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JEAN-PAUL II                  -                    JOHN PAUL II
                          GIOVANNI PAOLO II             -              JUAN PABLO II

 

Relazione scienza-fede

 

[…] I nostri incontri appartengono già ad una tradizione e sono in qualche modo un segno del dialogo che si svolge tra il mondo della scienza e quello della fede. Sembra che irrevocabilmente siano passati i tempi, in cui si cercava di contrapporre questi due mondi. Grazie agli sforzi di tanti ambienti di intellettuali e di teologi, facilitati dalla grazia dello Spirito Santo, sempre di più cresce la coscienza che la scienza e la fede non sono estranee, ma hanno invece bisogno l’una dell’altra e a vicenda si completano. […]

Sperimentando i risultati dell’«alienazione» dell’opera nei riguardi dell’operante, sia a livello personale che sociale, l’umanità in qualche modo si trova a un bivio. Da una parte è chiaro che l’uomo è chiamato ed equipaggiato dal Creatore affinché crei, affinché soggioghi la terra. E’ noto anche che il compimento di questa chiamata è diventato il motore dello sviluppo nei vari settori della vita – di uno sviluppo che dovrebbe essere mantenuto a servizio del bene comune. Dall’altra parte però l’umanità teme che i frutti dello sforzo creativo possano essere diretti contro di essa, e perfino diventare mezzi di distruzione. […]

La scienza, se non è esercitata con il senso di servizio all’uomo, facilmente può diventare un elemento di gara d’appalto economico, con conseguente disinteresse per il bene comune, oppure – ancor peggio – può essere utilizzata per dominare gli altri e inserita tra le aspirazioni totalitarie degli individui e dei gruppi sociali. Ecco perché sia gli scienziati maturi che gli studenti principianti dovrebbero tener in considerazione se il loro giusto desiderio di approfondire i misteri della conoscenza si inserisce nei fondamentali principi della giustizia, della solidarietà, dell’amore sociale, del rispetto dei diritti del singolo uomo, del popolo o della nazione.

Dal carattere di servizio della scienza nascono obblighi non solo nei riguardi dell’uomo o della società, ma anche, o forse soprattutto, nei riguardi della stessa verità. Lo scienziato non è un creatore della verità, ma il suo esploratore. Nella misura in cui le è fedele, nella stessa misura essa gli si rivela. Il rispetto per la verità obbliga lo scienziato o il pensatore a fare tutto il possibile per approfondirla e, nei limiti del possibile, per presentarla con esattezza agli altri. Certo – come dice il Concilio – “le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l’uomo graduatamente deve scoprire, usare e ordinare” e in connessione con questo bisogna riconoscere le esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza e arte (GS 36). Tuttavia ci si deve ricordare che la ricerca della verità unicamente giusta è quella che procede secondo un esame metodico, in maniera veramente scientifica e rispettando le norme morali. La giusta aspirazione alla conoscenza della verità non può mai trascurare quello che appartiene all’essenza della verità: il riconoscimento del bene e del male.

Tocchiamo qui la questione dell’autonomia delle scienze. Oggi spesso viene sollevato il postulato dell’illimitata libertà delle ricerche scientifiche. Al riguardo, se da una parte – come ho detto – bisogna riconoscere il diritto delle scienze ad applicare i metodi della ricerca ad esse propri, non si può dall’altra essere d’accordo con l’affermazione che il campo delle ricerche stesse non sia soggetto ad alcuna limitazione. Il confine è indicato proprio dalla fondamentale distinzione fra il bene ed il male. Questa distinzione si compie nella coscienza dell’uomo. Si può pertanto dire che l’autonomia delle scienze finisce là dove la retta coscienza dello scienziato riconosce il male – il male del metodo, dell’esito o dell’effetto. Ecco perché è così importante che l’università e l’istituto superiore delle scienze non si limitino solo a trasmettere lo scibile, ma siano il luogo della formazione della retta coscienza. Qui infatti, e non nello scibile, sta il mistero della sapienza. E “l’epoca nostra – come dice il Concilio – più ancora che i secoli passati, ha bisogno di questa sapienza, perché diventino più umane tutte le sue nuove scoperte. E’ in pericolo, di fatto, il futuro del mondo, a meno che non vengano suscitati uomini più saggi” (GS 15).

