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8th GNIEZNO CONVENTION
“FAMILY – THE HOPE FOR EUROPE”
GNIEZNO 12-14 MARCH 2010
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PART VIII PRO-FAMILY EUROPE

INTERVENTO DEL CARDINALE ENNIO ANTONELLI,
PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA

Domenica, 14 marzo 2010
 

La famiglia e il futuro dell’Europa”

 

Saluto con sentimenti di amicizia e di gioia tutti voi che partecipate a questo importante Convegno “Family. The Hope for Europe”. Mi congratulo con gli organizzatori per i molti e importanti temi che sono stati inseriti nel programma. Il Signore benedica il Convegno e lo renda fruttuoso per il bene delle famiglie e dei popoli europei, in primo luogo per il bene della Polonia.

1) La crisi in atto

Il Papa Giovanni Paolo II di venerata memoria, in riferimento alla famiglia, affermava: “Qui è in gioco il bene e l’avvenire della Chiesa in Europa non meno che il bene e l’avvenire della società europea” (Discorso a CCEE, 11 ottobre 1985, n. 9).

Di fatto nell’Europa moderna e postmoderna costatiamo che la crisi della famiglia si collega e interagisce con la crisi del cristianesimo e la crisi della società civile. Si tratta di un globale processo di cambiamento a molteplici dimensioni.

Nella società agricola e artigianale del passato il lavoro si svolgeva ordinariamente in casa e vicino a casa, sia quello degli uomini sia quello delle donne. Beni e servizi si scambiavano in gran parte direttamente e solo in piccola parte con il denaro. Il lavoro della donna non era economicamente discriminato rispetto a quello dell’uomo. Il tempo del lavoro non era separato da quello della vita familiare.

A partire dalla rivoluzione industriale, il lavoro produttivo di beni e di reddito, affidato soprattutto all’uomo, si trasferisce alla fabbrica e viene retribuito in denaro, mentre il lavoro domestico non retribuito viene lasciato alla donna. Così l’uomo si allontana dalla famiglia e la donna si sente discriminata. Perciò è tentata di omologarsi al modello maschile e di cercare anche lei la propria affermazione personale nel lavoro extradomestico, nella professione, nella carriera, finché, con lo svilupparsi dell’economia dei servizi e dell’informazione, vede moltiplicarsi le opportunità di occupazione e di indipendenza finanziaria. Si apre però una divaricazione tra il lavoro e la famiglia: le esigenze e i tempi dell’uno mal si conciliano con quelli dell’altra. Da non pochi la famiglia viene perfino considerata un ostacolo all’efficienza produttiva del sistema e allo sviluppo sociale, mentre l’individuo, il single è ritenuto più funzionale, perché è in grado di offrire più mobilità, più disponibilità di tempo e di energie, più propensione ai consumi.

Il benessere individuale viene pubblicizzato come ideale di vita. Si getta il discredito sui legami stabili del matrimonio e della genitorialità. Si promuove l’esercizio puramente ludico della sessualità, anche omosessuale. Più in generale si diffonde una mentalità libertaria, relativista, edonista, utilitarista. In questo contesto la crisi della famiglia nell’Unione Europea assume proporzioni preoccupanti.

Divorzi più di un milione all’anno, pari alla metà dei matrimoni; famiglie monoparentali; famiglie ricomposte; convivenze di fatto; singles (pari al 29% delle famiglie).

Due terzi delle famiglie sono senza figli. L’indice medio di fecondità per donna è 1,5 (negli USA 2,9; nel mondo 2,5), molto al di sotto della soglia di ricambio generazionale (2,1). Nei prossimi 40 anni è previsto un forte invecchiamento medio della popolazione: gli anziani sopra i 65 anni saranno 135 milioni, pari a della popolazione, mentre i ragazzi sotto i 15 anni saranno solo 80 milioni, pari a della popolazione.

