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PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA

RIFLESSIONI DEL CARD. ALFONSO LÓPEZ TRUJILLO

A 25 anni dalla III Conferenza Generale
dell'Episcopato Latinoamericano a Puebla

 

 

Il 28 gennaio 1979, nel Seminario Palafoxiano di Puebla de los Angeles, ha avuto luogo l'inaugurazione della III Conferenza Generale dell'Episcopato latinoamericano, presieduta personalmente dal Santo Padre Giovanni Paolo II. Il Vicario di Cristo pronunciò il Discorso inaugurale che, senza dubbio, segnò la rotta e lo spirito decisivo alla storica Conferenza. Nella presentazione del Documento di Puebla, che fu accolto molto positivamente dai partecipanti, si testimonia che la presenza personale del Papa fu una grazia, e che la sua parola "durante la Concelebrazione nella Basilica di Guadalupe, nell'omelia nel Seminario di Puebla e soprattutto nel Discorso inaugurale, ha rappresentato un prezioso criterio, uno stimolo e un percorso per le nostre deliberazioni" (Presentazione del documento da parte della Co-Presidenza e del Segretario Generale).

Questo grande evento ecclesiale rappresentò "un passo avanti" della Chiesa che pellegrina in America Latina.

Nel Messaggio all'America Latina, approvato in forma unanime dai partecipanti, come pure era stato approvato il Documento, si legge: "Le sue parole illuminanti tracciarono nette e profonde linee per le nostre riflessioni e deliberazioni, in spirito di comunione ecclesiale".

Il Papa stesso, nella lettera in cui manifestava la sua soddisfazione per i risultati raggiunti del Documento di Puebla, e recante la data del 23 marzo 1979, nella commemorazione di san Turibio di Mogrovejo, scriveva: "Questo Documento, frutto di una assidua preghiera, di riflessione profonda e di intense cure apostoliche, offre - così avete proposto - un vasto insieme di orientamenti pastorali e dottrinali, su questioni di somma importanza. Deve servire, con i suoi validi criteri, da luce e stimolo permanente per la evangelizzazione nel presente e nel futuro, dell'America Latina (...). La Chiesa dell'America Latina è stata rafforzata nella sua vigorosa unità, nella sua identità particolare, nella volontà di rispondere alle necessità e alle sfide attentamente considerate durante la vostra assemblea".

Vorrei trattare, necessariamente a grandi linee, alcuni punti di particolare interesse sulla Conferenza di Puebla. Il 14 e 15 febbraio prossimi il CELAM terrà in Messico una speciale commemorazione alla quale, con l'aiuto di Dio, parteciperò.

Tratterò di questa evocazione della Conferenza di Puebla in due successivi momenti e presentazioni: per primo affronterò la preparazione della Conferenza e il contenuto del Discorso inaugurale del Santo Padre, poi mi riferirò allo sviluppo della Conferenza, in particolare al documento che i Vescovi elaborarono, e che Giovanni Paolo II indicò come utile per l'evangelizzazione in America Latina, illustrando poi la sua diffusione e al suo forte impatto nella Chiesa, non soltanto latinoamericana.

1) Preparazione

Andò rafforzandosi l'idea di consultare le Conferenze Episcopali sulla possibilità di proporre al Santo Padre Paolo VI la convocazione di una nuova Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano, a 10 anni dalla II Conferenza Generale di Medellín. Fatte le relative consultazioni, in occasione di diverse riunioni, e con la positiva accoglienza del Papa, trasmessaci dal Prefetto della Congregazione per i Vescovi e Presidente della Pontificia Commissione per l'America Latina, il Cardinale Sebastiano Baggio, procedemmo, nel CELAM, a studiare il tema possibile da presentare alla considerazione del Papa. Progressivamente l'Episcopato, che aveva vissuto con tanto entusiasmo il Sinodo sull'Evangelizzazione dell'anno 1974, con la sua relativa Esortazione Apostolica Evangelii nuntiandi, si orientò in modo tale che fosse l'evangelizzazione il tema centrale, affinché la Chiesa assumesse a fondo questa missione prioritaria, essenziale della Chiesa.

