni uomo nella sua vita e nella comunità della Chiesa. La fede in Gesù, il Signore crocifisso e risorto, è accesso e contenuto della salvezza, della beatitudine e della vita eterna con e nell’amore del Dio trino. Fede è fiducia personale, sequela operosa di Gesù, professione pubblica di Gesù e testimonianza fedele di lui in parole e opere, sino al martirio spirituale e corporale: « Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza» (Rom 10,10).

La fede in Gesù Cristo e l’invocazione del nome di Dio, determinano la trasmissione della redenzione e della salvezza dell’uomo che egli ci ha già donato per mezzo della croce e della risurrezione.

Si mostra il profondo rapporto di fede-salvezza-Parola con la potestà e la missione apostolica.

5. Come si potrebbe descrivere la teologia e la spiritualità dell’ufficio episcopale in modo più convincente di quanto fa Paolo nella grande testimonianza della giustificazione, della salvezza e della riconciliazione del peccatore con Dio mediante Gesù Cristo: «Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? E come lo annunceranno, se non sono stati inviati? Come sta scritto: Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio di bene!» (Rom 10,14).

Poiché la fede in Cristo è suscitata attraverso l’annuncio e gli uomini ottengono in tal modo l’accesso alla salvezza, la trasmissione della fede per mezzo dell’annuncio può essere definita come uno dei compiti più importanti e fondamentali del vescovo: «I vescovi, infatti, sono gli araldi della fede che portano a Cristo nuovi discepoli; sono dottori autentici, cioè rivestiti dell’autorità di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella pratica della vita, la illustrano alla luce dello Spirito Santo, traendo fuori dal tesoro della Rivelazione cose nuove e vecchie (cfr. Mt 13, 52), la fanno fruttificare e vegliano per tenere lontano dal loro gregge gli errori che lo minacciano (cfr. 2 Tm 4,1-4)» (Lumen gentium 25).

I vescovi sono maestri e testimoni della fede che annunciano nel nome di Cristo e testimoniano con la loro vita. Il loro ufficio è un servizio e li colloca nella comunità dei credenti. Per questo il vescovo è sia padre sia fratello nella fede in mezzo ai suoi fratelli e alle sue sorelle. Anche lui ha ricevuto la fede dall’annuncio della Chiesa e deve dedicarsi alla sua salvezza con rispetto e timore (cfr. Fil 2,12). Per questo necessita dunque anche dell’annuncio e dell’opera di salvezza della Chiesa e, attraverso la fede vissuta dal popolo di Dio, viene edificato, consolato, purificato ed esortato all’umile riconoscimento che nulla possiamo attribuire a noi ma tutto dobbiamo alla grazia di Dio.

6. I vescovi e i sacerdoti possono essere autentici maestri della fede solo se, nella loro disposizione interiore come anche nel loro comportamento esteriore e nel modo di rapportarsi ai loro fedeli, corrispondono all’esempio di Cristo.

«La grazia presuppone la natura e la porta a compimento» (Tommaso d’Aquino, La Somma teologica, I, q. 2, aa. 2). Questo assioma è da applicare anche all’esercizio dell’ufficio episcopale. Nella nostra natura ferita dal peccato originale resta, anche dopo il battesimo, la concupiscenza, che dobbiamo dominare in un processo di trasformazione che dura tutta la vita. Così, anche l’ufficio apostolico ed episcopale ha i suoi propri pericoli e sfide: il rinnegamento, il tradimento, la voglia di mettersi in mostra, la fiducia illusoria nella ricchezza terrena, ma anche un desiderio sessuale incontrollato, la tendenza a rapportarsi ai santi in modo frivolo e anche quella a trattare i fedeli in modo paternalistico, attraverso interdetti, come se si fosse dimenticato l’ammonimento dell’apostolo: «Pascete il gregge non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge» (1 Pt 5,3).

Nell’anno della fede, che deve ancorarci tutti nuovamente in profondità a Gesù Cristo, è necessaria una nuova riflessione sul vescovo quale maestro di fede.

Il carico di lavoro giornaliero nella vigna del Signore e le ostilità esterne e purtroppo anche interne alla Chiesa potrebbero indurre i fedeli e i pastori allo scoraggiamento, se oggi noi, come un tempo gli apostoli, non pregassimo il Signore: «Accresci in noi la fede» (Lc 17, 6).

Ringrazio Mons. Fabio Fabene che con questo studio - Il vescovo, maestro della fede - offre un aiuto di alto livello teologico e spirituale a tutti i pastori della Chiesa e maestri della fede. La riflessione sul santo compito e sull’alta dignità dell’ufficio episcopale suscita zelo apostolico nei vescovi e nei loro collaboratori, dando alla Chiesa una nuova dinamica missionaria. Spero che tutti i vescovi e i sacerdoti donino tutta la loro vita al Signore con grande gioia nello Spirito Santo, così da divenire sempre più ferventi maestri e annunciatori della fede in Gesù Cristo, il Figlio di Dio e Salvatore del mondo.

Roma, 30 agosto 2012

+ Gerhard L. Müller
Prefetto della Congregazionee
 per la Dottrina della Fede

  

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