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SYMPOSIA


 

 

LETTERATURA E CATTOLICESIMO NEL NOVECENTO:
LA POETICA DELLA FEDE
NEL SECOLO DELLA MORTE DI DIO

28 marzo 2001, Roma, Italia

 

Il 28 marzo 2001, promossa dal Pontificio Consiglio della Cultura e dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Roma, si è svolta la seconda edizione della giornata di riflessione sul tema: Letteratura e cattolicesimo nel ‘900: la poetica della fede nel secolo della morte di Dio.

Rispetto alla prima edizione, che si tenne il 1° febbraio 2000 presso il Pontificio Consiglio della Cultura, è cambiata innanzitutto la sede: la manifestazione infatti si è svolta nel bellissimo complesso dell’Oratorio di San Filippo Neri, adiacente alla Chiesa Nuova, dove risiede oggi la Casa delle Letterature, ufficio recentemente istituito dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Roma e diretto dalla Dott.ssa Maria Ida Gaeta che, a causa della finalità istituzionale propria dell’Ufficio da lei presieduto, ha voluto fortemente ospitare la giornata di riflessione.

A dare il via alla manifestazione, e a dirigerla nel corso della intera giornata, è stato il cardinale Paul Poupard che nel saluto iniziale ha fatto riferimento alla scorsa edizione e a quell’idea originale che, anche per questa seconda edizione, rimaneva, validamente, sullo sfondo: parlare di letteratura e fede attraverso alcune figure di autori significativi del ‘900 per vedere come queste due dimensioni, l’arte e la religione, si siano intrecciate in un secolo comunemente considerato come il più lontano da Dio.

Una seconda edizione è sempre più delicata e problematica della prima, proprio perché, spesso, accoglie dalla prima una pesante “eredità”.

Nell’edizione 2000 erano intervenuti relatori del calibro di Mario Luzi e di Dacia Maraini ed erano stati affrontati grandissimi autori come Mauriac, Claudel, Péguy, Weil, Bernanos, Rebora.

La nuova edizione si presentava, quindi, come una vera e propria sfida. Si può affermare, però, che la sfida è stata accolta e superata. Anche in quest’edizione si è optato, nei limiti del possibile, di scegliere i relatori non solo e non tanto tra critici letterari, quanto invece direttamente tra gli scrittori ed i poeti, proprio a voler sottolineare l’intenzione di non voler tenere una lezione scientifica, asettica, quanto invece di partire dal “cuore”, dalla letteratura così come si incarna concretamente nella vita degli artisti.

Tale indicazione si è rivelata vincente: tra relatore e autore è emersa, ed il pubblico lo ha potuto cogliere immediatamente, una congenialità, un’adesione intima, quasi una “familiarità”. Anche questo è stato il segreto della riuscita di una manifestazione che, nelle intenzioni degli organizzatori, vorrebbe stimolare e sviluppare una riflessione ad un tempo profonda, ma anche semplice e a portata di mano del pubblico più vasto. E il pubblico, anche questa volta molto numeroso per l’intera durata del convegno, ha dimostrato di apprezzare il taglio “personale” delle relazioni, l’approccio “intelligentemente divulgativo” della manifestazione.

Dopo il saluto iniziale e la breve introduzione del Card. Poupard, si sono aperti i lavori veri e propri con la relazione di Giuseppe Manfridi sul tema “La preghiera e il verso nel teatro di T. S. Eliot”. Eliot era uno dei “classici” che non si era riusciti ad inserire nell’edizione del 2000: Manfridi, con una splendida riflessione, ha riparato a questa “ingiustizia”. Drammaturgo di chiara fama internazionale, Giuseppe Manfridi ha scelto di concentrare la sua attenzione sul teatro di Eliot ed in particolare su “Cocktail party”. La sua scelta nasce proprio dall’essere lui stesso un autore di teatro, una persona quindi che, dal di dentro, si è confrontato con la figura e l’arte di un autore dello spessore di Eliot. Questa vicinanza tra relatore ed autore ha reso la riflessione di Manfridi una delle più intense ed interessanti del convegno.

Dalla religiosità di Eliot alle provocazioni di Gide. Antonio Debenedetti, noto critico letterario, e soprattutto romanziere di grande successo, si è assunto pienamente il compito (e il rischio) di portare un autore controverso come Gide all’interno di una giornata di riflessione su fede e letteratura e lo ha fatto “alla Gide”, in modo appunto provocatorio, a partire dal titolo: “Gide, o l’impossibilità di stupire Dio”. Non si può comprendere la grandezza di Gide senza considerare il suo rapporto con Dio e con il cristianesimo. Partendo da questo punto di osservazione Debenedetti ha “deliziato” il pubblico con la sua profonda conoscenza dell’opera e della vita di Gide, con la sua erudizione curiosa, ricca di aneddotica, mai sterile o fine a se stessa, ma sempre invece vivificata da una intelligenza incalzante, da una chiara visione di insieme.

Gide è stato l’unico autore francese (dopo la ricca “infornata” della scorsa edizione) di questa giornata di riflessione che invece ha parlato più la lingua italiana e quella inglese.

Dopo Debenedetti, Gioacchino Lanza Tomasi ha affrontato un altro autore “difficile”, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, di cui è nipote e figlio adottivo. La sua riflessione si è incentrata sul capolavoro di Tomasi, “Il Gattopardo”, di cui Lanza ha sottolineato “un’ulteriore valenza contempo­ranea: la possibile riconciliazione fra Chiesa e pensiero liberale”. Anche qui la vicinanza, anzi la “familiarità” esistente tra autore e relatore è stata molto apprezzata dal pubblico presente in sala. Dall’isola siciliana a quelle lontanissime del Giappone. Il padre gesuita Ferdinando Castelli, ormai da decenni critico letterario de La Civiltà Cattolica, ha esaminato l’opera di Shusaku Endo, poeta e romanziere cattolico, definito il “Graham Greene del Giappone”. Il titolo della relazione di P. Castelli è quanto mai eloquente: “Quando la letteratura interpella la teologia: Shusaku Endo”. Con questa relazione abbiamo toccato il cuore del tema dell’intera manifestazione. Prima della pausa prevista per il pranzo, la scrittrice Elisabetta Rasy ha affrontato l’opera della scrittrice cattolica americana Flannery O’Connor, che ha volutamente definito “l’eccezione aurea”. Una scrittrice, specialmente di racconti, certamente e fortemente cattolica, però mai tranquillizzante, mai rassicurante. La Rasy, attingendo copiosamente nell’epistolario della O’Connor, recentemente pubblicato in Italia, ha tracciato un ritratto della scrittrice preciso, partecipato e vibrante.

