PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE INTERVENTO DEL CARDINALE RENATO RAFFAELE MARTINO Siena
1. Non mi è possibile separare tra loro la riflessione sul volume L'Europa di Benedetto, cui è dedicato questo nostro incontro, la morte del Santo Padre Giovanni Paolo II e l'elezione di Benedetto XVI. Non mi è possibile, non solo per motivi cronologici, ma soprattutto per motivi di sostanza. Come tutti noi, anch'io ho riflettuto molto in questi mesi sui molti aspetti di un pontificato, grande e luminoso, come quello che il Signore ha voluto si concludesse il 2 aprile scorso. Così facendo, mi sono ritrovato a soffermarmi ripetutamente su questa considerazione. Giovanni Paolo II ha proposto, con modalità personali, profonde e originali, il messaggio cristiano nella sua completa Verità, senza lasciare fuori nulla. Ha presentato l'essere del cristianesimo. L'ha vissuto. L'ha indicato alla Chiesa e a tutta l'umanità. Ha parlato, ha scritto, ha ammonito, ha sollecitato, ha viaggiato, ha difeso ... ma soprattutto ha saputo essere. Ho così riflettuto ripensando, in una specie di memoria contratta, al lungo pontificato di Giovanni Paolo II. Ed ho fatto la medesima riflessione pensando, in una specie di anticipazione contratta, al pontificato di Benedetto XVI, appena iniziato. Sull'annuncio della Verità tutta intera si fonda l'opposizione alla "dittatura del relativismo", come il nuovo Papa disse nella sua ultima omelia da Cardinale e come scrisse in un suo famoso libro: "Non sarebbe difficile dimostrare che la concezione del singolo come persona e la tutela del valore della dignità d'ogni persona non si possono sostenere senza che siano fondati sull'idea di Dio". Rapporto tra tecnica ed etica 2. In questo orizzonte storico, si colloca anche il volume L'Europa di Benedetto. Per una sua adeguata comprensione storica e culturale è opportuno collegarlo con una famosa Enciclica sociale di Giovanni Paolo II, la Centesimus annus, scritta nel 1991, dopo gli eventi dell'89. La Centesimus annus fa una lettura teologica dell'evento: il totalitarismo nasce dalla volontà di togliere Dio dal cuore dell'uomo, l'intero sviluppo va ripensato a partire dalla "questione dell'uomo davanti a Dio". Oggi, a distanza di 16 anni, siamo già in fase "consuntiva". Qui si colloca il volume L'Europa di Benedetto del Cardinale Ratzinger. Sappiamo cosa è successo dopo l'89. La storia di questi 16 anni ci dice che, liberato il mondo dalla camicia di forza delle ideologie e della politica dei blocchi, si sono sprigionate nuove minacce, che più che nel passato, riguardano l'identità dell'uomo. Tolta la camicia di forza dell'ideologia, si sono aperti spazi di libertà e di recupero religioso, ma si sono anche aperti spazi per il nichilismo allo stato puro. Il nichilismo, che in passato si era espresso mediante ideologie distruttrici, ora si esprime mediante la pura tecnica. Nasce qui la centralità, in ogni ambito della questione sociale di oggi, del rapporto tra tecnica ed etica. Si comprende perché le questioni etiche di frontiera siano venute alla luce in modo così dirompente proprio adesso. Cosa significa assolutizzare (nichilisticamente) la tecnica? Significa fare dell'uomo un "prodotto". Emerge quindi con forza la "questione antropologica", in quanto bisogna ribadire culturalmente che l'uomo "non è un prodotto". Anche in passato varie correnti filosofiche lo avevano affermato, oggi il fatto nuovo è rappresentato dal dato che si tratta di cultura diffusa. L'umanità si dividerà sempre di più sul rapporto tra tecnica ed etica: saranno questi i due nuovi "blocchi". Si dividerà tra chi ritiene che l'uomo sia un prodotto e chi no. Questa grande divisione si può anche esprimere nel seguente modo. C'è chi ritiene che la libertà si fondi su altro da sé: la dignità della persona umana. Questo è il suo fondamento e quindi anche il loro limite. C'è invece chi ritiene che la libertà di fare abbia una dignità in se stessa, sia essa a fondare la dignità della persona umana. Questo ha una grande rilevanza sociale, ed è per questo che la questione antropologica è anche oggi la questione sociale per eccellenza e viceversa. La versione nichilistica della tecnica fa dell'uomo un prodotto storico e culturale (artificiale), recidendo il nesso con la natura e la tradizione (e con la creazione). L'uomo non è più un "progetto", è "progettato". L'uomo non ha più doveri ma solo diritti e nasce l'assolutismo del "vietato vietare". Il terrorismo, una concezione tecnica della politica, la laicità intesa come luogo neutro da valori e assoluti, la democrazia