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PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE

DISCORSO DI S.E. MONS. RENATO MARTINO
IN OCCASIONE DELLA CELEBRAZIONE
DELLA SETTIMANA DELLA CARITÀ
PROMOSSA DALLA FONDAZIONE DI LIEGRO

Sala dell'Immacolata della Basilica dei Santi XII Apostoli
Sabato, 5 aprile 2003

Economia, etica e sviluppo sostenibile

 

Cari amici,

È un onore per me essere invitato, nella mia qualità di Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, a celebrare una data simbolica per la vostra Fondazione, istituzione che vuole mantenere viva la memoria di Mons. Di Liegro ricalcandone le orme: il 50° anniversario dell'ordinazione sacerdotale di don Luigi!

1. Oltre che un onore è una gioia piena di significato parlare a voi proprio qui, nella Sala adiacente alla Basilica dedicata ai Santi Apostoli, testimoni della fede per eccellenza. Desidero confidarvi, inoltre, che ogni ritorno in questa Basilica è per me fonte di spirituale commozione perché, il 14 dicembre del 1980, vi fui ordinato Vescovo.

L'incarico che ricopro attualmente, colloca le mie riflessioni su quel versante etico-sociale che si propone - secondo le parole del Santo Padre - come "dimensione imprescindibile della testimonianza cristiana" (Novo Millennio ineunte, 52). Ed è lo stesso versante da cui ha dato preminentemente la sua testimonianza di cristiano e di sacerdote don Luigi, assicurando forza inequivocabile alla carità delle parole con la carità delle sue opere (cfr ib., 50).

2. Ora, le parole con le quali è formulato il tema della riflessione di questa sera, "Economia, etica e sviluppo sostenibile", la cui interconnessione è ormai comunemente riconosciuta, prefigurano tre ambiti vastissimi. Come è naturale, gli specialisti di ognuno di questi tre ambiti vedono l'interconnessione secondo la loro ottica particolare, alla quale la Chiesa attribuisce sicuro valore.

Così, ad esempio, il punto di vista di alcuni economisti fra i più importanti degli ultimi decenni è stato raccolto proprio dal Dicastero che oggi presiedo quando, in vista del centenario dell'enciclica Rerum novarum, li invitò, il 5 novembre 1990, a discutere su alcuni aspetti della relazione tra i valori etici e la realtà economica (Aspetti sociali ed etici dell'economia. Un colloquio in Vaticano, Città del Vaticano, 1994). Una simile esperienza venne ripetuta il 4 gennaio 1993 con un gruppo di studiosi delle questioni relative allo sviluppo. Anche essi si riunirono al Pontificio Consiglio per discutere problemi economici rilevanti per le loro implicazioni etiche e sociali, partendo dall'esigenza di studiare una strategia globale per l'eliminazione della povertà (World Development and Economic Institutions, Città del Vaticano, 1994).

3. La chiave di lettura di cui mi servirò per la mia presentazione è costituita dalla dottrina sociale della Chiesa. Si tratta di una chiave ben "oleata", per così dire, dalla mia lunga esperienza nel campo delle Organizzazioni Internazionali.

Il principio di bene comune, e in questo caso di bene comune universale, mi sembra sia quello che meglio si adatti a fare da collante fra i tre elementi: economia, etica e sviluppo sostenibile. Questo principio esige che la società globale si organizzi in modo tale che ogni uomo possa realizzare al meglio le sue potenzialità. E la realizzazione personale dipende dall'impegno di tutti a cercare, appunto, il bene comune. Infatti, lo sviluppo del quale parliamo - quello sostenibile, considerato come componente dello sviluppo umano integrale e che si appoggia sui tre pilastri, economico, sociale e ambientale - deve riguardare tutti, per il presente e per il futuro. In questa universalità c'è una duplice radice: etica ed economico-funzionale. Quella etica si fonda sul principio della eminente dignità di ogni persona umana, per cui "si tratta di costruire un mondo in cui ogni uomo, senza esclusioni di razza, di religione, di nazionalità, possa vivere una vita pienamente umana, affrancata dalle servitù che gli vengono dagli uomini e da una natura non sufficientemente padroneggiata" (Populorum progressio, 47). La seconda radice, quella economico-funzionale, affonda nella constatazione che, se lo sviluppo non è universale, se non raggiunge tutti i popoli, non è efficace poiché si priva del contributo fattivo di molti e perché le zone di sottosviluppo sono, a lungo andare, causa di squilibri, turbando la dinamica positiva dello sviluppo stesso.

