Due volte, in punto di morte, fu salvato da altri prigionieri. Una volta,dopo un prolungato interrogatorio, quando la sua razione quotidiana era costituita da un piccolo pesce, egli ebbe un collasso. Gli altri carcerati si misero a scandire «dell'acqua calda per il vecchio» e continuarono cosi' per tre ore. Le guardie cedettero e la sua vita fu salva. Un'altra volta, quando il vice-presidente Nixon attraversava la Russia in treno, il metropolita si trovava in un vagone pieno di reclusi che l'ospite di riguardo non doveva vedere. Durante il passaggio di costui i prigionieri furono confinati in una stanza munita soltanto di una finestrella. Molti morirono soffocati ma ogni qual volta Slipyj sveniva, lo avvicinavano al pertugio e cosi' sopravvisse. Scontata la prima condanna, nel 1953 fu ricondotto a Mosca ma ben presto venne condannato ad altri cinque anni in Siberia. Durante questi anni qualcuna delle sue lettere raggiunse il destinatario. Talvolta chiedeva che non gli si inviassero ne' lettere ne' pacchi perche' cio' aumentava le sue difficolta'. Riportiamo qui la conclusione del suo messaggio natalizio del 1954. Subi' nel 1958 la terza e nel 1962 l'ultima condanna: venne deportato nel durissimo campo di Mordovia “da dove non si esce vivi” ma si muore di “morte naturale”.
Vestito di stracci
II padre gesuita Leoni, descrivendo gli orrori del campo di transito di Kivov, sporco e infestato di cimici, cosi' racconta: “Altri detenuti furono introdotti nella nostra cella. All'imbrunire udii vicino a me una voce sconosciuta che mi chiamava. In piedi, accanto al mio giaciglio, c'era un uomo barbuto che mi tendeva la mano dicendo: “Josyf Slipyj”. Fu allo stesso tempo una gioia e un dolore sapermi insieme al mio metropolita”. Ma le piu' dolorose descrizioni sono quelle di coloro che videro l'arcivescovo a Inta in Komi, vicino al circolo polare artico. Testimoni oculari lo descrivono vestito di stracci tenuti assieme da fasce intorno alle caviglie e alle ginocchia, i piedi coperti di fango, indifeso contro il freddo che raggiungeva i 45 gradi sotto zero. Un vero Ecce Homo. “Lo ricordiamo tuttavia sereno, comprensivo e persino generoso verso i sorveglianti e le spie che non mancavano neanche in quel luogo di tremende sofferenze”. Un Austriaco, il professor Grobauer, ricorda l'arrivo di Slipyj in un carro bestiame a Inta. Costretto a camminare nella neve alta ebbe, a tarda sera, un collasso e cadde. Il secondino lo spinse col calcio del fucile. Cadde ancora una volta e non riusci' a risollevarsi malgrado la brutalita' della guardia. Grobauer lo prese sottobraccio e sostenendolo lo aiuto' a camminare. Arrivarono a destinazione e il metropolita si sedette esausto sulla sua piccola valigia. Vennero due giovani che gliela rubarono e lo lasciarono nella neve con il sangue che gli colava dal naso e dalla bocca.
Interviene Papa Giovanni
Nel 1962, la polizia segreta fece un ultimo tentativo per corromperlo con il fasto dell'Ortodossia di Mosca. Gli venne offerto il Patriarcato di tutte le Russie. Egli si mantenne saldo, ancora una volta simile al suo Maestro nel deserto. Nel frattempo, Papa Giovanni XXIII stava tentando di ottenere la sua liberazione. Il leader sovietico Kruscev, infine, acconsenti'. Il cardinale Slipyj raccontera' in seguito come seppe della sua liberazione. Era gravemente infermo e uno dei sorveglianti gli chiese: “Come stai, vecchio?”. Gli dettero un piatto di minestra, un letto e lo portarono a Mosca. Giunse a Roma il 9 febbraio 1963 ed entro' zoppicando nell'abbazia di Grottaferrata, il piede destro congelato. Gli dettero del latte caldo...
