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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE
DELL’ISTRUZIONE "DIGNITAS CONNUBII",
SULLE NORME DA OSSERVARSI NEI TRIBUNALI ECCLESIASTICI
NELLE CAUSE MATRIMONIALI

Martedì, 8 febbraio 2005

 


 

INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. JULIÁN HERRANZ

Istruzione "Dignitas connubii": la sua natura e finalità

1. Il perché di questo documento

L’Istruzione Dignitas connubii, che oggi viene presentata, è frutto di un lungo lavoro intrapreso nel 1996, per esplicita indicazione del Santo Padre dai dicasteri della Santa Sede qui rappresentati: oltre al Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, la Congregazione per la Dottrina della Fede, la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e il Tribunale Apostolico della Rota Romana. Il motivo dell’Istruzione è molto semplice: si intende offrire agli operatori giuridici nei tribunali ecclesiastici un documento d’indole pratica, una sorta di vademecum, che serva da guida immediata per un miglior adempimento del loro lavoro nei processi canonici di nullità matrimoniale. In questo modo si è voluta ripetere l’esperienza positiva avutasi con l’analoga Istruzione Provida Mater del 1936.

Entrambe le Istruzioni sono state emanate circa un ventennio dopo i rispettivi Codici di Diritto Canonico (del 1917 e del 1983), non per accostare ad essi un nuovo testo legislativo né tanto meno per abrogarli, bensì semplicemente per facilitarne la consultazione ed applicazione. Infatti, da un lato, l’Istruzione presenta insieme tutto ciò che riguarda i processi canonici di nullità matrimoniale – a differenza del Codice, che contiene le norme in proposito sparse in diverse parti –, e, dall’altro, si integrano gli sviluppi giuridici che si sono verificati nel periodo immediatamente postcodiciale: interpretazioni autentiche del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, risposte del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, giurisprudenza del Tribunale Apostolico della Rota Romana. Come succede di solito con le norme inferiori alle leggi, questa Istruzione non si limita a ripetere il testo dei canoni codiciali, ma contiene delle interpretazioni, dei chiarimenti sulle disposizioni delle leggi e delle ulteriori disposizioni sui procedimenti per la loro esecuzione.

Con questo documento la Santa Sede intende ancora una volta esercitare la sua missione d’indole universale per quel che riguarda l’amministrazione della giustizia in tutta la Chiesa, in questo caso concretamente nell’ambito della Chiesa latina. Tale missione non solo non diminuisce, ma intende positivamente confermare ed incoraggiare la responsabilità che compete ai Vescovi diocesani rispetto ai singoli tribunali da loro dipendenti. Come ha ribadito il Santo Padre pochi giorni fa, i Vescovi diocesani « sono giudici per diritto divino delle loro comunità. È in loro nome che i tribunali amministrano la giustizia. Essi sono pertanto chiamati ad impegnarsi in prima persona per curare l’idoneità dei membri dei tribunali, diocesani o interdiocesani, di cui essi sono i Moderatori, e per accertare la conformità delle sentenze con la retta dottrina. I sacri Pastori non possono pensare che l’operato dei loro tribunali sia una questione meramente "tecnica" della quale possono disinteressarsi, affidandola interamente ai loro giudici vicari (cfr. CIC, cann. 391, 1419, 1423 § 1) » (Discorso alla Rota Romana, 29 gennaio 2005, n. 4).

Il pieno e dinamico coinvolgimento delle Chiese particolari, infatti, è decisivo affinché si possa migliorare il funzionamento dei tribunali e la formazione degli operatori giuridici, siano superate le disfunzioni e corretti gli abusi, tanto negli aspetti processuali quanto in quelli attinenti la piena conformità dei giudizi con la legislazione e la dottrina della Chiesa sul matrimonio. Anche in questa materia occorre attuare sempre più la sinergia della comunione ecclesiale tra Chiesa universale e Chiese particolari, comprendendo che gli interventi della Sede Apostolica non sono delle intromissioni, né intendono deresponsabilizzare nessuna delle istanze competenti, anzi lo scopo è esattamente il contrario.

