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CONGREGAZIONE DELLE CAUSE DEI SANTI

RIFLESSIONI DEL CARD. JOSÉ SARAIVA MARTINS

Gesù Cristo sorgente di speranza per l'Europa

 

Il 28 giugno scorso, vigilia della solennità liturgica dei Santi Pietro e Paolo, Giovanni Paolo II ha firmato l'Esortazione Apostolica "Ecclesia in Europa" su Gesù Cristo, vivente nella sua Chiesa, sorgente di speranza per l'Europa.

L'importante documento, di ricco contenuto teologico-pastorale, è una stupenda meditazione sulla Chiesa nel Continente europeo, alla luce di quanto è emerso nell'ultima Assemblea sinodale ad essa dedicata (1-23 ottobre 1999). Il testo contiene un nuovo e pressante invito ad offrire, con rinnovato slancio, agli uomini e alle donne europei, il messaggio liberante del Vangelo, sorgente inesauribile di genuina speranza; un nuovo e pressante invito ad affrontare, con evangelico coraggio, l'affascinante sfida della nuova evangelizzazione del "vecchio" Continente, all'inizio del terzo millennio, ed in un momento decisivo per il futuro.

L'Europa e l'annuncio del Vangelo

Non mancano certamente nell'Europa di oggi segni positivi che aprono alla speranza. Anzi, essi sono numerosi e si trovano sia in seno alla Chiesa sia nella società civile.

A livello ecclesiale vanno ricordati, tra gli altri, soprattutto i seguenti, sottolineati dai Padri sinodali:  il recupero della libertà della Chiesa dell'Est europeo, con le nuove possibilità pastorali ad essa offerte; il concentrarsi della Chiesa nella sua missione spirituale, e il suo impegno a vivere il primato dell'evangelizzazione estesa a tutte le realtà umane, per trasformarle e portarle a Dio; la sempre maggiore consapevolezza della missione propria di tutti i battezzati, secondo i carismi ed i compiti di ognuno; infine, l'aumentata presenza della donna nelle strutture e nei vari ambiti della Comunità cristiana (EiE, 11).

A livello sociale, vanno annoverati, tra i segni positivi che caratterizzano l'Europa di oggi: la crescente apertura dei popoli, gli uni verso gli altri, la progressiva caduta dei molti "muri" o barriere; la riconciliazione tra nazioni per lungo tempo ostili, l'allargamento del processo unitario ai Paesi del Centro e dell'Est europeo; una sempre maggiore coscienza europea; una crescente sensibilità per la dignità della persona umana e i suoi irrinunciabili diritti fondamentali; infine, la ricerca di una migliore qualità di vita anche a livello spirituale (EiE, 12).

Comunque, nonostante i suddetti segni positivi, si avvertono nell'Europa contemporanea anche dei segni negativi, essi pure richiamati, a varie riprese, nell'aula sinodale. Tra essi, il Papa ricorda "lo smarrimento della memoria e dell'eredità cristiana, accompagnato da una sorta di agnosticismo pratico e di indifferentismo religioso, per cui molti europei danno l'impressione di vivere senza retroterra spirituale e come degli eredi che hanno dilapidato il patrimonio loro consegnato dalla storia" (EiE, 7). Si spiegano così i tentativi, a cui si assiste, di escludere dal volto dell'Europa l'eredità religiosa e la sua incancellabile anima cristiana.

Va ricordato altresì "l'affermarsi lento e progressivo del secolarismo" (ibid.) che può portare a considerare i simboli, anche quelli più prestigiosi, della presenza cristiana, come "puro vestigio del passato".

Alla base di tutto ciò sta "il tentativo di fare prevalere un'antropologia senza Dio e senza Cristo" (EiE, 9). Questo tipo di antropologia, agli antipodi di quella biblico-cristiana, ha portato l'uomo ad occupare il posto di Dio, con tutte le gravi conseguenze in campo filosofico e morale. Dalla negazione di Dio, infatti, scaturisce "il nihilismo in campo filosofico, il relativismo in campo gnoseologico e morale, il pragmatismo e finanche l'edonismo cinico nella configurazione della vita quotidiana" (EiE, 9). La cultura europea appare così anche come una "apostasia silenziosa" da parte dell'uomo che vive come se Dio non esistesse (ibid. cfr Alloc. all'Angelus del 13 luglio 2003, in "L'Osservatore Romano", 14-15 luglio 2003, p. 1). Così, osserva il Papa, avviene che "paradossalmente, la culla dei diritti umani rischia... di smarrire il fondamento, eroso dal relativismo e dall'utilitarismo" (ibid.).

