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INDIRIZZO INIZIALE DI SALUTO DI PAUL JOSEF CARDINAL CORDES,
                                     PRESIDENTE DI COR UNUM


Signore e Signori,
Cari amici,
 

        un cordiale saluto a tutti voi che siete convenuti da diverse parti del mondo per partecipare all’assemblea plenaria di Cor Unum. Questa volta essa si svolge nella forma consueta, dopo che nel 2006 vi abbiamo invitati a partecipare al Congresso Internazionale convocato in occasione della pubblicazione dell’enciclica Deus caritas est. Qualcuno di voi aveva anche preso parte alla conferenza stampa di presentazione.

        In tedesco si è diffuso un modo di dire che mi sembra richiamare una situazione comune di oggi: “Niente è più vecchio del giornale di ieri”. I media ci passano notizie minuto per minuto sui temi più diversi. Questo ritmo incalzante rimuove rapidamente e definitivamente tutto il nuovo che il mercato produce. E così crescono montagne di atti e archivi.

       Questo non può valere per testi divenuti significativi. Per non rimuovere indicazioni e documenti preziosi dobbiamo opporci alla corrente dell’oblio che soffoca tutto. Così questa assemblea plenaria del nostro dicastero riprende la Deus caritas est, la prima Enciclica di Benedetto XVI, e ancora, la prima Enciclica in assoluto sull’attività caritativa. Svolge il tema: “Qualità umane e spirituali di chi opera negli organismi caritativi cattolici”. Abbiamo previsto di esaminare un aspetto preciso di questo documento così determinante. Ci interesseremo non tanto degli scopi, quanto degli attori della diakonia.

        L’impegno della Chiesa e dei suoi membri per il bene dei nostri contemporanei normalmente è ordinato a superare le diverse forme di miseria, e dunque a ben precisi obiettivi da raggiungere. Il riferimento a progetti concreti e al venire incontro ai bisogni dei singoli individui sembra prioritario. Anche le cosiddette “opere di misericordia”, elenco antichissimo degli impegni caritativi dei cristiani, si riferiscono all’atto concreto da compiere. Afferma il catechismo: “Le opere di misericordia sono le azioni caritatevoli con le quali soccorriamo il nostro prossimo nelle sue necessità corporali e spirituali (cf Is 58,6-7; Eb 13,3). Istruire, consigliare, consolare, confortare sono opere di misericordia spirituale, come perdonare e sopportare con pazienza. Le opere di misericordia corporale consistono segnatamente nel dare da mangiare a chi ha fame, nell'ospitare i senza tetto, nel vestire chi ha bisogno di indumenti, nel visitare gli ammalati e i prigionieri, nel seppellire i morti (cf Mt 25,31-46). Tra queste opere, fare l'elemosina ai poveri (Cf Tb 4,5-11; Sir 17,17) è una delle principali testimonianze della carità fraterna: è pure una pratica di giustizia che piace a Dio” (cf Mt 6,2-4) [ CCC 2447 ]. Di fronte a questa lista impressionante e precisa si può solo affermare che si deve dare al nostro impegno caritativo un profilo concreto. Anche oggi questa concretezza la troviamo sempre in tutti progetti di aiuto. Ma vale certamente anche la pena di interessarsi alle qualità umane e spirituali delle persone che compiono queste opere.

        Il Papa, nella Sua Enciclica, ha affrontato questo tema – un tema nuovo che mette in luce la dimensione antropologico-umana di chi compie il bene. Come buon teologo dà prima di tutto una base solida al suo pensiero ed alle sue esortazioni. La prima parte, redatta in modo affascinante, mira a dare a tutti quelli che si dedicano all’opera caritativa della Chiesa il giusto orizzonte per le loro attività. Insiste sulla questione di Dio, mai da considerare già risolta e superflua, proprio in quest’epoca secolarizzata. Il suo insegnamento è di grandissima attualità. Cosí mi sembra sbagliato che Vescovi e collaboratori di organismi caritativi troppo rapidamente passino alla seconda parte dell’Enciclica! Detto semplicemente: Si deve legare la visione ecclesiocentrica ad una visione cristocentrica; legare una motivazione in vista dello scopo ad una motivazione fondata sulle condizioni di possibilità; legare lo sguardo sugli indigenti allo sguardo sul Salvatore.