4. Avrete notato che poco fa, introducendo il concetto di sviluppo sostenibile, ho specificato che questo, nella nostra chiave di lettura, va considerato come componente dello sviluppo umano integrale, che è concetto più ampio, che va più in profondità. Per conseguire uno sviluppo così concepito, cioè umano e integrale, non si deve mai perdere di vista il parametro interiore dell'uomo, quel parametro che è nella natura specifica dell'essere umano, "natura corporale e spirituale, simboleggiata nel secondo racconto della creazione dai due elementi: la terra, con cui Dio plasma il fisico dell'uomo, e l'alito di vita, soffiato nelle sue narici (cfr Gen. 2, 7)" (Sollicitudo rei socialis, 29). È per questo che, accanto alla questione ecologica comunemente intesa, che concerne la salvaguardia dell'ambiente naturale, Giovanni Paolo II pone la questione di "un'autentica ecologia umana", sottolineando come ci si preoccupi troppo poco di salvaguardarne le condizioni morali.

Afferma il Papa nell'enciclica Centesimus annus: "non solo la terra è stata data da Dio all'uomo, che deve usarla rispettando l'intenzione originaria di bene, secondo la quale gli è stata donata; ma l'uomo è donato a se stesso da Dio e deve, perciò, rispettare la struttura naturale e morale di cui è stato dotato" (38). Giova tenere a mente che "la prima e fondamentale struttura a favore dell'"ecologia umana" è la famiglia" fondata sul matrimonio (ib., 39).

5. Detto questo, tutto ciò che si muove intorno allo sviluppo sostenibile, le discussioni per approfondirne i contenuti e le decisioni e le azioni che la comunità internazionale prende e mette in pratica per realizzarlo, sono di grande interesse e rilevanza per la Chiesa cattolica. Ho avuto modo di ribadirlo quando ho guidato la Delegazione della Santa Sede al Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile che si è svolto a Johannesburg, in Sud Africa nel mese di settembre dello scorso anno.

Infatti, fin dal 1992, quando si tenne la Conferenza delle Nazioni Unite su "Ambiente e Sviluppo", conosciuta come Conferenza di Rio, essendosi celebrata in quella città, il tema dello sviluppo sostenibile è ampiamente dibattuto in seno alla comunità internazionale. Bisogna dire che l'avvio della riflessione in questo campo fu promettente, poiché il primo principio della Dichiarazione di Rio suona così: "Gli esseri umani sono al centro delle preoccupazioni per lo sviluppo sostenibile. Essi hanno diritto ad una vita sana e produttiva in armonia con la natura". Tutti voi conoscete quanto sia stato determinante il contributo della Delegazione della Santa Sede, che avevo l'onore di guidare, nella formulazione e nell'acquisizione di questo principio antropologico di grande valore etico e culturale.

Inoltre, non c'è dubbio che mettere la persona umana anche al centro dell'attenzione per l'ambiente sia la maniera migliore per salvaguardare la creazione (cfr Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 10). Del resto, se promuovere la dignità della persona umana è promuoverne i diritti - e nella questione che ci interessa il diritto allo sviluppo e ad un ambiente sano - ciò significa anche richiamarne i doveri, cioè, la responsabilità verso se stesso, verso gli altri, verso i beni della natura che le sono stati affidati dal Creatore e, in definitiva, verso Dio.

6. Vorrei ora tornare alla nozione di sviluppo sostenibile perché mi permette di introdurre il tema della povertà, anzi, dei poveri, dei quali la Chiesa vuole essere la voce e per i quali don Di Liegro ha speso la vita.

Per essere sostenibile, lo sviluppo deve trovare l'equilibrio fra i tre obiettivi che menzionavo prima: economico, sociale e ambientale e questo al fine di assicurare il benessere di oggi senza compromettere quello delle generazioni future: "Eredi delle generazioni passate e beneficiari del lavoro dei nostri contemporanei, noi abbiamo degli obblighi verso tutti, e non possiamo disinteressarci di coloro che verranno dopo di noi ad ingrandire la cerchia della famiglia umana. La solidarietà universale, ch'è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un dovere" (Paolo VI, Populorum progressio, 17). Ora, la sostenibilità ecologica è possibile solo in un contesto di sviluppo sociale e di crescita economica, quindi, l'eliminazione, lo "sradicamento" della povertà, per usare la terminologia degli organismi internazionali, è una componente cruciale dello sviluppo sostenibile.