Esule e Profeta
Il pensiero di abbandonare la sua Chiesa e il suo popolo non aveva mai sfiorato la mente del grande ucraino. Persino quando venne rilasciato, la sua prima domanda fu: “Questa mia liberazione implica anche la liberta' della Chiesa Greco -Cattolica ?”. Gli dissero soltanto che sarebbe andato a Mosca e li' ne avrebbe discusso. Gli venne una grave crisi di coscienza. Desiderava ritornare a Lviv: “non posso abbandonare il mio popolo. Ma per obbedire al Papa e per essere utile alla mia gente, se non mi permettono di ritornare in Ucraina, vedremo che cosa accadra' della mia vita”. A tal proposito scrisse nel testamento: “Papa Giovanni mi chiamo' al Concilio. Considerai questa chiamata un ordine, nel quale intuivo l'incomprensibile disegno di Dio. Non era forse questa una possibilita' per testimoniare per la nostra Chiesa? Per compiere quello che non avrei potuto da prigioniero?”. Aveva sperato che dopo il Concilio gli sarebbe stato possibile ritornare in Ucraina, ma cio' era in contrasto con gli accordi, a lui ignoti, stipulati per !a sua liberazione. Oltre cio' era stato promesso che la sua scarcerazione non sarebbe stata sfruttata propagandisticamente. Pertanto, egli fu impressionato dalla chiarezza con cui il ministro Andreotti deploro' il suo arrivo quasi clandestino a Roma: “Quando arrivo' qui ella venne accolto da noi, cattolici di Roma, con un bizzarro silenzio. Il nostro e' uno strano mondo, nel quale si teme di onorare i perseguitati per paura che il persecutore compia mali maggiori di quanti ne ha finora compiuti. Avremmo desiderato salutarla con la stessa gioia prorompente con la quale i cristiani di Roma hanno accolto San Pietro”.
Una formazione granitica
Con serena energia l'arcivescovo Slipyj comincio' a svolgere il suo ministero in esilio. Apparve per la prima volta in televisione il 17 marzo in occasione della beatificazione di Elisabetta Seton. Una settimana dopo, predicando nel Collegio Pontificio Greco, disse agli studenti: “Potreste trovarvi facilmente nei nostri tempi in un ambiente completamente ateo nel quale la stragrande maggioranza...combatte l'esistenza di Dio, nega ogni religione e vi insulta come ingannati o ingannatori, oziosi e nemici del popolo. Chiunque non avra' acquisito una granitica formazione teologica puo' facilmente perdere la testa ed essere influenzato dal pensiero ateo”. A maggio scrisse una bellissimi lettera d'addio a Papa Giovanni morente; egli stesso, qualche settimana piu' tardi, si ammalo' gravemente e il nuovo Papa Paolo VI si reco' al suo capezzale. Egli guari' e presiedette per undici giorni il capitolo delle suore Basiliane, visito' la Sicilia e parlo' nel Concilio Vaticano II l'undici Ottobre 1963.
La sua universita'
Lo stesso anno comincio' l'opera che aveva piu' a cuore: l'8 dicembre fondo' a Roma l'Universita' Cattolica Ucraina. Questo modesto centro di rinascita per la Chiesa Ucraina si trova a Roma solo temporaneamente. Quando l'Ucraina avra' riottenuto la liberta' religiosa, sara' trasferita li', suo luogo naturale. L'anno seguente trovo' una casa per i suoi monaci Studiti, nei pressi del lago di Albano ed ebbe la gioia di poter presentare la comunita' a Paolo VI l'8 gennaio del 1965 .