“Emergenza educativa”, così chiamata da Benedetto XVI (Lettera 21.01.2008). Molti giovani crescono poveri di ideali, spiritualmente vuoti, interessati solo al tifo sportivo, alle canzoni di successo, ai vestiti firmati, ai viaggi pubblicizzati, alle emozioni del sesso. L’unica virtù in cui mostrano di credere è la cosiddetta ‘autenticità’, che di fatto significa spontaneismo e narcisismo. Spesso per uscire dalla noia e dall’insicurezza si mettono in gruppo e diventano aggressivi: bullismo, vandalismo, alcol, droga, rapine, stupri, delitti. Il 25% dei figli di genitori separati presenta problemi psicologici, scolastici, sociali mediamente in misura doppia rispetto ai figli di genitori uniti e, a parità di altri fattori, ha probabilità doppia di finire in carcere prima di raggiungere i 30 anni.

Di pari passo con la crisi della famiglia cammina il processo di scristianizzazione. L’Europa di oggi si presenta come il continente più secolarizzato: bassa frequenza alla messa della domenica; religione considerata poco rilevante per la vita; Chiesa accusata di essere antimoderna, nemica del progresso, nemica delle libertà, perché disapprova la contraccezione, l’aborto, il divorzio, l’omosessualità.

Cresce invece la presenza islamica in Europa: è significativo che a Bruxelles, capitale dell’Unione Europea, i musulmani siano già il 20% degli abitanti. Dato che la fecondità media delle loro donne è di 3,5 figli ciascuna, si prevede che nel 2050 il 30% della popolazione europea sarà musulmano. Certe élites europee, molto ostili verso il cristianesimo e la sua storia, sono viceversa assai benevole verso l’islam, sopravvalutando i suoi meriti culturali e passando sotto silenzio i suoi limiti in fatto di democrazia e diritti umani.

La società europea appare piuttosto stanca e decadente. La politica si interessa solo al mercato e ai diritti individuali; considera la famiglia un affare privato e rimane indifferente rispetto alle varie forme di convivenza. La cultura non tiene desta la memoria delle sue radici, della sua storia, dei suoi valori. Mancano ideali, speranze, progetti condivisi. Mancano la gioia di vivere e la fiducia verso il futuro. Con il progressivo invecchiamento della popolazione si prospettano anche gravi problemi economici: diminuiranno le forze produttive e aumenteranno le spese per le pensioni, la sanità e l’assistenza (dato che nel 2050 ogni 100 lavoratori ci saranno 75 pensionati, ogni lavoratore dovrà provvedere a circa di una pensione); si rischia la fine dello stato sociale e della società del benessere.

Come si vede, le ombre sono pesanti; non mancano però le luci.

2) La famiglia soggetto sociale ed ecclesiale

Un motivo di speranza per il futuro dell’Europa è l’emergere e il diffondersi, presso un numero crescente di famiglie, della piena consapevolezza circa l’identità e la missione sociale ed ecclesiale della famiglia.

Come il mercato è l’istituzione dello scambio utilitario, così la famiglia è l’istituzione della gratuità e del dono reciproco tra le persone. Più precisamente la famiglia è l’istituzione del dono reciproco totale e della comunione integrale di vita.

Pur essendo lecito e perfino necessario cercare negli altri il proprio utile, è però grave disordine morale ridurre il rapporto con loro alla sola dimensione utilitaria. Si rispetta la dignità delle persone nella misura in cui esse sono considerate un grande bene in se stesse e si vuole sinceramente il loro bene. All’altezza della loro dignità è solo la logica dell’amore, della gratuità, del dono. Proprio questa logica caratterizza la vita familiare autentica.

In famiglia gli altri sono visti non solo come una risorsa da cui ricavare vantaggi, ma anche e soprattutto come un bene in se stessi, come persone insostituibili, non intercambiabili, senza prezzo e con valore assoluto. Con la stessa serietà con cui si vuole il proprio bene, si vuole anche quello degli altri e ci si fa carico della loro crescita umana integrale, portandone il peso. Se c’è un’attenzione preferenziale, è per i più deboli: i bambini, i malati, i disabili, gli anziani. Si costruiscono così legami profondi di comunione tra le persone, rispettando la loro libertà e valorizzando la loro originalità.

L’amore comporta unità e alterità. In famiglia si armonizzano e si valorizzano le differenze fondamentali dell’essere umano, quella dei sessi (uomo-donna) e quella delle generazioni (genitori-figli).

