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Che posto per la misericordia nello stato sociale?

Osservazioni teologico-etiche

Mons. Prof. Dr. Peter Schallenberg
Facoltà di Teologia
Fulda / Germania

1. Etica e teologia della storia

Il racconto della creazione del mondo nell’Antico Testamento tratto dal Libro della Genesi (Gn 1,1-2,4) non per caso si avvicina al sabato: Il sabato ebraico mostra piuttosto –  come un programma –  una visione escatologica della libertà umana, la quale si riafferma anche nell’anno giubilare ebraico, persino nell’anno giubilare cristiano fino oggi. La creazione è il luogo privilegiato per l’alleanza che Dio stesso fonda con gli uomini. Joseph Ratzinger sottolinea: “In questa prospettiva l'alleanza sarebbe la risposta alla rassomiglianza dell’uomo con Dio. Nell’alleanza risplende chi è Dio e chi è l´uomo.” (Die Vielfalt der Religionen und der eine Bund, Bad Tölz, 2005, 79) Lo scopo della creazione però, e nello stesso tempo lo scopo e il fine della liturgia e del culto divino, sono essenzialmente identici e vengono simbolizzati proprio nell’istituzione del sabato ebraico: Il fine come la fine, come compimento totale e perfezionamento è veramente la divinizazzione dell’uomo tramite il processo della storia – sia la storia universale, sia la storia individuale di una vita umana! E un processo di un superamento passo a passo del male, tramite la realizzazione personale ed individuale dell’amore che Dio ci dona. Joseph Ratzinger formula così: “Il culto è il tentativo, presente nella storia, di superare il peccato e la colpa, e di ricondurre il mondo e la vita personale nell’ordine divino!” (Der Geist der Liturgie, Freiburg 2000, 30)

Importante è di nuovo la tensione fra mondo interiore e mondo esteriore: Soltanto tramite la cura dell’anima riesce la cura del mondo. Questo accade primariamente nella liturgia, nella forma del culto e della celebrazione sacramentale perché qui l'uomo e il suo agire vengono integrati nel mondo divino, nel mondo dell’eternità, nella realtà dell’amore divino. Con questo si difende da ogni possibile equivoco fra utopia secolare ed escatologia cristiana: La realtà divina dell’amore comincia proprio nella realtà umana della giustizia, però non si possono identificare ambedue le realtà: L’eternità divina comincia nel sacramento, nella liturgia, nell’anima umana e non nel sistema politico! Un messianismo secolare invece vuole realizzare l’utopia di un mondo migliore, anzi: di un mondo perfetto tramite un sistema politico, negando ed eliminando la persona umana individuale e la sua libertà. Un tale messianismo secolare, spesso nascosto in veste religiosa o pseudoreligiosa, è, secondo Joseph Ratzinger, caratteristico per un programma politico-secolare del moderno. Al fondo sta sempre la figura dell’abate calabrese Gioacchino da Fiore (1130-1202) e la sua teologia politica di un cosiddetto “terzo regno” dello Spirito Santo già sulla terra, con una vera e perfetta realizzazione della giustizia perfetta. Con altre parole: Il sabato eterno non è soltanto realizzato tramite la liturgia sacramentale della Chiesa, ma viene istituito tramite la politica, cosicché l’umanità arriva all’ultimo stadio del progresso etico. La salvezza viene trasformata clandestinamente in una categoria politica. Joseph Ratzinger sottolinea: “L’idea di progresso si è sviluppata dal cristianesimo, però non è di origine cristiana in quanto essa aspira ad una salvezza collettiva ed ultimamente politica” (Das Heil der Menschen – innerweltlich und christlich, in: Ders., Grundsatzreden aus fünf Jahrzehnten, Regensburg 2005, 63-83, 72)

Le conseguenze di una tale teologia politica, di una tale teologia della storia, di un tale totalitarismo sono in ultima analisi anti-individuali, negando la persona e disprezzando la vera dignità individuale di ogni uomo, perché l'individuo viene visto soltanto come una rotellina nel sistema grande della storia del mondo. L'utopia sostituisce l'escatologia e produce pian piano un´etica totalizzante. In questa prospettiva la rivoluzione e l'utopia sono gemelli: formano ambedue quel nuovo messianismo secolare sul campo politico. Ancora una volta Joseph Ratzinger: “L’idolo dell’avvenire consuma il tempo presente; l'idolo della rivoluzione diventa l’antagonista di un agire razionale sul campo politico verso un vero miglioramento del mondo.” (Politische Visionen und Praxis der Politik, in: Ders., Werte in Zeiten des Umbruchs, Freiburg/Br. 2005, 10-27, 16)