Va tenuto conto, inoltre, che in molti Paesi europei di tradizione cristiana è sempre più elevato il numero di non battezzati. Ciò è dovuto a fattori che caratterizzano l'odierna società:  la crescente presenza di immigrati appartenenti ad altre religioni, il fatto che i genitori cattolici non sempre battezzano i loro figli, e la dominazione comunista in quelle nazioni europee in cui ha imposto la sua ideologia atea. Nel continente europeo, vi sono, quindi, "estese aree sociali e culturali in cui occorre una vera e propria "missio ad gentes"" (EiE, 46:  RMs 37).

Questa è la coraggiosa diagnosi (cfr EiE, 46) che fa la Chiesa dell'attuale situazione religiosa dell'Europa. Essa rende necessaria ed urgente una nuova e vigorosa evangelizzazione del Continente, come è stato ripetutamente affermato dai Padri sinodali.

L'annuncio del Vangelo della speranza all'Europa di oggi va fatto con determinazione, slancio e coraggio. Parlando della nuova evangelizzazione, l'attuale Pontefice dice che "occorre riaccendere in noi lo slancio delle origini, lasciandoci pervadere dall'ardore della predicazione apostolica seguita alla Pentecoste. Dobbiamo rivivere in noi il sentimento infuocato di Paolo, il quale esclamava:  "Guai a me se non predicassi il Vangelo" (1 Cor 9, 16)" (NMI, 40). Bisogna, dunque, trovare l'entusiasmo pentecostale dell'annuncio. È questo lo spirito che deve animare ed accompagnare la Chiesa nell'annunciare, con nuovo vigore, all'Europa, quel Vangelo che ha segnato, fecondato e reso grande la sua storia.

Un annuncio incentrato sulla Persona di Cristo

L'annuncio del Vangelo, per essere autentico, deve essere sempre incentrato sulla Persona di Gesù Cristo. L'assoluta centralità di Cristo viene affermata con estrema chiarezza dal testo del documento pontificio:  "La predicazione della Chiesa..., in tutte le sue forme, deve essere sempre più incentrata sulla persona di Gesù e deve sempre più orientare a Lui" (EiE, 48).

Esprimendosi così, il Papa non fa che riprendere, sottolineandolo, quanto da lui ribadito nella Novo Millennio ineunte. Parlando dell'azione pastorale della Chiesa all'alba del terzo millennio, Egli osserva che, per rispondere alle sfide che la Chiesa è chiamata ad affrontare, non c'è bisogno di inventare nessun "nuovo programma". E ciò perché "il programma c'è già:  è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso si incentra, in ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in Lui la vita trinitaria, e trasformare in Lui la storia fino al suo compimento... È un programma che non cambia col variare dei tempi e delle culture, anche se del tempo e delle culture tiene conto per un dialogo vero ed una comunicazione efficace. Questo programma di sempre è il nostro per il terzo millennio" (NMI, 29). Il Papa non potrebbe essere più esplicito e categorico circa la centralità di Cristo nell'annuncio del Vangelo. Il Vangelo è Cristo. E Cristo è il Vangelo. Il contenuto delle parole è, infatti, la Parola.

Il Cristo del Vangelo va, però, presentato nella integralità o totalità, e non in maniera parziale, frammentaria. È lo stesso Pontefice ad ammonire contro ogni travisamento della figura di Cristo, contro ogni modo unilaterale di presentare la sua Persona. "Occorre vigilare, sono le sue parole, perché Egli sia presentato nella sua integralità" (EiE, 48).

Orbene, presentare Cristo nella sua integralità significa presentarlo "non solo come modello etico, ma, innanzitutto, come il Figlio di Dio", come Parola stessa del Padre, fattasi tempo e storia. Significa presentarlo come il Cristo della Pasqua, come il Signore morto e risorto, evidenziando l'inscindibile legame tra la sua morte in croce e la sua risurrezione. Significa presentarlo "come l'unico e necessario Salvatore di tutti", respingendo ogni tentativo di relativizzare l'universalità della sua opera redentrice. Significa, infine, presentarlo come Colui che "vive e opera nella sua Chiesa", mediante la quale Egli continua, attraverso i secoli, la sua opera di salvezza. La Chiesa, infatti, altro non è, in fondo, come Comunità di fede, di speranza e di amore, che il Corpo terrestre del Signore glorificato (cfr EiE, 48).

