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INAUGURAZIONE ANNO ACCADEMICO 2003-2004
PONTIFICIO ISTITUTO ORIENTALE
SABATO 4 OTTOBRE 2003

Omelia di S.B. il Cardinale Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali
Gran Cancelliere

Rendo grazie al Signore per questo incontro sempre molto gradito.
E subito porgo i rallegramenti e gli auguri più fervidi all'Em.mo Padre Tomas Spidlik, che abbiamo la gioia di avere con noi, per la recentissima nomina a Cardinale di Santa Romana Chiesa. Essa è motivo di grande onore per tutti gli orientali ed è un meritatissimo riconoscimento al suo encomiabile amore per l'Oriente Cristiano.
Saluto cordialmente il Padre Rettore, il Vicerettore, i Decani, i Professori, gli Studenti con tutta l'amata comunità del Pontificio Istituto Orientale.
Ed esprimo la mia soddisfazione e l'apprezzamento più vivi per la serietà nella conduzione della vita accademica ai vari livelli, lo sviluppo dell'attività scientifica e i risultati. Il mio grazie molto sentito al Rettore, alle altre Autorità Accademiche, al Corpo Docenti e a tutti i Collaboratori.
Ai carissimo Studenti uno speciale augurio per un anno accademico fruttuoso sotto il profilo culturale e spirituale.

L'inizio del nuovo anno accademico 2003-2004 è occasione felice per vivere insieme un momento d'intensa preghiera, come stiamo facendo in questa solenne Liturgia in rito Bizantino-Ucraino, celebrata da S.Ecc.za Mons. Sofronio Mudry, OSBM, Vescovo di Ivano-Frankivsk. E' bene, prima d'intraprendere un percorso tanto significativo per una Comunità universitaria, chiedere luce e forza al Padre di ogni dono perché assecondi la vostra buona volontà e i vostri propositi, cari Professori e Studenti del Pontificio Istituto Orientale.

1 - La parola dell'apostolo Paolo ci richiama alla grave responsabilità della profezia. Il profeta parla al posto di Dio e dice il pensiero di Dio sul tempo, sulla storia, sull'uomo. Guai a noi se non saremo trovati autentici nel manifestare questo giudizio di Dio! S. Paolo ci raccomanda di essere come bambini quanto alla semplicità di cuore, quanto alla fiducia verso coloro che hanno cura di essi, quanto al credito completo che essi danno ai propri genitori. Una fede provata spinge ad abbandonare l'immaturità tipica del bambino, incapace di valutare e di assumersi coerentemente la propria responsabilità; questa esige che diventiamo "uomini maturi" (1a Cor 14,20c), capaci cioè di discernimento, di un giudizio che ci permette di assumerci la fatica e la gioia della sequela di Cristo.
Il Vangelo di Luca ci parla del perdono. Come il peccato ha perturbato la presenza di Dio sulla terra e ha reso impossibile la relazione di noi uomini con Dio , così Cristo è venuto a offrire il perdono di Dio a "coloro che hanno peccato". Gesù, nella sua identificazione con Dio, senza la mediazione d'un sacrificio, se non della sua morte, senza una previa conversione di noi uomini, se non della sua santità di Figlio di Dio, ha potuto proclamare semplicemente:" i tuoi peccati ti sono rimessi" ( Lc 5,20b). In Cristo Dio si è rivelato con il Suo volto più autentico; egli si è fatto conoscere come più di un amico: è Padre che perdona senza chiedere nulla in compenso, se non di aderire alla remissione dei peccati. E con questa dichiarazione, comprendiamo che è Gesù che attualizza la redenzione dal peccato e che offre il perdono di Dio. Questa perìcope lucana del paralitico guarito e perdonato, ci permette anche un altro rilievo importante; si dice, infatti, dopo la sua guarigione:"…e si avviò verso casa glorificando Dio. Tutti rimasero stupiti e levavano lode a Dio; pieni di timore dicevano:" oggi abbiamo visto cose prodigiose" (Lc 5,25-26). L'opera di remissione dei peccati Gesù Cristo si è preoccupato di farla continuare nella Chiesa. Ecco il risvolto ecclesiologico; con la Chiesa Egli fa perpetuare nel tempo e per tutti gli uomini il potere di perdonare. Queste sono "le cose prodigiose" che la Chiesa di Cristo continua a donare al mondo; questo è lo stupore che noi stessi non dobbiamo mai perdere, questa è la verità che va testimoniata con la nostra carità evangelica, che è il prodigio continuo che l'umanità si attende dai cristiani. Il perdono, ricevuto e sperimentato dal Cristo morto e risorto, deve diventare la fiamma che alimenta il nostro amore verso tutti, soprattutto verso gli ultimi e i peccatori.

