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SALUTO DI S.E. MONS. ANTONIO MARIA VEGLIÒ
AL V CONVEGNO INTERNAZIONALE
DEGLI ORDINARIATI MILITARI

Vaticano, 23 ottobre 2006

 

1. Sono lieto di portare il saluto della Congregazione per le Chiese Orientali. L’Em.mo Card. Prefetto è impossibilitato ad essere con noi a motivo della concomitante celebrazione che il Santo Padre presiede nella Basilica Vaticana per l’inizio dell’anno accademico con tutte le università pontificie romane. Egli è, infatti, Gran Cancelliere del Pontificio Istituto Orientale. Anche a suo nome porgo un fervido augurio di buon lavoro ed esprimo il più sentito apprezzamento per il vostro delicato servizio spirituale alle Forze Armate.

2. Sono passati vent’anni dalla promulgazione della Costituzione Apostolica “Spirituali Militum Curae”, voluta dal Servo di Dio Giovanni Paolo II. Mi rallegro con la Congregazione per i Vescovi che vi offre l’opportunità di riflettere sul vostro cammino pastorale alla luce di un documento di tale importanza.

Per parte mia riconosco di avere una limitata conoscenza diretta del vostro campo di lavoro. Ma a motivo dei lunghi anni vissuti come Nunzio Apostolico in diverse nazioni e dei cinque anni e mezzo passati a Roma come Segretario della Congregazione per le Chiese Orientali ho incontrato vari Ordinari Militari a titolo personale o nelle visite ad Limina ed ho maturato alcuni convincimenti che mi permetto di condividere nello spirito della fraternità episcopale.

3. Lo scenario internazionale presenta situazioni inedite.

- Il processo inarrestabile della globalizzazione, con le sue luci e le sue incognite, ha alimentato la positiva consapevolezza che nessuno può isolarsi.

- La sfida del terrorismo ha ulteriormente accresciuto la convinzione che nessuno può sentirsi sicuro nel proprio contesto.

- La fine della “guerra fredda” ha spalancato orizzonti di libertà sconosciuta per interi popoli, ma ha creato aspettative in diversi ambiti che non sono facilmente governabili con giustizia ed equità.

- Il fenomeno migratorio sempre più imponente dai Paesi economicamente penalizzati verso l’Occidente ha suscitato un movimento e un incontro senza precedenti a livello sociale, culturale e religioso. 

4. Sono solo alcuni elementi del processo di epocale trasformazione in atto, il quale ha ripercussioni notevoli in tutti i campi della pastorale e speciale influenza sul vostro servizio alle Forze Armate. Di fronte ai problemi, sperimentiamo una istintiva tentazione di estraniarci. Sì; vorremmo estraniarci dalla storia rimuovendo i suoi conflitti di così difficile soluzione e tanto inquietanti; ma tale atteggiamento sarebbe antievangelico, e oltremodo miope sotto il profilo storico con prevedibili disastrose conseguenze. La storia infatti compie, comunque, il suo corso e rischierebbe di essere privata del buon lievito evangelico per la nostra assenza. Rischierebbe di essere impoverita di quella sapienza che la Chiesa, “esperta in umanità” secondo la  felice espressione di Paolo VI, è invece tenuta ad offrire. Non solo non possiamo estraniarci, bensì, per coerenza evangelica, dobbiamo guardare la storia con simpatia per operare quella lettura “dei segni dei tempi” sulla cui onda benefica ci ha posti il Concilio Ecumenico.

I gravi problemi dell’umanità non sono il segno della fine del mondo, ci direbbe Sant’Agostino. Essi piuttosto indicano che “un mondo nuovo sta nascendo”. Mai e poi mai dobbiamo temere “il nuovo” che avanza. Tornano alla mente le parole del beato Giovanni XXIII, che fu cappellano militare, allorché l’11 ottobre 1962 in apertura del Concilio prese le distanze da coloro che “nei tempi moderni non vedono che prevaricazione e rovina”, aggiungendo: “A noi sembra di dovere dissentire da questi profeti di sventura” (Giovanni XXIII, Discorso di apertura del Concilio ecumenico “Gaudet Mater Ecclesia”, in Enchiridion Vaticanum, p. 39, Bologna 1971). 

E’ evidente che con l’apertura non deve mancare la cautela per vagliare attentamente tutto e tenere solo “ciò che è buono”, secondo l’esortazione di San Paolo. Ed è una verifica questa che possiamo operare sostenuti da un’imponente tradizione ecclesiale che si è sedimentata nel Magistero della Chiesa.  