2. Il perché del processo canonico di nullità matrimoniale

La presente Istruzione viene a confermare la necessità di sottomettere la questione sulla validità o nullità del matrimonio dei fedeli a un processo veramente giudiziario. A volte, questa prassi tradizionale della Chiesa è oggetto di critiche o riserve, come se implicasse un eccesso di formalismo. Si ipotizzano vie di soluzione più semplici, che addirittura risolverebbero il problema nel solo foro interno, mediante la cosiddetta "nullità di coscienza", in cui la Chiesa altro non farebbe che prendere atto della convinzione degli stessi sposi circa la validità o meno del loro matrimonio. Talvolta, si auspica pure che la Chiesa rinunzi ad ogni sorta di processo, lasciando questi problemi giuridici nelle mani dei tribunali civili.

La Chiesa, al contrario, ribadisce la sua competenza per occuparsi di queste cause, poiché in esse è in gioco l’esistenza del matrimonio di almeno uno dei suoi fedeli, e tenendo soprattutto conto che il matrimonio è uno dei sette sacramenti istituiti dallo stesso Cristo ed affidati alla Chiesa. Disinteressarsi di questo problema equivarrebbe ad oscurare in pratica la stessa sacramentalità del matrimonio. Ciò risulterebbe ancor meno comprensibile nelle attuali circostanze di confusione sull’identità naturale del matrimonio e della famiglia in alcune legislazioni civili che non solo accolgono e facilitano il divorzio, ma addirittura, in qualche caso, mettono in dubbio l’eterosessualità come aspetto essenziale del matrimonio.

Inoltre, sia nella Chiesa che nella società civile, il matrimonio non può essere considerato una questione d’interesse esclusivamente privato, sulla cui validità si potrebbero pronunciare le stesse parti con efficacia giuridica tale da poter contrarre un’altra unione. A parte il fatto che il giudizio umano circa le questioni in cui c’è un forte interesse personale è assai inaffidabile, potendoci essere ovviamente delle discrepanze tra le stesse parti, bisogna soprattutto rendersi conto che il vincolo coniugale, vero fondamento della famiglia, interessa non solo le parti, ma anche gli eventuali figli e l’intera società, sia ecclesiale che civile. Perciò, conformemente ad una convinzione radicata nelle civiltà di tutti i tempi, il matrimonio è un’unione di natura pubblica, per cui gli stessi contraenti non possono autodichiararne la nullità.

Ci vuole, invece, un vero accertamento della verità oggettiva circa la validità o meno dell’unione. Questo impegno di cercare la verità deve soddisfare due requisiti fondamentali: consentire la difesa e discussione degli argomenti pro e contro la nullità, nonché la raccolta delle prove in uno o nell’altro senso; ed assegnare il compito di giudicare ad un terzo imparziale. Questi due requisiti sono proprio quelli del processo giudiziale, istituto giuridico alla cui configurazione nella storia la stessa Chiesa ha peraltro grandemente contribuito. Nel caso dei processi di nullità matrimoniale, si è introdotto un ruolo specifico, che consente di mantenere quelle caratteristiche quando entrambe le parti sono concordi nel chiedere la dichiarazione di nullità: si tratta del difensore del vincolo, cui spetta proprio apportare in ogni caso tutto ciò che si possa addurre in favore della valida esistenza del vincolo coniugale.

A nessuno sfugge la fallibilità umana che può far sì che non ci sia vera giustizia in una decisione concreta, o che essa non sia tempestiva. Certamente, non è facile giudicare quando queste situazioni realmente si verificano e, perciò, si deve procedere con cautela nel dare informazioni sui processi, evitando di cadere nella superficialità di una cronaca scandalistica non adeguatamente fondata. D’altra parte, sarebbe assurdo demonizzare in generale uno strumento di per sé valido, quali sono i tribunali ecclesiastici, per il fatto che esso in qualche caso non funzioni bene. Al riguardo, la Chiesa intende seguire l’unica via saggia: perseverare nell’intento di migliorare i processi sia in serietà che in tempestività, facilitare il loro accesso a tutti gli interessati in uguaglianza di opportunità, e rendere sempre più armoniche le decisioni di tutti i tribunali.