La stessa “partecipazione” si è avvertita nella relazione dello scrittore romano Giorgio Montefoschi, che ha scelto per la sua riflessione svolta “in parallelo” tra due celebri romanzi: “Il potere e la gloria” di Graham Greene e “Ritorno a Brideshead” di Evelyn Waugh. Lo spunto preso da questi due grandi libri è servito a Montefoschi per ragionare sul tema, quanto mai “cattolico”, del peccato e della grazia.

Su un versante molto vicino si è spinta anche la riflessione del giovane Antonio Spadaro, padre gesuita, anch’egli critico letterario de La Civiltà Cattolica come il più anziano Castelli. La sua relazione, dal titolo “Pier Vittorio Tondelli: l’esigenza del ritorno”, ha messo al centro un autore controverso e contemporaneo ed ha catturato l’attenzione dei molti giovani presenti tra il pubblico. Dopo Tondelli altre tre relazioni hanno mantenuto il “timone” della riflessione fisso sull’Italia: il giornalista e scrittore Lorenzo Mondo ha parlato di Cesare Pavese, il critico Arnaldo Colasanti di Giovanni Pascoli e l’accademico Giulio Ferroni del “Vangelo senza fine: «Il quinto evangelio» di Mario Pomilio”. Tre dotte ed interessanti riflessioni che hanno condotto la manifestazione verso la conclusione, che si è avuta solo dopo la relazione del giornalista Andrea Monda su “Chesterton ed il suo «gigantesco segreto»Â”. Con l’aiuto di alcune diapositive, Monda ha illustrato la “cifra”, chiaramente cattolica, dell’opera e della vita del grande scrittore ed umorista inglese, autore dei racconti polizieschi di Padre Brown.

Oltre le undici relazioni, durante la giornata di riflessione si è sviluppato anche un interessante dibattito tra il pubblico ed i relatori. In particolare E. Rasy e P. Castelli hanno osservato come in Italia ci sia stata una “rimozione” del cattolicesimo dall’ambito artistico e culturale, come se l’appartenere a tale confessione precludesse necessariamente dall’essere artisti, scrittori, poeti.

Secondo P. Castelli una delle cause di questo fenomeno è da addebitarsi all’eredità, nel campo della critica, della lezione di Francesco De Sanctis e di Benedetto Croce.

Un altro argomento affrontato nel dibattito è stato quello del “canone letterario”, cioè dell’elenco dei libri che una civiltà sceglie come fondamentali ed ineludibili.

Su questo tema ha osservato P. Spadaro che in Italia, a partire dai manuali scolastici, vi sono delle particolari assenze e lacune: manca totalmente il genere mistico (ad esempio S. Caterina da Siena) così come l’osceno (ad esempio Pietro l’Aretino).

La viva discussione che si è aperta su questi due temi sicuramente sarà ripresa nella terza edizione della manifestazione, edizione che, visto il successo ottenuto (sia di pubblico che di attenzione riservata dai mass media), si terrà, certamente, nella primavera del prossimo anno.

             Andrea Monda
             giornalista

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The Pontifical Council for Culture and the City of Rome Cultural Department sponsored a day of reflection on 28th March 2001, the second on the theme Literature and Catholicism in the Twentieth Century: The poetics of faith in the century of the death of God. It was decided that those invited to speak should be mainly writers and poets, rather than literary critics. Besides the eleven talks given during the day, there was also a lively debate between the speakers and their audience.

Le 28 mars 2001, à l’initiative du Conseil Pontifical de la Culture et du Département de la Culture de la Communauté urbaine de Rome, a eu lieu la deuxième édition de la journée de réflexion sur le thème : Littérature et Catholicisme au XXe siècle : le poétique de la foi au siècle de la mort de Dieu. L’option avait été de choisir les rapporteurs non seulement, et non pas tant, parmi les critiques littéraires, mais plutôt directement parmi les écrivains et les poètes. Outre les onze relations, un débat intéressant a eu lieu entre le public et les rapporteurs tout au long de la journée de réflexion.

El 28 de marzo de 2001, promovido por el Pontificio Consejo de la Cultura y por el Departamento de Cultura de la Alcaldía de Roma, se ha desarrollado la segunda edición de la jornada de reflexión sobre el tema: Literatura y catolicismo en el siglo XX: la poética de la fe en el siglo de la muerte de Dios. Se optó por escoger los relatores, no sólo y no tanto entre los críticos literarios, cuanto entre escritores y poetas. Además de las once relaciones, durante la jornada de reflexión ha tenido lugar un interesante debate entre público y relatores.

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MISSION ET MOYENS D’ACTION
DES
Centres Culturels Catholiques
DANS
LE BASSIN MÉDITERRANÉEN ET AU MOYEN-ORIENT

2-7 avril 2001, Fatqa, Liban

Le Conseil Pontifical de la Culture, en collaboration avec la Commission pour l’Éducation, Section université, de l’Assemblée des Patriarches et des Évêques catholiques du Liban (A.P.E.C.L.) a organisé un Colloque pour les Directeurs des Centres Culturels Catholiques des pays du Bassin méditerranéen et du Moyen-Orient. Le Colloque s’est tenu à Fatqa, au Liban, du 2 au 7 avril 2001.