Oggi si parla molto della globalizzazione. Sembra che questo processo tocchi anche la scienza e non sempre abbia un influsso positivo. Una delle minacce connesse con la globalizzazione è una non sana rivalità. Ai ricercatori, anzi a interi ambienti scientifici, può sembrare che, per reggere il confronto nell’ambito del mercato mondiale, la riflessione, le ricerche e le sperimentazioni non possano essere condotte solo con l’applicazione dei metodi giusti, ma debbano essere adeguate agli scopi anticipatamente indicati e alle aspettative del più largo pubblico possibile, anche se questo richiedesse una trasgressione degli inalienabili diritti umani. In tale prospettiva le esigenze della verità lasciano il posto alle così dette regole del mercato. Questo può facilmente condurre alla reticenza di alcuni aspetti della verità o addirittura alla manipolazione di essa, solo per renderla accettabile dalla così detta opinione pubblica. Tale accettazione a sua volta sembra una sufficiente prova della fondatezza di questi metodi non giustificabili. E’ difficile in tale situazione mantenere anche solo le regole basilari dell’etica. Se dunque giusta e desiderabile è la rivalità dei centri scientifici, essa non può svolgersi a costo della verità, del bene e del bello, a costo di valori come la vita umana dal concepimento fino alla morte naturale oppure le risorse dell’ambiente naturale. L’università pertanto ed ogni centro scientifico, insieme alla trasmissione dello scibile, dovrebbe insegnare come chiaramente riconoscere la onestà dei metodi ed anche come aver coraggio di rinunciare a quello che è metodologicamente possibile, ma eticamente biasimevole.

Tale esigenza non può essere realizzata altrimenti che sulla base della lungimiranza, cioè della capacità di prevedere gli effetti degli atti umani e di avere responsabilità per la situazione dell’uomo non solo qui e in questo momento, ma anche nel più lontano angolo del mondo e nell’indefinito futuro. Sia uno scienziato che uno studente sempre deve imparare a prevedere le direzioni dello sviluppo e gli effetti per l’umanità che possono scaturire dalle sue ricerche scientifiche.

Ecco solo alcuni suggerimenti che nascono dalla premura per la forma umana delle scuole di carattere universitario. Sembra che il compimento di questi postulati si verifichi più facilmente, se sarà intrapresa una stretta collaborazione e lo scambio di esperienze tra i rappresentanti delle scienze tecniche e umanistiche, inclusa la teologia. Ci sono tante possibilità di contatti nell’ambito delle strutture universitarie già esistenti. Credo, che gli incontri come questo aprano nuove prospettive di cooperazione per lo sviluppo della scienza e per il bene dell’uomo e di intere società. […]

 

A Rettori e Docenti di Università della Polonia, 30-08-2001.

 

 

Le pluralisme : un défi et une chance

 

Je me réjouis de visiter dans quelques jours votre pays et de nouer ainsi un contact plus direct avec ses autorités et avec ses habitants, dans leur riche diversité. Comme vous l’avez souligné, différentes ethnies vivent sur le sol du Kazakhstan, avec des cultures, des langues et des religions différentes. Cette situation pluraliste est un défi en même temps qu’une chance. C’est un défi car, comme je le disais dans mon message pour la Journée mondiale de la paix du 1er janvier 2001, « dans le passé, les diversités entre les cultures se sont souvent révélées source d’incompréhensions entre les peuples, et aussi motif de conflits » (n. 8). Il convient donc que chaque groupe particulier s’oblige au respect attentif des autres, en s’efforçant de mieux les connaître, pour dépasser d’éventuelles tensions.

Former ensemble une communauté nationale, enrichie des diversités de chacun, est aussi une chance. Cela suppose d’apprendre à vivre en union les uns avec les autres, ce qui « n’est jamais une réduction à l’uniformité, ni une reconnaissance forcée, ni une assimilation ; la communion est en réalité la convergence d’une variété multiforme et elle devient donc signe de richesse et promesse de développement » (ibid., n. 10). Puisse votre pays, qui fête ses dix ans d’indépendance, continuer sa marche paisible vers cet objectif, dans un souci toujours plus grand de dialogue entre ses cultures, de développement de la collaboration avec les pays voisins et d’intégration à la communauté internationale !

