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PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA

INCONTRO DEI VESCOVI RESPONSABILI
DELLA COMMISSIONE EPISCOPALE
DELLA FAMIGLIA E DELLA VITA
DELL’AMERICA LATINA E DEI CARAIBI

[BOGOTÁ - COLOMBIA 28 MARZO - 1° APRILE
 2011]
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OSSERVAZIONI CONCLUSIVE DI S.Em. ENNIO CARD. ANTONELLI
PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA

 

1) Ringrazio tutti voi che avete partecipato a questo Incontro per la testimonianza di fede e di preghiera fervorosa, per il clima sereno e gioioso di fraternità e di amicizia, per l’impegno di ascolto, di riflessione, di dialogo, di elaborazione e di proposta.

È emersa davvero una notevole ricchezza di stimoli e di orientamenti validi. Da parte mia vorrei solo sottolineare alcuni di essi, per chiarirli e rafforzarli ulteriormente. Indicherò alcune prospettive, alcune direzioni per il cammino pastorale. Spetta però ai singoli Vescovi nelle loro Diocesi e alle Conferenze Episcopali nei loro Paesi stabilire i passi concreti da fare con le necessarie gradualità. Occorre procedere con prudenza, per non provocare pericolose e dannose ripercussioni nei fedeli. Ma occorre anche procedere con coraggio, consapevoli che siamo arrivati a una svolta epocale e non possiamo curare la grave malattia con una semplice aspirina. Vi invito perciò a riflettere ulteriormente insieme ai Vescovi, ai sacerdoti e agli operatori pastorali dei vostri Paesi e a maturare con prudenza e coraggio le indicazioni e le decisioni necessarie.

2) In questo nostro incontro è stato ripetuto più volte che la pastorale familiare è da considerare un asse trasversale di tutta la pastorale, secondo la Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II e secondo il Documento di Aparecida dell’Episcopato Latinoamericano. Mi sembra che questo concetto abbia ancora bisogno di essere chiarito e precisato. In ogni caso però siamo tutti d’accordo che è necessaria anche una pastorale specifica della famiglia. È stato detto inoltre che tale pastorale specifica deve essere una pastorale dei percorsi (processos) e non dei soli eventi: convegni, congressi, festa della famiglia, settimana della famiglia, celebrazione di anniversari, pellegrinaggi di famiglie. Questi e altri eventi hanno la loro importanza, ma sono da collocare all’interno di un cammino progressivo e permanente di formazione e di vita cristiana. Innanzitutto è da sviluppare come un percorso (processo) la preparazione al matrimonio, per la quale Giovanni Paolo II nella Familiaris Consortio e Benedetto XVI nel discorso all’Assemblea Plenaria del nostro Pontificio Consiglio per la Famiglia hanno indicato una triplice scansione: preparazione remota, preparazione prossima, preparazione immediata.

3) La preparazione remota al matrimonio ha come destinatari i bambini, gli adolescenti e i giovani. Consiste nella educazione all’amore: amore cristiano in generale, amore coniugale in specie. Tale educazione comprende la trasmissione della dottrina e delle idee, il racconto delle storie esemplari, l’incontro con i modelli e le esperienze significative, l’esercizio pratico nella vita quotidiana, l’amicizia con Gesù, sorgente dell’autentico amore.

La dinamica dell’amore coinvolge tutta la complessità e originalità di ogni persona e perciò assume innumerevoli aspetti e sfumature. Tuttavia, in definitiva, amare Dio è fare la sua volontà e amare gli altri è volere il loro vero bene con la stessa serietà con cui si vuole il proprio bene, anche con sacrificio. Questo è il senso del duplice comandamento: ama il Signore tuo Dio con tutto te stesso; ama il tuo prossimo come te stesso.

Il desiderio del proprio bene è spontaneo e potente. Ma l’amore di desiderio si deve compenetrare con l’amore di donazione; la ricerca del proprio bene si deve armonizzare con la ricerca di quello degli altri. Possiamo essere veramente e pienamente felici solo insieme. Gesù ha detto: “C’è più gioia a donare che a ricevere” (At 20,35). Bisogna farlo sperimentare. Altrimenti non c’è educazione all’amore.