Ma, se è vero che la povertà e la miseria costituiscono minacce alla sostenibilità in tutti i loro aspetti, è anche vero il contrario. Infatti, se oggi i problemi ambientali più rilevanti sono problemi globali, non vi è dubbio, però, che ad esserne colpite sono più le popolazioni povere che quelle benestanti. Tanto per fare qualche esempio: sono di solito i poveri a vivere negli ambienti peggiori, nelle periferie delle città o nelle "bidonvilles"; sono ancora i poveri che subiscono i danni maggiori dagli incidenti ambientali perché di solito vivono nei pressi dei luoghi più esposti a tali incidenti (leggi Bhopal). Inoltre, molte popolazioni dei paesi poveri traggono le risorse essenziali per la vita dall'attività agricola, l'ambiente, quindi, per loro, non è un lusso, ma l'insieme dei mezzi essenziali per la sussistenza: la fame, la malnutrizione, la migrazione forzata derivano anche dal degrado ambientale, quale la distruzione di risorse ittiche e forestali e via dicendo.

7. Bisogna ammettere che uno dei segni positivi dei nostri tempi è la rilevanza preminente che la lotta alla povertà ha assunto anche per la comunità internazionale. In particolare, il carattere etico di questa lotta costituisce un punto d'incontro fra la comunità internazionale, appunto, e la Chiesa cattolica. Nella Dichiarazione del Vertice sullo sviluppo sociale - incontro tenutosi a Copenhagen, nel 1995, tre anni dopo la Conferenza di Rio, - i Capi di Stato e di Governo, al numero 2, si impegnavano "ad operare per eliminare la povertà nel mondo mediante interventi nazionali condotti con determinazione e attraverso la cooperazione internazionale, poiché - aggiungevano - consideriamo che si tratti, per l'umanità, di un imperativo etico, sociale, politico ed economico". Il Papa, dal canto suo, se ai cristiani parla di opzione preferenziale per i poveri come di una forma speciale di primato nell'esercizio della carità (Sollicitudo rei socialis, 4), quando si rivolge a tutti gli uomini di buona volontà, fa riferimento alla coscienza. Scrive, ad esempio, nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2000 - "all'inizio di un nuovo secolo, la povertà di miliardi di uomini e donne è la questione che più di ogni altra interpella la nostra coscienza umana" (n. 8).

In effetti, la situazione, specie dei più poveri fra i poveri, è drammatica: basti pensare, in termini di risorse economiche, che nel 2000 erano 1,2 miliardi gli esseri umani a vivere al di sotto della soglia della povertà, cioè con meno di un dollaro al giorno, mentre un altro miliardo e seicento milioni vivevano con meno di due dollari. E, come si sa, il reddito non è che uno dei modi di misurare la povertà, poiché, se si considera questo fenomeno in modo più ampio, e più aderente alla realtà, come "privazione di qualcosa", mancanza di aspettative di vita, di anni di scolarizzazione, scarsità di cure sanitarie anche di base o impossibilità di accesso all'acqua potabile, per non parlare, più in generale, di impossibilità di partecipazione, la situazione appare anche più grave.

Di questo, come dicevo, la comunità internazionale è perfettamente consapevole, tanto è vero che il primo dei cosiddetti Obiettivi del Millennio - indicati in un documento sottoscritto dai responsabili di ONU, OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale - è proprio quello di ridurre della metà, fra il 1990 e il 2015, il numero degli abitanti del pianeta che vivono in povertà assoluta. E da allora, a cominciare dal Millennium Summit di New York del settembre 2000, mi pare non ci sia stata Conferenza dell'ONU o delle sue Agenzie specializzate, Vertici di Capi di Stato e di Governo a livello mondiale o regionale, dei paesi più industrializzati o dei paesi in via di sviluppo, che non abbia ribadito la priorità della lotta alla povertà assoluta e del raggiungimento di questo obiettivo.

Vero è che, purtroppo, giunti oramai quasi ai due terzi del "Primo Decennio delle Nazioni Unite per lo sradicamento della povertà (1997-2006)" non si può ancora prevedere quali saranno i risultati raggiunti al suo termine, tanto più che il pessimismo sembra prevalere anche in merito all'obiettivo del dimezzamento della povertà assoluta entro il 2015. A tutto ciò, naturalmente, non è estranea la crisi cominciata l'11 settembre del 2001, dolorosamente precipitata con il recente inizio delle ostilità in Iraq.

