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La Curia Romana  
 

 

 
 

S.Em. Cardinale Robert Sarah                      
Presidente,                                                                         
Pontificio Consiglio Cor Unum 

 

DISCORSO IN OCCASIONE DELL'INCONTRO ANNUALE DI caTHOLIC CHARITIES USA 
(St. Louis, USA, 1 ottobre 2012)


Ringrazio per aver avuto l’opportunità di parlarvi e partecipare a questo incontro annuale di Catholic Charities USA, occasione che costituisce anche la mia prima visita negli Stati Uniti. Ringrazio inoltre il vostro Presidente, il Rev. Larry Snyder, sia per l’invito sia per il suo instancabile impegno a servizio e alla guida di Catholic Charities USA. Saluto ciascuno di voi, rappresentanti di molte Diocesi e organizzazioni. Qui negli Stati Uniti, Catholic Charities USA è ben nota tra le altre organizzazioni caritative cattoliche per la vasta tipologia di servizi caritativi prestati: dai programmi sanitari per gli anziani e i bambini, all’assistenza ai malati e alle donne in gravidanza, fino ai servizi per la presa in carico e la tutela giuridica dei poveri. Infine sono specialmente lieto di salutare Catholic Charities di St. Louis che sta celebrando il centenario di fondazione. Dal suo inizio nel 1912, Catholic Charities di St. Louis è cresciuta fino a divenire uno strumento efficace di testimonianza dell’amore evangelico e di servizio ai poveri e ai bisognosi dello Stato del Missouri. Attraverso una rete di otto agenzie, offrite più di 100 programmi di cui beneficiano oltre 157.000 persone l’anno. Nel nome della Chiesa e del Santo Padre, voglio ringraziare tutti voi e tutti i fedeli che disinteressatamente offrono qui in America e che danno il proprio tempo, i propri talenti e le proprie risorse per occuparsi di coloro che sono nel bisogno.

Come sapete bene, Cor Unum, il Dicastero della Santa Sede di cui sono Presidente, si occupa di concretizzare le intenzioni caritative del Santo Padre, particolarmente quando accadono calamità che colpiscono una qualsiasi parte del mondo. Il nostro incarico è quello di incoraggiare le organizzazioni e coordinare le attività caritative promosse dalla Chiesa Cattolica. Cor Unum promuove anche la catechesi della Carità e sostiene i fedeli nel dare una testimonianza concreta della carità evangelica. Da quando sono a Cor Unum, ho acquisito una maggiore conoscenza delle attività e dei programmi delle organizzazioni caritative cattoliche di ogni parte del mondo.

Ogni anno, Catholic Charities USA, grazie alla generosità di oltre 300.000 volontari, presta servizi a favore dei poveri. Ciò conferma certamente che l’esperienza dell’amore generoso di Dio ci provoca e ci rende liberi di assumere lo stesso atteggiamento nei confronti dei nostri fratelli e sorelle. Dall’inizio della storia della Chiesa negli Stati Uniti, questa esperienza personale dell’amore di Cristo è stata la forza unificante che spinge i cattolici di ogni età ad impegnarsi in atti di misericordia, giustizia, e compassione per i poveri. Numerose istituzioni e strutture cattoliche sono state fondate per assistere gli orfani, gli immigrati, i vari gruppi etnici e tutte le persone nel bisogno. Innumerevoli americani con percorsi di vita diversi hanno fatto del servizio ai poveri la loro massima priorità. Vi sono anche religiosi, uomini e donne che hanno sacrificato tutta la loro vita per essere testimoni dell’amore evangelico attraverso il loro generoso servizio. La Chiesa avrà sempre un amore preferenziale per i poveri: fedele al comandamento di Gesù, non potrà mai chiudere gli occhi di fronte alle sofferenze dei nostri fratelli e sorelle più sfortunati. Di fatto, siamo tutti testimoni di questo ruolo significativo che Catholic Charities ha svolto nella storia della vostra nazione. Catholic Charities ha contribuito a far divenire questo servizio all’amore evangelico parte essenziale della cultura americana.