L'accoglienza che ricevette l'Esortazione Apostolica Evangelii nuntiandi in pochissimo tempo, fu molto calorosa. I punti che erano stati trattati erano realmente di capitale importanza e, senza dubbio, dopo il Concilio, era il Documento di maggiore impatto pastorale. Il CELAM aveva tenuto, immediatamente dopo il Sinodo, nei primi giorni di novembre 1974, la sua Assemblea Generale a Roma. Infatti, la grande maggioranza dei partecipanti a quella Assemblea avevano preso parte al Sinodo e il CELAM aveva coordinato la loro partecipazione con varie riunioni. Occorre ricordare che il Cardinale Karol Wojtyla, Arcivescovo di Cracovia, era stato il Relator Generalis. Ebbe poi luogo, in quella prospettiva evangelizzatrice, il Sinodo sulla catechesi (Catechesi tradendae), il Sinodo sulla famiglia - il primo del Pontificato di Giovanni Paolo II - (Familiaris consortio), e i Sinodi successivi.

Il Santo Padre andava accarezzando l'idea anche della dinamica visione della Nuova Evangelizzazione che, nella sua prima enucleazione, ebbe come cornice l'Assemblea del CELAM ad Haiti, nel mese di marzo del 1983, in cui offrì il suo originale messaggio.

La II Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano, celebrata a Medellín, ebbe come tema il Concilio, che si era recentemente concluso (7 dicembre 1965): "La Chiesa nella presente trasformazione dell'America Latina alla luce del Concilio Vaticano II" (24 agosto-5 settembre 1968), e fu inaugurata a Bogotá, in occasione del Congresso Eucaristico Internazionale, personalmente dal Santo Padre Paolo VI, nella visita in America Latina. Molto illuminante fu il Discorso inaugurale che egli tenne nella Cattedrale di Bogotá, e non a Medellín, per evitare spostamenti.

I tempi erano maturi per una nuova assemblea, la cui preparazione venne affidata al CELAM, con la convocazione di Paolo VI il 12 dicembre 1977, sul tema "Il presente e il futuro dell'Evangelizzazione nell'America Latina".

Il Santo Padre Giovanni Paolo II si riferì espressamente a questa II Assemblea nel Discorso inaugurale di Puebla: "La Conferenza che oggi si apre, convocata dal venerato Paolo VI, confermata dal mio indimenticabile predecessore Giovanni Paolo I e riconfermata da me come uno dei primi atti del mio pontificato, si collega con quella, ormai lontana, di Rio de Janeiro, che ebbe come suo frutto più notevole la nascita del CELAM. Ma si collega ancor più strettamente con la II Conferenza di Medellín, e ne commemora il decimo anniversario. In questi dieci anni, quanto cammino ha fatto l'umanità e con l'umanità e al suo servizio, quanto cammino ha fatto la Chiesa.

Questa III Conferenza non può disconoscere tale realtà. Dovrà, infatti, prendere come punto di partenza le conclusioni di Medellín, con tutto quanto hanno di positivo, ma senza ignorare che a volte hanno avuto errate interpretazioni e che esigono sereno discernimento, opportuna critica e chiare prese di posizione" (28 gennaio 1979).

Molto bello fu l'omaggio che Giovanni Paolo II rivolse all'Evangelii nuntiandi, che definì come un "testamento spirituale" di Paolo VI, "filo conduttore di tutta la Conferenza", "nel quale pose tutta la sua anima di Pastore, al tramonto della sua vita". Queste parole mi portano ad evocare quella che sarebbe stata l'ultima Udienza che Paolo VI avrebbe concesso alla Presidenza e al Segretario Generale di Puebla. Allora furono percepite come un monito le sue parole del maggio 1978, quando al nostro invito ad inaugurare personalmente la Conferenza, egli rispose: "Questa Conferenza la vedrò dal paradiso". Sperimentammo quanto aveva detto nel ricevere, a Bogotá, la notizia della sua morte, durante l'ultima riunione della Presidenza di Puebla, il 6 agosto 1978, giorno in cui egli fu chiamato alla Casa del Padre.

Tutto era pronto per inaugurare la Conferenza a Puebla, il 12 ottobre, nella Basilica di Guadalupe e poi nel Seminario di Puebla de los Angeles.

La Santa Sede approvò le diverse modalità del Regolamento della Conferenza, il criterio di partecipazione per conferenze episcopali, gli invitati, con e senza diritto di voto, gli esperti, i religiosi, le religiose, i laici. Restava ben chiaro che si trattava di una Conferenza dei Vescovi, convocata dal Papa, al quale sarebbe stato sottoposto il Documento e in nessun modo i Vescovi potevano relegare la loro responsabilità. In concreto, riguardo agli esperti, fu disposto che fossero approvati solamente quelli che avrebbero avuto il placet delle stesse conferenze. Riguardo ai teologi, che non risultarono invitati, fu invocato questo criterio assolutamente logico.