3. La questione di fondo: il bene del matrimonio e della famiglia

Mediante lo sforzo del personale e dei mezzi dedicati a questo settore della sua pastorale, la Chiesa vuole contribuire positivamente ad un grande obiettivo che è centrale nel pontificato di Giovanni Paolo II: il bene del matrimonio e della famiglia. «L’avvenire dell’umanità passa attraverso la famiglia!» (Esort. ap. Familiaris consortio, 22 novembre 1981, n. 86); questa accorata esclamazione del Papa mostra l’urgenza dell’impegno della Chiesa, dei cristiani e di tante persone di buona volontà per tutelare e promuovere il matrimonio e la famiglia nel contesto storico attuale. La pressione dell’edonismo e dell’egoismo che subordinano tutto al proprio comodo, costituisce una grande sfida pastorale nel nostro tempo. Ciò che rischia di non essere concepito è il bene e la bellezza dell’istituto matrimoniale e familiare, nella sua genuina essenza di realtà profondamente personale. Si dimentica la necessità di lottare per essere fedeli ad un impegno d’amore e di giustizia che, per sua natura, abbraccia l’intera esistenza: donarsi mutuamente marito e moglie per costituire una famiglia aperta alla vita e che soltanto la morte può dissolvere (cfr. can. 1141).

In un contesto di mentalità divorzistica, anche i processi canonici di nullità possono essere facilmente fraintesi, come se non fossero altro che vie per ottenere un divorzio con l’apparente beneplacito della Chiesa. La differenza tra nullità e divorzio sarebbe meramente nominale. Attraverso un’abile manipolazione delle cause di nullità, ogni matrimonio fallito diventerebbe nullo. I Romani Pontefici, specialmente nelle loro allocuzioni annuali alla Rota Romana, hanno più volte mostrato l’autentico senso delle nullità matrimoniali, inseparabile dalla ricerca della verità, poiché la dichiarazione di nullità non è nessun scioglimento di un vincolo esistente, bensì solo la constatazione, a nome della Chiesa, dell’inesistenza di un vero matrimonio fin dall’inizio. Anzi, la Chiesa favorisce la convalida dei matrimoni nulli, quando essa sia possibile. Giovanni Paolo II lo ha spiegato in questo modo: «Gli stessi coniugi devono essere i primi a comprendere che solo nella leale ricerca della verità si trova il loro vero bene, senza escludere a priori la possibile convalidazione di un’unione che, pur non essendo ancora matrimoniale, contiene elementi di bene, per loro e per i figli, che vanno attentamente valutati in coscienza prima di prendere una diversa decisione» (Discorso alla Rota Romana, 28 gennaio 2002, n. 6).

In definitiva, occorre riscoprire la dignità del matrimonio sia sul piano della natura umana che su quello della salvezza in Cristo. La ricchezza del matrimonio e della famiglia, quale bene indispensabile per le persone e per le società, che in Cristo si trasforma in vero cammino di santità e di apostolato, è ciò che questa Istruzione, secondo la sua specificità giuridica, intende favorire e promuovere.

 

 

INTERVENTO DI S.E. MONS. ANGELO AMATO, S.D.B.

 

Il processo matrimoniale come servizio della Chiesa alla verità e alla coscienza dei fedeli

La promulgazione dell’Istruzione "Dignitas connubii " offre l’opportunità di fare alcune considerazioni sul tema del processo canonico per la dichiarazione di nullità del matrimonio, come servizio della Chiesa alla verità e alla coscienza dei fedeli.

Come ben dice l’incipit dell’Istruzione, la Chiesa tutela la dignità del matrimonio, «che è immagine e partecipazione dell’alleanza d’amore del Cristo e della Chiesa». Tale dignità viene difesa e favorita dallo splendore della verità e dalla equità della giustizia. Anche in materia giuridica, infatti, la verità riveste un valore incommensurabile. Il giudizio di nullità deve rispondere a questo requisito. Per questo esso si configura, oltre che come ministero di carità pastorale, soprattutto come un servizio alla verità.

L’intera azione spirituale della Chiesa – e quindi anche la sua dimensione giuridica – è infatti indirizzata alla salvezza delle anime. A ragione, sia il Codice di diritto canonico nel suo ultimo canone, sia la presente Instructio nel suo ultimo articolo, affermano che la salvezza delle anime è la legge suprema della Chiesa.1

È questo lo spirito che informa l’azione dei Tribunali ecclesiastici e di conseguenza dei suoi giudici. Il ministerium iustitiae è un vero e proprio «ministerium veritatis, perchè tende primariamente alla salvezza dell'anima di chi ha bisogno di questi tribunali».2

Continuando e sviluppando questo orientamento, il Santo Padre Giovanni Paolo II, in una allocuzione del 1980 alla Rota Romana, illustrava ampiamente il fermo e radicale ancoraggio alla verità di ogni processo matrimoniale:

«In tutti i processi ecclesiastici la verità deve essere sempre, dall’inizio fino alla sentenza, fondamento, madre e legge della giustizia. […] Fine immediato [dei processi matrimoniali di nullità] è di accertare l’esistenza o meno dei fatti che, per legge naturale, divina od ecclesiastica, invalidano il matrimonio, cosicché si possa giungere all’emanazione di una sentenza vera e giusta circa l’asserita non esistenza del vincolo coniugale. 