L’identità cattolica: la nostra sfida più grande e “strada maestra” di rinnovamento

Oggi, la Chiesa in America, compresa Catholic Charities, affronta delle sfide che minacciano questa eredità trasmessaci dalle generazioni precedenti. I tempi che stiamo vivendo sono caratterizzati da un secolarismo aggressivo, che cerca di escludere la religione dalla vita pubblica e, di conseguenza, instaurare una cultura senza Dio, in cui ciascuno può vivere prescindendo dalla legge della verità e dell’amore incise dal Creatore nel cuore di ciascun essere umano. Il secolarismo cerca di sostituire Dio e la Sua legge divina con opinioni personali, ideologie, piaceri e bisogni. Se si esclude Dio, ne conseguono soltanto abiezione e sofferenze. Se i buoni cittadini sono costretti a mettere da parte le loro convinzioni religiose, allora la società non prescinde solo dal contributo della religione, ma promuove altresì una cultura che ridefinisce l’uomo come inferiore a ciò che egli realmente è. Se i cittadini i cui giudizi morali sono informati dal loro credo religioso, vengono ignorati, allora la stessa democrazia è svuotata del suo vero significato. Papa Benedetto XVI ci ha già messo in guardia da queste preoccupanti tendenze. Ha detto: “E’ fondamentale che l’intera comunità cattolica negli Stati Uniti riesca a comprendere le gravi minacce alla testimonianza morale pubblica della Chiesa che presenta un secolarismo radicale, che trova sempre più espressione nelle sfere politiche e culturali. La gravità di tali minacce deve essere compresa con chiarezza a ogni livello di vita ecclesiale. Particolarmente preoccupanti sono certi tentativi fatti per limitare la libertà più apprezzata in America, la libertà di religione” (19 Gennaio 2012, discorso ai Vescovi degli Stati Uniti d’America, in visita Ad limina).

Le istituzioni caritative cattoliche non sono esenti dall’essere condizionate da questa mentalità secolarizzata. Nel passato, alcune di queste istituzioni cattoliche hanno sottoscritto convenzioni con le autorità civili per fornire servizi di affidamento e adozione. Recentemente però, le autorità civili attraverso norme proprie hanno provato a esercitare pressioni sulle agenzie cattoliche affinché dessero in adozione bambini a coppie dello stesso sesso, chiara violazione degli insegnamenti cattolici. Alle agenzie caritative cattoliche viene chiesto di scegliere se aderire alle convenzioni sull’adozione/affido, oppure di ritirarsi da questo ambito. La crisi economica e finanziaria che stiamo sperimentando ad ogni livello, sia negli Stati Uniti che in altri continenti, continua a colpire particolarmente i più poveri tra i poveri, privi di protezione e garanzie. In aggiunta, sperimentiamo sempre più nuove forme di povertà tra persone che hanno perso il lavoro o che hanno situazioni familiari fragili. Vi sono persone che sono spesso smarrite, e versano in condizioni di difficoltà che non sono soltanto economiche.

Di fronte a tali nuove e complesse situazioni, dobbiamo esercitare una carità “intelligente” in grado di ascoltare e discernere; una carità organizzata, capace di risposte innovative alla crisi; una carità che comprenda le cause dei problemi e non si limiti a fornire soltanto i servizi necessari, ma che accompagni anche chi si trova in difficoltà. In tali nuove situazioni, dobbiamo saper riconoscere gli interrogativi esistenziali sul senso della vita e della sofferenza. Questo è il motivo per cui dobbiamo essere in grado di dare risposte globali. In particolare, ci sentiamo guidati da un principio di fede, valido non solo per il nostro lavoro ad extra, ma anche all’interno (ad intra) delle nostre organizzazioni: la difesa della vita, dal suo concepimento alla sua fine naturale.

Nel nostro servizio ai poveri, di fronte a queste sfide, potremmo essere tentati di cambiare i nostri principi, di scendere a compromessi e di arrenderci. Essere fedeli alla nostra fede cattolica non è facile: potrà persino condurre all’esclusione e alla persecuzione. Essere autenticamente cattolici è di per sé una grande sfida per noi, nella società di oggi, ma è ciò che ci viene richiesto in quanto seguaci di Gesù Crocifisso: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16, 24).