Il Santo Padre nominò la Presidenza di Puebla; i Cardinali Sebastiano Baggio, Prefetto della Congregazione per i Vescovi, Aloisio Lorscheider, Arcivescovo di Fortaleza, Presidente del CELAM, Ernesto Corripio Ahumada, Arcivescovo di México, e il Segretario Generale, Alfonso López Trujillo, Arcivescovo coadiutore di Medellín. Il CELAM iniziò una intensa e dinamica preparazione. Venne elaborato per primo il documento di consultazione, basandosi su un primo giro di suggerimenti degli Episcopati. Poi, dopo aver raccolto i pareri degli Episcopati, pubblicati fedelmente, venne elaborato il documento di lavoro, in modo molto completo.

2) Cammino di Puebla

Non mancarono, nella tappa di preparazione, sorprese e difficoltà.

Come dicevo, sorprendentemente, il Papa Paolo VI, che aveva convocato la Conferenza e seguito molto da vicino diversi aspetti con uno stimolante interesse, morì due mesi prima della data prevista per l'inaugurazione di Puebla. Egli aveva accolto con grande speranza questo evento ecclesiale e ben sapeva quanta enorme importanza esso avesse. Anche i contrasti e le relative tensioni lo provavano. Alcuni diffusero l'idea che si pretendeva di fare un passo indietro, seppellendo la Conferenza di Medellín. Lanciarono tale congettura, con particolare vigore, a certi mezzi di comunicazione. Temevano senza dubbio una riflessione profonda e un chiarimento sulle menzionate interpretazioni che delle conclusioni di Medellín facevano, soprattutto della conclusione relativa alla pace e a concetti come la povertà, alla luce dei criteri che imponeva l'analisi marxista sulla conflittualità della lotta di classe.

Diversi paesi sperimentavano la prassi dei movimenti, soprattutto di sacerdoti guidati acriticamente da questa ideologia che costituì una tormenta: non si possono occultare le fratture e le lacerazioni che causavano, il debilitamento ecclesiale, l'assenza di una visione ecclesiale convergente. Non poche vocazioni furono rese sterili, sacerdotali e religiose, e la simpatia con la violenza guerrigliera portò alcuni a un tipo di compromesso politico che interpellava drammaticamente alcuni accomodamenti. Non mancava la generosità, né il dolore provocati da evidenti fenomeni di ingiustizia, ma la nebbia si spandeva nel campo teologico e penetrava in alcuni ambienti come un mito di speranze messianiche. Si trattava dell'impatto di una forma riduttiva della Teologia della Liberazione, sulla quale l'Evangelii nuntiandi aveva dato opportuni criteri, che erano oggetto di contestazione e di rifiuto da parte di non pochi. A conseguimenti innegabili, a una dinamica pastorale rinnovata si univa una posizione ambigua, la crescente diffidenza per la Dottrina Sociale della Chiesa, presentata come carente di profondità e di un "pathos" rivoluzionario, ed era catalogata come una concessione ai potenti. Di ciò erano ben consapevoli i Vescovi e le riunioni previe con gli Episcopati, nelle quattro zone in cui furono distribuiti, mettevano in risalto questa situazione ecclesiale.

Alla luce di una vera evangelizzazione doveva essere esaminato il presente, guardando in prospettiva al futuro. Sentimmo la rispettosa compagnia del Papa, della Curia Romana, come un aiuto sperimentato e come una espressione di dialogo e di comunione. Fu coniata la idea-forza di comunione e partecipazione che ispirò e illuminò l'elaborazione dei documenti previi, di consulta e di lavoro, come pure la realizzazione delle conferenze.

La coerenza di una fede condivisa, alla base di una evangelizzazione esigente, era un dovere evidente che doveva dare una risposta decisiva, soprattutto alla cristologia e alla ecclesiologia.

Dopo Paolo VI, il Papa Giovanni Paolo I convocò nuovamente la Conferenza di Puebla e preparava il suo discorso inaugurale, ma poi il Signore lo chiamò a sé ben presto.

La Provvidenza aveva tracciato il corso degli eventi: convocata per la terza volta la Conferenza di Puebla, il Santo Padre Giovanni Paolo II, decise di inaugurarla personalmente, dando così inizio alla catena formidabile dei suoi viaggi apostolici nel mondo.

Paolo VI aveva inaugurato la Conferenza a Medellín, durante la sua prima ed unica visita in America Latina, in occasione del Congresso Eucaristico di Bogotá.