Il giudice canonico deve perciò stabilire se quello celebrato è stato un vero matrimonio. Egli è, quindi, legato dalla verità, che cerca di indagare con impegno, umiltà e carità. 

E questa verità "renderà liberi" coloro che si rivolgono alla Chiesa, angosciati da situazioni dolorose, e soprattutto dal dubbio circa l’esistenza o meno di quella realtà dinamica e coinvolgente tutta la personalità di due esseri, che è il vincolo matrimoniale. Per limitare al massimo i margini di errore nell’adempimento di un servizio così prezioso e delicato qual è quello da voi svolto, la Chiesa ha elaborato una procedura che, nell’intento di accertare la verità oggettiva, da una parte assicuri le maggiori garanzie alla persona nel sostenere le proprie ragioni e, dall’altra, rispetti coerentemente il comando divino: "Quod Deus coniunxit, homo non separet"».3

Nella propria azione l’Autorità ecclesiastica si ispira anche ai principii della giustizia e della misericordia, prendendo atto delle gravi difficoltà in cui si muovono persone e famiglie coinvolte in situazioni di infelice convivenza coniugale. Questa doverosa sollecitudine pastorale, però, non può disattendere il diritto che le stesse famiglie hanno a conoscere la verità.

Dice al riguardo il Santo Padre Giovanni Paolo II:

«[l’Autorità ecclesiastica] Non dimentica, però […], il diritto, che pure esse hanno, di non essere ingannate con una sentenza di nullità che sia in contrasto con l’esistenza di un vero matrimonio. Tale ingiusta dichiarazione di nullità matrimoniale non troverebbe alcun legittimo avallo nel ricorso alla carità o alla misericordia. Queste, infatti, non possono prescindere dalle esigenze della verità. Un matrimonio valido, anche se segnato da gravi difficoltà, non potrebbe essere considerato invalido, se non facendo violenza alla verità e minando, in tal modo, l’unico fondamento saldo su cui può reggersi la vita personale, coniugale e sociale. Il giudice pertanto deve sempre guardarsi dal rischio di una malintesa compassione che scadrebbe in sentimentalismo, solo apparentemente pastorale. Le vie che si discostano dalla giustizia e dalla verità finiscono col contribuire ad allontanare le persone da Dio, ottenendo il risultato opposto a quello che in buona fede si cercava».4

È perciò con viva gratitudine al Signore che si segnalano alcuni articoli nella Instructio "Dignitas connubii" che rispecchiano in modo esplicito il primato della verità nei processi di nullità matrimoniale.

All’articolo 65, § 2 viene, infatti, stabilito che il giudice esorti le parti alla ricerca sincera della verità. Se non si riesce a indurre i coniugi a convalidare il matrimonio e a ristabilire la convivenza coniugale, «il giudice esorti i coniugi perché, posposto ogni personale desiderio, collaborino sinceramente, adoperandosi per la verità e in spirito di carità, all’accertamento della verità oggettiva, così come è richiesto dalla natura stessa della causa matrimoniale».

Anche la partecipazione delle parti al processo è vista sotto la stessa ottica del dovere morale di dire e agire in armonia con la verità:

«Perché venga accertata più facilmente la verità e riceva miglior tutela il diritto di difesa, è quanto mai opportuno che entrambi i coniugi prendano parte al processo di nullità di matrimonio» (art. 95 § 1).

Sia il difensore del vincolo che le stesse parti nonché i testi sono esortati ed obbligati ad agire con pieno rispetto alla verità. Al riguardo si possono indicare gli articoli 56 § 3; 167; 177; 178; 194.