5. Tra le novità dei tempi c’è l’accresciuta coscienza della dignità della persona e dei diritti umani fondamentali, col dovere di dare voce a chi “non ha voce”.

Ne consegue la difesa dei diritti umani e la lotta per garantirli e ripristinarli dove sono calpestati o negati. Anche a questo riguardo è impossibile estraniarsi: sarebbe antievangelico e controproducente. L’umanità è una sola. Il mancato rispetto dell’uomo in qualsiasi parte della terra è un’offesa per tutta l’umanità. Solo apparentemente può dirsi al sicuro una comunità al cui interno ci sono disuguaglianze palesi nei confronti del bene comune, che è la dignità di ogni persona.

Ho, infine, citato il problema della mobilità umana accresciuta vorticosamente, con i problemi di integrazione, talora così gravi specialmente nel contesto occidentale. Con la cautela accennata, dobbiamo cogliere il segnale positivo che accompagna questo incontro tra culture, religioni e tradizioni una volta molto lontane tra loro. Sarebbe solo rinviare il problema e aggravarlo, esimerci dalla necessaria fatica per favorire quel dialogo “franco e sincero”, recentemente ribadito dal Santo Padre Benedetto XVI.

6. La situazione che ho evocato esige il saggio coinvolgimento di tutte le componenti della società. La Chiesa non fa politica: lo ha ricordato Papa Benedetto XVI giovedì scorso, a Verona,  nel meraviglioso incontro con la Chiesa in Italia, ma essa deve rendere cosciente i cristiani ad agire nella politica secondo i principi evangelici. Anche il mondo economico e sociale dovrà fare la sua parte. E così il mondo della cultura e della educazione.

Potrà il mondo religioso tenersi fuori dai tentativi di risposta ai nuovi problemi?

Evidentemente no. E non tanto per mania di protagonismo, bensì per mandato evangelico. Per mandato di Colui che si fece uno di noi in una irreversibile volontà di salvezza nei confronti dell’umanità!

Anzi, l’ambito religioso deve essere l’anima del coinvolgimento di tutti nella gestione delle problematiche della storia e nel perseguimento delle sue più vere aspirazioni di valorizzazione di ogni uomo nel respiro globale che ormai tutto assume.

Le diverse componenti sopra richiamate possono lavorare armonicamente, senza indebite assolutizzazioni dei ruoli (come tentano di fare la politica o l’economia) se rimane ben vivo il retroterra spirituale e se trova assoluto rispetto la coscienza di ciascuno, la quale nel suo intimo scorge un insopprimibile appello che apre a Dio e agli altri.

7. Cari confratelli,

le Forze Armate sono pienamente inserite in questo processo. Nei loro componenti, in gran parte giovani, non manca la fiducia nel futuro. Essa non deve essere spenta dalle esperienze negative che purtroppo la storia registra. Non spegniamo mai l’idealità giovanile! La vostra azione pastorale, tanto meritoria, deve combattere il disinteresse nei confronti della storia, specialmente se non riguarda la nostra singola nazione o il nostro singolo continente. Tutto il mondo, ogni uomo e donna, specialmente il più indifeso, è tesoro prezioso per l’intera famiglia umana.

La vostra cura pastorale coltiverà nelle Forze Armate la coscienza di essere sempre forze di pace poste al servizio della qualità umana della convivenza delle singole nazioni e della comunità dei popoli. Il mondo ha aperto le sue porte: le Forze Armate devono essere forze di pace senza confini geografici e ideologici. 

Solo così i “signori della guerra”, quelli che conosciamo e quelli che lo sono in modo subdolo ma non meno pericoloso, saranno destinati alla sicura sconfitta.

8. C’è, infine, un grazie speciale che vi debbo per l’accoglienza riservata agli Ordinari provenienti dai Paesi affidati dal Papa alla cura della nostra Congregazione e per l’attenzione che ricevono i cappellani e i militari dei diversi riti orientali all’interno delle “diocesi militari”, sia nelle regioni storicamente orientali sia nella sempre più vasta diaspora. Il venerato Papa Giovanni Paolo II esortò con convinzione la Chiesa latina ad aprirsi ai tesori della tradizione orientale (cfr Lettera Apostolica Orientale Lumen). L’esperienza pastorale delle Chiese orientali è una formidabile scuola di dialogo ecumenico e interreligioso: da secoli, infatti, esse sono quotidianamente a contatto con i fratelli non cattolici e con gli aderenti alle altre religioni storiche.

Cari amici,

siate sempre “l’anima” delle Forze Armate. Per questo assicuro la mia preghiera a Cristo, Principe della Pace e Pastore dei Pastori.

Grazie.  

   

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