In un episodio del Vangelo, si legge che Pietro camminava sulle acque per andare da Gesù, che gli stava chiedendo di raggiungerlo. Finché Pietro teneva lo sguardo fisso su Gesù, i forti venti e i marosi non potevano fargli nulla. Papa Benedetto XVI nella Sua Lettera Apostolica l’Anno della Fede ci incoraggia a riporre la nostra speranza in Cristo. Ha scritto, “…terremo lo sguardo fisso su Gesù Cristo, “colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12,2): in lui trova compimento ogni travaglio e ogni anelito del cuore umano. La gioia dell’amore, la risposta al dramma della sofferenza e del dolore, la forza del perdono davanti all’offesa ricevuta e la vittoria della vita dinanzi al vuoto della morte, tutto trova compimento nel mistero della sua Incarnazione, del suo farsi uomo, del condividere con noi la debolezza umana per trasformarla con la potenza della sua Risurrezione” (Porta fidei n. 13).

Dal punto di vista strettamente umano, potremmo pensare che tali difficili circostanze possano costituire un ostacolo per la piena realizzazione della missione caritativa della Chiesa. Invece ritengo che le circostanze così particolari di questo nostro tempo ci offrano un’occasione eccezionale per tornare alle radici della nostra identità cattolica. Pertanto, essa, oltre a rappresentare una sfida, è anche una strada maestra verso il rinnovamento delle nostre istituzioni caritative. Catholic Charities USA si fonda su un’eredità cattolica, profondamente legata alle sue radici evangeliche, al Magistero e alla tradizione della Chiesa. Attingere alle nostre radici cattoliche costituirà fonte di rinnovamento per voi e vi aiuterà a riscoprire e apprezzare questo grande tesoro, che è la nostra fede cattolica e la nostra tradizione. Quanto mai era appropriato ed opportuno il richiamo di Papa Benedetto XVI, in occasione della proclamazione dell’Anno della Fede, nella sua Lettera Apostolica Porta fidei, all’importanza della fede nel nostro lavoro caritativo: “La fede senza la carità non porta frutto e la carità senza la fede sarebbe un sentimento in balia costante del dubbio. Non pochi cristiani, infatti, dedicano la loro vita con amore a chi è solo, emarginato o escluso, … perché proprio in lui si riflette il volto stesso di Cristo. Grazie alla fede possiamo riconoscere in quanti chiedono il nostro amore il volto del Signore risorto ” (Porta fidei n. 14).


Le radici della carità cristiana

Dopo aver riflettuto sul ruolo significativo dei nostri principi cattolici nelle attività caritative e sulla necessità di rinnovamento, desidero ora mettere maggiormente a fuoco l’”impronta cristiana” della nostra carità. Che cosa rende “cristiana” un’agenzia caritativa? Questa è la questione che intendo trattare.

Papa Benedetto XVI, nell’introduzione della Deus caritas est, ci indica la risposta: “Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio, e Dio dimora in lui” (1 Gv 4, 16). Queste parole … esprimono “con singolare chiarezza il centro della fede cristiana” (n. 1). Per cominciare a cogliere il senso dell’antica professione di fede della Chiesa, “Dio è amore,” Papa Benedetto ritiene che siano contemporaneamente necessarie due condizioni: l’amore di Dio e l’amore del prossimo. Quando uno degli scribi chiese: “Qual è il primo di tutti i comandamenti?,” Gesù rispose: “Il primo è: ‘Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore! Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente, e con tutta la tua forza’. Il secondo è questo: ‘Amerai il prossimo tuo come te stesso.’ Non c’è altro comandamento più grande di questi” (Mc 12, 29-31). Il Papa sembra affermare che l’unione di questo duplice comandamento, è la chiave per capire la raison d’etre dell’attività caritativa della Chiesa. La fede e la vita sono indissolubilmente legate; l’una implica l’altra. Infatti, la vita cristiana comporta il vivere la fede, la speranza e la carità. Ciò rende la carità “cristiana”,’ ciò le conferisce la sua identità specifica e insostituibile.

Nelle prime righe della Deus caritas est, il Papa descrive l’essenza del cristiano: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (n. 1). Dio si lascia commuovere a tal punto dalla condizione umana che diventa corpo donato e sangue versato in Cristo, cosicché “noi veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione” (n. 13). Pertanto per chi accetta l’amore primordiale di Dio, l’amore è la risposta al dono d’amore. Diventa visibile negli uomini e nelle donne che riflettono la Sua presenza.

Sicché, l’amore di Dio e l’amore del prossimo, essendo inseparabili, costituiscono un unico comandamento, sono la sorgente da cui sgorga tutta la pratica d’Amore della Chiesa. Questo è ciò che rende “cristiana” una organizzazione caritativa.