La sessualità è altruismo scritto nel corpo e nell’anima, differenza nell’uguaglianza in vista del dono reciproco e della comunione. L’uomo e la donna sono ambedue esseri umani, di pari dignità, ma hanno anche importanti diversità.

La differenza nell’uguaglianza non crea di per sé discriminazione; ma interazione, scambio, complementarietà, collaborazione. Soprattutto l’uomo e la donna danno, l’uno all’altro, il potere di procreare e diventare genitore. Il rapporto sessuale tra i coniugi ha due significati oggettivi, unitivo e procreativo. Mentre si donano l’uno all’altro, i coniugi si aprono ad una eventuale ulteriore alterità e unità, a un’ulteriore novità di vita e di bene. Il figlio che nascerà da loro sarà il loro essere “una sola carne”, in senso pieno e permanente.

Unità e apertura caratterizzano non solo l’autenticità dell’atto coniugale, ma l’autenticità di tutta la vita di coppia e di famiglia. I coniugi guardano insieme verso i figli (cura, educazione) e al di là dei figli e con loro verso la Chiesa e la società, mediante obiettivi, progetti, impegni concordati.

La famiglia genera le persone; produce i beni relazionali primari che costruiscono l’identità personale; alimenta le virtù indispensabili per la coesione e lo sviluppo integrale della società: gratuità, reciprocità, fiducia, solidarietà, responsabilità, cooperazione, progettualità, capacità di sacrificio, sobrietà, propensione al risparmio, rispetto dell’ambiente.

Il mercato stesso, istituzione dello scambio utilitario, ha bisogno di una componente di gratuità e di solidarietà, che gli può essere comunicata da altri soggetti, specialmente dalla famiglia, istituzione del dono. Lo insegna Benedetto XVI nella sua ultima enciclica: “Anche nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità, possono e devono trovare posto entro la normale attività economica” (Benedetto XVI, CV, 36). “Nell’epoca della globalizzazione, l’attività economica non può prescindere dalla gratuità che dissemina e alimenta la solidarietà e la responsabilità per la giustizia e il bene comune nei suoi vari soggetti ed attori. Si tratta, in definitiva, di una forma concreta e profonda di democrazia economica” (Benedetto XVI, CV, 38).

Chi ha fatto esperienza della gratuità in famiglia, è in grado di percepire anche il lavoro produttivo come dotato di senso umano e religioso; perciò è in condizione di compierlo con più gusto e gratificazione. Chi ha fatto esperienza di relazioni virtuose in famiglia, è abilitato a edificare l’impresa come “comunità di uomini” (Giovanni Paolo II, CA, 35), a portare capacità relazionali nel mercato, a promuovere il bene comune della società. Senza dimenticare che la progettualità e il risparmio, incrementati dalla famiglia, sono essenziali per lo sviluppo economico non meno dei consumi, che invece risultano favoriti dagli individui singles.

Oggi la famiglia sempre più si rende conto di essere una risorsa indispensabile per la società e chiede di essere riconosciuta come soggetto sociale di rilevanza pubblica, con propri diritti e doveri. Contemporaneamente anche nella Chiesa cresce l’attenzione alla famiglia cristiana come soggetto insostituibile di evangelizzazione.

A riguardo Giovanni Paolo II si è pronunciato più volte. “La famiglia cristiana è inserita a tal punto nel mistero della Chiesa da diventare partecipe, a suo modo, della missione di salvezza propria di questa … (risultando così) comunità salvata … (e) comunità salvante” (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, 49). “La famiglia viene considerata non solo come destinataria del lieto annuncio … ma è anche agente di evangelizzazione” (Giovanni Paolo II, Discorso 26.11.1992, n. 3).