       Detto questo e tenendo conto dell’intenzione primaria di Sua Santità si può aprire la seconda parte dell’Enciclica. Non per trattare tutti i temi toccati dal Papa, ma tenendo conto del titolo della nostra Plenaria che è dedicata a chi è il soggetto della carità della Chiesa. Certo lo sono tutti i cristiani, ma vogliamo guardare particolarmente a quelle persone che nelle nostre tante e benemerite organizzazioni prestano la loro opera a servizio dell’uomo.

       Mi sembra importante enfatizzare il momento storico in cui si colloca la nostra questione. I cambiamenti nella società e nella Chiesa si riverberano evidentemente anche nell’attività caritativa della Chiesa e nei suoi attori. Fino a circa 100 anni fa chi lavorava negli organismi caritativi della Chiesa si presentava diversamente. Nella maggior parte dei casi si trattava di religiose o di religiosi, che dunque svolgevano una missione specifica a partire dal proprio istituto religioso. Lo vediamo molto bene per le missioni: il numero di missionari sacerdoti o consacrati era altissimo e nella loro persona si garantiva, anche visivamente, una identificazione con la Chiesa.

        A questo si aggiungono incisivi cambiamenti amministrativi per le agenzie di aiuto, non per ultimo ispirati dal Vaticano II: in quanti casi nelle diocesi si è affidato il compito di dirigere gli uffici della Caritas diocesana ad un laico, mentre prima era la regola che fosse un sacerdote. Tutto questo rimanda certo anche ad un processo ecclesiale che ha una sua giustificazione teologica e storica. Non raramente ha contributo all’operatività ed efficienza delle istituzioni caritative.
Considerando lo sviluppo si coglie facilmente il punto significativo. Mentre prima l’appartenenza ecclesiale di chi lavorava negli organismi cattolici era normalmente un dato di fatto, un punto di partenza per il loro impegno caritativo, oggi non è più necessariamente così. In queste istituzioni sono molte persone con fede, ci sono persone alla ricerca della fede, ci sono persone che non professano la fede. Questo non toglie nulla all’onestà delle loro motivazioni e alle loro capacità professionali. Ma ci pone davanti ad una duplice problematica, se la fede cattolica vuole restare parte integrante delle nostre agenzie:
a. rispetto ai collaboratori: come incide la società secolarizzata sui nostri operatori e sul loro lavoro?
b. rispetto alle istituzioni: che rapporto esiste tra l’istituzione cattolica caritativa e la struttura ecclesiale?

       Non c’è dubbio che le nostre istituzioni di aiuto garantiscono una buona operatività. Qui non si tratta di mettere in dubbio il tanto bene che riusciamo a fare. È ovvio che dobbiamo continuare sulla strada del nostro impegno per l’uomo. Ma forse si deve mettere più luce sulla nostra identità di attori caritativi perché possono indebolirsi le radici di fede, la condivisione di atteggiamenti di vita e di convinzioni cristiane che difendiamo, o che per lo meno dovremmo difendere in quanto organismi cattolici.

       Ne conseguono dunque le domande: possiamo limitarci a fornire servizi, iniziare ed accompagnare progetti ? Possiamo semplicemente ritenere di dover combattere delle battaglie per la promozione sociale? Ci lasciamo guidare cioè solo dalla buona volontà o da un senso di giustizia umana? Nessuno di noi crede che la salvezza realizzata da Cristo voleva valere solo per la vita sulla terra. Scriveva già l’Apostolo Paolo: “Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini” (1 Cor 15,19). Fede nella vita eterna fa parte specifica dell’aiuto cristiano. Che questo elemento non debba mancare l’ho visto di nuovo quando ho fatto, due settimane or sono, visita della Casa dei malati terminali a Calcutta che la beata Madre Teresa ha fondato e quando ho salutato non pochi malati che aspettano tranquillamente la vita dopo la morte.