Caratteristiche fondamentali della carità cristiana
Come si manifesta lo splendore della carità cristiana all’interno delle organizzazioni da noi rappresentate? Ancora una volta, ritengo che l’Enciclica Deus caritas est sia in grado di offrire alle istituzioni caritative cattoliche tre piste di riflessione, utili soprattutto per conoscere più a fondo e apprezzare l’unicità della loro identità cattolica.

(1) La carità cristiana è parte costitutiva della missione della Chiesa

In primo luogo, la pratica dell'amore, costituita da attività caritativa (diakonia), proclamazione della Parola di Dio (kerygma-martyria), e celebrazione dei sacramenti (leitourgia), costituisce l'essenza stessa della missione della Chiesa. La Chiesa infatti esiste in questo mondo come strumento della volontà di Dio: “Piacque a Dio … far conoscere il mistero della sua volontà, mediante il quale gli uomini, per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono così resi partecipi della divina natura " (Dei Verbum n. 2). Attraverso la proclamazione della Parola, la celebrazione dei sacramenti e la pratica della carità, la Chiesa ha la missione di portare tutti gli uomini e le donne a condividere la natura divina di Dio, che è amore - Deus caritas est. In questo modo, la Chiesa può compiere la sua missione.

Il legame reciproco tra questi tre munera ecclesiali ci riporta al legame intrinseco che esiste tra carità ed evangelizzazione. Siamo ormai alla vigilia del Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione, che avrà inizio la prossima settimana a Roma, e che rappresenta una nuova sfida per tutte le nostre organizzazioni caritative in questo Anno della Fede.

Possiamo iniziare con un semplice quesito: che rapporto c’è tra le nostre attività caritative e l’evangelizzazione? Se le nostre attività caritative sono attività ecclesiali, esse saranno necessariamente permeate dal Vangelo. E’ opportuno a questo punto distinguere almeno tre aspetti.

Il primo riguarda l’intervento a favore dei più poveri tra i poveri. Non possiamo considerarli semplicemente dei “bisognosi”, dobbiamo anche vederli come figli di Dio, che, in quanto tali, hanno anche bisogno della Sua Parola, della Sua presenza e della Sua consolazione. In tal modo, saremo in grado di offrire loro il messaggio del Vangelo e non solo di soddisfare i loro bisogni materiali. Daremo loro sia il pane, che la Parola.

In secondo luogo, le nostre organizzazioni possono dare un contributo alla Nuova Evangelizzazione semplicemente avvicinando le persone che non hanno fede. Molti hanno un atteggiamento aperto, pur non credendo o avendo una fede debole, e magari già lavorano all’interno delle nostre organizzazioni. In tal modo, l'esercizio della carità può essere di aiuto per la crescita della loro fede, poiché evangelizzazione e diakonia sono collegate. Possiamo chiederci come i nostri organismi possono arrivare ad avvicinare queste persone lontane dalla fede, proponendo loro di collaborare con noi, e così consentendo loro di arrivare a scoprire la comunità ecclesiale e la fede in Cristo.

Ma esiste anche un altro livello, che è la formazione, attraverso il Vangelo, di tutti coloro che sono impegnati nelle organizzazioni caritative. Il Papa parla di "formazione del cuore". Come possiamo evangelizzare all'interno delle nostre organizzazioni, permettendo al Vangelo di permeare i nostri sentimenti e i nostri pensieri, cosicché il nostro operato sia in grado di manifestare agli altri il Signore che ci ha chiamati?

Che cosa possiamo fare all’interno delle nostre organizzazioni affinché, nella vita di coloro che vi lavorano, possano arrivare ad unirsi carità ed evangelizzazione? Le priorità pastorali della Nuova Evangelizzazione devono essere assunte anche dalle nostre organizzazioni, poiché si tratta di organizzazioni ecclesiali.

Un altro aspetto di questa natura ecclesiale è la comunione con i Pastori della Chiesa. Ogni attività caritativa cattolica deve essere portata avanti nella fedeltà alla missione e alla struttura della diocesi locale, in particolare per quanto riguarda il ruolo del Vescovo. Questa comunione ecclesiale è essenziale per la nostra missione.

Il legame con la Chiesa e con la sua missione universale non deve essere percepito come un ostacolo o una limitazione rispetto ai problemi che ci troviamo ad affrontare, ma deve essere inteso come una opportunità, che può favorire lo sviluppo e la piena comprensione della nostra azione caritativa.