Les participants étaient au nombre de 41, provenant des pays suivants : Liban, Irak, Syrie, Turquie, Jordanie, Jérusalem, Égypte, Libye, Tunisie, Algérie, Maroc, Mauritanie, Grèce, Autriche, Italie, France et Espagne. Le Cardinal Paul Poupard était accompagné par l’Abbé Peter Fleetwood et le Père Laurent Mazas.

Ce Colloque constituait l’ultime étape d’un itinéraire commencé en octobre 1993 à Chantilly, où s’étaient réunis pour la première fois des représentants des Centres Culturels Catholiques du monde entier. Lors de cette rencontre de Chantilly, était apparue la nécessité de renforcer les liens entre les Centres déjà existants et d’encourager les Conférences épiscopales à promouvoir la fondation de nouveaux Centres. La publication d’une liste des Centres Culturels Catholiques – la deuxième édition date de 1998 – montre que l’Église catholique s’est engagée avec une très grande créativité dans le dialogue entre foi et culture, à de multiples niveaux, et de manières très diverses.

Par la suite, une première réunion des Centres Culturels Catholiques d’Europe Centrale et Orientale s’est tenue à Munich, en Bavière, en mai 1996. A cette occasion, les responsables des Centres exprimèrent le besoin de recevoir des suggestions pour orienter leurs activités.

Quinze jours plus tard, les Directeurs des Centres d’Europe méridionale se rencontraient à Barcelone. Les participants relevèrent la complexité du concept de « Centres Culturels Catholiques », et mirent en lumière la nécessité d’accorder une grande attention aux Centres de la région méditerranéenne. Il fut par conséquent projeté d’organiser un Colloque impliquant des Centres d’Afrique du Nord et du Moyen Orient, ce qui se fit, au commencement d’octobre 1998, à Bologne. Les changements culturels de tous les pays du bassin méditerranéen, causés principalement par les grandes migrations, ont occupé une grande partie de cette réunion, où il fut décidé de travailler avec plus d’audace, mais toujours avec humilité, dans ce qu’on appelle les « missions apostoliques des frontières ».[1]

Le Père Antoni Matabosch, Directeur de la Fundació Joan Maragall, Centre Culturel Catholique de Barcelone, retraça cet itinéraire, de Chantilly à Bologne, lors de la première session du Colloque de Fatqa. En résumant le contenu de la rencontre de Bologne, il souligna deux nouveaux dangers qui apparaissent dans la région méditerranéenne : une nouvelle violence et de fortes réactions. Ces phénomènes s’insèrent dans un contexte d’émigration très important, principalement des musulmans vers l’Europe. Le conférencier insista aussi sur la richesse que représentent pour l’Église les Centres Culturels Catholiques, et leur grande diversité. Il souligna que les amitiés nouées dans les réunions précédentes montrent combien il est important de continuer cette série de colloques.

Les développements consécutifs à la réunion de Bologne ont été présentés par le Docteur Georges Sfeir. Ainsi, la culture apparaît vraiment comme un terrain privilégié et fécond de rencontre et de dialogue. Les Centres Culturels Catholiques se doivent de tenir compte de trois éléments essentiels : l’accueil, le retour aux sources, tant de la foi que de la culture, le témoignage. Ils peuvent aussi être des lieux de divulgation des enseignements du Magistère, comme par exemple sur le thème de la paix, avec le Message du Saint-Père pour le 1er janvier 2001, dans lequel Jean-Paul II a repris, avec un regard chrétien, le thème choisi par les Nations-Unies pour cette année 2001. Un autre exemple est donné par la Commission pour le Patrimoine culturel de l’APECL : celle-ci a développé, dans le sillage du Colloque de Bologne, un programme de tourisme culturel incluant une dimension religieuse. Concrètement, les participants au Colloque ont été invités à deux sorties de groupe organisées par cette Commission. Le vœu a été formulé d’étendre cette initiative à toute la région.

L’Abbé Peter Fleetwood, du Conseil Pontifical de la Culture, a expliqué aux participants l’itinéraire proposé pour ce Colloque. En invitant chacun à entreprendre ensemble un « voyage » vers une compréhension plus profonde de la nature des Centres Culturels Catholiques et de leurs moyens d’action, il a proposé une image pour illustrer la réalité complexe de la Méditerranée : la mosquée située à la Pointe de l’Europe au détroit de Gibraltar. Ce splendide édifice symbolise, pour celui qui regarde l’Europe depuis l’Afrique, un accueil où, désormais, l’Islam est « chez lui », et il symbolise en même temps le malaise qui peut être ressenti face aux conséquences inconnues de ce flux migratoire qui change inévitablement la physionomie de l’Europe. La vision pessimiste de l’avenir de la région méditerranéenne faite par certains analystes peut sembler exagérée, mais il est vrai que la diversité culturelle y est vécue difficilement. Le Saint-Père a défini les Centres Culturels Catholiques comme des lieux d’écoute, de respect et de tolérance[2]. Ceux-ci peuvent jouer un rôle décisif dans le contexte de la Méditerranée, et leur action sera facilitée si les membres de ces Centres nouent de profondes amitiés et collaborent positivement, ce qui est l’objectif avoué de ces Colloques. Les participants eux-mêmes peuvent contribuer à l’approfondissement de la perception de ce qu’un Centre Culturel Catholique peut être, et à développer une créativité qui multiplie les moyens d’action à leur disposition.

Dans son discours d’ouverture, le Cardinal Paul Poupard a rappelé, à la suite de Jean-Paul II, que « l’homme est la route de l’Église », et que l’homme n’accède pleinement à l’humanité que par la culture, domaine si vaste qu’il doit être toujours ouvert à la puissance salvatrice du Christ[3]. Pour le Cardinal, il n’est pas surprenant que la vision innovatrice du Concile n’ait pas encore été suffisamment assumée par l’Église. C’est précisément pour cela que le Conseil Pontifical de la Culture encourage les Conférences épiscopales, les Diocèses, et même les paroisses à créer de nouveaux Centres Culturels Catholiques[4]. La diversité culturelle de la Méditerranée ne doit pas effrayer, ni ne doit cacher l’unité profonde de tous les peuples de la région ; bien plutôt, elle doit stimuler ceux qui sont engagés dans le dialogue entre foi et culture à trouver, dans la rencontre entre le Christ et la Samaritaine, un modèle de pédagogie et d’attitude bienveillante envers ceux qui sont différents. Ce n’est que de cette manière que l’Évangile peut s’inculturer, et la culture être évangélisée.

