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PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE

CELEBRAZIONI IN OCCASIONE DELLA MEMORIA LITURGICA
DELLA BEATA MARIA VERGINE DI FÁTIMA

OMELIA DEL CARD. RENATO RAFFAELE MARTINO 

Giovedì, 13 maggio 2004

 

Amatissimi Confratelli nell'Episcopato, carissimi fratelli e sorelle in Cristo, convenuti in questo magnifico santuario mariano di Fátima per celebrare l'anniversario delle apparizioni della Vergine Maria ai tre pastorelli:  a tutti partecipo il saluto di san Paolo ai cristiani di Corinto: "Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo"! (2 Cor 1, 2).

Sono lieto di essere qui, in questa lieta circostanza, che ci vede oggi devotamente riuniti a pregare e a ringraziare la Vergine Santa. Come non ricordare, in questo intenso momento di condivisione spirituale, il pellegrinaggio che nel 2000, anno del Grande Giubileo, il Santo Padre Giovanni Paolo II fece a Fátima per beatificare Francesco e Giacinta e per riproporre il messaggio di speranza e di pace della Madonna: "Da Fátima - affermò alcuni giorni dopo - si diffonde su tutto il mondo un messaggio di conversione e di speranza, un messaggio che, in conformità con la rivelazione cristiana, è profondamente inserito nella storia. Esso, a partire proprio dalle esperienze vissute, invita i credenti a pregare assiduamente per la pace nel mondo e a fare penitenza per aprire i cuori alla conversione. È questo il genuino Vangelo di Cristo riproposto alla nostra generazione particolarmente provata dagli eventi passati. L'appello che Dio ci ha fatto giungere mediante la Vergine Santa conserva intatta ancor oggi la sua attualità" (Udienza Generale, 17 maggio 2000).

Questo singolare messaggio mariano trova conferma nell'insegnamento del Vangelo di Giovanni che abbiamo appena ascoltato. Esso contiene una delle rivelazioni più consolanti e, nello stesso tempo, più impegnative donateci da nostro Signore Gesù Cristo nel momento supremo della Sua Passione, quasi un testamento. Quello che risalta nel brano del Vangelo è la sottolineatura che l'Evangelista Giovanni fa della dimensione comunitaria ed ecclesiale dell'amore. Questa dimensione trova il suo punto di forza nelle parole rivolte da Gesù alla Madre e al discepolo. Non si può escludere da questo atto di Gesù un gesto di pietà filiale, con il quale egli affida la Madre al discepolo prediletto.

Ma non ci si può arrestare qui. Diversi indizi convergenti lo impediscono. In primo luogo, il contesto ricco e solenne della Crocifissione nel quale il breve racconto è collocato. Poi il termine donna, ricco di risonanze anticotestamentarie. Infine l'evidente parallelo con l'episodio del miracolo di Cana (2, 1-11).

Certo la Madre di Gesù e il discepolo che Egli ama non sono personaggi puramente simbolici, bensì reali. Tuttavia il contesto ci invita a scorgervi un significato più ampio:  i personaggi reali sono chiamati ad assumere un ruolo tipico e rappresentativo. Maria non è indicata per nome, ma come madre (madre di Gesù, la tua madre, la nostra madre):  non un nome, ma una funzione, un simbolo, o forse meglio una rappresentatività. E anche il discepolo non è indicato per nome, ma come il discepolo che Gesù ama: anch'egli svolge il ruolo di persona rappresentativa. Si comprende, allora, che la Madre di Gesù diventa la Madre del discepolo e di tutti i discepoli. A sua volta, il discepolo amato rappresenta tutti i credenti in Gesù. L'ultimo atto di Gesù, prima di morire, è stato quello di fondare una comunità di amore nelle persone della Madre e del discepolo amato. La conclusione è che nella scena compare un personaggio nuovo, anche se nascosto:  la comunità. Dalla Croce nasce la comunità. Dalla Croce nasce la Chiesa. In quel natale ecclesiale troviamo Maria, la Madre. In quel Suo esserci nel momento fontale del popolo di Dio troviamo la traccia, teologica e spirituale, del suo perenne essere, ieri come oggi, la nostra speranza, la speranza della Chiesa, la speranza del mondo.