(2) La carità cristiana promuove lo sviluppo della persona nella sua totalità

C'è una seconda pista di riflessione della Deus caritas est, che a mio avviso è molto utile per le istituzioni caritative della Chiesa in tutto il mondo, ed in particolar modo per quelle negli Stati Uniti d’America.

L'assistenza caritativa della Chiesa nei paesi occidentali viene spesso portata avanti in stretta collaborazione con i governi e la società civile, e risente necessariamente della loro influenza nei suoi orientamenti.

Pertanto, l’attività caritativa presuppone un alto grado di professionalità, e l’accesso a fondi pubblici richiede alle agenzie di migliorare costantemente la loro strutturazione tecnica. I contratti di lavoro e i piani d'intervento, lo stesso concetto di “sovvenzioni” e la necessità di rendere conto dell'uso cui questi fondi sono stati destinati, richiedono una capacità amministrativa di alta qualità. Non dovremmo lamentarci di questo fatto, poiché "i soccorritori devono essere formati in modo da saper fare la cosa giusta nel modo giusto, assumendo poi l'impegno del proseguimento della cura." (DCE n. 31a).

Tuttavia, per la carità cristiana, questa professionalità può portare con sé un certo pragmatismo, che può comportare una perdita del senso più profondo del dono. Papa Benedetto XVI nella sua Enciclica Deus caritas est, è pienamente consapevole di questo pericolo. Egli, infatti, afferma che "la competenza professionale è una prima fondamentale necessità, ma da sola non basta. Si tratta, infatti, di esseri umani, e gli esseri umani necessitano sempre di qualcosa in più di una cura solo tecnicamente corretta. Hanno bisogno di umanità. Hanno bisogno dell'attenzione del cuore. Quanti operano nelle Istituzioni caritative della Chiesa devono distinguersi per il fatto che non si limitano ad eseguire in modo abile la cosa conveniente al momento, ma si dedicano all'altro con le attenzioni suggerite dal cuore, in modo che questi sperimenti la loro ricchezza di umanità” (DCE n. 31a).

In effetti, l'uomo non può essere parcellizzato: la dimensione pubblica o privata, fisica o psicologica, terrena o celeste, religiosa o profana. Piuttosto, la persona deve essere vista nella sua interezza e integrità di fronte al Padre celeste. Questo è il motivo per cui la carità cristiana è sempre al servizio della persona nella sua totalità, in anima e corpo. Solo attraverso un approccio olistico alla persona si potranno trovare soluzioni che vanno alla radice dei problemi e che aiutano a sviluppare pienamente la sua personalità.

(3) Fonte della carità cristiana è la preghiera

C'è una terza pista di riflessione nella Deus caritas est che ritengo sia fondamentale per l'identità delle organizzazioni caritative della Chiesa. L'amore non può essere donato ai nostri fratelli e sorelle, a meno che non sia stato attinto dalla vera fonte della divina Carità, e ciò può avvenire solo attraverso prolungati momenti di preghiera, l’ascolto della parola di Dio, i Sacramenti e l’adorazione l'Eucaristica, fonte e culmine della vita cristiana.

Il Beato Giovanni Paolo II affermava che “solo una Chiesa che rende il culto e prega può mostrarsi sufficientemente sensibile ai bisogni di chi è malato, sofferente e solo – specialmente nei grandi centri urbani - e dei poveri ovunque essi siano." (Discorso ai Vescovi degli Stati Uniti d’America in visita Ad Limina, 3 dicembre 1983). L'enciclica Deus Caritas est si sofferma sulla "spiritualità" di coloro che lavorano nelle agenzie caritative. “Perciò, oltre alla preparazione professionale, a tali operatori è necessaria anche, e soprattutto, la «formazione del cuore»: occorre condurli a quell'incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l'amore e apra il loro animo all'altro” (DCE n. 31a).

