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CONGREGAZIONE PER LE CHIESE ORIENTALI

OMELIA DEL CARD. LEONARDO SANDRI
NELL'APERTURA DEL GIUBILEO
PER I 1600 ANNI DELLA PIA MORTE DI SAN MARONE

(Roma - Basilica Santa Maria Maggiore, 14 febbraio 2010)

 

Signori Cardinali,
Confratelli nell’episcopato e nel presbiterato,
Ecc.mi Ambasciatori, Distinte Autorità,
Carissimi Maroniti di Roma e fedeli tutti,

Rendo lode al Dio Padre per la Croce e la Risurrezione di Cristo Gesù, Vero Dio e vero Uomo, e per la grazia dello Spirito Santo, che riceviamo in questa Divina Liturgia secondo il Rito della veneranda Chiesa di Antiochia dei Maroniti.
Rendo grazie alla Trinità Santissima per la Santa Madre di Dio, la quale ci fa sentire figli amati nel Figlio Divino e sempre perdonati nella sua infinita misericordia.
Con Maria, Regina di tutti i Santi, rendo grazie a Dio per il dono di San Marone.

In questo clima di spirituale gratitudine, ho l’onore di aprire nella Città di Roma, Sede episcopale del Successore di Pietro, il giubileo per i 1600 anni del ritorno alla Casa del Padre del grande San Marone. I secoli passano. Rimane ben viva, grazie a Dio, la lampada della fede cristiana che egli ricevette e divulgò e che continua a coltivare in voi, facendo eco efficacemente alla chiamata di Dio alla santità. La Chiesa Maronita può gloriarsi di Santi e Sante di straordinaria levatura, che ne costituiscono la progenie spirituale: San Charbel, Santa Rafka, San Nimatullah al Hardini e tanti altri incamminati verso l’onore degli altari. Anch’essi vi accompagnano nelle vicende tristi e liete della storia perché nulla, né morte né vita, possano mai separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù.

Invochiamo la benedizione del Signore sull’anno giubilare, mentre professiamo la fede apostolica in profonda comunione con Sua Santità Benedetto XVI, Vescovo di Roma. Lungo i secoli i Maroniti hanno cercato il loro vanto nel proclamarsi figli della Chiesa Cattolica, grazie al vincolo di unità nella verità e nell’amore col Sommo Pontefice Romano.

Il giubileo sia anno di misericordia accolta nel pentimento, nel rendimento di grazie e nel proposito di rinnovata testimonianza a Cristo, Redentore dell’Uomo. Sia anno di pace, implorata dal Cuore di Dio. La pace è sicura e stabile se viene da Lui. La vera pace non viene dal mondo. Per intercessione di San Marone chiediamo fiduciosi che ovunque si ricomponga la pace nel nome del Signore Gesù e della Santissima Madre di Dio.

Cari Maroniti, voglio soprattutto richiamarvi le finalità del giubileo indicate dal vostro Patriarca, il Cardinale Nasrallah Butros Sfeir, nella lettera pastorale scritta per l’evento: “pregare, pensare, pentirsi, dare uno sguardo alla storia passata, meditarla, apprenderne la lezione per disegnare una nuova strategia ecclesiale per il terzo millennio…Un anno di giustizia, di riconciliazione e di pentimento…Un anno di grazie speciali per le persone e le comunità. Un anno di gioia non solo interiore”.

Così rivolgo a Sua Beatitudine Eminentissima il mio profondo ossequio e con voi elevo la preghiera per il suo alto compito di Pater et Caput della Chiesa Maronita.
Estendo il mio ricordo ai Membri del Sinodo, ai Sacerdoti, Religiosi e Religiose, alle famiglie e a tutti i fedeli, mentre ringrazio la Procura del Patriarcato e degli Ordini Religiosi Maroniti per il gradito invito a questa Celebrazione, che ci fa gustare quanto sia buono che i fratelli vivano insieme.