       Ecco la domanda circa la qualità dei nostri collaboratori è essenziale, sia per responsabilità verso di essi, che per l’autenticità della missione ecclesiale.

       L’Enciclica Deus caritas est è stato il primo documento magistrale di Papa Benedetto XVI. Il testo papale – questo lo posso affermare e questo lo si scopre facilmente – è nato in ultima analisi per affrontare la questione della fede dei nostri operatori. Nei numeri 31-39 vengono elencate alcune caratteristiche degli uomini e donne che si impegnano negli organismi cattolici. Il fatto che il Santo Padre le enumeri con precisione dovrebbe aiutarci a capire che non sono atteggiamento scontato tra i nostri operatori. In primo luogo dobbiamo dunque accettare con umiltà e realismo che c’è la necessità di coltivare lo spirito di chi lavora con noi e per noi.

       Vi ringrazio di essere venuti dato che siete tutti occupati con molti impegni importanti. Vi ringrazio per il contributo che darete e che possiamo solo ricevere da voi. Il programma di questa nostra XXVII Assemblea Plenaria lo trovate nelle vostre cartelle. L’intento di questi giorni è quello di fare rivivere, nelle mutate condizioni storiche, lo spirito cristiano che ha sempre animato la grande attività di carità della Chiesa. Dopo la relazione di mons. Segretario circa l’attività del Dicastero in questi anni, sentiremo tutti l’esperienza di ognuno di voi. Ci aiuteranno poi a focalizzare i punti fondamentali del tema che stiamo trattando due relazioni: una è del rev. Larry Snyder, presidente delle Catholic Charities, U.S.A., l’altra di un moralista tedesco, il Prof. Peter Schallenberg; la prima è più di ordine pratico, la seconda presenta alcune riflessioni teologiche sulle sollecitazioni che ci vengono dalla Deus Caritas est. Aspettiamo con impazienza l’Udienza con il Santo Padre. Di certo, per la sua veneranda età, l’incontro con i Dicasteri non è sempre assicurato eo ipso. L’Udienza col Papa è tuttavia un segno del suo particolare interesse per il nostro Dicastero, che ha messo molto in rilievo tramite la sua prima Enciclica. Abbiamo poi previsto gruppi di lavoro, dai quali sarei contento se emergessero delle tesi per delle proposte pratiche. Grazie ai vostri contributi in un prossimo futuro vorremmo delineare alcuni orientamenti di formazione da offrire a tutti gli organismi caritativi. E concluderemo con il ricevimento all’Ambasciata tedesca presso la Santa Sede. L’Ambasciatore tedesco con la amabile gentilezza ha raccolto il mio suggerimento di allietare tutti Membri di Cor Unum provenienti da tutto il mondo con un po’ di musica e ospitalità.

       Prima di iniziare i nostri lavori vorrei ancora dare un benvenuto speciale a quei fratelli e sorelle che partecipano per la prima volta alla nostra Plenaria. Essi sono:

       A titolo personale:
Sua Eccellenza Joseph Ngô QUANG KIÊT, Arcivescovo di Hà Nôi (Vietnam),
Sua Eccellenza Frank DEWANE, Vescovo di Venice (U.S.A.), presente per la prima volta come Vescovo,
Sua Eccellenza Jean-Bosco NTEP, Vescovo di Edéa (Cameroun),
Sua Eccellenza Lazzaro YOU HEUNG-SIK, Vescovo di Daejon (Corea),
il Principe Karl von LÖWENSTEIN-WERTHEIM-ROSENBERG (Germania).

       Come rappresentanti di organismi cattolici:
il Sig. Hans Peter RÖTHLIN, Presidente di Aiuto alla Chiesa che soffre,
la Sig.ra Marina CANEVALI COSTA, Presidente della Association Internationale des Charités - A.I.C.,
il Sig. Rafael DEL RIO SENDINO, Presidente di Caritas Española,
il Rev. Larry Snyder, Presidente di Catholic Charities – U.S.A.,
il Sig. Jean-Luc MOENS, Presidente di FIDESCO,
la Sig.ra Begoña de BURGOS LÓPEZ, Presidenta di Manos Unidas,
la Rev.da Madre Mary Sujita KALLUPURAKKATHU, S.N.D., per l’Unione Internazionale Superiore Generali
il Rev.do Don Flavio PELOSO, Direttore Generale della Piccola Opera della Divina Provvidenza, per l’Unione Superiori Generali.