Il servizio verso il nostro prossimo, quindi, esige anche il coinvolgimento del cuore, non nel senso dell’emotività, ma soprattutto nella decisione molto razionale di desiderare ciò che è meglio per l'altro, anche a prezzo del sacrificio di sé. Il Santo Padre è riconoscente a ciascuno di voi, volontari e operatori della carità di Catholic Charities USA, per il vostro servizio e la vostra dedizione ai poveri. Egli vi definisce "un fenomeno importante del nostro tempo" (DCE n. 30b). Come Presidente di Cor Unum, sono profondamente grato a ciascuno di voi che avete contribuito alla missione caritativa della Chiesa negli Stati Uniti: siete un raggio luminoso di speranza in una società spesso oppressa dalle tenebre dell’egoismo. Dedicandovi alla diakonia, assumete su di voi quelle caratteristiche di segno contrario rispetto alla fama, al potere, al rango – tutte caratteristiche che i leader politici ed i loro partiti normalmente rivendicano per se stessi.
Inoltre, il Papa mette in risalto la preghiera come la fonte capace di rinvigorire la fede dell’operatore di carità. Essa è minacciata dall'esperienza dell’"eccesso del bisogno” dell’altro che, come scrive Papa Benedetto XVI, "potrebbe esporlo alla tentazione dello scoraggiamento". Questa esperienza potrebbe poi portare a perdere la fiducia nella provvidenza di Dio, abbandonando ogni speranza di poter risolvere i problemi da affrontare, oppure rischiando di cadere in un arrogante disprezzo per l'essere umano, che alla fine condurrebbe a sacrificare la dignità umana, e a distruggere piuttosto che a costruire. Non è insolito per gli operatori di carità - appartenenti o meno alla Chiesa - avere l’impressione che i tutti i loro sforzi siano inutili.

Papa Benedetto XVI ci insegna invece che il servizio caritativo attinge forza dal pregare il Signore del cielo e della terra. Con lo sguardo rivolto all’attivismo e all’incombente ateismo tipici dei nostri tempi, il Papa insiste ancora una volta sulla necessità di dedicare tempo all’adorazione. Egli lo chiede, in particolare, a coloro che sono “professionalmente” impegnati nel servizio amorevole verso il prossimo. Nella preghiera, il cristiano non ha la pretesa di essere in grado di modificare il piano di Dio o di correggere quanto Dio ha già previsto. Piuttosto, la persona cerca "l’incontro con il Padre di Gesù Cristo, chiedendo a Dio di essere presente con il conforto del suo Spirito in lui e nella sua opera”. Tanto meno la persona si ergerà a giudice di Dio, "accusandolo di permettere la miseria senza provar compassione per le sue creature. Ma chi pretende di lottare contro Dio facendo leva sull'interesse dell'uomo, su chi potrà contare quando l'azione umana si dimostrerà impotente?” (n. 37).


Considerazioni conclusive

In tempi così difficili, restare fedeli alla nostra eredità cristiana è già di per sé una sfida. Ma la nostra identità cattolica può essere veramente la strada maestra verso il rinnovamento e il cammino sicuro su cui raccogliere i frutti duraturi nel nostro lavoro caritativo. Tutto ciò che vi ho detto, è eloquentemente riassunto nell’inno alla carità di S. Paolo, dove egli indica il miglior programma per il nostro lavoro caritativo: “Voi, però, desiderate ardentemente i doni maggiori! Ora vi mostrerò una via, che è la via per eccellenza … Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso, e non avessi amore, non mi gioverebbe a niente. L'amore è paziente, è benevolo; l'amore non invidia; l'amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s'inasprisce, non addebita il male, non gode dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa” (1Cor 12, 30-31; 13, 1-7).

Infatti, la vita dei Santi testimonia che è possibile, con la grazia di Dio, vivere questo amore cristiano. Quanti Santi e Beati ci sono, che hanno amato in questo modo! Le loro opere di carità e di servizio verso i poveri hanno attraversato i secoli. Pensiamo alla missione a favore dell’istruzione e dell’alfabetizzazione dei poveri ed emarginati realizzata da S. Elisabetta Anna Seton, oppure all’instancabile impegno di Santa Francesca Cabrini a favore degli immigrati indifesi, o all’impegno a favore degli indiani americani e degli afroamericani di S. Caterina Drexel. Quando questo inno alla carità viene veramente vissuto nella nostra vita personale e all’interno delle nostre organizzazioni, tutte le nostre attività caritative, realizzate in nome della Chiesa, saranno durature, perché "la carità non avrà mai fine" (1 Cor 13, 8).

Vi ringrazio per la vostra attenzione.


(Cf. L'Osservatore Romano, Ed. italiana, 2 ottobre 2012)

 

 

 

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