 

2. Verso una teologia politica

Con questo si è entrati nell’etica politica. Si tratta sempre di un agire etico-politico sub specie æternitatis, sotto l’orizzonte dell’ideale divino, dell’ideale di un amore puro e perfetto. Il filosofo tedesco-americano Eric Voegelin caratterizza questa teologia politica sulle orme di Gioacchino da Fiore (e più tardi di Hegel e di Marx) come un ghetto immanente dell’etica politica, perché adesso un compimento dell’uomo e della storia vengono visti soltanto nel mondo reale, eliminando ogni speranza su un ideale dopo il tempo di questo mondo. In altre parole: Il compimento e il perfezionamento dell’umanità e della storia si trovano esclusivamente in una maniera immanente e politica. L’individuo viene interpretato non più secondo una dignità interna, ma secondo un’utilità esterna, conforme a criteri di un utilitarismo politico. L’uomo diventa solo un protagonista di un processo del progresso dell’umanità. E la storia non è più, come ha detto Sant’Agostino, “distentio animæ”, vuol dire: estensione dell’anima umana, ma è solo l’evoluzione del mondo verso un fine immanente, tramite lo strumento della rivoluzione. Joseph Ratzinger formula al contrario: “L’uomo non ha bisogno di maestri di ribellione, ma di maestri di una trasformazione, che aprono proprio nel dolore la gioia e alla fine di un benessere la vera felicità” (Das Heil der Menschen – innerweltlich und christlich, op. cit., 82).

La fede cristiana e il dogma cristiano non cambiano il mondo tramite una rivoluzione esterna, ma tramite una trasformazione e conversione interna dell’uomo, che diviene rilevante poi per un cambiamento esterno ed anche politico. In questa prospettiva la priorità la gode sempre la persona prima dello stato. Da qui risulta la differenza e la distinzione fra lo stato e la chiesa. Lo scopo è una trasformazione dell’uomo, non una rivoluzione di uno stato. Necessaria è una rivoluzione etica, certo, ma con questa sottostante priorità di ogni persona. Da qui risultano due conclusioni, interpretando la necessità e il limite dello stato: Dapprima il rifiuto risoluto di ogni forma di un messianismo secolare o di una teologia politica in favore di una etica frammentaria e provvisoria, poi la dualità (più che il dualismo) di chiesa e stato come premessa della libertà umana. Perciò conferma Joseph Ratzinger: “Quando la chiesa diventa lo stato, si perde la libertà. Però, anche se lo stato elimina la chiesa come istanza pubblica ed importante, si perde la libertà, perché lo stato totalizza l’etica e l’agire della persona e reclama la fondazione dell’ethos” (Kirche, Ökumene und Politik, Einsiedeln 1987, 193).

La fede cristiana insegna l’accettazione dell’imperfezione e fa possibile e sopportabile quell’imperfezione. In altre parole: Il nuovo testamento conosce un ethos politico, però non conosce una teologia politica. Proprio qui si nasconde il punto cruciale della discussione intorno alla teologia della liberazione. L’etica esiste soltanto nell’area della libertà. Il diritto più distinto dell’uomo consiste nel diritto di poter reclamare quella libertà verso il bene, verso la bontà e verso l'amore. E viceversa l’impegno più distinto dello stato di proteggere e di incoraggiare questo diritto famoso dell’uomo in cui viene visto il nucleo della dignità umana. Uno stato che avrebbe dimenticato questo suo impegno primordiale di assicurare la giustizia non sarebbe più uno stato ma, come dice Sant’Agostino (De civitate Dei, IV 4), soltanto una banda di briganti e di ladri! Benedetto XVI. scrive quindi nell’Enciclica Deus caritas est: “Il giusto ordine della società e dello stato è compito centrale della politica. Uno stato che non fosse retto secondo giustizia si ridurrebbe ad una grande banda dei ladri, come disse una volta Agostino: “Remota itaque iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia?” (Nr. 28). E più tardi il Papa sottolinea chiaramente: “La giustizia è lo scopo e quindi anche la misura intrinseca di ogni politica. La politica è più che una semplice tecnica per la definizione dei pubblici ordinamenti: la sua origine e il suo scopo si trovano appunto nella giustizia, e questa e di natura etica.” (Nr. 28) Che cosa però è il contenuto di quella giustizia? La risposta da parte della fede cristiana è chiara: Ogni uomo ha il diritto di essere amato in un modo assoluto, quindi: ogni uomo ha il diritto di cercare e di trovare Dio e il suo amore assoluto! A quel diritto risponde lo stato in modo frammentario con la giustizia legale; la chiesa invece risponde con la liturgia, con i sacramenti e con le opere della carità.