Giovanni Paolo II, nel primo viaggio del suo Pontificato, fu tra noi come un regalo della Provvidenza e fu l'occasione della sua visita pastorale in Messico. La sua decisione personale, determinata ed impegnata, rese possibile ciò che si considerava di difficile realizzazione. Non c'erano relazioni diplomatiche con il Messico, dove la Chiesa non era riconosciuta, e uno spostamento all'inizio del suo Pontificato, faceva perfino pensare ad alcuni che la sua presenza a Puebla non fosse pertanto consigliabile. Ci fu una grande sintonia tra la decisione del Papa e il veemente desiderio del CELAM e degli Episcopati.

Ho parlato della accoglienza molto positiva che il Discorso di Giovanni Paolo II ebbe nell'Assemblea.

La chiarezza, il vigore profetico del suo contenuto costituirono una rotta e un modello per le sessioni, tutto in coincidenza con la distribuzione del lavoro per commissioni e con una dinamica di lavoro ben studiata.

3) Punti centrali del discorso inaugurale

Si parlò tra i Vescovi dei tre pilastri o del "tripode" che il Santo Padre sviluppò: la verità su Cristo, sulla Chiesa e sull'uomo. Questo metteva in evidenza la centralità di una radicale ed impegnata scelta di fede, in una proiezione evangelizzatrice che doveva essere, occorre ripeterlo, fondamentale. Per primo, sottolineò di quale tipo di Conferenza si trattava: di Pastori, non di politici, ma di persone dedite alla cura pastorale della comunità. Questo criterio centrale avrebbe permesso che lo studio della realtà, con fenomeni preoccupanti, si facesse alla luce della fede, con l'esplicita e inequivocabile donazione al Signore e alla sua Chiesa: alla Chiesa di Cristo, con tutta la forza del genitivo. In tal modo si ricordava la più stretta unità tra una prospettiva cristologica ed ecclesiologica, alla base della concezione dell'uomo, con una genuina antropologia cristiana, la quale gettava luce sulle gravi ambiguità ed errori in corso. Si trattava di una conferenza la cui responsabilità spettava ai Vescovi, come Pastori, opportunamente assistiti, ma non soppiantati. La loro missione e la loro azione dovevano essere guidate dal Vangelo e non sostituite da una "prassi" ideologica e politica, ben diversa dalla carità pastorale; essi erano responsabili del gregge, della comunità come tale.

La prospettiva andava molto al di là della discussione sulla teologia della liberazione, sebbene la questione fosse ben presente. Se preoccupanti deviazioni erano terminate in una censurabile visione ecclesiologica, che dette poi il corso ad una cristologia equivoca, era necessaria la confessione autentica del Signore e della sua piena Signoria. Occorreva tener ben presente il criterio di non alterare la verità di Cristo, per intendere la Chiesa come Popolo di Dio, in relazione con il Regno di Dio, sebbene non si identifichi completamente con esso, e non come una Chiesa popolare.

Il "tripode" si ispira alla Evangelii nuntiandi, n. 78: "il Vangelo che ci è stato affidato è anche parola di verità". "Verità su Dio, verità sull'uomo e sul suo destino misterioso", completato dalla verità sulla Chiesa.

La verità su Gesù Cristo è il primo dovere dei Vescovi, maestri della fede. Questa è l'unica "prassi" adeguata (cfr I). Denuncia, senza giri di parole, le "riletture del Vangelo (...). Esse causano confusione allontanandosi dai criteri centrali della fede della Chiesa". "In alcuni casi si tace sulla divinità di Cristo o si incorre in forme di interpretazione in contrasto con la fede della Chiesa. Cristo si presenta solamente come un profeta". "In altri casi si pretende di presentare Gesù come impegnato politicamente, come un lottatore contro la dominazione romana o contro i poteri e perfino coinvolto nella lotta di classe. Questa concezione di Cristo come politico, rivoluzionario, come il sovversivo di Nazareth, non coincide con la Catechesi della Chiesa" (cfr I, 4).

In quanto alla verità sulla missione della Chiesa, denuncia le interpretazioni in cui "si avverte il malessere sulla natura e la missione della Chiesa", la interpretazione secolarista sul Regno che deriverebbe dal cambio strutturale socio-politico e dal soppiantamento della Chiesa "istituzionale" o "ufficiale", da parte della "Chiesa popolare" "che nasce dal popolo e si concretizza nei poveri". Saremmo nel terreno dominato dalle ideologie (cfr I, 8).