La fede cristiana rafforza la famiglia e la famiglia è la principale via di trasmissione della fede. Nei primi secoli il Vangelo passava in modo spontaneo da persona a persona, dalla moglie al marito e viceversa; dai genitori ai figli e viceversa; dallo schiavo al padrone e viceversa. Si diffondeva di casa in casa, da ambiente ad ambiente, da città a città, malgrado le persecuzioni. Anche oggi, in un mondo secolarizzato, l’apostolato personale e familiare è il più capillare, il più efficace e persuasivo. Molte famiglie evangelizzano nella propria casa mediante la preghiera e l’ascolto comune della parola di Dio, il dialogo, l’edificazione scambievole, l’amore reciproco. Evangelizzano nel loro ambiente mediante le relazioni con i vicini, i parenti, gli amici, i colleghi di lavoro, la scuola, i compagni di sport e divertimento. Evangelizzano nella parrocchia mediante la fedele partecipazione alla messa domenicale, la collaborazione sistematica al cammino catechistico dei figli, l’inserimento nelle attività formative, caritative, ricreative, la partecipazione a incontri di famiglie, a gruppi, piccole comunità, movimenti e associazioni, l’animazione di itinerari di educazione dei giovani all’amore e di preparazione dei fidanzati al matrimonio, la vicinanza alle famiglie in difficoltà.

Evangelizzano in senso proprio e credibile, non le famiglie socialmente rispettabili, non le famiglie praticanti e tuttavia allineate con i modi di pensare e di agire secolarizzati, ma le famiglie che hanno una concreta spiritualità cristiana, cioè un rapporto vivo e personale con il Signore Gesù, e da lui attingono gioia, speranza, motivazioni, energie, amore verso tutti, responsabilità missionaria. “Le sfide e le speranze che sta vivendo la famiglia cristiana – afferma Giovanni Paolo II – esigono che un numero sempre maggiore di famiglie scoprano e mettano in pratica una solida spiritualità familiare nella trama quotidiana della propria esistenza” (Discorso, 12.10.1980).

3) L’impegno civile delle associazioni familiari

Trent’anni fa, Giovanni Paolo II chiamava le famiglie a mobilitarsi per costruire una società più attenta ai loro diritti e doveri: “Le famiglie devono essere le prime a far sì che le leggi e le istituzioni dello Stato non solo non danneggino, ma sostengano e difendano positivamente i diritti e i doveri delle famiglie. In questo senso devono crescere nella consapevolezza di essere protagoniste della cosiddetta politica familiare e assumersi la responsabilità di trasformare la società; altrimenti le famiglie saranno le prime vittime di quei mali che si sono limitate ad osservare con indifferenza” (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, 44).

Questo appello non è caduto nel vuoto; sta avendo una risposta sempre più vigorosa nell’attività delle associazioni familiari, un altro seme di speranza per il futuro. Attività multiforme: animazione culturale nelle scuole, nelle parrocchie, nelle diocesi, nei media (stampa, radio, televisione, internet); organizzazione di eventi con risonanza nell’opinione pubblica; progetti ed esperienze pilota di città amica delle famiglie; pressione sui responsabili delle istituzioni comunali, regionali, nazionali, internazionali per una amministrazione e una politica favorevole alle famiglie; promozione di incontri di studio e di proposta; monitoraggio delle attività parlamentari; formazione di uomini politici e di operatori della cultura e della comunicazione sociale, motivati e competenti.

Le rivendicazioni delle associazioni familiari sono di carattere culturale, giuridico ed economico. Affermare come istituzione di rilevanza pubblica la coppia uomo-donna, unita in matrimonio e aperta ai figli, garanzia di ordinato sviluppo e di futuro per la società. Incentivare la stabilità della coppia come un bene per i figli, per i coniugi e per la società. Tutelare il diritto dei bambini ad avere un padre e una madre e a crescere insieme a loro, per potersi relazionare, fin dalla primissima infanzia, con due persone di sesso diverso e potersi così costruire una chiara e solida identità, una personalità definita. Tutelare, in caso di adozione, il diritto del bambino ad essere affidato a una coppia formata da un uomo e una donna, uniti in matrimonio, che dia sufficienti garanzie di armonia e stabilità. Tutelare il diritto dei minori ad essere educati secondo gli orientamenti della famiglia e nella scuola da essa scelta. Agevolare i ricongiungimenti familiari dei lavoratori, specialmente degli immigrati. Garantire una ragionevole sicurezza economica, supportando il lavoro intermittente con meccanismi di protezione, con ammortizzatori sociali estesi anche alle piccole aziende (ad esempio cassa integrazione, mobilità, prepensionamento). Incentivare la natalità, commisurando il prelievo fiscale sia al reddito sia al numero delle persone a carico, accordando speciali sconti e agevolazioni alle famiglie numerose, rendendo compatibili la maternità e il lavoro extradomestico delle donne. Conciliare per ambedue i coniugi le esigenze del lavoro con quelle della vita familiare, offrendo, quando è possibile, varie opportunità (tempo pieno, part-time, telelavoro, flessibilità di orari, congedi e permessi). Difendere la vita nascente, contrastando i tentativi di introdurre nella legislazione il diritto all’aborto (che allora verrebbe considerato non più un male tollerato, ma un bene), affermando il diritto all’obiezione di coscienza per gli operatori sanitari, sollecitando provvedimenti di sostegno alla maternità in modo da offrire una concreta alternativa all’aborto.