8. Ciò che stiamo vivendo in questi giorni, quando i mezzi di comunicazione di massa ci fanno assistere alla "guerra in diretta", accentua, se ce ne fosse ancora bisogno, la nostra percezione del fenomeno della globalizzazione. Fenomeno mitizzato o demonizzato dai giudizi più disparati, se non contraddittori, che va letto, a mio avviso, nell'ottica della dottrina sociale della Chiesa, come un "segno dei tempi", come un dato umano. L'uomo, infatti, vi è implicato, sia come destinatario sia come soggetto attivo e, dunque, esercitando la sua libertà, egli potrà farne risultare un bene o un male. Il Papa lo ha detto chiaramente e lo ha ribadito più volte: la globalizzazione a priori non è né buona né cattiva. Sarà quello che l'uomo ne farà, poiché si tratta di un fenomeno ambivalente, a metà strada fra il bene potenziale per l'umanità ed un danno sociale di non lievi conseguenze (cfr Centesimus annus, 58).

Poiché la caratteristica più vistosa della globalizzazione è l'aumento della competitività, esiste un danno sociale che appare, almeno per ora, inevitabile: l'aumento delle disuguaglianze. Infatti la disparità tra ricchi e poveri si è fatta più evidente, anche nelle nazioni economicamente più sviluppate e la sensazione di precarietà sembra dilagare, specie fra le giovani generazioni. Non si può non convenire, a questo proposito, con il Santo Padre quando definisce intollerabile "un mondo in cui vivono fianco a fianco straricchi e miserabili, nullatenenti privi persino dell'essenziale e gente che sciupa senza ritegno ciò di cui altri hanno disperato bisogno" (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1998, 4).

9. In definitiva, ci si trova di fronte ad una paradossale e dolorosa situazione in cui, pur non essendo le risorse, globalmente considerate, insufficienti - grazie anche, è doveroso riconoscerlo, alla mondializzazione -, la povertà cosiddetta relativa di ben oltre tre miliardi di persone si è fatta più stridente. Dunque, a parte il caso di paesi poverissimi, il problema consiste in una distribuzione inefficace, quando non ingiusta, delle risorse, dovuta ad una governance inadeguata, per varie cause, a livello nazionale e internazionale.

Per cercare di ridurre questi effetti negativi del fenomeno, Giovanni Paolo II invoca una "globalizzazione della solidarietà" (cfr Centesimus annus, 36), invitando la Chiesa, in questo contesto, a contribuire alla creazione di un'autentica cultura globalizzata della solidarietà (Ecclesia in America, 55).

Come procedere per realizzare questo tipo di globalizzazione? È bene risalire, innanzi tutto, alla definizione di solidarietà che si trova nella Sollicitudo rei socialis, in cui si legge, fra l'altro, che essa è: "la determinazione ferma e perseverante ad impegnarsi per il bene comune" (n. 38). Il verbo "impegnarsi" implica il prendere iniziative concrete, mentre gli aggettivi "ferma" e "perseverante" comportano che si tratti di iniziative realistiche e alle quali si deve tener fede.
Proviamo a richiamarne alcune.

Dare soluzione alla questione del debito internazionale dei paesi poveri. Una questione della quale il Papa ha fatto, per così dire, un impegno ecclesiale di fine Millennio, trasformandosi, al tempo stesso, in catalizzatore di molte altre iniziative, anche di carattere ecumenico. Sono lieto di rilevare che il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ha giocato, in questo impegno, un ruolo non indifferente fin dalla metà degli anni '80. Gli aggettivi che ho evocato poco fa si addicono particolarmente a tale questione. Mentre il realismo vuole che si riconosca l'inesigibilità dei debiti di alcuni paesi poverissimi - e in parte ciò è già avvenuto - è importante che i meccanismi studiati e già avviati per darvi soluzione, sia dagli Stati creditori che dalle Istituzioni Finanziarie Internazionali, vengano applicati almeno entro i tempi stabiliti. È importante, altresì, vegliare che le somme corrispondenti ai debiti liberati vengano effettivamente impiegate dai Governi degli Stati debitori in programmi sociali, in primo luogo sanitari ed educativi. Bisogna riconoscere che in questo ambito alcuni risultati sono stati ottenuti, specie a livello bilaterale. Non è senza soddisfazione che posso rilevare che l'Italia, con la legge 290/2000, con l'opera di sensibilizzazione della Chiesa e con l'iniziativa concreta della Conferenza episcopale, fa da battistrada per i maggiori Stati creditori.