Les interventions des participants étaient suivies d’un temps de réflexion dans des groupes de travail. Quelques points saillants sont ressortis des discussions.

Le discours d’orientation de Monseigneur Werner Freistetter a mis en lumière les éléments du concept de « Centre Culturel Catholique ». Ils sont comme un centre de gravité dans un champ d’énergie, où les personnes constituent la part la plus significative : en pleine communion avec l’Église, ils développent un discours qui n’est pas théorique, mais qui naît d’une confrontation critique avec les valeurs dominantes. Bien qu’ils ne soient pas institutionnellement des lieux de première évangélisation, ils sont toutefois à l’avant-garde de la mission de l’Église.

Les participants ont souligné la nécessité d’afficher une position claire face à la culture ambiante. Pour certains, cependant, tel contexte particulier ne permet pas l’usage explicite du mot « catholique » ; d’autres, au contraire, ont des expériences très différentes, et la situation n’est pas la même en Afrique du Nord et au Moyen-Orient. De plus, les notions de dialogue et de tolérance sont appréhendées d’une manière radicalement différente selon les lieux, ce dont on est obligé de toujours tenir compte. La rencontre avec les autres personnes et cultures devient efficace si elle est basée sur l’écoute, c’est-à-dire sur notre respect de l’autre, le laissant libre de s’exprimer : ainsi, nous voyons mieux si le langage que nous utilisons est adapté ou non.

Dans certains pays, les chrétiens subissent des pressions de toutes sortes et sont toujours moins nombreux. Leur contribution culturelle est quasi inexistante, ou simplement pas admise. En certaines situations, la religion de l’autre est utilisée pour justifier des actes discriminatoires. La peur de l’autre, de l’inconnu, demeure un obstacle énorme : aussi, beaucoup ont souligné le rôle indispensable de l’éducation dans le travail des Centres. La réussite des initiatives artistiques et musicales démontre que, par le moyen de l’art et la beauté, un public considérable peut être atteint, et non pas seulement une élite intellectuelle.

Deux interventions ont été faites par des personnalités musulmanes. Madame Raja Makki, musulmane chiite, travaillant dans le domaine de la psychologie sociale, a présenté les résultats d’une enquête faite auprès de jeunes étudiants, à partir de la question : « Qu’est-ce que les musulmans peuvent attendre d’un Centre Culturel Catholique ? ». Elle a découvert que peu connaissent effectivement le monde des catholiques, et elle a été surprise de constater que beaucoup oublient la récente guerre. Parmi tout ce qui empêche la connaissance réciproque, apparaît la suspicion que l’activité des Centres soit une forme de prosélytisme. A partir de cette étude, Madame Makki a proposé les éléments d’un programme éducatif, avec notamment des rencontres fréquentes des jeunes chrétiens et musulmans. Le Ministre de la Culture du Liban, Monsieur Ghassan Salame, a quant à lui répété avec insistance que le dialogue culturel n’est pas une option. Il discerne différents éléments indispensables à tout dialogue, avec l’obligation de reconnaître la légitimité de la diversité culturelle, et le courage de la persévérance car, précise-t-il, il y a de fortes chances que celui qui s’y engage soit transformé. En reconnaissant qu’il est périlleux d’identifier une religion à une ethnie, le ministre a insisté en disant qu’il n’est pas juste d’attendre un soi-disant « moment opportun », avec le risque que celui-ci ne vienne jamais.

En marge des travaux du Colloque, les participants sont allés rencontrer le Patriarche Sfeir, avant de se rendre au Sanctuaire de Notre-Dame du Liban, à Harissa. Les soirées ont été occupées par une présentation d’initiatives dans la pastorale universitaire à Beyrouth, un soir, et des membres de la Commission pour les Biens culturels de l’APECL sont venus présenter leurs activités un autre soir. Enfin, l’eucharistie a été célébrée chaque jour dans un des différents rites des participants au Colloque.

Le Colloque s’est achevé avec la présentation de quelques conclusions, ou tout du moins par un résumé des travaux. En effet, il est difficile de transmettre la richesse de tout ce qui a été vécu et partagé avec les conférences, les carrefours et tout ce qui a entouré le Colloque. Une atmosphère conviviale et un climat de confiance ont notamment permis à chacun de mieux appréhender les situations des chrétiens des autres pays, avec par exemple l’inquiétude de l’Église du Maghreb pour son futur, le sentiment d’abandon des chrétiens palestiniens, et le désarroi des Églises d’Irak et du Liban face à l’émigration de leurs fidèles. Certes, un Colloque comme celui de Fatqa permet de faire de nouvelles suggestions, d’encourager à une ouverture respectueuse à l’égard de l’autre – d’où l’importance, en certains Centres, du dialogue interreligieux et de l’œcuménisme. Il leur revient d’utiliser les moyens les plus adaptés à la situation locale, et tenir compte, autant que possible, de l’apport des techniques de la communication. Il est aussi important de rechercher un langage utile, notamment pour l’éducation des jeunes.

Voici les propositions présentées au terme du Colloque :

  • ériger un Conseil régional de la Culture ;

  • créer une revue électronique régionale ;

  • connaître et exploiter le patrimoine culturel de chaque région ;

  • répondre à l’appel des Églises du Maghreb adressé aux Églises du Moyen-Orient ;

  • réfléchir sur la question de la place des femmes dans la société et dans l’Église ;

  • étudier les questions posées par l’émigration et l’immigration.