Diversi sono i modi con cui l'annuncio di Cristo può essere realizzato. Il documento si sofferma, in particolare, sulla testimonianza personale che è l'annuncio più efficace di Cristo ai fratelli. "L'Europa reclama evangelizzatori credibili, nella cui vita in comunione con la croce e la risurrezione di Cristo, risplenda la bellezza del Vangelo" (EiE, 49).

Il Papa si ricollega, in proposito, al pensiero di Paolo VI, secondo il quale, "l'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, e se ascolta i maestri, lo fa perché sono testimoni" (EN, 41). Più che alle parole, l'uomo di oggi crede ai fatti. Quello della testimonianza è, e sarà sempre, il linguaggio più intelligibile, più incisivo, e, di conseguenza, il più efficace.

Non basta, dunque, che Gesù Cristo venga proclamato con la parola e con la celebrazione dei sacramenti; occorre che Egli sia accolto e vissuto nella quotidianità della vita. Il Cristo si annuncia, vivendoLo. Diventato "nuova creatura", il battezzato deve vivere ed agire come tale. Sia a livello personale che comunitario. Sul suo volto deve risplendere il volto stesso di Cristo. È questa una vera e propria esigenza della sua vitale incorporazione a Lui nel sacramento del battesimo. Il Papa vede in questa forte e convinta testimonianza, "una delle scommesse più grandi che attendono la Chiesa che è in Europa all'inizio del nuovo millennio" (EiE, 49).

È ovvio che tale testimonianza presuppone, soprattutto nell'attuale situazione culturale e religiosa europea, una fede più personale e adulta. Una fede, cioè, sostenuta non solo da eventuali consuetudini sociali e tradizionali, pur apprezzabili, ma da profonde opzioni interiori. Una fede, insomma, personale, convinta, matura ed illuminata.

Soltanto una tale fede permetterà ai credenti, ai cristiani, ai cattolici, di confrontarsi criticamente, osserva il testo del Papa, con l'odierna cultura, "resistendo alle sue seduzioni" (EiE, 62); di incidere, in maniera efficace, nei diversi ambiti della società di oggi:  di trasmettere con gioia alle nuove generazioni, che sono il futuro del Continente, il tesoro inestimabile della fede e della visione aperta e trascendente dell'uomo che da essa scaturisce; di aiutare a costruire una cultura cristiana capace di illuminare con il Vangelo il vasto e variegato mondo culturale in cui viviamo. È questa una delle grandi responsabilità dei cattolici nell'Europa di oggi ed in quella di domani.

Questo loro compito va assolto, per raggiungere il suo scopo, nella cornice insostituibile di una fraterna e convinta collaborazione ecumenica. Il futuro dell'evangelizzazione in Europa, come altrove, è, infatti, intimamente legato alla testimonianza di una vera unità tra tutti i cristiani, nella cornice di un "profondo ed intelligente" dialogo interreligioso, in particolare con l'Ebraismo e con l'Islam. Tale dialogo porterà, tra l'altro, ad una migliore conoscenza di coloro che aderiscono a dette religioni e che vivono, sempre più numerosi, nell'Europa di oggi. Inteso "come metodo e mezzo per una conoscenza ed un arricchimento reciproco, il dialogo non è in contraddizione con la missione ad gentes, anzi ha uno speciale legame con essa e ne è espressione" (Rms, 53; EiE, 55).

Una catechesi rinnovata

Tra le vie dell'evangelizzazione, l'Esortazione Apostolica Ecclesia in Europa indica quella particolarmente efficace, della catechesi. Di questo, e della sua importanza per la Chiesa, il Pontefice si era già occupato in precedenza in una Esortazione Apostolica, pubblicata all'inizio del suo Pontificato (Esort. Apost. Catechesi tradendae, 16 ottobre 1979).

Il pensiero del Papa sul ruolo dell'insegnamento catechetico nella vita e nella missione della Chiesa, si può riassumere in alcune affermazioni di fondo, che acquistano tutto il loro significato alla luce del Suo instancabile ministero petrino, in cui la catechesi occupa, senza dubbio, un posto di grande rilievo.