Non è quindi qualcosa di nascosto il fatto che il Papa si sia occupato di questa ben nota e discutibile forma di interpretazione, così come dopo ha anche fatto la Conferenza di Puebla. Possiamo dire che nella Evangelii nuntiandi e nel discorso inaugurale del Papa era già in nuce ciò che dopo sarebbe stato espresso dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nelle Istruzioni sulla Teologia della Liberazione (Libertatis Nuntius e Libertatis Conscientiae).

È stato detto, in una lettura deformata e parziale, riguardo al fecondo e completo insegnamento del Papa Giovanni Paolo II, che egli, nella dimensione sociale, è aperto, mentre in quella magisteriale e dottrinale sarebbe conservatore. Già in questo discorso si osserva chiaramente che c'è una totale e necessaria complementarità in una vera unità, in cui è la fede che guida verso un genuino impegno nei confronti dell'uomo, dell'umanità, dei poveri, tali come sono contemplati dal Vangelo, tali come sono amati dallo stesso Signore.

Il Papa afferma: "L'atteggiamento del cristiano che vuole veramente servire i fratelli più piccoli, i poveri, i più bisognosi, gli emarginati: in una parola, tutti coloro che riflettono nelle loro vite il volto sofferente del Signore" (I, 4). Per questo, dalla prospettiva di Cristo e della Chiesa, o meglio, dalla prospettiva della Chiesa di Cristo, si capisce la terza verità sull'uomo. È l'uomo, non la concezione inadeguata della attuale civiltà, che ha ferito i valori umani, se non addirittura l'uomo, il cui mistero trova vera luce soltanto nel mistero del Verbo Incarnato (cfr GS, 22). Questo testo del Concilio è stato molto spesso citato da Giovanni Paolo II. Una vera antropologia cristiana non si lascia inquinare da altri umanesimi (cfr I, 9).

Tutto questo ci deve condurre ad una salda unità di Pastori, che deve essere ancor più stretta e solida. Una unità con i sacerdoti, religiosi e il popolo fedele. L'enorme contributo dei religiosi nell'evangelizzazione richiede una comunione indissolubile di mente e di azione con i Vescovi, lealmente ricercata, una docile e fiduciosa collaborazione con i Pastori. Per questo il suo desiderio e la sua ferma raccomandazione si esprimono in questi termini: "In questa linea grava su tutti, nella comunità ecclesiale, il dovere di evitare magisteri paralleli, ecclesialmente inaccettabili e pastoralmente sterili" (II, 2).

Le accennate verità, che sono il cemento della comunione, aprono la tematica svolta ampiamente dal Papa, toccando temi di decisiva importanza, sotto il titolo di "difensori e promotori della dignità".

Davanti alla dignità ferita in molti modi in America Latina, ricorda la relazione tra "l'evangelizzazione e la promozione umana o liberazione, considerando in un così vasto e importante campo ciò che è specifico della presenza della Chiesa" (III, 1).

Questo spiega il celebre inciso, ispirato dalla Evangelii nuntiandi, che diventa criterio centrale: "essa (la Chiesa) non ha bisogno, quindi, di ricorrere a sistemi e ideologie per amare, difendere e collaborare nella liberazione dell'uomo" (III, 2). "Non mediante la violenza dei giochi di potere, dei sistemi politici, ma mediante la verità sull'uomo" (III, 3), si deve cercare il rimedio alle sofferenze.

Riguardo alla questione della proprietà, in una fedele interpretazione di San Tommaso, nella Enciclica Populorum progressio, il Papa conia, sul fondamento sociale della proprietà, la formulazione nuova ed espressiva di "ipoteca sociale" che grava su di essa; mediante essa si lavora per la società umana "evitando che i più forti usino il loro potere a detrimento dei più deboli", preoccupazione che è stata ben presente in tutto l'insegnamento del Papa. Si riferisce alle molteplici e variegate forme di violazioni umane: "il diritto a nascere, il diritto alla vita, alla procreazione responsabile, al lavoro, alla pace, alla libertà e alla giustizia sociale..." (III, 5). Si offre un ampio e preoccupante panorama che conduce a richiedere il rispetto dell'uomo attraverso il cammino del Vangelo. È una autentica liberazione.

