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CONGREGAZIONE PER LE CHIESE ORIENTALI

INTERVISTA AL SOTTO-SEGRETARIO MONS. MAURIZIO MALVESTITI
SUL PROSSIMO SINODO PER IL MEDIORIENTE

(L’Eco di Bergamo, 5 ottobre 2009)

Quali erano le motivazioni della convocazione di un Sinodo speciale per Vicino Oriente?

I Patriarchi e gli Arcivescovi Maggiori avevano già veduto il Santo Padre diverse volte, ma in questa circostanza era a tema il “solo Oriente” per sottolineare la “dimensione orientale” della fede cristiana. Le diverse tradizioni, con la loro storia, liturgia, teologia e spiritualità, ed anche con le regole per la vita ecclesiale, non raramente risalgono agli Apostoli ed hanno per autori i Padri, i Dottori, i Santi Mistici dell’antico Oriente. E’ un patrimonio destinato a tutti i battezzati e rappresenta una via sicura all’unità voluta da Cristo perché “il mondo creda”. La Chiesa punta sull’unità nella diversità, più che sull’uniformità. La multiforme sapienza dell’unico Spirito di Cristo ha suscitato percorsi diversi per dire l’unico amore di Dio. Accanto all’offerta di questo “magistero orientale”, c’erano poi motivazioni immediate: il desiderio di manifestare la fedeltà al Papa, quale garante dell’unità nella verità e nell’amore, e l’inscindibile fedeltà alle tradizioni proprie, ma anche il confronto diretto sulle più urgenti problematiche.

Le Chiese Orientali ci riportano, dunque, al passato?

Sì, ma ci dobbiamo intendere bene. Non è un ritorno nostalgico a ciò che è desueto. E’ piuttosto il riferimento vitale a ciò che è perenne. Direbbe san Giovanni: a ciò che è fin dal principio; a quanto è tanto essenziale da perdurare sempre, nonostante le mutazioni storiche e culturali. E’ il riferimento alle “origini”, le quali non possono essere eluse perché sono la misura dell’autenticità. Benedetto XVI ne ha parlato visitando la Congregazione nel 90° di fondazione il 9 giugno 2007, quando ha definito le Chiese Orientali “testimoni viventi delle origini, senza le quali non c’è futuro per la Chiesa di Cristo”. Ed ha aggiunto che sono chiamate “a custodire l’eco del primo annuncio evangelico; le più antiche memorie dei segni compiuti dal Signore; i primi riflessi della luce pasquale e il riverbero del fuoco mai spento della Pentecoste. Il loro patrimonio spirituale, radicato nell’insegnamento degli Apostoli e dei Padri, ha generato venerabili tradizioni liturgiche, teologiche e disciplinari, mostrando la capacità del pensiero di Cristo di fecondare le culture e la storia”.

Sono affermazioni in linea col pensiero di Giovanni Paolo II?

La continuità tra i due pontificati è evidente. Il Papa venuto da lontano, il Papa slavo, come spesso si autodefiniva, ha lasciato, accanto ai viaggi e a tanti segni di rispetto ed affetto per le tradizioni orientali, l’esortazione apostolica Orientale Lumen, che conferma tutto l’apprezzamento del Concilio Vaticano II. Alcune sue espressioni sono molto convincenti: “Le parole dell’Occidente – egli disse - hanno bisogno delle parole dell’Oriente per parlare di Cristo all’uomo contemporaneo”. Penso alla ricerca che tanti giovani e meno giovani compiono sulle vie dell’Oriente geografico: spero possano sentire le parole dell’Oriente cristiano per lasciarsi guidare, ritrovare se stessi e andare “oltre”…

Ma torniamo con l’attenzione al Sinodo per il vicino Oriente che non offre segnali incoraggianti per la pace e il dialogo. Come potrà incidere sull’attuale situazione conflittuale?

Sì, dobbiamo riprendere il discorso! E’ un unicum nella storia della Chiesa post-conciliare e nella storia dei Sinodi. L’assise potrà offrire prospettive di rilievo per le Chiese minacciate di estinguersi là dove il vangelo iniziò “la sua corsa”. E costituire una mano tesa ai cristiani perché si assumano le fatiche dell’unità e la sfida interreligiosa che ne consegue. Il Sinodo dovrà risvegliare la coscienza della comune responsabilità circa la pace, che è il primo problema dell’Oriente. Il Pontefice ha citato l’appello di pace che i patriarchi e gli arcivescovi maggiori avevano posto nelle sue mani durante il Sinodo Mondiale dello scorso anno dedicato alla “Parola di Dio”. L’appuntamento del 2010 potrà rappresentare nel suo insieme una forte parola di pace nel nome di Cristo.

L’iniziativa ha suscitato interesse?

Senz’altro! Nei pastori e nei fedeli, soprattutto là dove si esperimenta quotidianamente emarginazione sociale e religiosa. Un segno di così forte attenzione, che segnala la realtà orientale nella sua debolezza e nelle sue possibilità, è stato accolto con grande favore. Ma c’è anche il timore che possa sfumare come avvenuto per altri buoni intenti.

