The Holy See
back up
Search
riga

 PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTZIA E DELLA PACE

INTERVENTO DEL CARDINALE 
FRANÇOIS-XAVIER NGUYÊN VAN THUÂN

Verso il 24 gennaio Pace e quotidianità

 

Nel mondo attuale non ci si può più nascondere. Gli avvenimenti ci rincorrono ovunque noi andiamo e con essi le nostre responsabilità. È impossibile fuggire perché il mondo si è fatto stretto e isolarsi non può più rappresentare un alibi per nessuno.

Questa nuova dimensione della nostra esistenza - ossia l'impossibilità di nascondersi - ha anche un profondo significato etico. Comporta, infatti, che non possiamo nasconderci nemmeno davanti alle nostre responsabilità morali. Anche in questo senso il mondo è diventato piccolo. Non possiamo più fare finta di niente o girarci dall'altra parte, perché un'altra parte verso cui girarci non c'è più.

Senz'altro anche questo è globalizzazione:  la globalizzazione delle problematiche etiche e delle responsabilità morali, degli appelli e degli impegni. Non è più possibile dire "io non c'entro", oppure "non riguarda la mia nazione", oppure "accade così lontano che non posso farci niente". I terribili fatti dell'11 settembre e quanto ne è seguito hanno fatto capire questo, in particolare ai cittadini del mondo cosiddetto sviluppato, per i quali la guerra appariva, fino a quel giorno, qualcosa di lontano.

Mentre gli aerei dirottati piombavano negli uffici delle Torri Gemelle di New York, facendo scoppiare insieme a quelle mura molteplici tensioni mondiali, le immagini del disastro piombavano nelle case facendovi irrompere nella sua vicina concretezza il dramma della violenza e della morte.

È stato come se il mondo intero, con tutte le sue tensioni e tutti i suoi conflitti, piombasse di punto in bianco in una stanza; è stato come se i drammi del mondo ci facessero visita a casa. L'appello si faceva così vicino e, con esso, anche l'esigenza pressante e indilazionabile di un impegno, di una risposta. La storia ha bussato a tutte le nostre porte e ci ha ricordato che nemmeno lì, nelle nostre case, era più possibile nascondersi. Ogni "lontananza" è stata così superata e tra mondo esterno e mondo interno, privato, è sparita ogni chiara differenza.

Contemporaneamente tutti ci siamo resi maggiormente conto dell'inedita radicalità del problema della pace. Proprio l'irrompere della guerra nella quotidianità e quindi la perdita di ogni suo residuo aspetto di convenzionalità, proprio il suo sedersi potenzialmente al fianco di ognuno di noi ce ne ha mostrato il volto nichilistico e il suo svolgersi al di fuori di ogni logica. Questo ci ha impauriti, perché l'uomo ha sempre cercato di fare in modo che la guerra, pur nella sua tragicità, fosse in qualche modo controllabile, delimitabile e riconducibile ad una qualche logica.

Per tutti questi motivi, mi sembra che oggi l'appello alla pace risuoni maggiormente nella quotidianità. Di fronte a questo quadro in parte nuovo, la Chiesa sente il bisogno e il dovere di invitare tutti gli uomini ad un supplemento di riflessione sulla pace, per capire il suo nuovo volto in questo inizio di millennio e l'impegno che essa richiede ad ognuno di noi.

Quando parliamo di quotidianità riteniamo erroneamente di rivolgerci ad una dimensione di scarsa e minore importanza. Invece il quotidiano è l'ambito a noi più prossimo e, proprio perché coinvolge la nostra persona, maggiormente denso di significato. Il senso dell'esistere si dischiude soprattutto nelle azioni e nei rapporti quotidiani tra le persone. Il quotidiano non è il "privato", esso ha una forte valenza pubblica in quanto è luogo di incontri e di progetti. La guerra, soprattutto ma non solo quella terroristica, ha invaso anche questa zona esistenziale quotidiana. Ognuno di noi si è sentito minacciato nel quotidiano dalla possibilità che scoppi un ordigno micidiale o che venga condotta in qualche forma, più o meno invasiva, una guerra chimica o batteriologica. Un ufficio invaso da un aereo dirottato è un'immagine forte, che ha prodotto questa nuova sensazione di vedere penetrare il conflitto anche nel luogo del lavoro quotidiano. Le notizie di ordigni che scoppiano in piazze e ristoranti e la possibilità di essere colpiti a morte, come dei nemici in guerra, mentre si è intenti a svolgere i più banali gesti quotidiani, insinuano un senso di insicurezza che interessa l'aspetto feriale dell'esistenza di tante donne e uomini.

È per questo che la risposta di pace deve cominciare proprio dal quotidiano. La prima virtù è oggi proprio quella di investire i gesti quotidiani di un significato nuovo di pace e di fratellanza, di stare al proprio posto, di fare con dedizione il proprio dovere. Il nostro lavoro di ogni giorno, la vita in famiglia, con i vicini e con ogni "prossimo" può assumere una sfumatura nuova di pacificazione e di accoglienza, di intesa e di comprensione reciproca.

La pace ha bisogno di forti operatori di pace, ma non si creda che il quotidiano sia meno impegnativo di quanto viene ritenuto eccezionale. Spesso un gesto concreto di vicinanza risulta molto faticoso e richiede una notevole forza morale. Dice il Signore:  "Chi crede in me compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi" (Gv 14, 12). Con la forza della fede e con l'aiuto del Signore si possono compiere grandi cose a favore della pace, ma non si creda che "grandi" voglia qui dire eccezionali. Grande può essere anche un gesto della quotidianità.

Nei suoi molteplici interventi sul tema della pace, dopo la strage dell'11 settembre e durante la guerra in Afghanistan, il Santo Padre ha chiesto spesso gesti di pace concreti e, se vogliamo, semplici:  la pietà per le vittime, gli aiuti ai superstiti, la solidarietà con i profughi, la preghiera per tutti. Questa preghiera - egli scrive nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace - "non è un elemento che "viene dopo" l'impegno per la pace. Al contrario, essa sta al cuore dello sforzo per l'edificazione di una pace nell'ordine, nella giustizia e nella libertà. Pregare per la pace significa aprire il cuore umano all'irruzione della potenza rinnovatrice di Dio. Dio, con la forza vivificante della sua grazia, può creare aperture per la pace là dove sembra che vi siano soltanto ostacoli e chiusure; può rafforzare e allargare la solidarietà della famiglia umana, nonostante lunghe storie di divisioni e di lotte" (n. 14).

Il cristianesimo ha molto da dire a questo proposito. Cristo ha detto:  "Vi lascio la pace, vi do la mia pace" (Gv 14, 27). Espressa nella quotidianità, in quanto data e vissuta nell'incontro personale con Lui, nella casa di Nazareth o nel Cenacolo, a ben vedere si tratta di una pace destinata ad entrare nella quotidianità. Gli "operatori di pace" (Mt 5, 9), beati agli occhi del Figlio di Dio, inseriscono la profezia nei piccoli gesti quotidiani, perché "chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto" (Lc 16, 10). Se la guerra è entrata nelle nostre case, ossia nel quotidiano, è allora ancora più urgente che parta proprio dalle nostre case l'opera di pacificazione, di riumanizzazione delle relazioni sociali.

       

top