come procedura, la finanziarizzazione dell'economia, il relativismo delle culture, la tecnicizzazione del diritto e dei diritti umani, sono nuovi assoluti negativi in quanto assolutizzano la tecnica. La reversibilità tra questione antropologica e questione sociale è un punto di vista ermeneutico della nuova realtà storica dopo l'89 ed anche un punto di vista orientativo per l'azione. Annuncio di una Verità trascendente 3. Dentro questo contesto storico-culturale, il volume L'Europa di Benedetto sottolinea fortemente l'importanza della religione come fattore di vera libertà e di autentico progresso umano. Su questo dato vorrei fare tre veloci sottolineature. a) La prima la formulerei in questo modo: il Cardinale Ratzinger afferma che non vi può essere società degna senza un riferimento sostanziale a Dio e ai valori trascendenti. Indicando una vocazione trascendente, il Cristianesimo attesta, infatti, ogni giorno, in ogni luogo, che ciascun uomo ha una trascendente ed eminente dignità. Parlando di un Dio incarnato, dando visibilità all'amore di Dio per ogni uomo, annunciando la sua alleanza con il mondo, incarnandosi nelle culture, senza tuttavia ridursi ad alcuna di esse (1), il Cristianesimo - e il Cattolicesimo in specie - non può non svolgere un ruolo anche pubblico. Il Cattolicesimo non è una setta; la sua peculiarità, infatti, è quella di stare dentro la storia per incontrare tutti. Non è un fatto privato, ma una presenza comunitaria che ha a cuore tutti gli aspetti dell'uomo e che li vuole redimere tutti. Non è un fenomeno individuale e non può rinunciare ad essere religione di popolo, nonostante le tante forme di intimismo privatistico indotte dalla secolarizzazione. Il Cardinale Ratzinger stigmatizza la volontà di alcuni di relegare la religione nella sfera del privato con il pretesto che le convinzioni e le norme di comportamento dei credenti sarebbero sinonimo di regressione e di attentato alla libertà. Il cristianesimo non è neppure un'ideologia: è annuncio di una Verità trascendente e non possesso di una verità immanente, è servizio alla Verità e non suo dominio. Non essendo un'ideologia, il Cristianesimo valorizza anche tutti i germi di verità sparsi tra gli uomini, tutto esamina alla luce di una Verità assoluta e indisponibile, e nulla impone con la violenza o con la forza. Non distinguendo tra verità ideologica e verità religiosa cristiana e ritenendo quindi che ogni verità è per sua natura violenta, tanti filoni del pensiero moderno hanno accusato il Cristianesimo di essere violento e hanno condannato per lo stesso motivo ogni sua pretesa pubblica. La verità ideologica si vuole imporre ad ogni costo, perché si tratta di una verità strumentalizzata, mentre il "giogo" (Mt 11, 29) di Cristo è soave, e il cristiano, come il suo Maestro, è "mite e umile di cuore" (ibidem), perché la Verità è la Persona del Verbo Incarnato. Rivendicando alla fede cristiana una natura radicalmente non-ideologica, il Cardinale Ratzinger ne può rivendicare anche il ruolo pubblico, che non deve essere visto con timore, ma come una ricchezza, una spinta a guardare in alto, a relativizzare il potere finalizzandolo ad un Bene ed un Vero trascendenti. Se non c'è un Bene indisponibile verso il quale gli uomini possano protendersi insieme, si rischia che non ci sia alcun bene comune. Correlazione tra politica e verità b) La seconda sottolineatura riguarda la strettissima correlazione, stabilita dal Cardinale Ratzinger, tra politica e verità. Mi pare che la questione possa essere formulata in questo modo: su quali basi avviare l'impegnativa impresa di ricostruire la grammatica della convivenza sociale e politica. Questo termine, grammatica, è stato adoperato da Giovanni Paolo II nel famoso discorso rivolto all'Assemblea generale dell'ONU nel 1995. In quell'occasione, Egli aveva parlato di una "grammatica" (2), ossia di una verità dell'uomo e di un'autenticità delle relazioni umane fondate sul bene, che dovrebbe essere punto di riferimento normativo per le relazioni umane. Rispetto a questa grammatica non è possibile alcuna neutralità, né dei singoli, né delle Nazioni, degli Stati o della Comunità internazionale. Non si scambi la neutralità ideologica dello Stato di diritto con la sua presunta neutralità etica (3), che sarebbe agnosticismo. Il Cardinale Ratzinger afferma che l'esito naturale di questo agnosticismo è la disponibilità verso il più forte. Anche lo Stato di diritto non deve essere neutrale rispetto ad una grammatica che attesta come gli uomini non siano un mucchio di cose, ma esseri in relazione in