Grande attualità riveste al riguardo l’osservazione che il Santo Padre Giovanni Paolo II ebbe a fare nell’allocuzione del 1994:

«Se gli amministratori della legge si sforzeranno di osservare un atteggiamento di piena disponibilità alle esigenze della verità, nel rigoroso rispetto delle norme procedurali, i fedeli potranno conservare la certezza che la società ecclesiale sviluppa la sua vita sotto il regime della legge; che i diritti ecclesiali sono protetti dalla legge; che la legge, in ultima analisi, è occasione di una risposta amorosa alla volontà di Dio».5

Come conclusione, sono ancora di grande sapienza alcune affermazioni del Beato Giovanni XXIII pronunciate nel 1961:

«Ecco dunque che il vostro lavoro contribuisce anche esso alla affermazione delle supreme finalità della Chiesa; e con l'evidenza inoppugnabile della verità e della giustizia richiama alla volontà salvifica del Padre celeste, e all'anelito incessante del Cuore di Cristo: non enim misit Deus Filium suum in mundum ut iudicet mundum, sed ut salvetur mundus per ipsum".6

___________________________

1 Cf. CIC can. 1752; Instructio art. 308.
2
Giovanni XXIII, Allocuzione alla Rota Romana, 13 dicembre 1961, n. 3.
3
Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota Romana, 4 febbraio 1980, nn. 1-3.
4
Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota Romana, 18 gennaio 1990, nn. 4-5. 
5
Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota Romana, 28 gennaio 1994, n. 4.
6
Giovanni XXIII, Allocuzione alla Rota Romana, 13 dicembre 1961, n. 3.

 

 

INTERVENTO DI S.E. MONS. DOMENICO SORRENTINO

 

È mio compito delineare lo sfondo teologico-sacramentale su cui l’Istruzione "Dignitas connubii" si pone. Sfondo necessario per comprendere il senso e la portata del testo.

Consegnando agli operatori questa Istruzione, in vista del corretto adempimento della prassi giuridico-processuale nelle cause di nullità del matrimonio, la Chiesa non si limita a garantire gli specifici valori da salvaguardare in qualsiasi procedimento giudiziario, ma intende anche, e direi innanzitutto, ribadire il valore proprio del sacramento del matrimonio. Pertanto, anche attraverso questo documento, passa una testimonianza ecclesiale, che merita di essere sottolineata.

Superfluo ricordare quanto questa testimonianza diventi di giorno in giorno più "minoritaria". Con la legislazione divorzista e con le spinte sempre più forti al riconoscimento delle coppie di fatto, la visione del matrimonio nella società civile di tante nazioni è entrata in un orizzonte etico-culturale che si distacca nettamente dalla tradizione cristiana.

È in questo nuovo contesto culturale che i cristiani sono chiamati a riscoprire la parola di Cristo sul matrimonio. Parola che manifesta oggi ancora più fortemente il suo vigore profetico, risuonando in uno scenario analogo a quello in cui fu inizialmente pronunciata, quello delle dispute sul matrimonio che attraversavano il mondo ebraico, diviso, sulla base della legge mosaica, tra tendenze rigoriste e permissive in tema di divorzio. Cristo richiamò tutti al disegno di Dio: col matrimonio l’uomo e la donna diventano "due in una sola carne" (cfr Marco,10, 7), dunque inseparabili. Il divorzio consentito dalla legge mosaica fu da Cristo interpretato come una concessione alla "durezza del cuore umano". Con la rivelazione piena del Vangelo, veniva riproposta anche la verità originaria del matrimonio, che nel consenso dei coniugi vede non qualcosa di meramente pattizio, che possa essere disfatto a piacimento, ma un atto in qualche modo religioso, segnato da un intervento dall’alto: "Quello che Dio ha congiunto, l’uomo non separi" (Marco, 10, 9).

Se tutto questo è vero per qualunque matrimonio, è ancor più vero per il matrimonio tra i battezzati, elevato alla dignità di sacramento, posto cioè come specifico veicolo di grazia, quale segno dell’amore unico e indissolubile tra Cristo e la sua Chiesa, secondo l’insegnamento di San Paolo nel cap. 5° della Lettera agli Efesini. Nella sua realtà di sacramento, il matrimonio tra due battezzati appartiene non più solo al bene dei contraenti e della società in genere, ma al bene pubblico della Chiesa. Pertanto mai può ridursi alla sfera del mero diritto soggettivo, in una visione privatistica.