Le associazioni familiari di impegno civile coerente con il Vangelo chiedono un sostegno, convinto e forte, anche alle comunità ecclesiali. L’azione pastorale a vari livelli (nazionale, diocesano, parrocchiale) dovrebbe motivare le famiglie ad aderire ad esse in massa, perché una larga rappresentatività dia loro una maggiore autorevolezza ed efficacia.

Da un potenziamento delle associazioni familiari trarrebbe giovamento anche il magistero dei Pastori, che, pur avendo tutto il diritto di intervenire nel dibattito pubblico sui temi di bioetica e di diritto familiare, vengono violentemente accusati di indebita ingerenza e di violazione della laicità dello Stato. I Pastori, secondo la loro missione di proclamare la verità su Dio e sull’uomo e di educare le coscienze, dovrebbero soprattutto formare i cristiani laici, perché nelle cose temporali siano essi i protagonisti. E’ bene che i cristiani laici e le loro associazioni siano in prima fila e che i vescovi e i sacerdoti rimangano in seconda fila o almeno non siano in prima fila da soli.

4) Speranza e impegno missionario

Gesù Cristo ha voluto la Chiesa come luce del mondo, città sul monte, luce sul candelabro, sale della terra (cf Mt 5, 13-14), suo corpo (1Cor 12, 27), sua espressione visibile, sacramento (cf Vaticano II, Lumen Gentium, 1; 8), per continuare a manifestare la sua presenza nella storia e condurre gli uomini alla salvezza con la cooperazione di essa. Le affida questa missione, da compiere con la preghiera, il sacrificio, la testimonianza, l’annuncio del Vangelo, l’animazione cristiana delle realtà terrene.

Il Signore, crocifisso e risorto, vuole attrarre a sé tutti gli uomini (cf Gv 12, 32). Per questo la Chiesa deve essere protesa verso tutti nella missione e deve essere aperta all’accoglienza verso tutti. Ma gli uomini si orientano verso Gesù Cristo e si avvicinano a lui, in diversa misura e in varie modalità. I gradi e le forme di appartenenza sono diversi secondo la storia personale di ognuno. Anche quando la comunione non è completa, nelle sue dimensioni invisibili e visibili, ci può essere una certa comunione. Solo Dio conosce il cuore delle persone. Alla Chiesa è chiesto solo di dare la sua cooperazione.

La missione universale della Chiesa può essere svolta efficacemente anche da comunità cristiane piccole di numero, perché esse possono preparare alla salvezza eterna, per le vie misteriose della grazia, anche coloro che su questa terra non arrivano alla piena comunione. I risultati non si misurano con le indagini sociologiche. In una visione sacramentale della Chiesa (l’unica adeguata), l’essenziale è vivere intensamente l’unione con Cristo, condividere il suo amore salvifico per tutti gli uomini e per tutto ciò che è autenticamente umano, sentirsi da lui inviati in missione per procurare, secondo le proprie possibilità, il bene di tutti, temporale ed eterno.

Ha scritto il Cardinale Ratzinger: “La Chiesa di massa (come era nel passato) può essere qualcosa di bello, ma non è necessariamente l’unico modo di essere della Chiesa. La Chiesa dei primi tre secoli era piccola, senza per questo essere una comunità settaria. Al contrario, non era chiusa in se stessa, ma sentiva una grande responsabilità nei confronti dei poveri, dei malati, nei confronti di tutti”. Amore e apertura, dunque, verso tutti, ma con modalità differenziate. “Ci possono essere – aggiungeva il Cardinale Ratzinger – diverse forme di coinvolgimento e di partecipazione” e si potrebbero “esplorare nuovi modi” di collegamento con la Chiesa, più forti o più deboli (cf J. Ratzinger, Prima di tutto, noi dobbiamo essere missionari, 2000).