Il Santo Padre ribadisce, innanzitutto, la necessità della catechesi. "È necessario, egli dice, che le comunità cristiane si attivino nel proporre una catechesi adatta ai diversi itinerari spirituali dei fedeli nelle diverse età e condizioni di vita" (EiE, 51). L'insegnamento della catechesi è necessario alla Chiesa, come lo è la stessa evangelizzazione, di cui è un capitolo specifico estremamente importante. Già gli Apostoli avevano associato al loro compito di insegnare, anche dei semplici cristiani che "andavano per il paese e diffondevano la parola di Dio" (At 8, 4). Dai Padri, poi, soprattutto da quelli dei secoli III-IV, abbiamo ricevuto delle opere catechetiche che sono, ancora oggi, per noi, dei veri modelli, e, quindi, punti essenziali di riferimento in questo settore fondamentale della vita della comunità cristiana.

Ma il Papa va oltre, affermando la priorità dell'attività della catechesi nei programmi pastorali della Chiesa. Egli parla, in proposito, di "innegabile priorità" nell'azione pastorale e della necessità di "coltivare e rilanciare il ministero della catechesi come educazione e sviluppo della fede di ogni persona" (EiE, 51), ossia perché il seme della vita nuova depositata dallo Spirito Santo nel battezzato, cresca e raggiunga la sua piena maturazione.

Di questa priorità della catechesi, Giovanni Paolo II aveva già parlato nella Catechesi tradendae. Più la Chiesa, vi si legge, "si dimostra capace di dare la priorità alla catechesi rispetto ad altre opere ed iniziative, i cui risultati potrebbero essere più spettacolari, più trova nella catechesi un mezzo di consolidamento della sua vita interna come Comunità di credenti... Essa è invitata a consacrare alla catechesi le sue migliori risorse di uomini e di energie, senza risparmiare sforzi, fatiche e mezzi materiali, per meglio organizzarla e per formare un personale qualificato" (15).

Ma, per essere efficace, la catechesi deve essere, prima di tutto, essenzialmente cristocentrica. Il suo oggetto primordiale è, per esprimermi con san Paolo, e, come ama dire la teologia contemporanea, il "Mistero di Cristo": quello che Lui è e quello che Lui ci ha rivelato, la sua vita e la sua dottrina. Il catechista ha proprio il compito di fare conoscere Cristo, di condurre i fratelli ad addentrarsi sempre più nel suo Mistero, e non di trasmettere loro eventuali interpretazioni, opinioni, o opzioni personali al riguardo. Ogni catechista dovrebbe poter dire di Cristo, quello che Questi dice sul Padre: "la mia dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha mandato" (Gv 7, 16; CT, 6).

In secondo luogo la catechesi deve essere adatta ai destinatari a cui si rivolge: questo vuole dire che, nel caso delle Chiese che sono in Europa, la catechesi deve essere collegata con la stessa vita degli europei, e, quindi, deve tener presenti i loro problemi, le loro aspirazioni, le loro inquietudini, le loro delusioni e le loro speranze. Quello a cui si rivolge la Chiesa non è, infatti, un uomo astratto, ma un uomo concreto, che vive in un determinato contesto storico.

Per essere adatta all'uomo di oggi, la catechesi deve, inoltre, servirsi di un linguaggio ad esso comprensibile. La Chiesa ha l'obbligo di preservare, in tutta la sua purezza, il patrimonio immutabile della fede, ma anche di offrirlo agli uomini che si succedono nel tempo, in maniera ad essi accessibile. Soltanto così il messaggio di Cristo sarà colto in tutta la sua forza trasformatrice e liberatrice. Soltanto così esso inciderà davvero nella vita dei suoi destinatari.

Vangelo e cultura europea

Non basta annunciare Cristo all'uomo europeo contemporaneo. Occorre che esso penetri ed illumini, trasformando la sua cultura, assai diversa, sotto tanti aspetti, da quella del passato, sia in sé stessa sia nelle molteplici espressioni.

La Chiesa ha mostrato sempre, lungo i secoli, una straordinaria fecondità culturale, vivificando, con la potenza del Vangelo, la cultura o le culture dei popoli con cui è venuto a contatto. Questo è avvenuto anche in Europa. La sua cultura sarebbe incomprensibile senza l'apporto sostanziale del Cristianesimo. Le sue radici sono, infatti, profondamente cristiane. Negarlo sarebbe fare una grave offesa alla storia del "Vecchio" continente. La storia non va mai interpretata in chiave ideologica, ma semplicemente accettata nell'inconfutabile realtà dei suoi fatti.

