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La Curia Romana  
 

 

 
 
 

Mons. Giampietro Dal Toso
Segretario del Pont. Consiglio “Cor Unum”       
 

Intervento alla

2nd Global Conference on Agriculture, Food Security
and Climate Change: Hunger for Action

Hanoi, Vietnam, 7 settembre 2012

Gentili Signori,

     ringrazio per l’invito a partecipare a questa seconda conferenza globale su Agriculture, Food Security and Climate Change. La Santa Sede, attraverso la partecipazione a questo consesso, vuole esprimere il suo interesse e la sua fattiva partecipazione ad affrontare il maggiore problema che la comunità internazionale si trova davanti: garantire a questa e alle prossime generazioni l’accesso al cibo in un contesto ambientale equilibrato. In effetti, la fame e, più in genere, l’insicurezza alimentare pesano ancora su troppe popolazioni. La crisi mondiale rischia purtroppo di distogliere la nostra attenzione proprio da quel diritto fondamentale alla nutrizione e di voler invece garantire ancora solo il benessere di pochi. Il nostro Pontificio Consiglio Cor Unum, che segue l’attività dei numerosi organismi cattolici operanti nel campo umanitario, continua a registrare insieme ad essi situazioni critiche, come in alcuni paesi del Sahel, dove cause naturali e umane provocano anche in questo periodo storico fame, insicurezza e sofferenza. Oltre alle cause congiunturali, permangono questioni strutturali che chiedono di essere risolte: la volatilità dei prezzi e la paradossale riduzione dei proventi per i piccoli produttori nel settore agroalimentare, la debolezza strutturale e sul mercato dei paesi già poveri, la presenza di conflitti duraturi che aggravano la situazione di povertà e di fame.

    Non mancano gli sforzi per affrontare queste problematiche. La conferenza che ci vede raccolti è un ulteriore segno che la comunità internazionale desidera raccogliere le forze per consentire l’accesso a quei beni che garantiscono la sopravvivenza. Significativamente il tema di questa conferenza coglie il nesso che esiste tra impegno umano nel lavoro agricolo, produzione di cibo e protezione dell’ambiente. L’intenzione di raggiungere una “climate-smart agricolture” indica che è importante perseguire un approccio ampio per uno sviluppo umano integrale e così cercare vie per evitare situazioni di emergenza alimentare, tenendo conto sia del fattore umano che di quello ambientale.  

   Questi due fattori si influenzano reciprocamente e l’emergenza umanitaria non infrequentemente è frutto di degrado ambientale, dovuto spesso all’incuria o allo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali da parte dell’uomo. In positivo dobbiamo dire che l’ambiente è affidato alla cura dell’uomo, che ne è responsabile, sia per il bene della generazione presente, che per quello delle generazioni a venire. Il creato è offerto all’uomo da Dio come luogo in cui abitare e svilupparsi, in cui misurare le proprie capacità per trarne alimento e per adattarlo alle proprie necessità. Ma questo rapporto è misurato dalla responsabilità: l’uomo non è padrone, ma è amministratore dell’ambiente in cui vive.

    Queste brevi considerazioni ci introducono nella questione centrale di ogni sviluppo, che è il fattore umano. Il principio della centralità della persona umana è al cuore della dottrina sociale della Chiesa (cfr. CiV 47). La centralità della persona umana intende certamente che ogni nostro sforzo deve avere per oggetto il bene della persona. L’azione della comunità internazionale deve mirare a promuovere ogni uomo, soprattutto quello più debole e fragile. Ma l’uomo non può essere solo oggetto di un piano di sviluppo; piuttosto l’uomo è il soggetto del proprio sviluppo. Ciò vale anche in ambito umanitario e nello studio delle problematiche legate alla fame. A partire dalla centralità della persona, soggetto del proprio sviluppo, sembra importante avviarsi verso quelle soluzioni del problema che coinvolgono la responsabilità diretta della persona stessa. Soluzioni cioè non orientate alla creazione di strutture, ma piuttosto a creare quelle condizioni che permettano alla persona di sviluppare se stessa e il proprio ambiente. Va da sé che questo approccio non può far venire meno un impegno politico ad arginare quei fenomeni strutturali che provocano la fame, consentendo per esempio ai paesi più poveri di ottenere un profitto equo dalla loro produzione agricola e favorendo l’imprenditoria locale, in quanto anche il povero è una risorsa. 