Con l’elevazione sacramentale, il matrimonio approfondisce il suo senso nell’orizzonte del mysterium fidei, e insieme irrobustisce le sue interne caratteristiche. L’indissolubilità che, insieme con l’unità, è proprietà di ogni matrimonio, diventa più esigente. Ciò avviene in massimo grado nel matrimonio "rato e consumato", nel quale cioè l’espressione pubblica del consenso tra gli sposi è stata sigillata e perfezionata dalla comunione carnale. Nessuno, nemmeno il Papa, potrebbe sciogliere un tale matrimonio.

È necessario tener presente tutto questo, per mettere a fuoco correttamente il senso del procedimento di nullità. Esso non solo è intrinsecamente diverso da quello civilistico per il divorzio, ma si fonda su una logica opposta. Non mira infatti a sciogliere un matrimonio valido, fosse anche fallito irrimediabilmente, ma a verificare l’ipotesi che esso, al di là della celebrazione formale, non sia mai esistito, perché carente di presupposti essenziali, attinenti alla sfera del consenso, della "capacitas", degli impedimenti dirimenti. Tutte le garanzie processuali messe in atto dal diritto canonico sono funzionali a tale ricognizione. Nemmeno il "fallimento totale" di un matrimonio – come ha sottolineato il Papa il 29 gennaio scorso parlando alla Rota Romana - può essere assunto come criterio o indizio per ipotizzarne sic et simpliciter la nullità. Questa va stabilita a partire dai vizi del consenso iniziale. Resta ancora una volta assodato, che processo di nullità e processo di divorzio sono due procedimenti radicalmente diversi.

Letto su questo sfondo, anche questo strumento "di lavoro", messo a disposizione degli operatori del diritto impegnati nella materia, vibra della parola profetica e testimoniale di Cristo. Parola oggi "contro-corrente", ma tanto più necessaria. Parola che - bisogna riconoscerlo - sotto l’urto del contesto socio-culturale, appare a volte difficile per la stessa comunità cristiana, quando ad esempio si fa fatica ad accettare dolorose conseguenze, come la limitazione posta ai coniugi divorziati e risposati civilmente nella partecipazione alla comunione eucaristica.

C’è, evidentemente, l’urgenza di venire incontro alle persone ferite e sofferenti per le infelici vicende matrimoniali, a volte separate e divorziate loro malgrado. Si parla giustamente di una "pastorale dei divorziati". Ma questa non potrebbe certo legittimare il divorzio, né introdurlo surrettiziamente, facendo del processo di nullità un procedimento di divorzio parallelo e mascherato. Altre sono le vie. Soprattutto serve un’azione pastorale preventiva, attraverso l’efficace preparazione dei coniugi cristiani al matrimonio e il sostegno alle famiglie nel loro percorso quotidiano. Lo stesso rito del matrimonio, con gli adattamenti peculiari alle singole realtà ecclesiali, aiuta i coniugi a prendere coscienza della loro scelta. In definitiva, anche un documento come "Dignitas Connubii", dal volto squisitamente tecnico-giuridico, costituisce una forte provocazione alla coerenza cristiana e chiama a un più efficace impegno pastorale.

 

 

INTERVENTO DI S.E. MONS VELASIO DE PAOLIS

 

I. Considerazioni generali sulle cause matrimoniali oggi

L'Istruzione Dignitas connubii riguarda i circa ottocento tribunali diocesani o interdiocesani della Chiesa latina, che quasi esclusivamente trattano cause di nullità matrimoniale.

Le cause matrimoniali sono aumentate enormemente negli ultimi decenni, particolarmente nei paesi di antica tradizione cristiana. Le cause di questo aumento sono molteplici. A livello generale si possono indicare le seguenti:

1. Una diffusa secolarizzazione che comporta con sé errate concezioni sul matrimonio rispetto all’ideale proposto dalla Chiesa; conseguentemente non pochi matrimoni oggi sono nulli proprio perché i fedeli escludono da essi elementi costitutivi essenziali per la loro esistenza;

2. Una più precisa conoscenza della psicologia della persona umana permette di rendersi conto che in determinati casi il consenso matrimoniale non è sufficiente per legare le persone nel vincolo matrimoniale;

3. Una terza ragione è certamente anche il fatto di coscienza: non pochi fedeli, che hanno ottenuto il divorzio e perciò potrebbero passare a nuove nozze secondo la legge civile, chiedono la dichiarazione di nullità, perché sanno che per un cattolico il matrimonio valido può essere solo quello che si celebra secondo le leggi della Chiesa.