  

3. L'uomo nuovo

Abbiamo visto: L'uomo nuovo secondo la fede cristiana risulta da una trasformazione, o, in modo più spiccato: tramite una conversione interna all’amore, e non di una rivoluzione esterna. Questa tesi non si può misinterpretare nel senso pelagiano: Alla radice di una tale trasformazione non si trova la volontà umana o una spinta naturale – sebbene San Tommaso d'Aquino sottolinea come nucleo del famoso “desiderio naturale” la volontà naturale di ogni uomo di essere felice (Summa Theologiae q. 19) – ma la rivelazione divina. Dio stesso, ens perfectissimum e summum bonum, agisce e prende l'iniziativa tramite la creazione del mondo e dell’uomo, offrendo al suo spirito la possibilità di trovare la vera vita beata. L'alleanza del Sinai, violata dall’uomo durante tutta la storia dell’Antico Testamento, viene restaurata nella persona di Cristo e nell’alleanza del nuovo testamento. Nell’esodo del battesimo quest’alleanza è offerta all’uomo individuale. In Gesù Cristo Dio si rivela non soltanto come se stesso, ma se stesso come misura di ogni uomo. Proprio per questo sottolinea la Costituzione pastorale Gaudium et spes del Concilio Vaticano II: “Gesù Cristo come “Immagine di Dio invisibile” (Col 1,15) è nello stesso tempo l´uomo perfetto, chi restituisce nei figli di Adamo l'immagine originale di Dio” (Nr. 22). In questa prospettiva Gesù Cristo è il secondo Adamo. In fondo si vede l'idea paolina di una tipologia fra Adamo e Cristo: Tutta l'umanità del passato è una personalità corporativa, Adamo, però non definitivo, piuttosto segnato dal peccato originale e quindi da superare, superato in effetti dalla croce e risurrezione di Cristo chi è l'Adamo secondo o nuovo. Con Cristo quindi ha cominciato l'umanità seconda e definitiva, risalendo non ad una discendenza naturale ma alla discendenza soprannaturale del battesimo. Si tratta quindi di un superamento dell’umanità naturale, di una vittoria sul peccato e sull’egoismo naturale, di una vittoria poi sull’eros naturale e pagano verso l'amore.

Quest’insegnamento dei due Adami viene spiegato nell’insegnamento delle due “città” (polis) e nella dottrina agostiniana dei due regni: L´uomo vecchio del peccato vive nella civitas terrena con il contegno morale dell’uti, approfittando e servendosi delle funzioni degli altri uomini. L´uomo nuovo della grazia invece vive nella civitas Dei con la virtù del frui, vivendo nell’amore puro al di là di ogni praticità o utilità. In altre parole: In Cristo accade la giustificazione più fondamentale e più radicale di ogni persona umana, indipendente del profitto o della valorizzazione. Proprio adesso è guarito il peccato originale ed è restaurata la libertà originale per il bene, la libertà del frui, dell’amore. Cristo è la vera “icona”, la vera immagine di Dio stesso, con lui la ricerca umana del Dio vero si concretizza. San Ireneo di Lione sottolinea in questa prospettiva: “Quando Dio si fece carne, ha mostrato la vera immagine di se stesso, diventando ciò che era la sua immagine” (Adversus haereses V 16,2).

Con questa conoscenza dell’immagine divina in Gesù Cristo è legata dunque la conoscenza della sua immagine nel volto di ogni uomo, un pensiero che ispira tutta la teologia francescana, soprattutto negli scritti di San Bonaventura. L'incarnazione e l’etica cristiana si incrociano. La rivelazione di Dio in Gesù Cristo si prolunga non soltanto nella storia del mondo ma anche nella storia individuale e biografica di ogni uomo individuale. E qui si tocca il proprio cristiano stesso: Il “logos” della storia e dell’esistenza è persona, come persona però amore perdonante, non nel senso casuistico, ma nel senso esistenziale del perdono e di cura dell’incapacità umana di una vita beata. Solo in considerazione di Cristo e del suo amore perfetto diviene possibile una vita umana perfetta, liberata una volta per sempre dall’obbligo di una permanente auto-giustificazione. Solo la conoscenza di questa logica divina dell’amore libera dalla contrazione di un moralismo autonoma. In questo consiste la vera rivoluzione interna dell’Adamo nuovo, una rivoluzione che ci insegna a comprendere Cristo come l’ultimo uomo (1 Cor 15,45: eschatos Adam), come uomo che porta ogni uomo al suo futuro, un futuro che consiste nel fatto di non essere soltanto uomo, ma di vivere in comunione con Dio stesso.