vista di un bene comune. c) La terza sottolineatura riguarda il nesso, illustrato dal volume, tra organizzazione politica e libertà, di cui è garanzia primaria la libertà religiosa. Anche nei Paesi democratici e liberali, il diritto alla libertà religiosa non è sempre rispettato nella sostanza. Se è nella dimensione trascendente della persona che si trova la fonte della sua dignità e dei suoi diritti inviolabili, allora la libertà di religione è la garanzia primaria affinché i diritti umani non siano collocati sulla sabbia della convenzione, ma sulla roccia del fondamento trascendente. Per questo motivo il rispetto da parte dello Stato del diritto alla libertà di religione è segno del rispetto degli altri diritti umani fondamentali, perché esso è il riconoscimento implicito dell'esistenza di un ordine che supera la dimensione politica dell'esistenza. I tre ambiti di significato che ho riscontrato nel volume L 'Europa di Benedetto sono strettamente connessi tra loro. Proponendoli in un momento cruciale della storia, il Cardinale Ratzinger, ora Benedetto XVI, ha inteso ribadire l'essenziale, tornare sui fondamenti delle relazioni umane per illuminare il nuovo percorso da intraprendere con fiducia. La questione de "Veritate" e de "Auctoritate" 4. Avviandomi alla conclusione, mi pare sia necessario e opportuno proporre sinteticamente le due questioni che sotanzialmente il Cardinale e il Presidente Pera pongono nell'ordine del giorno della nostra agenda con il carattere particolare dell'urgenza: si tratta della quaestio de Veritate e della quaestio de Auctoritate. Sono due questioni ignorate, purtroppo, da molto tempo, dalla riflessione teorica sulla comunità politica, non senza danno. Considerate l'una troppo compromessa con un'epoca di impegno metafisico e l'altra poco adatta ad una società tutta protesa all'aumento delle chances di vita, le due questioni sanno di passato e chi le riproponesse non sarebbe considerato alla moda. Eppure esse risultano di estrema attualità. Non sempre quanto risponde alle mode culturali è anche veramente significativo per l'umanità. La questione della verità diventerà sempre più saliente nel futuro, anche prossimo, a causa della domanda drammatica di senso che la tecnica sta ponendo a tutti noi. La questione della tecnica oggi si estende a tre dimensioni, a seconda che la si consideri nell'ambito politico, ove incombe il rischio della tecnocrazia, oppure nell'ambito della manipolazione della vita, là dove ci si affida ciecamente alle biotecnologie, oppure nell'ambito della comunicazione, rimodellato e sconvolto dalla tecnologia informatica. Non c'è dubbio che dallo sviluppo giusto o sbagliato di questi tre ambiti dipenderà in gran parte il futuro dell'umanità. Ebbene, proprio a proposito della "techne" si pone con forza il problema della verità, in quanto senza riferimento ad essa la democrazia si trasforma in tecnica procedurale, la biotecnologia in "fabbricazione" della vita e dell'uomo, e le tecnologie dell'informazione in produzione di mondi virtuali. Tutti vedono come ciò apra le porte a forme inedite di asservimento dell'uomo all'uomo. La questione dell'autorità si imporrà come decisiva nel prossimo futuro a motivo delle esigenze sempre più pressanti di governo e di guida che nascono dal contesto di frammentazione originata dall'aumento delle libertà. Certamente l'autorità dovrà essere pensata ed articolata in modo nuovo, più orizzontale e flessibile, con una maggiore coerenza al principio di sussidiarietà: tutto ciò richiede una capacità del tutto nuova nel governo della complessità. La questione dell'autorità, come istanza che garantisce la "coexistentia membrorum", ci si porrà inevitabilmente davanti, se vorremo vincere le dinamiche centrifughe della società di oggi e sviluppare invece dinamiche aggregative e solidali. 1) "Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non pienamente pensata, non fedelmente vissuta": Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Congresso Nazionale del Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale, 16 gennaio 1982: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V/1 (1982), p. 131. 2) Giovanni Paolo II, Discorso alla Cinquantesima Sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, n. 3, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII, 2 (1995) 732. 3) Giampaolo Crepaldi, Stato laico e missione della Chiesa. Conferenza di apertura della IV Settimana sociale cattolica di Cuba, 24 giugno 1999, in "La Società", n. 37, Anno X, (1/2000) 17-25.
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