Se già il dono unilaterale è gioia, ancora più grande è la gioia del dono reciproco, della dedizione reciproca al bene dell’altro. Questa è la pienezza della gioia, perché è la gioia della comunione e la comunione è “il modo proprio di esistere e di vivere delle persone” (Giovanni Paolo II Gratissimam sane, 6).

Nella dinamica dell’amore, desiderio e dono, deve essere integrata la sessualità. Giustamente è stato detto che la differenza dei sessi è altruismo scritto nel corpo e nell’anima. Il sesso è linguaggio ed energia per comunicare e per aiutarsi reciprocamente a crescere. Ridurre l’esercizio di esso a scarico di pulsioni istintive è strumentalizzare l’altro, usarlo come un oggetto, non rispettarlo come persona. Il significato autentico lo si realizza, quando la sensazione di piacere, il sentimento di tenerezza e il dono reciproco totale sono uniti in una sola esperienza complessiva. Allora si ha la gioia più grande, che prefigura e anticipa la gioia delle nozze eterne con Dio. Giustamente Benedetto XVI nell’enciclica “Deus caritas est” afferma che la Chiesa non deprime, ma esalta l’eros e la sessualità.

Oggi è un pregiudizio molto diffuso quello di considerare la chiesa nemica dell’amore umano e della gioia di vivere. Bisogna ripetere continuamente, in ogni occasione opportuna, che è vero esattamente il contrario. Il disegno di Dio sulla sessualità, sul matrimonio e sulla famiglia è meraviglioso. Gi esseri umani sono chiamati a far dono della propria persona, cioè a orientare tutte le loro energie, corporee e spirituali, al bene proprio e altrui nello stesso tempo, per realizzare la comunione interpersonale, partecipando così realmente alla vita e alla gioia delle Tre Persone divine che sono un solo Dio.

D’altra parte, proprio perché mirabile è il disegno di Dio riguardo alla sessualità, vanificarlo con i disordini sessuali è, almeno oggettivamente, una cosa eticamente grave. Oggi è abbastanza frequente incontrare persone persuase che Dio non ha niente a che fare col sesso. Secondo loro, Gesù nel Vangelo non si preoccupa molto delle questioni di sesso; si preoccupa invece dell’ingiustizia, della violenza e dell’oppressione dei poveri. Questa posizione non ha alcun fondamento nei testi evangelici, secondo i quali Gesù condanna non solo l’adulterio, ma anche il desiderio disordinato, stabilisce il matrimonio indissolubile e invita alla verginità per il regno di Dio, perdona la donna adultera, ma le comanda di non peccare più. Seguendo il Maestro, l’apostolo Paolo presenta il matrimonio e la verginità come due espressioni dell’alleanza sponsale di Dio con il suo popolo ed è severissimo nel condannare i disordini sessuali (1Cor 6,9,15,20; Rm1,24-32) come tradimento della stessa alleanza. Del resto già nell’Antico Testamento i profeti avevano accostato il matrimonio all’alleanza con l’unico Dio e la prostituzione all’idolatria. Senza il dominio sull’istinto non è possibile integrare la sessualità nella dinamica dell’amore, inteso come dono di sè. È pertanto indispensabile educare le persone alla castità attraverso un cammino progressivo, evitando almeno che si abituino al vizio e diventino insensibili alla gratuità e alla dedizione generosa a Dio e al prossimo.

4) La preparazione dei fidanzati al matrimonio è oggi un nodo nevralgico della pastorale. C’è innanzitutto una preparazione prossima per i fidanzati che sono intenzionati a sposarsi, ma sono ancora lontani dalle nozze e non hanno stabilito alcuna data. L’ideale sarebbe che tutto il tempo del fidanzamento fosse vissuto come un catecumenato in preparazione al sacramento. Si avrebbe allora l’opportunità di una seria iniziazione cristiana di tantissimi adulti, che si sono allontanati dalla chiesa e sono diventati religiosamente mediocri o indifferenti. Tale iniziazione dovrebbe essere un vero e proprio esercizio di vita cristiana. Esercizio pratico finalizzato a una reale conversione e non solo alla trasmissione, pur necessaria, di contenuti e temi dottrinali. Proprio perché finalizzato alla conversione, il cammino richiede un tempo prolungato. Nel promuovere l’itinerario formativo bisognerà procedere con prudenza attraverso cambiamenti graduali; però non si deve aver paura. In ogni caso spetta ai Vescovi e alle Conferenze Episcopali decidere i passi progressivi da fare. In questa prospettiva cominciare col fissare un tempo minimo in ogni Paese, come è stato proposto, può essere un primo forte segnale. Ovviamente il tempo minimo dovrebbe essere inteso come provvisorio, in attesa di ulteriori sviluppi.