La diversité culturelle de votre pays s’accompagne d’une grande diversité religieuse et confessionnelle, et vous avez insisté, Monsieur l’Ambassadeur, sur l’importance qu’accorde votre gouvernement à ce pluralisme religieux, au dialogue entre les diverses religions, de même qu’à la dimension spirituelle de la vie de l’homme qu’elles expriment. Je me félicite à cet égard des bonnes relations qui existent entre le Saint-Siège et votre pays, et des accords qui garantissent les droits et les devoirs de la communauté catholique vivant au Kazakhstan ainsi que les obligations de l’État envers elle. En effet, dans un État de droit, la liberté religieuse est un bien précieux, expression de la dignité fondamentale de la personne humaine qui choisit librement, selon sa conscience, la religion à laquelle elle adhère. À n’en pas douter, une telle liberté invite les personnes et les communautés religieuses à concourir au bien commun, dans le respect de chacun et dans le cadre des lois du pays. Je souhaite que le Kazakhstan trouve dans cette riche diversité un fondement solide pour son développement humain et spirituel.

 

Au premier Ambassadeur de la République du Kazakhstan auprès du Saint-Siège, 17-09-2001.

 

 

Importancia de la evangelización de la cultura

 

Por lo que se refiere a los estudios teológicos y al mundo de la cultura, es de alabar la labor de la Facultad de Teología del Uruguay “Mons. Mariano Soler”, creada recientemente en la Arquidiócesis de Montevideo, así como también el Centro Superior Teológico Pastoral y el Trienio de Teología para Laicos. Estos centros están dedicados a formar no sólo a los futuros sacerdotes, sino que ofrecen también formación filosófica y teológica a religiosas, religiosos y laicos.

De este modo se puede enriquecer la cultura uruguaya con la metodología de la primera evangelización, que no alteró el mensaje cristiano frente a las dificultades y el rechazo del ambiente al que iba dirigida, sino que con la palabra y el testimonio logró orientar y posibilitar el cambio de la cultura misma. La evangelización de la cultura nos exige, pues, que “todo lo bueno que hay sembrado en el corazón y en la inteligencia de los hombres, o en los ritos particulares, o en las culturas de estos pueblos, no sólo no se pierda, sino que mejore, se desarrolle y llegue a su perfección para gloria de Dios (…) y la felicidad del hombre” (Lumen gentium, 17).

En el cumplimiento de esta misión, la Iglesia en el Uruguay, a través de estos casi cinco siglos de presencia, ha dado un gran aporte a la construcción del País. En efecto, los cristianos han colaborado en tantos ámbitos de la vida nacional. En este substrato cultural católico se formaron los forjadores de la nueva nación, los cuales dieron bases firmes a la cultura patria. Esto nos muestra como para la evangelización de la cultura tienen particular importancia las instituciones católicas, desde la escuela a la Universidad.

En su acción evangelizadora, la Iglesia no puede prescindir, además, de los medios de comunicación social para llegar a las personas de hoy, sobre todo los niños y los jóvenes, con lenguajes adecuados que transmitan fielmente el mensaje evangélico. “Ésta es, pues, la audacia, a la vez humilde y serena, que inspira la presencia cristiana en el diálogo público de los medios de comunicación” (Mensaje pontificio para la XXIII Jornada Mundial de las Comunicaciones Sociales, 7-5-1989, 5).

 

Visita “ad limina Apostolorum” de la Conferencia Episcopal de Uruguay, 06-09-2001.

 

 

Culture is the foundation of the identity of a people

 

Indeed, yours is a country in which the world can see accord and harmony between different peoples as an eloquent sign of the vocation of all peoples to live together in peace, in mutual knowledge and openness, and an ever deeper discovery and appreciation of the distinctive traditions of each people. Kazakhstan is a land of encounter, exchange and newness; a land which stirs in everyone the desire for new discoveries and makes it possible to experience difference not as a threat but as an enrichment. […]

Realize that each one of you is of unique worth, and be ready to accept one another with your respective convictions as you search together for the fullness of truth. Your country has experienced the deadly violence of ideology. Do not let yourselves fall prey now to the no less destructive violence of “emptiness”. What a suffocating void it is when nothing matters in life, when you believe in nothing! Emptiness is the negation of the infinite, which your steppe-land powerfully evokes: it is the opposite of that Infinity for which the human heart has an irresistible longing. […]

I wish to express my profound appreciation for the meeting with the University. The University is always very close to me. I am happy to find one here because it is the foundation of national culture and of national development. Culture is the foundation of the identity of a people.

 

Meeting with young people, Eurasia University, Astana, Kazakhstan, 23-09-2001.