 

4. Un impulso dall’antico testamento

Proprio dopo l'espulsione di Adamo ed Eva dal paradiso si trova la storia di Caino ed Abele: Caino assassina il suo fratello Abele. Per l’Antico Testamento il male (ed il peccato) comincia in una maniera duplice: dapprima (ed ancora nel paradiso) in pensiero, poi in parole, finalmente in opere ed in omissioni. Dapprima con la sfiducia di Adamo ed Eva, il pensiero dubitante nei loro cuori, poi (fuori del paradiso) con l'assassinio di Abele. Questo male viene svelato da Dio stesso con una domanda doppia: dapprima Dio domanda ad Adamo: “Adamo, dove sei?” Adamo, l’uomo creato da Dio, si è nascosto da Dio, suo Creatore. Poi, dopo quell'omicidio di Caino, sentiamo la seconda domanda di Dio: “Caino, dov’è il tuo fratello Abele?” Caino risponde con un’altra domanda, piuttosto retorica: “Sono io il custode del mio fratello?” La domanda appare così assurda che Dio non risponde di nuovo. Chi altro deve essere il custode del suo fratello se non il fratello? Chi altro deve essere il custode dell’uomo se non l’uomo?  Solo così si può evitare che l’uomo diventi omicida dell’uomo – o, come dice più tardi Thomas Hobbes: “Homo homini lupus est!” – se l’uomo si capisce come il custode privilegiato del suo fratello.

Proprio qui, in questo momento, nasce l'etica, nasce la misericordia e la solidarietà. Più argutamente nota Sant'Agostino: Con l'assassinio di Abele, con il delitto di Caino comincia la necessità dello stato e della legge – proprio per evitare delitti conseguenti. Quindi, questo è l'impegno dello stato che costruisce uno status iustitiæ, uno stato della giustizia fondamentale, soprattutto del diritto di vivere: di assicurare che nessun uomo viene assassinato dal suo fratello. Dalla giustizia fondamentale (ed in un certo senso primitiva) fino alla misericordia ed all'amore è una lunga strada. Ma questa strada e questo processo del miglioramento e della correzione del mondo di lupi comincia con questa domanda programmatica di Dio: Dov’è il tuo fratello?

 

 5. Un aggravamento dal nuovo testamento

Quasi alla fine del vangelo secondo Matteo, prima della congiura contro Gesù e della sua passione, viene raccontato l’ultimo giudizio. Qui viene radicalizzata la domanda del Antico Testamento. Alla fine si legge: “Allora anch’essi risponderanno: Signore, quando ti abbiamo veduto aver fame o sete, o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Allora risponderà loro: In verità vi dico: ogni volta che non lo avete fatto ad uno di questi, i più piccolo, neppure a me lo avete fatto” (Mt 25,44-45). Di nuovo ogni conoscenza del bene ed ogni scoperta di una misericordia attiva e vivente comincia con una domanda, questa volta da parte dell’uomo: “Quando non ti abbiamo assistito?” Ed adesso Gesù risponde con la risposta alla vecchia domanda di Caino “Sono io il custode del mio fratello?”: Si, ogni uomo è obbligato di essere il custode, il samaritano misericordioso, perché io stesso, Dio, sono presente in ogni uomo. Qui si tocca l'essenza e il nucleo nuovo dell’etica cristiana, come risplende nel messaggio e nella vita di Gesù: Dio si è fatto uomo, e si incontra l'uomo in maniera giusta soltanto se si scopre in ogni uomo l'immagine di Gesù!

Adesso la misericordia non è più soltanto una virtù borghese o una cortesia civile, utile per una convivenza piacevole. No: la misericordia è adesso il nuovo nome dell’identità fra amore di Dio ed amore verso gli uomini, quell’unità di cui parla Gesù come il comandamento più importante. Dio stesso è diventato solidale con ogni uomo, specialmente con quello che vive nella povertà di corpo o di anima, con quello che vive nel peccato. Dio stesso, come risposta incarnata alla vecchia domanda di Caino, diventa il custode primordiale del uomo, come il buon pastore fino alla fine della sua morte. E la sua morte si mostra proprio come l'ultima dimostrazione di quella solidarietà di Dio con l'uomo. Sulla croce la misericordia riceve un nome nuovo e definitivo: rappresentanza! E ogni uomo è irrevocabilmente invitato ed esortato a questa nuova forma della misericordia, che non si chiude in un ghetto della contentezza, ma che vive la miseria del altro uomo e cerca di aiutarlo. Perché ogni uomo si vede se stesso davanti la pretesa divina di essere e di vivere in rappresentanza per ogni altro uomo e la sua dignità umana.