2. Per vivere sempre autenticamente il dono della profezia e il comandamento del perdono, così come ci sono presentati dalla Parola di Dio odierna, è necessario rifarci al modello dei grandi dottori della Chiesa.
Desidero, infatti, ricordare che proprio il 5 ottobre 1920 Benedetto XV, con la Lettera Enciclica Principi apostolorum Petro, proclamava Sant'Efrem "Dottore della Chiesa" ( AAS 12 (1920) 457-471). Con questo solenne riconoscimento non solo acquistava notorietà Efrem, ma si è potuto vedere dalla ripresa degli studi su di Lui, come egli sia attuale nella vita della Chiesa, proprio come lo è stato al suo tempo. Mi pare, cari Professori, di poter riconoscere in lui un modello di docente. Il papa stesso fa un significativo parallelo tra Efrem e Girolamo, paragonandoli a due lampade destinate da Dio a illuminare rispettivamente l'occidente e l'oriente (AAS 12,459).
La teologia simbolica di Sant'Efrem non va considerata "reperto prezioso di un antico metodo teologico, ma anche come lezione significativa e permanente della moderna teologia, modello a cui ispirarsi per rivitalizzare i sistemi troppo rigidi del pensiero dogmatico occidentale, per inculturare efficacemente e con fedeltà al dato biblico l'annuncio cristiano nelle terre di missione"(Cfr. Efrem il Siro, Inni Pasquali, di Ignazio De Francesco, Milano 2001, pp.94-95). Efrem ha saputo trasmettere al popolo, attraverso l'innografia e il canto liturgico, i più profondi contenuti dottrinali, prospettando così vie diverse all'esegesi e alle letture scritturistiche proclamate nella liturgia. Infine, egli ci apre l'animo a un grande senso ecumenico, per il fatto che è autore davvero "accolto e apprezzato da tutte le più antiche tradizioni cristiane, che onorano in lui l'esegeta, il catecheta, il liturgo, l'autore spirituale, l'uomo che ha fatto incontrare il cristianesimo europeo con la cultura mesopotamica e persiana".
Cari professori, l'esempio di tali maestri sprona a curare i vostri studi accademici in modo sempre più rigoroso e scientifico; è necessario cioè che nulla sia fuori dalla vostra attenzione, che la vostra ricerca, in qualsiasi settore sia applicata, venga aggiornata di continuo, si basi su fonti sicure, si confronti con la critica e l'interdisciplinarità più feconde, che la riflessione personale, infine, sappia presentare con metodo e unitarietà i risultati del vostro lavoro culturale.
Voi sapete che la vostra "missione" di docenti in questo Pontificio Istituto esalta la vocazione dottorale; non è tanto a titolo personale che siete chiamati ad esercitare l'attività di docenza, ma è la Chiesa che affida a Voi l'esercizio del delicato compito d'introdurre e di preparare nelle Discipline Ecclesiastiche Orientali giovani seminaristi, sacerdoti, religiosi e religiose, laici e laiche. Si tratta quindi non solo d'insegnare secondo l'orientamento della Chiesa, ma è necessario che aiutiate i discepoli a interiorizzare rettamente gli insegnamenti del Magistero, ad amare le loro Tradizioni Orientali d'appartenenza, a sapersi confrontare criticamente con il mondo contemporaneo e le civiltà dei loro paesi.
Il vostro esempio, carissimi Professori, è la prima proposta autorevole e credibile di vita cristiana che i nostri studenti ricevono venendo in Occidente. Per questo, il compito vostro, mediante l'insegnamento, ha un'indole altamente educativa; gli scolari vanno aiutati da voi a crescere nell'amore alla Chiesa, nella fedeltà all'insegnamento del Papa. Attraverso gli studi debbono maturarsi e consolidarsi nella loro missione, trovando nell'acquisizione dei titoli di studio e delle competenze scientifiche, strumenti opportuni per servire con amore, dedito e incondizionato, le loro Chiese e le Comunità alle quali saranno inviati.

3. Carissimi, come si può mantenere nella giusta rettitudine l'amore per Dio e l'applicazione doverosa negli studi? A questo proposito ci illumina S. Francesco d'Assisi, festeggiato oggi dalla Chiesa Latina. Mi piace richiamarvi il bigliettino con cui questo grande santo autorizzò il discepolo Antonio da Padova a studiare e a comprare libri per la sua predicazione e i suoi studi:" Ho piacere che tu insegni la sacra teologia ai frati, purché in tale occupazione, tu non estingua lo spirito della santa orazione e devozione, come è scritto nella Regola (Regola Bollata, c.5) (Gli scritti di Francesco e Chiara d'Assisi, Messaggero 1978,Padova, p.111). Se l'orazione mette in evidenza il nostro rapporto con Dio, in un certo senso corrisponde alla contemplazione, la devozione, invece, evidenzia la nostra riflessione, l'interiorizzazione di quanto veniamo a conoscere e pensare. S. Francesco raccomanda che l'unico spirito che anima la contemplazione di Dio e lo studio personale non abbia a perdere il suo fervore.
Ci aiutino, quindi, questi grandi Santi, soprattutto la santissima Madre di Dio, a crescere in questo autentico spirito di discepolato di Cristo, suo Figlio.
Amen.

Card. Ignace Moussa I Daoud
Patriarca emerito di Antiochia dei Siri, Prefetto

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