Voici en quels termes les participants ont conclu les travaux : « Nous constatons que nos Centres sont souvent au carrefour de multiples tensions. Il nous revient d’exploiter la dynamique de la créativité et du dialogue. Nous nous réjouissons déjà de la vitalité des expériences transmises et de l’enthousiasme des participants. Voilà pourquoi nous fondons notre espérance sur le Christ qui nous réunit et nous envoie de nouveau, avec la force de l’Esprit-Saint, au cœur de toutes les cultures. »

Abbé Peter Fleetwood
Conseil Pontifical de la Culture

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The Pontifical Council for Culture and the universities section of the Education Committee of the Assembly of Catholic Patriarchs and Bishops in Lebanon (A.P.E.C.L.) jointly organised a seminar on the theme Catholic Cultural Centres in the Mediterranean Basin and the Middle East: their Mission and their Resources. The seminar was aimed at those already working in Catholic cultural centres and people who intend to become involved, and it took place at Fatqa, in Lebanon, from 2nd to 7th April 2001. There were 41 participants from 22 countries.

Il Pontificio Consiglio della Cultura ha organizzato, in collaborazione con la Comissione per l’educazione, sezione università, dell’Assemblea dei Patriarchi e dei Vescovi cattolici del Libano (A.P.E.C.L.), un Colloquio per i Direttori dei Centri Culturali Cattolici deo Paesi del Bacino Mediterraneo e del Medio Oriente, su Missione e mezzi d’azione dei Centri Culturali Cattolici nel Bacino mediterraneo e nel Medio Oriente. Il Colloquio si è tenuto a Fatqa, Libano, dal 2 al 7 aprile 2001 con la partecipazione di 41 persone.

El Consejo Pontificio de la Cultura, en colaboración con la Comisión para la Educación, Sección Universidad, de la Asamblea de Patriarcas y Obispos Católicos del Líbano (A.P.E.C.L.) ha organizado un Coloquio para los Directores de los Centros Culturales Católicos de los países de la Cuenca Mediterránea y Oriente Medio sobre la Misión y medios de acción de los Centros Culturales Católicos en la cuenca Mediterránea y Oriente Medio. El Coloquio tuvo lugar en Fatqa, Líbano, del 2 al 7 de abril de 2001, con la participación de 41 personas.

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L’EUROPE. VERS L’UNION POLITIQUE ET ÉCONOMIQUE
DANS LA PLURALITÉ DES CULTURES

15-16 mai 2001, Bucarest, Roumanie

Dans le débat actuel sur l’Europe et son processus d’unification en cours en Europe occidentale depuis la fin de la seconde Guerre mondiale, la dimension culturelle est considérée avec une grande attention.

Dans ce contexte, le Conseil Pontifical de la Culture, en collaboration avec la Fondation Konrad Adenauer, a réuni dans la capitale de la Roumanie, Bucarest, les 15 et 16 mai 2001, une trentaine de personnalités du monde de la culture et de la politique, sous la présidence du Cardinal Poupard et en présence d’un représentant du Patriarche de l’Église Orthodoxe Roumaine.

La note fondamentale des échanges d’idées a été celle de la « diversité », avec des harmoniques particulières : ouverture, communion de valeurs, unité du continent européen. Par conséquent, unité non dans un sens exclusif, mais au service des citoyens de l’Europe, pour garantir à tous et à chacun des conditions de vie vraiment humaine.

En ce sens, il convient d’imprégner de culture le dialogue politique et économique, pour lui donner une caractéristique humaine. En fait, l’Europe est la patrie de la personne humaine et, par là, des droits de l’homme, vocation concrétisée de nos jours par la Convention des Droits de l’Homme du Conseil de l’Europe et de la Cour de Justice de Strasbourg.

Dans les derniers développements de l’Union Européenne, s’est révélée une certaine tendance à dissimuler, sinon à supprimer toute référence religieuse de l’identité culturelle des personnes et des communautés, ce qui revient à nier le christianisme comme élément fondateur de l’unité dans la diversité des cultures qui constituent la richesse du continent européen.

A ce propos, les participants ont insisté à plusieurs reprises sur la question des rapports entre Nation et État, affirmant que l’État est, par vocation, garant du bien commun de la Nation, de la mémoire des valeurs fondamentales. A cette condition, l’Europe pourra devenir le milieu de vie dans lequel chacun pourra être soi-même, en dialogue avec ses semblables, dans le respect des différences, et ainsi humaniser l’ethos du continent.

Si l’Europe s’affirme aujourd’hui comme une réalité, non seulement politique et économique mais culturelle, c’est le résultat d’une prise de conscience de l’Europe intégrée, communauté de valeurs qui demande la coopération et l’accord réciproque à tous les niveaux de relation, communauté fondée sur une communion de conscience, enracinée dans les valeurs communes reconnues et acceptées.

Faire que l’Europe prenne conscience de sa richesse et de sa diversité culturelle représente un défi pour l’unité politique des États qui la composent. Les interrogations qui touchent les Nations, les minorités éthiques et culturelles, posent la question d’une culture de la paix et de la solidarité. En effet, l’Europe est une réalité extraordinaire qui ne peut plus être comprise en dehors d’une fraternité qui embrasse toute la vie humaine, religieuse, culturelle, politique, sociale et économique, appelée à s’ouvrir à la mesure de la fraternité chrétienne.

Par son histoire récente, l’Union Européenne est fortement tributaire des obligations qui se sont imposées à ses fondateurs au lendemain de la Seconde Guerre Mondiale. Les participants à la rencontre, ont fait ressortir la nécessité, aujourd’hui, de ne pas mettre en opposition le culte des valeurs à la réal politique, trop souvent diabolisée, parce que « Si nous avions commencé par la culture, probablement il n’y aurait pas d’Union Européenne ».

L’accent mis à plusieurs reprises sur les transformations de l’Europe depuis 1989, a mis en évidence la nécessité d’une pédagogie qui accompagne le passage d’un système politique oppressif à un système de liberté qui présuppose initiatives et, par-dessus tout, responsabilité.