 

 

Power of witness and gentleness of dialogue

 

Before being heralds of the Gospel, we need to be credible witnesses. Now that the political and social climate has been freed from the burden of totalitarian oppression – and let us hope that the State will never again seek to limit the freedom of believers – there is a great need for every disciple of Christ to be the light of the world and the salt of the earth (cf. Mt 4:13-14). Indeed, this need is all the more urgent because of the spiritual devastation left behind by militant atheism, as well as the dangers present in today’s hedonism and consumerism.

To the power of witness, dear Brothers and Sisters, add the gentleness of dialogue. Kazakhstan is a land of people of diverse origins, followers of different religions, heirs to illustrious cultures and a rich history.

 

Homily in Cathedral of the Virgin of Perpetual Help, Astana, Kazakhstan, 24-09-2001.

 

 

Vibrant local culture of Kazakhstan

 

Men and women of culture, art and science! Kazakhstan is heir to a history in which complex and often sorrowful events have given rise to diverse traditions, so that today it stands as a unique example of a multiethnic, multicultural and multireligious society. Be proud of your Nation and conscious of the great responsibility which is yours in preparing for its future. My thoughts turn especially to the young people who rightfully expect from you a testimony of knowledge and wisdom, passed on to them through your teaching and above all by the witness of your life.

Kazakhstan is a vast country which down the centuries has given rise to a vibrant local culture, rich in creative developments, thanks also to the influence of Russian intellectuals confined here by the totalitarian regime.

[…] You are called to acquaint the world with Kazakhstan’s rich cultural tradition: this is a demanding undertaking, and yet an attractive one, for it commits you to discovering the deepest features of that tradition, in order to combine them in a harmonious synthesis. […]

Authentic religious practice cannot be reduced to the private sphere or narrowly restricted to the edges of society. The beauty of the new houses of worship which are beginning to rise up almost everywhere in the new Kazakhstan is a precious sign of spiritual rebirth and a sign of promise for the future.

For their part, centres of education and culture can only gain from an openness to greater knowledge of the more vital and significant religious achievements in your nation’s history. […]

 

Meeting with Representatives of the World of Culture, Art and Science, Auditorium of the Congress Hall, Astana, Kazakhstan, 24-09-2001.

 

 

La fede è capace di generare cultura

 

La fede è capace di generare cultura; non teme il confronto culturale aperto e franco; la sua certezza in nulla assomiglia all’irrigidimento ideologico preconcetto; è luce chiara di verità, che non si contrappone alle ricchezze dell’ingegno, ma soltanto al buio dell’errore. La fede cristiana illumina e chiarisce l’esistenza in ogni suo ambito. Animato da questa interiore ricchezza, il cristiano la diffonde con coraggio e la testimonia con coerenza.

La cultura non è riducibile agli ambiti dell’utilizzazione strumentale: al centro è e deve rimanere l’uomo, con la sua dignità e la sua apertura all’Assoluto. L’opera delicata e complessa di “evangelizzazione della cultura” e di “inculturazione della fede” non si accontenta di semplici aggiustamenti, ma esige un fedele ripensamento ed una creativa riespressione dello strumento metodologico che la Chiesa italiana si è voluta dare in questi ultimi tempi: il “progetto culturale orientato in senso cristiano”. Esso nasce dalla consapevolezza che “la sintesi tra cultura e fede non è solo un’esigenza della cultura ma anche della fede… Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta e interamente pensata, non fedelmente vissuta” (Giovanni Paolo II, Lettera di istituzione del Pontificio Consiglio della Cultura, 1982).

A questa esigenza profonda risponde l’esercizio della carità intellettuale. E’ questo l’impegno specifico che gli universitari cattolici sono chiamati a realizzare, nella convinzione che la forza del Vangelo è capace di rinnovamento profondo. Che il “Logos” di Dio si incontri con il “logos” umano e diventi il “dia-logos”: questa è l’attesa e l’auspicio della Chiesa per l’università e il mondo della cultura.

Il nuovo umanesimo sia per voi prospettiva, progetto, impegno.

 

Messaggio ai Partecipanti al VI Incontro Nazionale dei Docenti Universitari Cattolici, 04-10-2001.