Sulla scia della sua tradizione, la Chiesa è chiamata, anche oggi, a incarnare il Vangelo nella nuova cultura europea, mostrando che, anche in essa, è possibile viverlo in tutta la sua pienezza; che il messaggio cristiano, lungi dall'impoverire una cultura, l'arricchisce, la eleva, la perfeziona. "L'evangelizzazione della cultura - rileva l'attuale Pontefice - deve mostrare che anche oggi, in questa Europa, è possibile vivere in pienezza il Vangelo come itinerario che dà senso all'esistenza" (EiE, 58).

A tale proposito si richiede, senza dubbio, una adeguata pastorale della cultura nelle Chiese europee. Ad essa spetta il compito di plasmare una "mentalità cristiana" nei vari settori della vita ordinaria:  in quello della famiglia, della scuola, del lavoro, dell'economia, della politica, dei mezzi di comunicazione sociale, ecc.; ossia tutte le realtà di cui è intessuta l'esistenza comune dell'uomo moderno, in particolare di quello europeo.

Un capitolo importante di detta pastorale deve essere la promozione di un vero e sincero dialogo, di un confronto critico con l'odierna situazione culturale europea, "valutando le tendenze emergenti, i fatti e le situazioni di maggiore rilievo del nostro tempo alla luce della centralità di Cristo e dell'antropologia cristiana" (ibid.).

E perché tale dialogo e confronto raggiungano il loro scopo, occorre che essi tengano sempre nel debito conto, a causa della loro rilevanza nel campo della cultura e della società dell'Europa, delle scienze e delle realizzazioni tecnologiche. Nei loro confronti la Chiesa deve avere un atteggiamento positivo e propositivo. Non c'è, infatti, nessuna opposizione tra fede e ragione, tra la Chiesa ed il mondo scientifico. Né potrebbe esserci. La Chiesa è stata sempre, attraverso i secoli, una convinta promotrice della scienza. E continua ad esserlo anche oggi. Essa è pienamente consapevole che sono le nuove scoperte scientifiche e le loro applicazioni tecnologiche che stanno alla base dello straordinario progresso di cui gode l'uomo di oggi.

Un contributo determinante all'evangelizzazione della cultura europea, sono chiamate a darlo, secondo l'Esortazione Apostolica "Ecclesia in Europa", le scuole cattoliche. Per raggiungere meglio tale scopo, però, va riconosciuta ad esse "una effettiva libertà di educazione e parità giuridica tra scuole statali e non statali" (EiE, 59). Non va dimenticato che le scuole cattoliche sono, talvolta, l'unico mezzo per proporre il Messaggio cristiano a quanti ne sono lontani. Un ruolo del tutto particolare spetta poi, secondo il testo pontificio, alle Università, che sono altrettanti laboratori di cultura, e a quei cristiani che in esse si dedicano all'insegnamento e alla ricerca. Con il loro "servizio del pensiero" essi trasmettono alle nuove generazioni europee i valori di un prezioso "patrimonio culturale arricchito da due millenni di esperienza umanistica e cristiana" (EiE, ibid.).

Indispensabile è poi, per una efficace incarnazione del Vangelo nella cultura europea, la presenza e l'azione dei giovani. Perciò una delle principali preoccupazioni delle Chiese che sono in Europa deve essere quella di offrire ad essi una solida formazione umana e cristiana. Sono la speranza della Chiesa e del mondo. Sono i cristiani della nuova Europa che, anche se faticosamente, si sta costruendo.

Per raggiungere tale scopo "occorre - osserva il Papa - rinnovare la pastorale giovanile, articolata per fasce di età e attenta alle variegate condizioni di ragazzi, adolescenti e giovani" (EiE, 62). Una pastorale giovanile organica e coerente, che tenga conto del modo di essere dei giovani di oggi, delle loro tendenze, delle loro aspirazioni e dei loro problemi.

Ciò presuppone, come è ovvio, una profonda conoscenza dei giovani, che può provenire solo da una vicinanza ad essi, dall'ascolto delle loro domande. Il Papa, che li conosce bene, per averli incontrati, numerosi, sia nei suoi viaggi apostolici nei vari Paesi, sia nelle diverse Giornate Mondiali della Gioventù, offre il seguente identikit dei giovani di oggi: "In essi si constata il desiderio di vivere insieme per uscire dall'isolamento, la sete più o meno avvertita di assoluto; si vede in loro una fede segreta che chiede di purificarsi e di voler seguire il Signore; si percepisce il desiderio di continuare il cammino già intrapreso e l'esigenza di condividere la fede" (EiE, 61). Questi sono i destinatari della pastorale giovanile.