Eravate gia' Cardinale
Una settimana dopo, il 25 gennaio 1965, Papa Paolo VI creo' 27 cardinali e fra essi c’era Slipyj . Fu allora che il Cardinale Testa gli disse: “Eravate gia' un cardinale “inpectore” di Papa Giovanni!” confermando la diffusa supposizione che egli fosse stato uno dei tre cardinali i cui nomi non erano stati comunicati da Papa Giovanni nel suo concistoro del 28 marzo 1960. Slipyj chiese a Mons. Capovilla, gia' segretario di Papa Giovanni, perche' non gli avesse accennato prima della nomina. E Capovilla: “Perche' non mi era permesso dirlo”. Ma il Cardinale Testa aveva benevolmente rivelato il segreto. Fra le grandi opere compiute dal Cardinale Slipyj possiamo annoverare la costruzione in Roma della cattedrale di Santa Sofia, cioe' della Divina Sapienza. Questo “Sobor”— una chiesa dove la gente accorre da lontano in occasione di determinate festivita' — e' stata costruita fra il 1967 e il 1969 secondo le istruzioni del cardinale. Si tratta di una riproduzione della Santa Sofia di Kiev. E' stata consacrata il 27 settembre 1969 e il Papa vi ha solennemente portato reliquie di San Clemente Papa. Il Sobor e' un centro spirituale per tutti i cattolici ucraini sparsi attraverso il mondo e il Cardinale, nel suo testamento, lo ha lasciato al suo popolo con delle raccomandazioni piene di bonta'.Vi sono altri tre punti nodali negli anni che il cardinale Slipyj ha vissuto in esilio. La sua ansiosa cura rivolta a tutte le Chiese di rito ucraino; il suo dolore per il rifiuto di riconoscere il carattere patriarcale della sua Chiesa; la sua incessante difesa di tutti coloro che sono perseguitati dai comunisti. Non gli era permesso di ritornare nella sua patria ma visito' le Chiese Ucraine in esilio con una serie di viaggi pastorali, malgrado numerosi ostacoli e grandi difficolta'. Viaggi e controversie Nel 1968 visito' gli ucraini delle Americhe, dell'Australia e della Nuova Zelanda. Nei due anni seguenti fu in Germania, Spagna, Gran Bretagna, Francia e Austria. A Lourdes egli ricordo' con emozione le ultime parole dei morenti nei campi sovietici: “Mamma, mi ascolti?”. Nel 1976, l'ultimo grande viaggio lo porto' in Canada, Stati Uniti, Olanda e Germania. La controversia relativa al Patriarcato costitui' il piu' profondo tormento di tutto il suo esilio. Avrebbe firmato il suo testamento “ l'umile Josyf, Patriarca e Cardinale” ma il titolo di Patriarca non venne mai riconosciuto per motivi che egli ritenne “profani e indegni”. Nei primi mesi della sua liberta', nell'agosto del 1963, egli scrisse a Paolo VI chiedendogli di riconoscere il Patriarcato: analoga richiesta la rivolse al Concilio l'undici ottobre. Spiego' ai Padri che era l'unico mezzo per salvaguardare l'unita' e la sopravvivenza della Chiesa Cattolica Ucraina. Papa Paolo VI accolse in parte le sue richieste riconoscendolo Arcivescovo Maggiore, attualmente l'unico nella Chiesa Cattolica. Questo titolo conferisce diritti che corrispondono a quelli di un patriarca. Nel 1980 Papa Giovanni Paolo II estendeva ancora questi diritti e nel 1982 il Cardinale Slipyj scrisse il suo celebre “Pro memoria”, un ultimo appello diretto sempre ad ottenere il patriarcato. Mori' senza raggiungere questa meta e soffrendo per la discordia seminata nel suo gregge su questa aspirazione.
Ferito il cuore paterno
II cuore paterno del patriarca era particolarmente ferito dalle sofferenze e dalle necessita' pratiche dei suoi compatrioti in Ucraina e di quelle di tutti i credenti che soffrono sotto il comunismo. Perorando incessantemente la causa del suo popolo scrisse anche alle Nazioni Unite e al Presidente Carter. Drammatico fu, nel 1977, all'eta' di 85 anni, un suo intervento presso il Tribunale Sakharov. In quell'occasione affermo': “Sono qui per due motivi. Oggi si testimonia sulla persecuzione religiosa nell'Unione Sovietica e nella mia patria, l'Ucraina. La Chiesa della quale io sono capo e padre e' vittima di questa persecuzione e la' dove si parla della mia Chiesa io devo essere presente per difenderla. Il secondo motivo e' che io sono il condannato: sono il testimone di questo Arcipelago, come un altro “condannato”, Solgenitsin, l'ha definito. Ne reco sul corpo le cicatrici”. Purtroppo, in Occidente, le voci di tali testimoni vengono soffocate da uomini che, vivendo al sicuro, lontani dai campi Sovietici, continuano a pensare — malgrado l'evidenza di quasi settant'anni di sofferenze terribili da parie di innumerevoli credenti— che i marxisti atei possono rispettare il popolo di Dio.
Onorare la sua memoria
II Cardinale e' morto novanta-duenne il 7 settembre 1984: il modo migliore per onorare la memoria di questo imitatore di Cristo e' di dare ascolto ai suoi ammonimenti. La sua grande anima possa riposare nella pace di Cristo.
Con Giovanni Paolo II