Une conviction émerge : la construction de l’Europe doit partir de la personne humaine. Ceci implique des étapes dans la réalisation des conditions requises pour les pays candidats à l’intégration soit au sein du Conseil de l’Europe, soit au sein de l’Union Européenne. Ce caractère proprement humain de la culture qui caractérise l’Europe, implique une promotion de l’éducation et une conscience réciproque des diverses communautés, par-dessus tout des communautés minoritaires, et impose une culture de la solidarité, afin que le rideau de fer ne soit pas remplacé par un rideau économique.

L’Union Européenne est construite sur le fondement des valeurs que sont l’individu et sa liberté, mais les États qui la composent, sont aux prises avec bien d’autres défis, comme par exemple, la dimension supranationale des décisions politiques et économiques. Une éducation profondément enracinée dans son propre patrimoine culturel est donc nécessaire, pour développer les identités et, dans le même temps, les former au dialogue. L’Europe peut déplorer avec raison la dilution des identités, le régionalisme exacerbé et les intégrismes culturels. Le rapport État-Nation met en évidence la difficulté de rapprocher des communautés culturelles souvent fragmentées, alors que la pluralité des cultures se révèle être l’une des caractéristiques fondamentales de l’Europe.

Les États ont besoin de rapports, de coopérations, d’unions qui ne soient pas seulement économiques. En ce sens, la coopération culturelle permet déjà de préfigurer l’Europe future. L’instauration de dialogues politiques et culturels a permis aux pays les plus divers, et spécialement à ceux qui furent soumis aux dictatures du XXe siècle, d’entrer dans un monde qui leur était étranger, spécialement en ce qui regarde les rapports entre l’État et les citoyens.

La question de l’intégration culturelle se pose en termes nouveaux avec l’immigration massive de personnes en provenance des autres continents, avec des cultures qui n’ont pas de racines en Europe, mais l’histoire nous rappelle ce que nos cultures doivent à l’intégration de cultures étrangères au long des siècles. Ceci ne supprime pas le péril lié à l’indifférence causée par l’individualisme ou au nationalisme étroit, ni le péril né de la confusion engendrée par le multiculturalisme.

Une fracture plus ou moins profonde s’est instaurée dans le processus de transmission de la culture et de la foi aux jeunes des dernières décennies. Devant ce défi, les participants au Colloque ont souligné la place et le rôle vital de l’art dans la formation des jeunes, parce que l’art est un des milieux dans lequel se manifeste le mystère qui est au cœur de la foi chrétienne : l’Incarnation, qui féconde la culture.

Un fait s’impose : il n’y aura pas d’Europe tant que les Européens ne prendront pas conscience de ce que cela signifie. De ce fait, l’objectif essentiel consiste en premier lieu à poser la question de l’identité et de la finalité de l’Europe, et, ensuite, à en faire prendre conscience le plus largement possible. Tout ceci met au premier plan l’importance de l’éducation et des nouveaux moyens offerts par les nouvelles technologies de l’information.

A douze ans de la chute du mur de Berlin et des révolutions des années 90, l’expérience vécue dans les pays à hégémonie marxiste laisse des traces profondes et nombreuses. Le dialogue culturel y apparaît plus nécessaire que jamais, parce qu’accepter un passé récent, souvent tragique, représente une épreuve difficile à dépasser. Un des participants n’hésita pas à déclarer : « Il ne suffit pas de changer les conditions de vie et de travail pour effacer les effets de 50 ans de lavage de cerveau ».

Face au vide idéologique, la responsabilité des chrétiens n’est pas une option ! L’exemple de l’Ukraine a démontré, au cours des dernières années et dans toute son étendue, le poids tragique de l’histoire, l’ignorance culturelle et religieuse, et la grande préoccupation des jeunes de dépasser les contrastes formels pour aller à l’essentiel : l’annonce de la Bonne Nouvelle.

Les transformations politiques de l’Europe, au lendemain de la Première Guerre Mondiale, et surtout de la Seconde Guerre Mondiale, ont profondément influencé la politique culturelle d’une organisation comme le Conseil de l’Europe. Avec la chute de l’empire soviétique se sont ouvertes des perspectives nouvelles, notamment la considération de la diversité culturelle et des droits culturels, même si ce dernier domaine demeure encore trop souvent une plate-forme de déclarations, plutôt qu’un moyen de changer les mentalités. Il est important de souligner la singulière efficacité de la coopération culturelle transfrontalière entre les pouvoirs locaux et régionaux et, en particulier, certains programmes du Conseil de l’Europe, comme les itinéraires spirituels.

Face à la désillusion de l’athéisme, l’anticléricalisme, le laïcisme radical et le sécularisme ambiant, le « paganisme tranquille », l’indifférence, sont sans aucun doute les menaces actuelles les plus inquiétantes. Par conséquent, à partir de la culture que nous avons reçue, nous nous devons de construire la culture de demain. C’est le défi d’un réveil créatif des chrétiens, pour donner une âme à la société moderne.

L’évolution positive des jeunes générations est porteuse d’espérance. Du reste, même la recherche de sens est pour tous un défi, celui de la formation et de l’éducation. Dans le contexte de ce colloque, dédié à l’Europe et, au lendemain du Grand Jubilé de l’an 2000, en cette époque paradoxale, la redécouverte de la dimension religieuse de la vie humaine est un rappel à tous les chrétiens, catholiques, orthodoxes, issus de la réforme luthérienne, à être témoins et témoins crédibles, parce qu’authentiques, de la Bonne Nouvelle pour tous les citoyens de l’Europe.