       Inoltre saluto:
la Sig.ra Lesley KNIGHT, Segretaria Generale di Caritas Internationalis,
il Rev. Marian SUBOCZ, Direttore Generale di Caritas Polska,
il Rev. P. Salvador LÓPEZ MORA, Coordinatore esecutivo di Caritas Mexico,
il Sig. François SOULAGE, Presidente di Secours Catholique (Francia).

       Do il mio benvenuto anche ai nuovi Consultori:
S.E.R. Mons. Douglas YOUNG, Arciv. di Mount Hagen (Papua New Guinea),
Mons. Manfred ERTL, Presidente Caritas Diocesana di Passau (Germania),
S.E. l’Ambasciatore Henrietta de VILLA (Filippine),
il Sig. Silverio AGEA RODRIGUEZ, Segretario Generale di Caritas Española,
il Sig. Carlos Ing. de OLIVEIRA CAMARGO, Presidente dell’Associazione Dirigenti cristiani d’Impresa di São Paulo (Brasile)

       Ha iniziato il suo servizio presso il Dicastero lo scorso settembre il Rev. Don Arduino MARRA.

       È con noi anche il Dott. Aldo IVALDI. Da due anni, come consulente aiuta questo Pontificio Consiglio nel sensibilizzare gente di buona volontà alle opere di carità del Santo Padre.

       Alla fine del mio saluto iniziale mi rimane un dovere molto piacevole. Mi è dato di premiare due personalità che hanno contribuito molto alla testimonianza della carità nella Chiesa. Sono il prof. Heinrich Pompey e il signor Anthony Curmi. Sono qui con alcuni stretti parenti.

       Il Signor Anthony Curmi è nato a Malta nel marzo 1934 da una famiglia cattolica: 4 dei suoi fratelli e sorelle sono consacrati. Sposato con due figli – saluto con piacere la sua signora -, il Signor Curmi ha una lunga esperienza nel settore finanziario, dato che ha percorso una brillante carriera nella Banca Barclays, a Malta, a Londra, e poi a Milano, dove è stato Group General Manager per la Banca in Italia. E’ stato consulente del Governo Maltese e primo Direttore del Malta International Business Authority alla fine degli anni ’80. Oltre al suo impegno a così alto livello nel mondo della finanza, il Signor Curmi si è dedicato anche all’attività volontaria per la Chiesa cattolica, prima nella sua nazione di origine, poi, dal 1999 al 2007, come tesoriere di Caritas Internationalis. L’onoreficenza di cavaliere dell’ordine di San Silvestro Papa che gli viene oggi attribuita riconosce i suoi distinti meriti nel campo della carità e nell’impegno a vivere con spirito cristiano il lavoro professionale.

       Il Prof. Heinrich Pompey, nato in Westfalia, nel novembre 1936, ha svolto studi di teologia e psicologia. Dopo altri incarichi accademici, dal 1988 al 2004 è stato direttore dello Institut für Caritaswissenschaft und Christliche Sozialarbeit presso la facoltà di teologia dell’università di Freiburg in Breisgau. Dal 2005 è titolare della cattedra per la pastorale sociale presso la facoltà di teologia dell’università di Olomouc. Lunga è la lista delle sue pubblicazioni. Soprattutto però desidero mettere in risalto il suo ruolo di educatore di molti studenti, ecclesiastici e non. Il prof. Pompey conta ormai studenti in tutto il mondo e sta sviluppando una rete di istituti che riflettono sulla teologia della carità, p.es. anche a Murcia (Spagna) con la collaborazione di Cor Unum. Oggi, di fronte alla sua famiglia, che saluto cordialmente, riceve l’onoreficenza di commendatore con placca dell’ordine di san Gregorio Magno: essa premia, oltre al suo impegno accademico, la preziosa collaborazione con il nostro Pontificio Consiglio nella riflessione e nella diffusione di una corretta teologia della carità.



 

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