Una tale misericordia, sottolineato nella Parabola del buon Samaritano, deve essere prolungato logicamente nel campo pubblico e politico, vuol dire: La virtù privata del Samaritano deve essere sistematizzato in un sistema di misericordia e di solidarietà. Benedetto XVI. sottolinea quindi nella sua Enciclica Deus caritas est, “che l´amore ha bisogno anche di organizzazione quale presupposto per un servizio comunitario ordinato” (Nr. 20). Proprio questo è il senso dello stato sociale moderno, nient’altro che il prolungamento dell’amore del Samaritano verso una comunità solidale di un stato. Una tale solidarietà di un stato sociale però comincia nel cuore dei uomini, comincia con la virtù privata, comincia con un ambiente di amore e di carità, come ogni uomo sperimenta nell’ambiente della famiglia. E proprio per questo la famiglia e il matrimonio formano il nucleo dello stato e della società, perché nessuno può vivere un amore chi non ha visto una tale amore e una tale benevolenza gratuita. Di nuovo la misericordia di un cuore sincero e attento e la solidarietà di un stato sociale sono gemelli: La dignità di ogni uomo deve essere assicurato e protetto con un sistema di leggi e nello stesso tempo con la virtù di ogni uomo vivente in questo stato. Solidarietà crea il fondamento solido di un ordine statale, ma solidarietà ha nella prospettiva cristiana anche una motivazione solida: Dio si è fatto uomo. Nello stesso tempo si vede chiaramente anche i limiti dello stato. Benedetto XVI. mette in guardia contro un stato del totalitarismo sociale, contro un “Leviathan” sociale: “Lo stato che vuole prevedere tutto, che assorbe tutto in sé, diventa in definitive un’istanza burocratica che non può assicurare l’essenziale di cui l´uomo sofferente – ogni uomo – ha bisogno: l’amorevole dedizione personale” (Nr. 28). I compiti dello stato e della chiesa quindi sono differenti, ma legati. Per questo descrive il Papa quella dualità di chiesa e stato: “La società giusta non può essere opera della chiesa, ma deve essere realizzata dalla politica. Tuttavia l’adoperarsi per la giustizia lavorando per l’apertura dell’intelligenza e della volontà alle esigenze del bene la interessa profondamente” (Nr. 28).

  

6. Un compimento escatologico

Alla fine del vangelo secondo Giovanni troviamo ancora una volta una domanda decisiva: “Quando ebbero fatto colazione Gesù dice a Simon Pietro: Simone di Giovanni, mi ami più di questi? Gli dice Pietro: Sì, Signore, tu sai che ti amo! Gli dice Gesù: Pasci i miei agnelli!” (Gv 21,15) Di nuovo ci incontra il cenno al guardare e la domanda nascosta: Chi può custodire gli agnelli, vuol dire: quelli che sono deboli, poveri, piccoli? Ma adesso Gesù non parla più soltanto dell’amore verso gli uomini, di misericordia e di solidarietà, ma parla innanzitutto dell’amore verso Dio stesso. Qui vediamo l'ultimo aggravamento del Nuovo Testamento: Il nucleo essenziale della misericordia è l'amore e la premura permanente di amare più. In questa prospettiva il cristiano radicale è un uomo che si domanda sempre e sempre di nuovo: Dove trovo io, nella mia vita personale ed individuale, nel mio ambiente della professione e di cultura, nel mio comune e mio paese e città, nel mio stato, Gesù?

Il cristianesimo è infatti la grande religione della carità, dell’amore del prossimo, sapendo che questo mondo è provvisorio e che ogni tentativo di costruire nel tempo e sulla terra il cielo causa sicuramente l'inferno. Questo ci ha mostrato chiaramente l'esperimento brutale e mostruoso del comunismo. Questo mondo non è il luogo per costruire il cielo, questo mondo è il luogo per preparare l’amore del cielo tramite istituzione di giustizia, tramite una politica giusta. Alla radice di una tale visione si trova il mistero dell’incarnazione: Da Cristo tutti gli uomini sono uguali e rappresentanti di una dignità assoluta, una dignità a la quale si risponde giustamente solo con amore. La visione del ultimo giudizio ci mostra la radicalità e la serietà di questa prospettiva: Il cielo, l’amore eterno di Dio viene preparato già adesso, ora e qui sulla terra tramite una politica giusta e, nello stesso tempo, una spiritualità dell’amore, perché, come sottolinea il Papa nell’Enciclica Deus caritas est, “l’uomo, al di là della giustizia, ha e avrà sempre bisogno dell’amore” (Nr. 29).

 

 

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