Molte volte ci capita di essere senza speranza, quasi smarriti e incapaci di dare una direzione sicura al cammino della nostra esistenza. Pieni di cose, ma con il cuore vuoto, assillati dagli eventi, ma resi poveri dall'incapacità di dare ad essi un significato, costretti ad andare avanti, ma senza sapere dove andare. Una crisi di speranza che ci fa camminare sulle strade della nostra storia personale e collettiva non come pellegrini protesi a raggiungere una meta, ma come erranti che vagano, incuranti delle indicazioni di marcia. Una crisi quindi spirituale e culturale che si spiega con il fatto che abbiamo preteso di poter farcela senza Dio:  drammatica illusione, perché, senza Dio, il cammino della nostra esistenza si tramuta da pellegrinaggio verso il Fine supremo e amato in un vagabondare al buio. Non abbiamo alternativa, se non quella di tornare a Dio, convertendo il nostro cuore. Noi lo abbiamo abbandonato, ma Dio è sempre stato presente, e ci aspetta con pazienza e amore. Ci rivolgeremo allora alla Madonna di Fátima, invocandola perché ci aiuti a ritrovare il senso vivo della presenza del Figlio suo Gesù Cristo, il senso vivo della presenza di Dio, unica e vera fonte di speranza. Solo in Lui troveremo le ragioni della nostra salvezza personale e collettiva. Dio è sempre presente nella storia degli uomini e dei popoli, pronto a suscitare, in maniera meravigliosa, speranze e appelli alla santità, alla purificazione, alla conversione. In questo senso, è presente nella storia degli umili, degli ammalati, degli affamati, degli oppressi, degli emarginati, che si sanno amati da Lui e ritrovano con Lui coraggio, dignità, speranza. Dio è presente anche nella storia dei ricchi, degli oppressori, degli uomini sazi d'ogni cosa, che non sfuggono al giudizio di Dio e sono invitati anch'essi alla conversione per una vita nel segno della giustizia e della condivisione per entrare nel suo Regno.

Anche lo scenario quotidiano delle nostre relazioni sociali e civili sembra talvolta senza speranza, soprattutto quando scopriamo un mondo che ha perso i valori dell'amore e della solidarietà, un mondo che si presenta con le mani chiuse, con le mani sporche, con le mani insanguinate. Un mondo in cui imperversa l'amore per il denaro; che si esprime nel culto del corpo; che disprezza la vita umana fino a distruggerla prima che abbia visto la luce; che ostenta una ricerca sfrenata del piacere; che si manifesta nel disinteresse per il fratello, nell'egoismo, nell'ingiustizia, nella violenza e nella guerra. Ci rivolgeremo alla Madonna di Fátima affinché educhi i nostri cuori alla speranza e le nostre mani ai gesti della carità e ci aiuti a tessere la tela di quelle solidarietà corte e di quelle solidarietà lunghe che danno senso e valore alle nostre relazioni interpersonali e a quelle sociali e politiche. Maria è la Madre che ci dona la speranza, che ci conduce alla sorgente della speranza che è Dio stesso, che ci indica la strada della speranza come quella più sicura e certa.

Graziati dalla materna sollecitudine della Madonna, dobbiamo diventare anche noi testimoni di speranza per i nostri fratelli; testimoni di una speranza che si traduce in carità. Nel documento programmatico Novo Millennio ineunte, conclusivo del Grande Giubileo del 2000, il Santo Padre Giovanni Paolo II si chiede: "È possibile che, nel nostro tempo, ci sia ancora chi muore di fame? chi resta condannato all'analfabetismo? chi manca delle cure mediche più elementari? chi non ha una casa in cui ripararsi? Lo scenario della povertà può allargarsi indefinitamente, se aggiungiamo alle vecchie le nuove povertà, che investono spesso anche gli ambienti e le categorie non prive di risorse economiche, ma esposte alla disperazione del non senso, all'insidia della droga, all'abbandono nell'età avanzata o nella malattia, all'emarginazione o alla discriminazione sociale. [...] E come poi tenerci in disparte di fronte alle prospettive di un dissesto ecologico, che rende inospitali e nemiche dell'uomo vaste aree del pianeta? O rispetto ai problemi della pace, spesso minacciata con l'incubo di guerre catastrofiche? O di fronte al vilipendio dei diritti umani fondamentali di tante persone, specialmente dei bambini?" (nn., 50-51). Ci rivolgeremo alla Madonna di Fátima affinché, con il suo aiuto, questi interrogativi del Papa abbiano una risposta di speranza e di amore. La speranza e l'amore devono essere il nostro programma di vita. Essi hanno davanti a sé un vasto lavoro che riguarda tutto l'uomo e deve rivolgersi a tutti gli uomini:  tanti fratelli bisognosi attendono aiuto, tanti oppressi attendono giustizia, tanti disoccupati attendono lavoro, tanti popoli attendono rispetto e pace.

Dalla Madonna di Fátima impareremo a vivere il tempo presente come va vissuto, come tempo per amare Dio e i nostri fratelli. Allora, la Madonna sarà per noi come il viatico quotidiano della speranza. Il vivo senso di Lei, la familiarità con Lei ci impedirà di chiudere la vita presente nell'orizzonte del tempo che passa, ma ci aiuterà a vivere il tempo con l'istanza del futuro, cioè sperando. Una speranza cristiana, che non è soltanto nostalgia del cielo, ma quel vivo e operoso desiderio di Dio che ci rende pellegrini infaticabili, alimentando in noi il coraggio e la forza dell'amore.

 

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