 

 

 

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COMUNICADO DE LOS OBISPOS DE LA REGIÓN PACIFICO-SUR, MÉXICO, ACERCA DEL DICTAMEN SOBRE DERECHOS Y CULTURA INDÍGENAS

 

Ante las numerosas declaraciones encontradas, que han venido circulando en los medios informativos sobre la reforma en curso, emanada del Congreso de la Unión, acerca de derechos y cultura indígenas, los Obispos de la Región Pacífico-Sur por responsabilidad pastoral compartimos las consideraciones siguientes:

1.  El país está viviendo un momento decisivo de transición democrática, en que ningún partido por sí solo puede imponer su postura. Alcanzar acuerdos que nos permitan avanzar, poco o mucho, es ya un logro no despreciable en el camino del diálogo y la legalidad que debemos apreciar con realismo, por encima de la mayor o menor satisfacción personal o de grupo.

2. Ya los acuerdos de San Andrés identificaban al Congreso de la Unión como el órgano oficial que habría de emitir la Ley en materia de derechos y cultura indígenas. Dada la conformación actual de las legislaturas federales y estatales y de la vigente separación de poderes, éste es el resultado que se pudo alcanzar en el momento democrático que vivimos.

3. Consideramos honesto reconocer los avances que objetivamente aporta el Dictamen en materia indígena a la Constitución de la República, como por ejemplo: se prohíbe toda discriminación por origen étnico, se reconoce la composición pluricultural de la nación sustentada originalmente en los pueblos indígenas, se describe la identidad de pueblos y comunidades indígenas y se reconoce el derecho a la libre determinación con sus prácticas autonómicas, etc.

4. Como toda obra humana, esta ley es perfectible, y por tanto deberán seguirse buscando los caminos legales para mejorarla, vgr. aclarando el significado y el alcance de términos como derecho e interés públicos, autonomía, territorio, pueblos y comunidades, usos y costumbres, etc. Mientras tanto, recomendamos evitar declaraciones y acciones alarmistas que sólo inducen a la desestabilización social y política.

5. Como tarea siempre oportuna y frecuentemente necesaria, consideramos urgente redoblar esfuerzos por fomentar los valores culturales indígenas, el respeto y el aprecio a la pluralidad cultural eliminar toda discriminación e intolerancia con ellos y entre ellos y multiplicar los programas tanto oficiales como alternativos de promoción humana y social.

6. Anhelando la unidad, la fraternidad y la solidaridad entre los mexicanos, pedimos a Dios, por intercesión de Santa María de Guadalupe, “que nos conceda buscar el progreso de nuestra Patria por caminos de justicia y de paz”. Amen.

 

Oaxaca, Oax. agosto del 2001.

 

Héctor González Martínez, Arzobispo de Atenquera-Oaxaca

Felipe Arizmendi Esquivel, Obispo de San Cristóbal de las Casas

J. de Jesús Castillo Rentería, MNM, Obispo de Tuxtepec

Hermenegildo Ramírez S. MJ, Obispo-Prelado de Huautla

Luis Felipe Gallardo SDB, Obispo-Prelado de Mixes

 

 

 

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INTERVENTION OF THE HOLY SEE

AT THE GENERAL ASSEMBLY OF THE U.N.

 

[…] The impact of the brutal and unprecedented attacks of 11 September is forcing all of us to consider the urgency of the dialogue among civilizations and to intensify our hopes as this International Year draws to a close. To do anything less would only allow for the perversion of the very idea of civilization. As the recently-published Report of the Secretary-General on this agenda item indicates, “A dialogue among civilizations is not only a necessary answer to terrorism – it is in many ways its nemesis” and the very presence of this organization is a testament to the deep human desire for justice and peace. The terrorist attacks must make the UN not only re-consider but re-commit and resolve itself to this dialogue.

In last year’s resolution on the Dialogue among Civilizations, the General Assembly noted that “civilizations are not confined to individual nation-States, but rather encompass different cultures within the same civilization, and … that civilizational achievements constitute the collective heritage of humankind, providing a source of inspiration and progress for humanity at large” (Resolution 55/23). In recognizing the plurality and relatedness of the world’s cultures and civilizations, this body thus admitted the vital role culture, as a subset of each civilization, must play in the drama that is every human life.