Nell’Europa di oggi la secolarizzazione ha messo in crisi l’appartenenza sociologica, di massa, alla Chiesa. Si tratta indubbiamente di una sfida dura e pericolosa; ma può offrire anche l’opportunità di una scelta di fede più personale, consapevole e libera, controcorrente, non conformista, coraggiosa. Di fatto vediamo una fioritura di movimenti, associazioni, nuove comunità, nuclei impegnati di cristiani e di famiglie cristiane in moltissime parrocchie. Sono un dono dello Spirito Santo rispondente alle necessità del nostro tempo e un forte motivo di speranza per il futuro, energie nuove per la nuova evangelizzazione. Costituiscono un riferimento per i cristiani mediocri, per le famiglie in crisi, per i non credenti. Del resto, malgrado la secolarizzazione, rimane nella gente un diffuso bisogno di spiritualità e la devozione popolare continua a prosperare: lo indicano eloquentemente i pellegrinaggi ai santuari, più affollati che mai.

La situazione del cristianesimo in Europa non è fallimentare, se la si legge alla luce della dinamica missionaria che si potrebbe riassumere con la formula: i pochi per i molti, anzi per tutti. Assecondando questa dinamica, la pastorale dovrebbe proporre esperienze differenziate, secondo la maggiore o minore disponibilità e capacità di accoglienza delle persone. Limitarsi a offrire un minimo di educazione cristiana uguale per tutti porterebbe all’appiattimento verso il basso e all’impoverimento di tutti. Il primo e più grande obiettivo dovrebbe essere quello di formare nuclei di cristiani e di famiglie cristiane di robusta spiritualità e viva responsabilità missionaria. Non bisogna certo dimenticare la moltitudine delle persone e delle famiglie mediocri o lontane. Ma, per arrivare ad esse, la via migliore è quella della testimonianza e dell’impegno attivo dei cristiani e delle famiglie cristiane esemplari. Per illuminare e riscaldare, la prima cosa da fare è accendere il fuoco.

Nella preparazione dei fidanzati al matrimonio ritengo che non ci si debba limitare a organizzare un piccolo numero di incontri, un corso breve, uguale per tutti e che tutti con un minimo di buona volontà possono frequentare. Ma ritengo che si debbano fare proposte differenziate e, cominciando dalle coppie più disponibili e procedendo con saggia gradualità, si debba fare il possibile per introdurre o diffondere anche itinerari prolungati di fede e di vita cristiana, simili al catecumenato. Si potranno così avere famiglie con una solida formazione, preparate alla testimonianza e ai servizi concreti a favore delle altre famiglie, idonee ad animare le attività catechistiche, caritative, culturali, sociali.

L’accompagnamento delle famiglie dopo il matrimonio, mediante varietà di iniziative, dovrebbe continuare sulla stessa linea: alimentare la spiritualità, tenere desta la responsabilità riguardo all’evangelizzazione e all’impegno civile, affidare alle famiglie idonee la cura e l’evangelizzazione delle famiglie.

Spiritualità, intesa come rapporto personale con il Signore Gesù, coltivato con la preghiera, l’ascolto della Parola e l’Eucaristia, incarnato e vissuto in tutte le relazioni e attività ordinarie. Responsabilità missionaria, intesa come condivisione dell’amore salvifico di Cristo verso tutti gli uomini. Piena autenticità della vita cristiana ed ecclesiale: ecco ciò che conta e che il nostro tempo richiede. “Gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti di oggi non solo di parlare di Cristo, ma in certo senso di farlo loro vedere” (Giovanni Paolo II, NMI, 17).

Impegno ‘per’ e ‘con’ le famiglie sia sul versante civile che su quello ecclesiale: ecco la consegna, la parola d’ordine. I numeri e le percentuali contano relativamente. Anche se la notte è buia, ha detto Paolo VI, non bisogna aver paura della notte, se ci sono fuochi che illuminano e riscaldano.

 

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