P. Bernard Ardura O.Praem.
Secrétaire du Conseil Pontifical de la Culture

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Europe is moving with ever increasing speed towards political and economic unity, along a road lined with cultural challenges. Many wonder about the fate of different cultures in a globalising world. What are the greatest challenges? What are the most urgent decisions to make? What is the best way to get involved? The Pontifical Council of Culture and the Konrad Adenauer Foundation set up an international seminar to help people to face these and other similar issues. The seminar, entitled Europe on the road to political and economic union in a situation of cultural diversity, brought together 29 experts in Bucharest on 15th-16th May 2001.

Nombreux sont les défis culturels lancés à l’Europe, qui progresse toujours plus rapidement sur la voie de l’unité politique et économique. Beaucoup s’interrogent sur l’avenir de la pluralité des cultures dans le monde de la globalisation. Y a-t-il de plus grands défis ? Quelles sont les mesures les plus urgentes à prendre ? Quelle est la manière la plus adaptée pour s’en occuper ? Pour réfléchir sur ces questions et d’autres semblables, le Conseil Pontifical de la Culture a organisé, en collaboration avec la Fondation Konrad-Adenauer, un Colloque international avec la participation de 29 personnalités, sur le thème général de L’Europe. Vers l’union politique et économique, dans la pluralité des cultures, qui s’est tenu à Bucarest, les 15 et 16 mai 2001.

Los desafíos culturales que debe afrontar una Europa lanzada hacia la unidad política y económica, no son de poca monta. Muchos se preguntan por el futuro de la pluralidad de culturas en el mundo de la globalización. ¿Cuáles son los principales desafíos? ¿Qué medidas hay que tomar? ¿Cuál es el modo adecuado de nuestro compromiso? Para abordar estas y otras cuestiones semejantes, el Pontificio Consejo de la Cultura ha organizado, en colaboración con la Fundación Konrad Adenauer, un Coloquio Internacional con la participación de 29 personalidades, sobre Europa: hacia la unión política y económica, en la pluralidad de las culturas, celebrado en Bucarest, el 15-16 de mayo 2001.

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I CENTRI CULTURALI CATTOLICI:
UN SERVIZIO CRISTIANO PER L’IDENTITÀ CULTURALE
 E PER IL DIALOGO TRA LE CULTURE

17-20 maggio 2001, Şumuleu Ciuc, Romania

Il Pontificio Consiglio della Cultura ha organizzato un Colloquio Internazionale dedicato ai Centri Culturali Cattolici dell’Europa Centrale ed Orientale, dal 17 al 20 maggio scorso, nella città di Miercurea Ciuc, in Romania. Ospiti del Centro Jakab Antal e dell’Arcivescovo di Alba Iulia, trentasette partecipanti, rappresentanti ben 20 Paesi, hanno dedicato i loro lavori al tema: I Centri Culturali Cattolici, un servizio cristiano per l’identità culturale e per il dialogo tra le culture.

Dai lavori dell’incontro sono emerse convinzioni ed orientamenti significativi per la nuova evangelizzazione in questa parte del Continente europeo, profondamente segnata dalle crudeli vicende del secolo XX e, tuttora, dalle loro profonde e dolorose conseguenze economiche, politiche, culturali e religiose.

Nelle sue forme più variegate, un Centro Culturale Cattolico è anzitutto un areopago, un forum aperto a tutti gli ambienti e a tutti gli argomenti, in cui i cattolici impegnati si propongono di illuminare i campi presi in considerazione con la luce del Vangelo di Cristo, Buona Novella per tutti gli uomini nelle loro culture.

Questo presupposto colloca il Centro Culturale Cattolico nel cuore dell’umanesimo cristiano, quindi nei valori che scaturiscono dalla fede cristiana, per mettere in rilievo la dimensione irrinunciabile della persona umana e avviare un dialogo interculturale fondato sui valori evangelici, nella continua ricerca della Verità.

Secondo i partecipanti, il patrimonio culturale può, in molte situazioni particolari dell’Europa Centro-Orientrale, consentire un dialogo tuttora impossibile a causa delle divisioni confessionali. Anzi, questo patrimonio è un elemento essenziale nel processo di educazione ad una vita veramente umana. La Costituzione Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II ci rammenta: “L’uomo vive una vita veramente umana grazie alla cultura”.

Nelle varie situazioni dell’Europa Centro-Orientale emerge la necessità di preparare bene i formatori di domani, sacerdoti e laici. Infatti, i presenti all’incontro sperimentano l’importanza sia della serietà dell’impegno culturale, sia della qualità dei rapporti fra le persone. In questo senso, si può affermare che nel cuore di ogni Centro Culturale Cattolico ci sia un numero, anche molto modesto, di persone che offrono la testimonianza di un’autentica comunione cristiana.

Le istituzioni sono necessarie perché la realtà possa durare, ma il Centro Culturale Cattolico è, prima di tutto, un punto di riferimento al Vangelo di Cristo, che la comunità locale intende testimoniare con semplicità e cordialità, fedeltà e amore. Per questo, occorre scuotere dall’indifferenza spesso dovuta all’ignoranza, all’insufficiente conoscenza dell’altro, se non alla diffidenza, talvolta tramandata da secoli.

Le molteplici forme d’attività dei Centri, riuniti in questa occasione in Romania, sono una grande ricchezza per la Chiesa, per la società, per la promozione dell’unità dei cristiani e per il dialogo interreligioso.

Fra le numerose attività svolte nei vari Centri, si nota l’importanza dei mezzi di comunicazione, dal libro all’internet, dall’editoria alla biblioteca, dal cinema alla televisione, senza dimenticare altri modi d’incontro: l’arte, specialmente il teatro e le mostre, ma anche le immense possibilità offerte dalla grande varietà delle formule possibili: Festival, Premi, ecc., senza dimenticare le arti figurative che possono favorire il dialogo con gli artisti.