Sono pagine intere quelle che Giovanni Paolo II dedica al tema della liberazione, in piena convergenza con la Evangelii nuntiandi, che sarebbe troppo lungo riprodurre. Una liberazione con compiti più ampi, evangelici, di taglio ben diverso da quelli che diffondeva una visione ridotta: liberazione integrale, profonda, come fu annunciata da Gesù, fatta di perdono e di riconciliazione; liberazione che non si riduce alla semplice dimensione economica, politica o culturale; che evita il riduzionismo e le ambiguità; che non si nutre di ideologie; che è fedele alla Parola di Dio e alla tradizione della Chiesa (cfr III, 6).

Si spiega bene il rinnovato influsso che ebbe nei Vescovi questo insieme di chiarimenti.

Il discorso si riferisce poi alla Dottrina Sociale della Chiesa, la cui "eclissi" si propagandava attraverso caricature di impostazione ideologica. La rinnovata fiducia nell'insegnamento sociale fu una espressa raccomandazione del Romano Pontefice e la Conferenza di Puebla rappresentò una rinascita piena di speranza della dottrina sociale. Già allora il CELAM invocava, senza timore, i suoi principi per analizzare le gravi situazioni di tanti paesi, le quali erano realmente come un grido per il rispetto della dignità umana, dell'uomo, immagine di Dio.

"Confidate - disse il Papa - responsabilmente in questa dottrina sociale, sebbene alcuni cerchino di seminare dubbi e diffidenza su di essa, studiarla con serietà, cercare di applicarla, insegnarla, essere fedele ad essa, è, per un figlio della Chiesa, garanzia della autenticità del suo impegno nei delicati ed esigenti compiti sociali e dei suoi sforzi in favore della liberazione o della promozione dei fratelli" (II, 7). Infatti, le Conferenze Episcopali, servite dal CELAM, organizzarono diversi corsi, particolarmente intensi in diverse zone sulla dottrina sociale e le ideologie, cosa, questa, tanto necessaria per rispondere alla situazione drammatica dei paesi, di fronte non soltanto al collettivismo marxista e all'analisi marxista, ma anche al capitalismo ferreo che fu denunciato senza storie come attentato alla dignità dei poveri, sempre più feriti nei loro diritti.

Il Papa terminò il discorso menzionando alcuni compiti prioritari e precisamente: la famiglia e la gioventù; come pure le vocazioni sacerdotali. Rispetto alla pastorale familiare sottolineò come un preannuncio della Esortazione Apostolica Familiaris consortio che "il futuro dipende in gran parte dalla chiesa domestica", oggetto di tante minacce e campagne anticoncezionali che distruggono la società (IV, a).

Alcune ore prima aveva celebrato a Puebla una Eucaristia, circondato da una grande moltitudine, nel Seminario Palafoxiano. Egli manifestò l'urgenza della pastorale familiare, al fine di rafforzare il senso della famiglia e le serie sfide che si affrontano contro la integrità familiare: il divorzio, l'aborto, il "numero allarmante di bambini (...) che nascono in luoghi senza alcuna stabilità", e il flagello della povertà ed anche della miseria che costituiscono condizioni inumane.

Chiede ai governi una politica familiare e come Paolo VI all'ONU, esige che "non diminuisca il numero degli invitati al banchetto della vita", ma aumenti il cibo sulla tavola, in contrapposizione con le note ed ipotetiche teorie neomaltusiane. Allora, cinque lustri fa, si era lungi dal riconoscere, come oggi, il mito della sovrappopolazione!

Il Papa vuole entrare in ogni focolare domestico per portare una parola di coraggio e di speranza. Un bel desiderio, questo, con il quale avrebbe poi aperto, 10 anni dopo, la sua Lettera alle Famiglie: Gratissimam sane.

La raccomandazione per la gioventù, breve, ma penetrante, sintetizza il suo amore, dimostrato durante questi lustri con un cuore aperto alle sue speranze: "quante speranze ripone in essa la Chiesa! Quante energie circolano in America Latina e di cui ha bisogno la Chiesa"! (IV, c).
Invocando Nostra Signora di Guadalupe, il Papa invita i Pastori a iniziare le sessioni con:

- audacia di profeti e prudenza di pastori;
- lungimiranza di maestri e sicurezza di guide e di orientatori;
- forza di animo come testimoni e servitori, pazienza e mitezza di padri.

Il Successore di Pietro concluse il suo messaggio con la stessa consegna che Cristo fece ai suoi discepoli: "Andate ed insegnate a tutte le genti" (Mt 28, 19).

Si dava così il via all'intenso lavoro di Puebla e si iniziava anche la semina in questa visita apostolica in Messico.

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