II. Alcuni dati statistici

Occorre anzitutto dare qualche dato statistico concernente le cause di nullità matrimoniale. La fonte è l'Annuario Statistico della Chiesa per l'anno 2002. Sono però incluse anche le cause di nullità matrimoniale introdotte presso i tribunali delle Chiese orientali cattoliche.

Secondo detto Annuario, sono terminati nel 2002 in tutto il mondo in prima istanza 56.236 processi ordinari per la dichiarazione di nullità del matrimonio, di cui 46.092 con una sentenza affermativa, 2.894 con una sentenza negativa, 4.649 per perenzione e 2.601 per rinunzia. Si può supporre che in una parte notevole di questi casi di perenzione o di rinunzia non ci fosse la prospettiva di poter arrivare ad una decisione affermativa per la nullità del matrimonio.

Delle 46.092 sentenze affermative in prima istanza dopo un processo ordinario, 343 sono state emanate in Africa, 676 in Oceania, 1.562 in Asia, 8.855 in Europa e 36.656 in America, di cui 30.968 nell'America del Nord e 5.688 in tutta l'America Centrale ed America del Sud.

Nella stragrande maggioranza dette decisioni affermative poi vengono confermate dal tribunale locale d'appello.

Infatti, alla Rota Romana giungono poche cause in seconda o terza istanza, cioè più o meno 150 all'anno. Generalmente si tratta di cause molto complicate, nelle quali spesso c'era già una sentenza negativa da parte di un tribunale inferiore.

III. Qualche riflessione sui dati statistici

L'interpretazione dei dati statistici non risulta facile. Si può comunque dire che:

- Il numero di tutte le cause di nullità matrimoniale nel mondo indica che non si tratta di un fenomeno insignificante o puramente accademico, ma di una realtà da non sottovalutare.

- In diverse parti del mondo c'è soltanto una possibilità molto limitata di ottenere una tale dichiarazione. Evidentemente, i fedeli non hanno il diritto di ottenere una dichiarazione di nullità del loro matrimonio in qualsiasi caso la vogliano, ma essi dovrebbero avere in caso di un dubbio positivo e probabile sulla nullità del loro matrimonio la reale possibilità di introdurre la causa e di ottenere una giusta decisione.

- Nei paesi dove i tribunali ecclesiastici sono funzionanti e accessibili c'è differenza nel numero delle cause di nullità matrimoniali e delle sentenze affermative. Riguardo a questa constatazione occorre, comunque, evitare conclusioni frettolose. Molto dipende, infatti, dalla disponibilità concreta di risorse, specialmente di personale preparato. Anzi, va soprattutto ricordato che i numeri hanno soltanto un valore relativo. La vera questione, infatti, non riguarda l'eventuale numero elevato delle sentenze pro nullitate matrimonii, ma la serietà della giurisprudenza insieme con la reale possibilità di ottenere una dichiarazione di nullità in un tempo ragionevole, qualora il matrimonio sia davvero invalido.

- Siccome il Tribunale Apostolico della Rota Romana giudica generalmente soltanto le cause più difficili di nullità matrimoniale, non appare corretto paragonare la percentuale delle decisioni negative emanate dalla Rota Romana con quella delle decisioni negative emanate dai tribunali inferiori.

L'Istruzione appena emanata offre senza dubbio agli operatori del diritto presso i tribunali ecclesiastici una chiara e sicura esposizione della procedura per poter portare a termine le cause di nullità matrimoniale sia con la serietà che con la celerità richieste dalla loro natura.

 

 

INTERVENTO DI S.E. MONS ANTONI STANKIEWICZ

 

Strumenti per la ricerca della verità nei processi matrimoniali

I. Le prove, il concetto e la necessità della certezza morale del giudice.

L'Istruzione qui presentata, disciplina in 61 articoli (155-216) gli strumenti ossia i mezzi di prova per la ricerca della verità oggettiva nel processo matrimoniale, posti a disposizione delle parti e del giudice, per consentire l'accertamento dei fatti allegati dagli stessi coniugi-parti in causa, rilevanti per la nullità del matrimonio impugnato. Soltanto in base all'efficacia delle risultanze dei mezzi di prova, ammessi nelle cause matrimoniali, quali le dichiarazioni delle parti (artt. 177-182), i documenti (artt. 183-192), le testimonianze (artt. 193-202), le perizie (artt. 203-213) e le presunzioni (artt. 214-216), il giudice può raggiungere la certezza morale sulla causa da decidere con una sentenza o con un decreto confirmatorio.