Gli agenti di questa pastorale non devono aver paura di proporre ai giovani di oggi valori forti, mete esigenti. Il Papa è quanto mai esplicito al riguardo. "Non bisogna aver paura, egli dice, di essere esigenti con loro in ciò che concerne la loro crescita spirituale. Va loro indicata la via della santità, stimolandoli a fare scelte impegnative nella sequela di Gesù, in ciò confortati da una intensa vita sacramentale. Così essi potranno resistere alle seduzioni di una cultura che spesso propone loro soltanto valori effimeri o addirittura contrari al Vangelo e divenire essi stessi capaci di mostrare una mentalità cristiana in tutti gli ambiti dell'Esistenza" (EiE, 62), in modo da essere veri "protagonisti dell'evangelizzazione e dell'edificazione della società" europea (ibid.).

Non si può, infine, nell'evangelizzazione della cultura europea, prescindere dai mass media, dato il loro grande influsso nella società di oggi. Anzi, ad essi "va riservata una particolare attenzione" (EiE, 63).

È evidente l'enorme impatto che hanno i mass media nell'odierna società. Essi hanno provocato una vera e propria rivoluzione culturale. Sono il primo areopago del mondo moderno (cfr Rms, 37), in cui è costante l'interscambio di idee e di valori. Si può ben dire che con essi è profondamente cambiata la società, in ogni campo e ad ogni livello.

È proprio per questo che la Chiesa non può prescindere, nell'annuncio del Vangelo, da tali straordinari mezzi di comunicazione sociale. Il Concilio Vaticano II ha dedicato ad essi un intero documento: l'Inter mirifica. Sono poi note le parole di Paolo VI in proposito: "La Chiesa si sentirebbe colpevole se di fronte al suo Signore non adoperasse questi potenti mezzi, che l'intelligenza umana rende ogni giorno più perfezionati... in loro essa trova una versione moderna ed efficace del pulpito" (EN, 45).

È ovvio che, nell'annunciare Cristo, la Chiesa deve servirsi, con vera competenza, prima di tutto, dei propri mezzi di comunicazione sociale. I cristiani che operano nei media devono essere adeguatamente formati ed essere comunicatori "intrepidi e creativi". Ma, per quanto possibile, la Chiesa deve approfittare al massimo delle opportunità che le si offrono di essere presente anche nei media secolari" (Messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali, 4 giugno 2000, p. 2).

Ecco le vie che, secondo l'Esortazione Apostolica post-sinodale "Ecclesia in Europa", deve seguire la Chiesa di questo Continente per annunciare allo stesso Continente, con rinnovato impegno, il Vangelo della speranza e condurlo così a rimanere fedele alle sue radici incontestabilmente cristiane, a quei valori spirituali e culturali di cui è intessuta la sua storia e di cui sono impregnate le arti, la letteratura, il pensiero e la cultura delle nazioni che la compongono (cfr EiE, 120); a non dilapidare il ricco patrimonio ereditato, ma, al contrario, a riconquistarlo, come dice Wolfgang Göethe: "Ciò  che  hai  ereditato dai Padri riconquistalo, se vuoi possederlo davvero".

Già verso la fine dell'Esortazione Apostolica, Giovanni Paolo II rinnova all'Europa un caldo e paterno invito alla speranza basata sulla vittoria, piena e definitiva, di Gesù Cristo sul peccato e sulla morte: "Ritorna te stessa. Sii te stessa. Riscopri le tue origini. Ravviva le tue radici" (Disc. ad Autorità Europee e ai Presidenti delle CC.EE. d'Europa, 9 nov. 1982, 4; EiE, 120).

Il Sommo Pontefice conclude usando la suggestiva formula del dialogo diretto: "Sii certa! Il Vangelo della speranza non delude! Nelle vicissitudini della tua storia di ieri e di oggi, è la luce che illumina ed orienta il tuo cammino; è forza che ti sostiene nelle prove:  è profezia di un mondo nuovo; è indicazione di un nuovo inizio; è invito a tutti, credenti e non, a tracciare vie sempre nuove che sboccano nell'Europa dello Spirito, per farne una vera "casa comune" dove c'è gioia di vivere" (EiE, 121) e speranza nell'avvenire.

L'auspicio più sentito è che queste accorate parole del Papa vengano accolte e che l'Europa che si sta costruendo non sia una semplice aggregazione economica e politica di popoli, ma una vera famiglia di Nazioni, "cui altre regioni del mondo possano fruttuosamente ispirarsi" (EiE, 121).

  

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