Quali sono le principali attese?

E’ un evento ecclesiale: si cercherà di rilanciare la missione. Le attese sono di carattere pastorale: la formazione, l’aggiornamento, la famiglia, i giovani, le vocazioni, la cultura e la carità. Sono temi comuni anche all’Occidente. Il Sinodo potrà risvegliare ulteriormente la sollecitudine della Chiesa, e degli orientali emigrati in tante parti del mondo, per garantire sostegno alla vita ordinaria delle comunità ed attenzione a particolari necessità. Ma ciò costituirà un fermento di rinnovamento in ogni direzione. Si chiederà l’impegno di tutti per garantire nei territori orientali tranquillità personale e sociale, dignità e futuro ai singoli e ai gruppi, specialmente al mondo giovanile. I cristiani devono poter rimanere dove sono nati; dove vantano una presenza che risale agli inizi del cristianesimo; dove si sono distinti per un amore inscindibile alla fede e al proprio popolo.

Qual è il problema più grave?

Dopo la pace, sempre fragile e talora del tutto assente, fa problema l’inarrestabile fenomeno migratorio, il quale richiede uno sforzo intelligente e deciso a livelli non solo locali: comunità spesso modeste per numero e per mezzi sono private delle migliori risorse. L’Oriente senza cristiani non sarà più se stesso. A quanti poi l’hanno lasciato va garantita adeguata cura pastorale perché rimangono spiritualmente orientali.

Il nostro approccio all’Oriente può interessare da vicino la comunità bergamasca?

Credo di sì. L’oriente è sempre più tra noi attraverso tanti suoi rappresentanti alla ricerca di migliori condizioni di vita. Si impone una conoscenza più approfondita, e la possibile accoglienza, improntata evidentemente a prudenza, ma anche a fiducia, nonostante la pesante congiuntura economica e sociale che stiamo attraversando. Nella nostra diocesi sono numerosi i gruppi di cristiani orientali: si stanno organizzando sempre di più grazie al lodevole sostegno del Vescovo e delle comunità. Insieme a quanti professano altre religioni, ci offrono non raramente il benefico entusiasmo spirituale di cui abbondano ed esempi di rettitudine e generosità. Così interpellano quanti tra noi sono religiosamente demotivati o indifferenti. La comunità ecclesiale, dal canto suo, continuerà ad offrire a tutti indistintamente la testimonianza evangelica. Questo interscambio coltiverà un’autentica libertà religiosa e darà vigore alla sensibilità umana e allo spirito di solidarietà che distinguono la terra di Bergamo ed attestano l’impronta della carità cristiana nel nostro tessuto culturale e sociale.

Un pensiero conclusivo sulla Congregazione per le Chiese Orientali.

E’ l’organismo voluto dal Papa a sostegno della missione delle ventidue Chiese orientali cosiddette “sui iuris”, a motivo delle norme proprie che ne regolano la vita. Ha una competenza territoriale (comprendente le comunità latine e orientali della Terra Santa e del Medio Oriente) e una competenza personale sui cattolici di rito orientale in ogni parte del mondo. A Roma sostiene otto Pontifici Collegi e il Pontificio Istituto Orientale per la formazione dei sacerdoti, dei religiosi e di un crescente numero di laici. Il legame della Chiesa di Bergamo con la Congregazione Orientale è custodito dal beato Giovanni XXIII, che vi trovò il riferimento (in verità non sempre facile) nel ventennio passato in Bulgaria, Turchia e Grecia. Sempre tenne vivo l’amore e l’interesse per l’Oriente, dandone prove inequivocabili. La prima visita di un Papa al dicastero orientale fu proprio la sua: era il 7 gennaio 1961. Diversi sacerdoti diocesani hanno collaborato alla Congregazione orientale: Don Andrea Andreani per un breve periodo, Mons. Carlo Perico, l’Arcivescovo Giacomo Testa quale consultore, l’Arcivescovo Giuseppe Mojoli, il Card. Gustavo Testa. Quest’ultimo, dopo essere stato Rappresentante Pontificio per un ventennio in Egitto e Palestina, e per alcuni anni in Svizzera, venne nominato Segretario, Pro-Prefetto e, infine, primo Prefetto della Congregazione: la sua morte avvenne quarant’anni or sono, il 28 febbraio 1969, mentre cinquant’anni fa, il 14 dicembre 1959, venne pubblicata la nomina a Cardinale. Sono innumerevoli, inoltre, i religiosi e le religiose bergamaschi che hanno speso la vita in Oriente. I preti di Bergamo, quasi raccogliendo questa eredità, stanno componendo un mosaico orientale con i pellegrinaggi di questi anni in Terra Santa, Egitto, Grecia, Turchia, Siria. Ma il pellegrinaggio ideale al cuore dell’Oriente cristiano è aperto a tutti.

 

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