La certezza morale, di cui si tratta in questo processo, viene intesa nel senso dello stato psicologico del giudice, del suo convincimento, della sua ferma adesione alla verità, conosciuta e verificata nel processo circa l'esistenza dei fatti invalidanti il matrimonio già al tempo della sua celebrazione.

Non si tratta, quindi, né di certezza assoluta, in cui ogni possibile dubbio circa la verità dei fatti da giudicare è totalmente esclusa, né di certezza puramente soggettiva, fondata sull'opinione personale, sul sentimento, sull'impressione del caso, ma di certezza morale oggettiva, fondata obiettivamente sugli atti e sulle risultanze delle prove (art. 247, § 3). Infatti, secondo la nuova normativa, "perché sia dichiarata la nullità di matrimonio, si richiede nell'animo del giudice la certezza morale di tale nullità" (art. 247, § 1). Per conseguirla, "non è sufficiente una prevalente importanza delle prove e degli indizi, ma occorre che resti del tutto escluso qualsiasi dubbio prudente positivo dell'errore, tanto in diritto quanto in fatto, ancorché non sia esclusa la mera possibilità del contrario" (art. 247, § 2). Di conseguenza, quindi, quando il giudice, dopo un diligente esame della causa, "non ha potuto conseguire questa certezza, deve dichiarare che non consta della nullità di matrimonio (art. 247, § 5).

II. Il valore probatorio della dichiarazione delle parti.

Sulla scia della normativa codiciale (cann. 1536, § 2; 1679), l'Istruzione riconosce la forza probante delle dichiarazioni e delle confessioni delle parti rese in giudizio, e, inoltre, precisa il significato della «confessione giudiziale» nelle cause matrimoniali come l'ammissione di un fatto proprio contrario alla validità del matrimonio (art. 179, § 2).

Anche se la fiducia dimostrata alla dignità personale delle parti interessate fa si che venga riconosciuto alle loro confessioni e dichiarazioni valore probatorio, che deve essere valutato dal giudice insieme a tutte le altre circostanze della causa, tuttavia, non viene attribuita loro forza di prova piena, se ad esse non si aggiungano altri elementi di prova in grado di avvalorarle pienamente (art. 180, § 1). A tale scopo, qualora la prova piena non sia stata raggiunta altrimenti, il giudice può avvalersi di testimonianze circa la credibilità e veridicità delle parti in materia di nullità del loro matrimonio, come anche di altri elementi, cioè di circostanze ed indizi (art. 180, § 2).

Tutto ciò, dimostra sia la sensibilità del Legislatore verso le persone dei coniugi-parti in causa del matrimonio impugnato, sia il positivo apprezzamento normativo, per quanto sia stato possibile, attribuito al racconto giudiziale della loro dolorosa vicenda matrimoniale.

III. La doppia conforme.

Nella tensione tra la ricerca della verità oggettiva, che è il fine e la ragione d'essere del processo, e la giustizia, corroborata dall'equità (can. 221, § 2), che è il mezzo per raggiungere tale scopo, l'Istruzione si colloca nell'alveo della tradizione processuale canonica conservando il principio del duplice grado di giudizio (artt. 263-289) e della duplice decisione conforme (artt. 290-294). Infatti, la duplice decisione conforme, sia formale (art. 291, § 1), che sostanziale o equipollente (art. 291, § 2), preclude un'ulteriore appello (art. 290, § 1), e, inoltre, qualora fosse declaratoria di nullità matrimoniale, dà la possibilità alle parti, se non impedite, di passare alle nuove nozze (art. 301, § 1).

D'altra parte, il principio del duplice grado di giurisdizione, anche se affievolito in grado d'appello con la procedura abbreviata (artt. 264-265), garantisce tuttavia la maggiore sicurezza dell'accertamento della verità relativa al valore di ogni matrimonio, del giudizio su di essa, e salvaguarda così il «favor matrimonii» (can. 1060) e il «favor indissolubilitatis» a cui deve sempre ispirarsi l'attività giudiziaria ecclesiale.

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