INDISSOLUBILITÀ DEL MATRIMONIO
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OSSERVATORE ROMANO
Lunedì-Martedì 3-4 Marzo 1997

INDISSOLUBILITÀ DEL MATRIMONIO E L'INCONTRO MONDIALE CON LE FAMIGLIE A RIO DE JANEIRO

La Plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia, svoltasi in Vaticano nello scorso mese di gennaio, ha affrontato il delicato problema della pastorale dei divorziati risposati, che costituisce un impegno centrale per quanti sono in cura d'anime. Tale problema è stato considerato anche in vista del prossimo Incontro Mondiale del Santo Padre con le Famiglie, che il medesimo Dicastero terrà a Rio de Janeiro, nei giorni 4 e 5 ottobre prossimo. Per una adeguata preparazione e partecipazione planetaria a quell'evento ecclesiale, il Cardinale Presidente Alfonso López Trujillo sta mobilitando, a vasto raggio, tutte le forze, le quali hanno a cuore le sorti della famiglia in genere e di quella cristiana, in particolare, attirando l'attenzione delle Conferenze episcopali, degli operatori di pastorale familiare, dei movimenti ecclesiali, delle associazioni, dei gruppi "pro familia" e di quant'altri sono impegnati in questo campo. Come è noto, quella assise mondiale, che avverrà in una svolta epocale per l'intera umanità, quale è quella della fervida vigilia del terzo millennio dell'era cristiana, avrà il suo epicentro nel grande continente latino-americano, il continente della speranza, e si concentrerà sulla riflessione teologico-pastorale, all'insegna del tema generale:" La Famiglia: dono ed impegno, speranza dell'umanità".

E difatti i partecipanti alla Plenaria hanno messo nel dovuto rilievo il significato di tale "dono" che Dio ha fatto all'umanità col meraviglioso istituto della famiglia, ma anche quello del conseguente "impegno" che esso comporta perchè la famiglia sia veramente secondo il progetto originale di Dio e ne viva la feconda realtà sacramentale, alla quale l'ha elevata Nostro Signore Gesù Cristo.

Purtroppo - come è stato rilevato nel testo delle Raccomandazioni, redatto al termine delle riunioni - "la statistica sta ad indicare una continua crescita dei fallimenti anche tra coloro che sono uniti nel Sacramento del matrimonio. Questo preoccupante fenomeno porta a considerare le sue numerose cause, fra le quali: il disinteresse di fatto dello Stato circa la stabilità del matrimonio e della famiglia, una legislazione permissiva sul divorzio, l'influenza negativa dei mass-media e delle organizzazioni internazionali, l'insufficiente formazione cristiana dei fedeli".

Dono (ed esigente impegno!) del Sacramento, che fonda la famiglia, è anzitutto la sua indissolubilità, ribadita e avvalorata da Gesù Cristo, Fondatore della Chiesa. Nel corso dei lavori non si è mancato di richiamare il testimone di tale rivelazione divina. Al fine di precisare ulteriormente la portata di tale indissolubilità, il Vangelo di Matteo, a differenza degli altri due sinottici, fa menzione di una clausola, la cosiddetta eccezione della pornèia, riportando le seguenti parole del Signore:" Chi ripudia la propria moglie, se non nel caso di impudicizia, e sposa un'altra, commette adulterio; e se sposa una donna ripudiata, commette adulterio" (Mt 19,9). Questa clausola sembra introdurre, a prima vista, un'eccezione alla regola dell'indissolubilità matrimoniale sopra enunciata.

A questo riguardo, bisogna notare che nei passi paralleli del Nuovo Testamento, che trattano la stessa materia (Mc 10,2-12; Lc 16,18 e 1Cor 7,10-11), non si fa cenno a tale eccezione. La Chiesa orientale e le Comunità protestanti, prendendo il termine "impudicizia" nel senso di adulterio, intesero l'inciso come un vero caso di divorzio. La tradizione della Chiesa occidentale, invece, è stata costante nell'escludere tale eccezione. Studi recenti sull'antico diritto matrimoniale giudaico hanno fornito elementi per una soddisfacente soluzione del dibattuto problema esegetico: nella impudicizia (gr. pornèia), che è cosa diversa dall'adulterio (gr. moichèia) è da ravvisare con tutta probabilità il termine zenût ebraico, (che nel greco biblico neo-testamentario viene tradotto con la parola porneia) , col quale si indica un matrimonio contratto tra parenti e proibito dalla legge mosaica (Lv 18); così Gesù verrebbe ad escludere dalla legge della indissolubilità quelle unioni illegali ed incestuose, non "legate da Dio". Anche nel Concilio apostolico di Gerusalemme (49/50 d.C.), a conclusione del dibattito sulla validità della legge mosaica, viene raccomandato ai cristiani provenienti dal paganesimo di osservare l'astinenza dalle carni immolate agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalla impudicizia (pornèia), cioè dai matrimoni contratti fra parenti, cose a cui i giudeo-cristiani tenevano in modo particolare (cf At 15,29). Ciò spiega anche perché la famosa clausola si trovi soltanto nel Vangelo giudaizzante di Matteo.