Se, però, queste operazioni di alleggerimento o di liberazione dei debiti andranno a scapito dell'Aiuto Pubblico allo Sviluppo, il tutto non servirà a granché. Anche qui bisogna mantenere quanto promesso: finora, non solo non è stato raggiunto l'obiettivo di portare l'Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) allo 0,7% del PIL fissato nel 1970 dai paesi ricchi, ma la misura dell'APS è andata, in media, decrescendo progressivamente fino a non superare, ora, una media dello 0,22%...

Un modo più duraturo per dare corpo alla solidarietà a livello globale è quello di riportare l'equità nel commercio internazionale abbattendo le barriere protezionistiche. Sono necessari ulteriori sforzi per assicurare a tutti i partner l'opportunità di trarre beneficio dall'apertura dei mercati e dalla libera circolazione dei beni, dei servizi e dei capitali. In effetti, nel mondo di oggi, commercio, sviluppo e lotta alla povertà sono strettamente legati, tanto che, ad esempio, in occasione della Conferenza Ministeriale dell'Organizzazione Mondiale del Commercio di Seattle, il Pontificio Consiglio avanzò la proposta di un trattamento speciale e differenziato per i Paesi in via di sviluppo, accompagnato da assistenza tecnica, legale e finanziaria, e questo al fine di consentire loro l'accesso effettivo ai mercati internazionali.

Inoltre, è oggi universalmente riconosciuto che la chiave dello sviluppo in generale, e quella dello sviluppo sostenibile in particolare, risiede nella scienza e nella tecnologia e in questo ambito il problema principale sono i rilevanti ostacoli al trasferimento del "know-how" connesso al progresso tecnologico dai paesi ricchi, che ne dispongono, ai paesi poveri (cfr Centesimus annus, n. 32). Se si pensa che la maggior parte di questi ultimi si trova in aree tropicali in cui la vita media è sui 50 anni e se si tiene presente che nel mondo oltre 861 milioni di adulti, di cui i 2/3 sono donne, non hanno accesso all'alfabetizzazione e più di 113 milioni di bambini non vanno a scuola, si capisce che una priorità assoluta la devono avere le iniziative che riguardano l'educazione e la sanità.

C'è da augurarsi che raggiungano risultati positivi almeno il Decennio delle Nazioni Unite per l'Alfabetizzazione (2003-2012), che vuole ottenere il miglioramento del 50% del livello di alfabetizzazione entro il 2015, come pure l'obiettivo che la comunità internazionale si è data, alla Sessione speciale dell'Assemblea Generale dell'ONU nel giugno del 2001, di ridurre del 25% il virus dell'HIV per i giovani di età dai 15 ai 24 anni nei paesi più colpiti entro il 2005 e, per tutti i paesi, della stessa percentuale entro il 2010.

10. Dicevo prima che i risvolti negativi della globalizzazione sono in buona parte imputabili ad una governance inadeguata, anche perché incapace di adattarsi con lo stesso ritmo ai mutamenti velocissimi della società odierna.

Le lacune della governance, a livello nazionale, dei paesi poveri sono ben note e lo sono in primo luogo ai cittadini di quegli stessi Stati. Prime misure da prendere, per cercare di colmarle, potrebbero essere queste: superare le numerose situazioni di conflitto, per lo più etniche; diminuire le spese in armamenti; combattere la corruzione ed impedire la fuga dei capitali all'estero; favorire, come si è detto, programmi educativi e sanitari andando verso la creazione di sistemi, anche elementari, di sicurezza sociale. Specie nell'ottica dello sviluppo sostenibile, è però anche necessario, in ossequio al principio di sussidiarietà, favorire la partecipazione delle popolazioni locali al loro stesso sviluppo. Nei Paesi più poveri, passi in avanti su questa strada si vanno compiendo, anche se faticosamente. Infatti, tanto per fare un esempio, l'iniziativa del Fondo Monetario e della Banca Mondiale per l'alleggerimento del debito dei Paesi Poveri Altamente Indebitati, conosciuta come iniziativa HIPC e che ha dei meccanismi molto complessi, prevede, fra l'altro, la presentazione di piani d'azione denominati Piani Strategici di Riduzione della Povertà (PRSP). Si tratta di piani a lungo termine che devono essere elaborati dai governi locali con ampia consultazione della società civile. Inutile nascondersi le difficoltà che la consultazione stessa incontra, specie in presenza, in molti casi, di governi non propriamente democratici e in paesi dove a volte mancano i registri dell'anagrafe, i diritti di proprietà sono quanto meno incerti e i catasti non si sa in cosa consistano. Ciononostante, è positivo constatare come il principio di partecipazione sia diventato un principio condiviso, tanto che in alcuni Paesi la Chiesa locale ha ritenuto di poter partecipare alla stesura dei PRSP.

