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PONTIFICIO CONSIGLIO PER I TESTI LEGISLATIVI

NOTA ESPLICATIVA

 

I. Chiarimenti circa il valore vincolante dell’art. 66 del Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri

(cf. Communicationes, 27 [1995] 192–194)

1. Il « Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri », pubblicato dalla Congregazione per il Clero per incarico e con l’approvazione del Santo Padre Giovanni Paolo II, è certamente pervaso, nella sua totalità, da un profondo spirito pastorale. Tuttavia ciò non toglie valore prescrittivo a molte delle sue norme le quali non hanno un carattere soltanto esortativo ma sono giuridicamente vincolanti.

2. Questa obbligatorietà giuridica e disciplinare riguarda tanto le norme del Direttorio che semplicemente ricordano uguali norme disciplinari del CIC (per esempio l’art. 16, § 6) quanto quelle altre norme che determinano i modi di esecuzione delle leggi universali della Chiesa, esplicitano le loro ragioni dottrinali e ne inculcano o sollecitano la loro fedele osservanza (come per esempio gli artt. 62–64).

3. Infatti, le norme di quest’ultimo tipo, che appartengono alla categoria dei Decreti generali esecutori ed « obbligano quanti sono tenuti alle leggi stesse » (CIC, can. 32), spesso sono emanate dalla Santa Sede in Direttori, come è previsto dal Codice di Diritto Canonico (can. 33, § 1).

4. Per quanto si riferisce concretamente all’art. 66 del « Direttorio per il ministero e la vita dei Presbiteri », esso contiene una norma generale complementare del can. 284 CIC, con le caratteristiche proprie dei Decreti generali esecutori (cfr. can. 31). Si tratta, perciò, di una norma a cui si è voluto chiaramente attribuire esigibilità giuridica, come si deduce anche dal tenore stesso del testo e dal luogo in cui è stato incluso: sotto il titolo « L’obbedienza ».

5. Infatti, detto art. 66:

a) ricorda, anche con rimandi a recenti insegnamenti del Magistero pontificio in materia, il fondamento dottrinale e le ragioni pastorali dell’uso dell’abito ecclesiastico da parte dei sacri ministri, come prescritto dal can. 284;

b) determina più concretamente il modo di esecuzione di tale legge universale sull’uso dell’abito ecclesiastico, e cioè: « quando non è quello talare, deve essere diverso dalla maniera di vestire dei laici, e conforme alla dignità e alla sacralità del ministero. La foggia ed il colore debbono essere stabiliti dalla Conferenza dei Vescovi,. sempre in armonia con le disposizioni del diritto universale;

c) sollecita, con una categorica dichiarazione, l’osservanza e retta applicazione della disciplina sull’abito ecclesiastico–: « Per la loro incoerenza con lo spirito di tale disciplina, le prassi contrarie non si possono considerare legittime consuetudini e devono essere rimosse dalla competente autorità ».

6. È ovvio che alla luce di queste precisazioni approvate dalla stessa Suprema Autorità che ha promulgato il CIC, dovranno essere interpretati, in caso di eventuali dubbi, anche i Decreti generali emanati dalle Conferenze episcopali come normativa complementare della legge universale sancita al can. 284.

7. In ossequio al prescritto del can. 32, queste disposizioni dell’art. 66 del « Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri » obbligano tutti quelli che sono tenuti alla norma universale del can. 284, vale a dire i Vescovi e i presbiteri, non invece i diaconi permanenti (cfr. can. 288). I Vescovi diocesani costituiscono, inoltre, l’autorità competente per sollecitare l’obbedienza alla predetta disciplina e per rimuovere le eventuali prassi contrarie all’uso dell’abito ecclesiastico (cfr. can. 392, § 2). Alle Conferenze episcopali corrisponde di facilitare ai singoli Vescovi diocesani l’adempimento di questo loro dovere.

Roma, 22 ottobre 1994

Vincenzo Fagiolo,
Presidente


Julián Herranz,
Segretario

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