Nel corso dei vari interventi è stato anche richiamato quanto afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica circa la drammatica situazione di coloro i quali sono venuti meno alle esigenze del dono e dell'impegno della indissolubilità matrimoniale:" Oggi in molti Paesi, sono numerosi i cattolici che ricorrono al divorzio secondo le leggi civili e che contraggono civilmente una nuova unione. La Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Cristo ... che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio"(n.1650).

Tutto questo perché coloro che divorziano dal primo matrimonio e si risposano civilmente mortificano questo dono primordiale della indissolubilità, anche se non lo annullano. La Chiesa conosce tali dolorose situazioni e condivide il dramma di questi fallimenti, le cui ferite non si risanano con le nuove unioni.

Durante i lavori della Plenaria sono state offerte indicazioni e proposte intese a far sentire la vicinanza della Chiesa, la quale come madre amorevole e maestra sapiente, non abbandona nessuno dei suoi figli. In questo contesto, è stato evocato un passaggio della Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede "circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati indirizzata ai Vescovi della Chiesa Cattolica (1994)", là dove si esortano i Pastori "a far sentire la carità di Cristo e la materna vicinanza della Chiesa; ad accoglierli con amore, esortandoli a confidare nella misericordia di Dio, e suggerendo loro con prudenza e rispetto concreti cammini di conversione e di partecipazione alla vita della comunità ecclesiale".

La Chiesa, in ossequio al suo munus pastorale, non perde la speranza e non cessa nel suo sforzo teso ad accompagnare questi fedeli divorziati, i quali, anche se la loro condizione oggettiva è in contrasto con il Vangelo, non sono però esclusi dalla comunione ecclesiale, restando sempre membri della Chiesa. Essa, chiamata a condurre tutti alla salvezza, "non può abbandonare a se stessi coloro che... hanno cercato di passare a nuove nozze. Perciò si sforzerà, senza stancarsi, di mettere a loro disposizione i suoi mezzi di salvezza (FC,84).

Come si ricorderà, i Vescovi del Sinodo del 1980 avevano invitato non solo i Pastori, ma anche tutti i fedeli ad aiutare i divorziati risposati, procurando con sollecita carità che questi loro fratelli e sorelle nella fede non si considerino separati dalla Chiesa. E il Santo Padre Giovanni Paolo II raccogliendo e facendo proprio tale desiderio, ebbe ad affermare:"La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza"(FC,84).

E' compito dell'azione pastorale offrire questo aiuto fondato nella verità e nell'amore. Tale compito è riassunto dal Santo Padre in modo conciso, ma assai eloquente, con le seguenti parole, in cui si raccomanda ai Pastori di esortare i divorziati risposati: "ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio" (FC,84).

Di conseguenza, per poter ricevere validamente i sacramenti della Riconciliazione e dell'Eucaristia, i fedeli divorziati risposati devono essere disposti ad una forma di vita che non sia in contraddizione con la norma evangelica dell'indissolubilità del matrimonio. Ciò significa concretamente che, una volta pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, devono separarsi da quella persona che non è la legittima moglie o il legittimo marito, e ritornare, possibilmente, all'originaria convivenza matrimoniale. Se per seri motivi non possono soddisfare all'obbligo della separazione, sono tenuti ad astenersi dagli atti propri dei coniugi (cf. FC,84). Con l'aiuto della grazia devono impegnarsi ad interrompere la loro reciproca vita sessuale e trasformare il loro vincolo in sentimenti di amicizia e di aiuto vicendevole.

E' ovvio che questa soluzione è esigente e fa appello al radicalismo evangelico. Per questo esige un accompagnamento comprensivo e prudente da parte di un sacerdote ben preparato, il quale sappia sostenere quei divorziati risposati, decisi a vivere secondo le autentiche ed immutabili esigenze del Vangelo.

Naturalmente i divorziati risposati che sono convinti della nullità del precedente matrimonio, devono essere aiutati dai Pastori perché possano regolare la loro situazione attraverso la via del foro esterno.

E' in questo modo che la Chiesa, anche quando non può approvare una prassi in contrasto con il Vangelo, non rinuncia ad amare i suoi figli in situazioni familiari irregolari,a capire i loro problemi, ad accompagnarli nel loro difficile itinerario di fede.

Francesco Di Felice
Sotto-Segretario del Pontificio Consiglio per la Famiglia

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