A livello di governance globale, non sono mai state tanto evidenti le difficoltà che il sistema multilaterale, nato dopo la Seconda Guerra Mondiale, trova nel fare fronte alla complessità del mondo globalizzato e alle molteplici situazioni "calde" dei nostri giorni. Basti pensare, alle dure contestazioni che si levano ad ogni riunione del G7/G8, alle critiche di cui sono oggetto le Istituzioni Finanziarie Internazionali oppure la composizione e il meccanismo di funzionamento del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Tali critiche sono spesso il riflesso di un positivo consolidamento del senso di cittadinanza mondiale, concretizzato dal numero e dall'influenza sempre in crescita delle Organizzazioni Non Governative. È forse giunto il momento che queste ultime giochino un ruolo più formale nella vita pubblica internazionale.

Nel campo dello sviluppo sostenibile, poi, di fronte al degrado ambientale del pianeta e alla frammentazione delle istituzioni internazionali nate in relazione ai diversi accordi in materia, una governance globale è da più parti invocata. Bisogna riconoscere, infatti, che, malgrado l'esistenza di un apposito organismo delle Nazioni Unite, l'UNEP (United Nations Environment Programme), per il mandato ad esso affidato e per la scarsità di mezzi di cui dispone, attualmente esiste una debolezza piuttosto evidente del cosiddetto "pilastro ambientale" a livello internazionale.

Sarebbe necessaria, ad esempio, una supervisione sull'attuazione degli accordi multilaterali. Ma una delle questioni che si impongono in modo sempre più pressante, in questo ambito, è quella relativa al problema dell'acqua, elemento fondamentale per l'esistenza umana. Problema gravissimo, se si pensa che, proseguendo l'attuale modello di sviluppo, circa la metà della popolazione mondiale soffrirà di mancanza di acqua nei prossimi 25 anni. Nel mio intervento al Vertice di Johannesburg nel settembre del 2002 dicevo, a questo proposito: "Oggi, molti appartenenti alla famiglia umana si trovano di fronte alla scarsità di acqua, ad una decrescente possibilità di accesso all'acqua dolce e ad una grave mancanza di servizi sanitari. La responsabilità primaria per l'uso equo e sostenibile, la protezione e la gestione delle risorse idriche mondiali spetta ai governi. Nella lotta per l'eliminazione della povertà, l'acqua gioca un ruolo vitale, non solo per quanto riguarda la salute, ma anche come indispensabile elemento nella produzione di beni. Questo Vertice Mondiale deve far fronte a tale sfida per la disponibilità di una risorsa chiave per la vita, poiché, se viene accantonata, il risultato non potrà essere che la morte di coloro che non saranno in grado di avervi accesso".

Queste preoccupazioni sono emerse in tutta la loro gravità nel corso del Terzo Forum Mondiale dell'acqua che si è appena concluso a Kyoto (16-23 marzo) e in occasione del quale il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ha elaborato un Documento che presenta la posizione della Santa Sede in materia.

11. Bene, ho toccato, anzi, sfiorato, gli argomenti più diversi - e non poteva essere altrimenti data la vastità del tema dell'incontro - parlando anche della necessità di un adeguamento delle strutture internazionali al nostro mondo che cambia tanto rapidamente. Sono ben consapevole, però, che non ci sarà cambiamento di strutture o di istituzioni senza la conversione delle persone, quella conversione che stava tanto a cuore a don Luigi e che si rispecchia in uno dei suoi insegnamenti fondamentali: la necessità di cambiare mentalità prima di cambiare atteggiamento. Mi sembra, questo, un messaggio che ben si adatta all'ultimo scorcio di tempo quaresimale che abbiamo davanti, prima di giungere alla Pasqua di Resurrezione!

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