San Marone, uomo del silenzio e sacerdote, visse tra la fine del IV e l’inizio del V secolo presso Antiochia nella “Syria Secunda”. E’ Teodoreto, vescovo di Ciro (393-457 A.D.), a citarlo nella Historia Religiosa, scritta attorno all’anno 440 e a definirlo “ornamento al coro divino dei Santi”. Marone, determinato nell’ascesi più severa, come nella perfetta e diuturna preghiera, divenne un irresistibile trascinatore di anime. Sulla sommità del monte trasformò un tempio pagano in una Chiesa cristiana: era il simbolo della seminagione evangelica avviata nella potenza del Dio Vivente. Colmo di carismi, con segni e miracoli innumerevoli, attirava molti grazie all’intensa vita contemplativa e alla zelante azione apostolica. Lo cercavano per tutta la Siria e il Libano per ascoltarne l’insegnamento e riceverne conforto. Addirittura San Giovanni Crisostomo, attorno all’anno 405, gli scrisse una lettera, riconoscendogli il titolo insigne di “eremita” ed assicurandogli quella amicizia che il tempo e le distanze non possono spegnere e un alto posto nella sua stima. Sempre secondo Teodoreto, egli rese l’anima a Dio attorno all’anno 410, dopo aver compiuto “opere ancora più grandi per raggiungere la perfetta sapienza” ed avere piantato per Dio “il giardino che ora fiorisce”.

La fama della sua santità si diffuse grandemente e le sue venerate Reliquie conobbero diverse peregrinazioni. Dal monastero di Deir Maron vicino al fiume Oronte, e poi in altre località, i suoi discepoli custodirono quel germe vitale che sarebbe diventato il grande albero della Chiesa maronita. San Marone, suo fondatore e padre nello spirito, ne rimane tuttora il riconosciuto e venerato ispiratore.

Cari fratelli e sorelle, quel giardino deve fiorire ancora per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Certamente, continuerà a fiorire se i maroniti rimarranno fedeli alla Parola di Dio. Per ciascuno vale l’esortazione dell’apostolo: “rimani saldo in quello che hai imparato e di cui sei convinto, sapendo da chi l’hai appreso e che fin dall’infanzia conosci le Sacre Scritture: queste (e nessun altra cosa!) possono istruirti per la salvezza, che si ottiene per mezzo della fede in Cristo Gesù” (I° lettura: II Tim 3,10-17).
Quel giardino, addirittura, porterà frutti di vita eterna se i maroniti “cercheranno prima di tutto il regno di Dio” (Vg: Lc 12,22-33). Se come “piccolo gregge” non temeranno mai, sapendo “che al Padre è piaciuto di dare il suo regno ai piccoli”. Se confideranno nella Provvidenza Divina. Se riconosceranno che Cristo “è il vero tesoro”.

Chiediamoci davanti a Dio, in tutta verità di coscienza, dove è realmente il nostro tesoro? E dove è veramente ancorato il nostro cuore?
La domanda si impone soprattutto a noi sacerdoti davanti al luminoso esempio di San Marone in questo anno sacerdotale. E’ la domanda che dovrà risuonare nel prossimo Sinodo per il Medio Oriente: i cristiani, chiamati con questo nome proprio ad Antiochia, con i loro pastori, dovranno fissare lo sguardo su Gesù, il vero tesoro, per ritrovare l’essenziale della fede e crescere nella comunione. E’ questo del resto il carisma autentico del monachesimo: essenzialità e comunione in Cristo.

Cari Maroniti, considerate la vostra responsabilità verso la Chiesa e la Nazione.
Sarebbe triste che voi deludeste le aspettative di Dio, della Chiesa e del Libano. Testimoniate la fede dei padri cooperando tra Chiese Orientali Cattoliche e Chiesa latina, e come comunità cattolica confermando un convinto dialogo ecumenico perché sia costruttivo il confronto interreligioso. Solo così, il mosaico splendido di religioni e culture che è il Libano potrà favorire la stabilità della pace nella reciprocità del rispetto e della solidarietà.

Partecipando recentemente ad un incontro dal titolo “Come il Papa pensa il mondo”, ho riproposto una sua affermazione tratta dal discorso al Corpo diplomatico del 9 gennaio 2006. Sua Santità, rallegrandosi per l’intesa fruttuosa che il vostro popolo stava ritrovando tra le comunità di fede diversa, indicò il Libano come un messaggio e un simbolo di cooperazione e convivenza.

In questo luogo tanto sacro alla Santissima Madre di Dio e andando col pensiero al Santuario Mariano di Harissa, ribadisco che per portare al mondo quel messaggio “i libanesi hanno diritto alla integrità e sovranità del loro Paese”.
Ma ciascuno dovrà fare la sua parte, chiedendo a Dio la sapienza e la giustizia. La vostra Patria fiorirà se sarete sapienti e giusti secondo Cristo.
Il salmo, del resto, ci assicura che “il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano” (91, 13).
Intercedano per voi il grande San Marone e la Santa Vergine Madre. E Dio colmi il Libano delle sue benedizioni! Amen.
 

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