Tutti concordano nell’osservare che la fede, se separata dall’intelligenza e dalla ragione, viene estromessa dalla cultura e dal mondo della comunicazione. Pertanto, in qualche modo, e ognuno secondo le proprie competenze, il Centro Culturale Cattolico si propone di aiutare i credenti a diventare capaci di rendere conto della loro fede, non solo a parole, ma con la testimonianza personale e comunitaria, perché la fede non si riduca ad essere una mera opinione. Quindi, occorre mostrare la razionalità della fede cristiana e la sua armonia con la dignità della persona umana. Nessun problema del nostro tempo, dall’atteggiamento verso le persone anziane al rispetto della natura e dell’ambiente, è fuori della missione dei Centri Culturali Cattolici.

In questa parte del continente europeo, i Centri Culturali Cattolici sono un aiuto provvidenziale per raccogliere alcune delle sfide più significative della società, poiché suscitano il senso della responsabilità personale e dell’iniziativa nella libertà e l’esercizio normale della democrazia.

Nel contesto generale della globalizzazione e del fenomeno delle migrazioni intra ed extra europee, il Centro Culturale Cattolico è un posto in cui ogni persona viene ricevuta con rispetto, perché esso è un luogo d’accoglienza e d’ascolto. Nella conflittualità dei linguaggi e delle culture, dei costumi e dei valori, i Centri Culturali Cattolici sono dei luoghi in cui l’incontro pacifico dell’altro è possibile e proficuo, perché apre il cuore e la mente all’altro e offre la possibilità di scoprire il volto dell’amore di Dio.

Come in molti altri forum, si considera l’immensa ricchezza di un’Europa multiculturale, ma allo stesso tempo, si nota che questa multiculturalità è anche molto sofferta, al punto che, talvolta, qualcuno si mette ad immaginare una società unitaria apparentemente più semplice da gestire.

D’altronde, nell’odierno contesto europeo, i tentativi non mancano per eliminare ogni riferimento ai valori cristiani. Il Centro Culturale Cattolico, poiché è essenzialmente un “forum”, può essere una buona scuola per una maturazione spirituale del riconoscimento dell’altro. In questo contesto molto complesso, i partecipanti all’incontro non hanno mancato di sottolineare la tentazione per la Chiesa di lasciarsi omologare dalle correnti laiche, fino a diventare “un’istituzione della società civile”. In un mondo in cui i cristiani, e ovviamente i cattolici, sono una minoranza, la sfida specifica dell’Europa è il cammino verso una possibile maturità spirituale, a cominciare dal dialogo con gli altri. Per questo motivo, si propone con rinnovata insistenza e forza la testimonianza dell’accoglienza, del rispetto, da parte dei discepoli del Signore nei quali vive il Risorto.

Nella situazione attuale, il legame si fa sempre più stretto fra tutti i settori della cultura e della vita umana. I Centri Culturali Cattolici devono tener conto di questa complessità crescente, per aprirsi all’uomo e alla donna, al giovane e all’anziano, per accogliere tutti nel nome di Cristo.

Il Pontificio Consiglio della Cultura ha rivolto l’invito a partecipare a tutte le Conferenze Episcopali dell’Europa Centro-Orientale. Infatti, hanno partecipato alcuni rappresentanti di Paesi in cui non ci sono ancora Centri Culturali Cattolici. Questo incontro fornirà nuove ragioni per creare nuovi centri e per potenziare quelli esistenti, il che ci offre fin d’ora nuovi motivi per rinnovare il nostro impegno al servizio della missione della Chiesa, nell’ambito della pastorale della cultura, Novo Millennio Ineunte.

P. Bernard Ardura O.Praem.
                Segretario del Pontificio Consiglio della Cultura

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On 18th-19th May 2001, the Jakab Antal centre in Şumuleu Ciuc, in Romania, was the venue for an international seminar on the theme Catholic Cultural Centres: a Christian service to cultural identity and intercultural dialogue. It was organised by the Pontifical Council for Culture and the Centre. There were 37 participants from 20 countries. The aim was to help Catholic cultural centres in Central and Eastern Europe become more influential and, in this way, to make their work more fruitful. It was also a question of emphasising that these centres have a very important role in providing cultural activities specifically focused on the link between faith and culture.

Les 18 et 19 mai 2001, s’est tenu au Centre Jakab Antal de Şumuleu Ciuc, en Roumanie, le Colloque international sur Les Centres Culturels Catholiques : un service chrétien pour l’identité culturelle et pour le dialogue entre les cultures, organisé par le Conseil Pontifical de la Culture en collaboration avec le même Centre. Les participants étaient au nombre de 37, provenant de 20 pays. Il a été souhaité de favoriser une meilleure emprise et une plus grande fécondité des Centres Culturels Catholiques en Europe Centrale et Orientale, et de conscientiser ces Centres sur leur rôle extrêmement important à travers la proposition d’activités culturelles qui portent le souci constant du rapport entre foi et culture.

Se ha celebrado, del 18 al 19 de mayo 2001, en el Centro Jakab Antal de Şumuleu Ciuc, en Rumania, el Coloquio Internacional sobre Los Centros Culturales Católicos: un servicio cristiano a la identidad cultural y al diálogo entre las culturas, organizado por el Pontificio Consejo de la Cultura, en colaboración con el mismo Centro. Han participado 37 personas de 20 Países. El objetivo era favorecer el influjo y la fecundidad de los Centros Culturales Católicos en Europa Centro-oriental, y hacer tomar conciencia a estos centros de su importantísimo papel, proponiendo actividades culturales con la constante preocupación por la relación entre la fe y la cultura.

 


[1]     De brèves notes sur ces Rencontres ont été publiées dans la revue du Conseil Pontifical de la Culture, Cultures et Foi : Chantilly, in 1-2 [1993], p. 98 ; Munich, IV-3 [1996], p. 214 ; Barcelone, ibid., p. 224 ; Bologne, VI [1998], p. 275.

[2]     Cf. Jean-Paul II, Exhortation apostolique post-synodale Ecclesia in Africa, n. 103.

[3]     Cf. Jean-Paul II, Homélie de la Messe d’inauguration du Ministère Pontifical, 22 octobre 1978.

[4]     Conseil Pontifical de la Culture, Pour une pastorale de la culture, 23 mai 1999, n. 1.


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