“The main concern of culture in general and of all culture is education.”[1] Addressing man in his moral, intellectual and spiritual capacities, authentic culture is rooted in the search for ultimate truth. In the recesses of his heart, man seeks to discover both his origins and his ultimate destiny. In many respects, culture is the means by which whole communities of people come to meet God and to ask life’s fundamental questions. It is this common search for truth that forms the basis of culture: “At the heart of every culture lies the attitude man takes to the greatest mystery: the mystery of God.”[2]

As personal as this search is to the human heart, it naturally expresses itself in and through the customs and traditions of whole communities of people who, through their relative proximity to one another, have sought the ultimate meaning of life together as a people. The first experience of living together is found in the family, a universal experience whose importance can hardly be overstated. The family provides the basis of an essential relationship between the individual and one’s origins. In the family, individuals also come to maturity through receptive openness to others and through generous self-giving to them.

Moreover, there is a close connection between the particular culture of a people and its identity as a nation. “History shows that in extreme circumstances … it is precisely its culture that enables a nation to survive the loss of political and economic independence.”[3] Not even the powerful ideological systems of colonialism and totalitarianism were able, and neither will terrorism be able, to suppress the universal need for a particular and unique cultural life.

It may seem that any particular culture, if it is taken seriously, raises strong and definitive claims to truth – in a sense, each culture may say that its way is the way, to the exclusion of all others. This determination may even seem to give cultures a certain force. Yet such overly-simplistic claims have led, and sadly continue to lead, to strife and conflict between peoples, not to mention the number of inhuman and barbarous acts against human dignity, dubiously justified in the name of “culture”. All cultures must bear some relationship to freedom and truth. Fanaticism and fundamentalism cannot be equated with the search for truth itself.

A true dialogue between cultures requires a respect for differences. Much too often, both in history and present times, ethnic and religious differences have been used as a justification for brutal conflict, genocide, and persecution. There have also been problems where one religious group has sought to expel members of another religion from a country, often with threats and actual violence. Authentic culture cannot be built upon the practice of religious persecution. Such a so-called culture stands diametrically opposed to the human person and will eventually lead to the disintegration of society.

Meaningful dialogue among civilizations cannot take place in the absence of religious freedom. The cultures of the world, with all of their rich diversity of gifts, have much to contribute to the building up of a civilization of love. What is required is a mutual respect for differences among cultures – a respect inspired by the desire to uphold the right of all individuals to seek the truth in accord with the dictates of their conscience and in continuity with their cultural heritage.

Human beings are not enslaved by the past. They cannot disregard the past or recreate themselves in any way they wish, but they do have the capacity to discern and choose how they should live, both as individuals and together. They are free enough to accept the limitations imposed by various historical, cultural, economic or other conditions. These conditions may constrain but cannot abolish their freedom. As a part of human nature, freedom, especially the freedom to choose dialogue and peace, is always possible.

After the recognition of a variety of cultures and civilizations, one is bound to ask, What unifies mankind? The answer proposed and affirmed by the United Nations has been “those universal rights which human beings enjoy by the very fact of their humanity. It was precisely outrages against human dignity which led the United Nations Organization to formulate, barely three years after its establishment, that Universal Declaration of Human Rights which remains one of the highest expressions of the human conscience of our time.”[4]

As Pope John Paul II stated in his address to the General Assembly in 1995, “These are not abstract points; rather, these rights tell us something important about the actual life of every individual and of every social group. They also remind us that we do not live in an irrational or meaningless world. On the contrary, there is a moral logic which is built into human life and which makes possible dialogue between individuals and peoples. If we want a century of violent coercion to be succeeded by a century of persuasion, we must find a way to discuss the human future intelligibly. The universal moral law written on the human heart is precisely that kind of ‘grammar’ which is needed if the world is to engage this discussion of its future.”[5] […]

No authentic dialogue can take place if it fails to respect life. There can be no peace or dialogue among civilizations when this fundamental right is not protected. […]

Yet again, despite these terrible practices and the recent crises, mankind must not be discouraged. The very idea of dialogue presupposes our ability to reason and understand, and especially to change and make anew. The Holy See has full confidence that a true dialogue among civilizations will serve to benefit all.

 

Speech of S.E. Mons. Renato Raffaele Martino, Permanent Observatory of the Holy See by U.N., to the General Assembly of United Nations on Item 25: United Nations Year of Dialogue among Civilizations, 10-11-2001.

 

 

 

 


[1]  Address of Pope John Paul II to UNESCO, 2 June 1980, n. 11.

[2Centesimus Annus, n. 24.

[3]  Address to the United Nations, 5 October 1995, n. 8.

[4Ibid., n. 2.

[5Ibid., n. 3.


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