    Infatti una soluzione duratura deve contemplare la possibilità per l’uomo di sovvenire alle proprie necessità con il lavoro delle proprie mani. Vanno cioè privilegiate – anche da un punto di vista valoriale – quelle soluzioni che abilitano la persona, la famiglia e la piccola comunità ad assumersi la responsabilità per la propria nutrizione. Nel suo discorso alla FAO il 1.7.2011 Benedetto XVI chiedeva di “riscoprire il valore dell’azienda familiare rurale”. In questo senso si esprimeva anche un documento del nostro pontificio consiglio del 1996: La fame nel mondo. Una sfida per tutti: lo sviluppo solidale.

    Questo percorso chiama in causa una precisa considerazione del lavoro umano e della famiglia. In primo luogo del lavoro. L’eredità giudeo-cristiana ha riscattato il lavoro da una visione che lo considerava attività indegna dell’uomo e ha reso il lavoro un pilastro fondamentale perché l’uomo, esprimendo se stesso,  possa vivere la propria dignità. L’affermazione del valore del lavoro umano acquista oggi un significato peculiare di fronte a due tentazioni diverse: da una parte considerare il lavoro come una costrizione che impedisce di vivere pienamente; dall’altra ritenere il lavoro come una semplice merce di scambio, che riduce a cosa il soggetto stesso che lavora. Contro queste due impostazioni culturali, figlie dell’edonismo e del capitalismo sfrenato, è bene ribadire la dignità del lavoro, anche del lavoro agricolo, come mezzo attraverso il quale l’uomo, operando sull’ambiente e trasformandolo, provvede ai propri bisogni e perfeziona se stesso. L’uomo deve essere perciò messo in grado di lavorare la terra, e ciò ben oltre una semplice dinamica di scambio lavoro-denaro, per poter dare pienamente se stesso.

    Un ulteriore aspetto di questo approccio personalista è la valorizzazione della famiglia, perché ciascuno nasce e cresce e si relaziona con quella comunità fondamentale che è la famiglia. Ciò significa che la vita familiare non può venire vista in opposizione alle esigenze economiche e di sviluppo di una società. Questa considerazione vale anche nel campo alimentare, dove qualcuno tende a identificare l’aumento demografico con l’aumento della fame e della povertà. Si deve invece ribadire che ogni vita, prima di essere un problema, è una risorsa per la comunità umana e che la povertà della famiglia non si risolve eliminando la famiglia stessa, ma consentendo ai suoi membri di apportare con il proprio lavoro quanto è necessario per la sopravvivenza e il benessere della famiglia stessa. Un approccio al problema agricolo che miri a sostenere la famiglia e la sua stabilità può consentire alla società stessa di ottenere come riflesso una maggiore stabilità, per arginare fenomeni come la migrazione e l’urbanizzazione (cfr. CiV 44). Favorire i piccoli produttori con politiche agricole coerenti con un approccio mirato allo sviluppo umano integrale, e dunque con alcuni servizi fondamentali come l’educazione e la sanità, è una scelta che favorisce non solo la sovranità alimentare, ma anche la protezione dell’ambiente e la pace sociale.

    Solidarietà tra generazioni e tra nazioni, sussidiarietà per costruire dalla base un sistema economico sano sono i principi che possono ispirare una rinnovata azione per liberare l’umanità dalla fame.

    La Chiesa non si limita tuttavia a fornire una valutazione etica, perché il problema dell’uomo non è solo un problema del suo comportamento, ma vuole trasmettere una visione della persona, che contempli anche la sua dimensione spirituale. Perciò non può sottacere che, se è vero che ogni sviluppo parte dalla persona, da essa nascono anche quelle forme di disequilibrio che tanto incidono sull’economia globale, sulla fame e sullo stato di bisogno di tante persone. Infatti il pianeta continua ad avere i mezzi per garantire a tutti l’accesso al cibo. Tuttavia l’avidità, l’inganno, la ricerca del potere che risiedono nel cuore dell’uomo lo rendono insensibile all’altro. Perciò la Chiesa sa che il suo maggior contributo alla risoluzione del problema della fame è, insieme alla fattiva collaborazione con la comunità internazionale, l’intervento sulle coscienze, perché cambino e, riconoscendo il primato di Dio, riconoscano anche la dignità di ogni uomo, creato a sua immagine e somiglianza ( cfr. La fame nel mondo, n. 64). Questa sua insostituibile missione spirituale la Chiesa la offre ad ogni uomo di buona volontà, per cercare insieme quella convivenza, nella quale ogni persona possa vivere conformemente a tale dignità.

Vi ringrazio.  



 

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