Se è possibile, sembra molto conveniente introdurre itinerari differenziati secondo i bisogni e la disponibilità delle coppie: una cosa sono le esigenze dei fidanzati e un’altra cosa quelle dei conviventi; una cosa sono quelle di coloro che hanno già ricevuto una solida iniziazione cristiana e un’altra cosa quelle di coloro che sono religiosamente indifferenti e lontani.

Tutti gli itinerari dovrebbero mirare a una profonda triplice conversione. Innanzitutto conversione a Cristo: incontro con lui nella Chiesa, ascolto della sua parola, preghiera personale e comunitaria, Santa Messa della domenica, confessione sacramentale, colloquio frequente con lui, impegno a fare quello che lui farebbe al nostro posto, imparare a vivere con lui e sempre più come lui, metterlo al centro della propria vita, da lui attingere coraggio e gioia, ricevendo il dono del suo Santo Spirito. Poi conversione alla dignità e al valore di ogni persona umana: credere in Cristo è anche credere nell’uomo, chiamato ad essere con lui figlio di Dio, a partecipare alla comunione trinitaria delle Persone divine. Infine conversione alla bellezza del matrimonio cristiano e della famiglia, piccola chiesa missionaria, contemplando tale bellezza nel disegno di Dio secondo la divina rivelazione e nella testimonianza vissuta di famiglie esemplari.

Si intuisce facilmente che per attuare questi itinerari prolungati è determinante la presenza di coppie di sposi cristiani, credibili e in certa misura preparate anche dottrinalmente e pedagogicamente. Sono loro che guidano gli incontri periodici dei piccoli gruppi con il sussidio di schede appositamente preparate in sede diocesana o nazionale. Ovviamente nel cammino devono trovare posto anche alcuni incontri col sacerdote e la partecipazione ad alcune conferenze tenute dagli esperti sui temi principali.

Quando i fidanzati sono prossimi al matrimonio e hanno già fissato la data, si deve loro offrire l’opportunità di una preparazione sui temi più specifici e di una più intensa esperienza spirituale. Questa fase del cammino prende il nome di preparazione immediata. Su di essa mi limito a segnalare un bel sussidio che mi è stato presentato in questi giorni ed è stato elaborato per iniziativa della Conferenza Episcopale del Venezuela.

5) La formazione permanente dei coniugi cristiani è oggi un altro punto nevralgico della pastorale, poiché non basta una buona preparazione al matrimonio.

Giovanni Paolo II nella Esortazione apostolica Novo Millennio Ineunte invita pressantemente a mettere in atto, in ogni comunità ecclesiale, una vera e propria pedagogia della santità, intesa come misura alta della vita cristiana ordinaria. A riguardo mi sembra estremamente prezioso valorizzare le esperienze dei nuovi Movimenti e delle nuove Comunità, che hanno una forte attenzione alla famiglia. Si tratta di sollecitare e di accogliere la loro collaborazione nelle parrocchie e nelle diocesi, a vari livelli.

Affido alla vostra riflessione la domanda se non sia il caso che ogni Vescovo nella sua diocesi obblighi le parrocchie a introdurre, secondo le loro possibilità nel programma pastorale annuale o pluriannuale alcune iniziative di formazione permanente dei coniugi (ad esempio, incontri periodici, piccole comunità di famiglie, laboratori per l’educazione dei figli, sussidi per la preghiera in famiglia e la catechesi familiare).

6) L’impegno civile per la famiglia e per la vita è stato un tema emerso con forza in questo nostro incontro. La relazione della Signora Marie Smith ci ha illustrato la proposta di una convenzione interamericana sui diritti sessuali e riproduttivi, ispirata all’ideologia del gender. Essa impone ai popoli del continente un’ideologia ostile al rispetto della vita umana, alla identità della famiglia fondata sul matrimonio e ai diritti dei genitori: una imposizione antidemocratica nella procedura e soprattutto nei contenuti. Questo fatto, insieme a tanti altri, ci dice quanto siano oggi necessarie le Associazioni Familiari di impegno civile, coerenti con la dottrina sociale della chiesa.

È vocazione propria dei cristiani laici svolgere secondo le loro competenze e responsabilità le attività terrene (specialmente la politica) coerentemente con l’insegnamento della Chiesa. È compito proprio dei Pastori dare loro una adeguata formazione. Certo in un paese veramente democratico i Vescovi hanno anche il pieno diritto di far sentire direttamente nel dibattito pubblico la loro voce, come tutti gli altri cittadini e come tanti altri maestri, a volte assai meno autorevoli di loro. Però è opportuno che in molte questioni i laici stiano in prima fila e i Vescovi in seconda fila, o almeno non da soli in prima fila.

Secondo la Familiaris Consortio, è diritto e dovere delle famiglie associarsi per difendere e promuovere efficacemente i loro diritti. Ad esempio, in Italia attualmente il Forum delle Associazioni Familiari sta avanzando in ambito fiscale la proposta del cosiddetto “Fattore familiare”: una fascia base di reddito delle persone fisiche proporzionata al numero dei figli e ad altri carichi familiari esente dalle tasse e una fascia superiore da tassare in proporzione alla quantità del reddito stesso. A livello locale invece molti comuni stanno accettando la proposta di proporzionare ai carichi familiari le tasse di loro competenza e le tariffe per i servizi comunali.

È importante, come alcuni dei partecipanti a questo incontro hanno già detto, che anche in America Latina si promuovano decisamente le Associazioni Familiari di impegno civile. La pastorale dovrebbe stimolarne la fondazione e lo sviluppo; dovrebbe esortare le famiglie ad aderire in massa ad esse, perché siano largamente rappresentative e abbiano maggiore autorevolezza in ambito politico, sociale e culturale. Bisognerebbe sensibilizzare le numerose università cattoliche del continente a dare la loro collaborazione, qualificata a livello scientifico.

7) Riprendo infine alcune indicazioni emerse riguardo alla collaborazione nella pastorale della famiglia.

Le Conferenze Episcopali, e le stesse Diocesi, potrebbero attivare la comunicazione delle esperienze valide e fruttuose, spesso preferibili ai programmi studiati a tavolino; potrebbero mettere a disposizione sussidi (ad esempio, per la preghiera in famiglia, per la catechesi ai bambini sui tempi e le feste dell’anno liturgico); potrebbero costituire in Internet un comitato di esperti, segnalare persone qualificate e idonee per conferenze e in particolare per la formazione dei sacerdoti sui temi della famiglia e della bioetica. A livello continentale forse sarebbe opportuno promuovere incontri dei Vescovi con i rappresentanti delle Università Cattoliche e anche incontri dei Vescovi con i rappresentanti dei principali Movimenti ecclesiali.

La collaborazione con il Pontificio Consiglio per la Famiglia potrebbe comprendere: a) la preparazione all’Incontro Mondiale delle Famiglie a Milano nel 2012 (iniziative a livello parrocchiale, diocesano e nazionale, suggerite dal Papa nella Lettera del 23 agosto 2010; utilizzazione delle catechesi sul tema dell’Incontro, disponibili a partire dalla prossima Pasqua; impegno per una consistente partecipazione all’evento); b) la partecipazione al processo già avviato di comunicazione delle esperienze riguardo alla famiglia cristiana soggetto di evangelizzazione (attenzione alle esperienze raccolte e messe in circolazione dal PCF; segnalazione al PCF di nuove esperienze significative); c) promozione di ricerche sociologiche su “La Famiglia risorsa per la società” come già stanno facendo alcuni paesi, scelti come campione in vista di Milano 2012 (In America Latina: Brasile e Messico).

 

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