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La fondazione del Centro San Lorenzo

Sabato, 15 marzo 2008

 

La storia del „CENTRO SAN LORENZO“ inizia con un gruppo di ragazze adolescenti. Provenivano dalla Germania. Fu una di quelle gite organizzate dalla scuola, per una classe superiore di un ginnasio. Avevano deciso di recarsi a Roma, probabilmente con una benevole pressione dei professori, i quali cercavano lezioni con un supporto visivo diretto per quanto riguarda l’epoca antica e le nostre radici culturali. Comunque le giovani fanciulle erano scontrose e scontente, quando le ho viste per la prima volta. Apparentemente erano state trascinate da un monumento storico all’altro e non ne potevano più di altre visite. Pensavo tra me e me: „Che peccato, ci si trova da turisti in questa città affascinante e non si riesce a cogliere nulla perché la scontentezza e l’aggressività tengono chiusi occhi ed orecchi.“ Mi incontrai una seconda volta con otto o dieci di loro nella mia abitazione. E non poterono più trattenere il loro malumore: „Ancora vecchie pietre! Dove si trovano i giovani a Roma ? Quando riusciremo finalmente ad incontrarli?“.

Questo disappunto me lo portai dietro a lungo. Non era la prima volta in effetti che a Roma giovani visitatori si interessavano più delle persone che dei monumenti. Quante volte già li avevo notati in Piazza Navona. Mi venne l’idea che si dovesse creare nell’Urbe per i giovani pellegrini e turisti un luogo per incontri significativi dal punto di vista umano. Sarebbe dovuto essere nelle vicinanze di San Pietro. Avrebbe dovuto avere un carattere di apertura sul mondo, invitante, tuttavia servire a scopi anche religiosi e spirituali. L’ideale sarebbe stato di certo un centro con una piccola chiesa annessa.

Era l’anno 1982. Nel frattempo ero diventato da circa due anni Vice-Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici. Il compianto Cardinal Opilio Rossi presiedeva il Dicastero e tra i nostri collaboratori c’era Mons. Jozef Michalik, oggi Arcivescovo di Przemysl in Polonia e Presidente di quella Conferenza episcopale. Ci mettemmo alla ricerca di un luogo adeguato. Presto scoprimmo la Chiesa di San Lorenzo. Credevamo di aver già raggiunto la nostra meta, ma ci scontrammo prima con diverse difficoltà. All’inizio si trattava di identificare l’istanza giuridica competente per quella  Chiesa in modo da poter dare uno sguardo al suo interno. Dopo tante telefonate in  Vaticano si è costatato che San Lorenzo veniva utilizzato da una scuola – e più precisamente come sala di disegno! Né l’amministrazione né la rappresentanza dei genitori volevano concedere lo spazio, non volevano nemmeno lasciarci ispezionare l’edificio. Casualmente siamo venuti a sapere che già precedentemente erano riusciti ad opporsi al desiderio di Madre Teresa di restituire la Chiesa alla vita liturgica.

Un giorno Mons. Michalik riuscì finalmente ad ottenere un appuntamento per un sopralluogo. Più tardi raccontò: „Quando il rappresentante dei genitori continuò a rifiutarsi di aprire la chiesa ho dovuto metterlo sotto pressione. È stata l’unica volta durante la mia permanenza a Roma che ho parlato della mia nazionalità, minacciando di informare il Santo Padre nel caso la politica di ostruzionismo avesse persistito“. Allora finalmente si è potuto iniziare con i lavori per il Centro. Bisognava restaurare la chiesa completamente e sostituire i tubi al neon ed i fili pendenti con un sistema di illuminazione dignitoso. La pietra dell’altare l’ho trovata durante una passeggiata nei Giardini vaticani nella polvere sotto i cespugli, e riuscii, con l’aiuto del Vicedirettore dei Musei vaticani di allora, a farmela dare in prestito. Poi abbiamo dovuto fare togliere tutte le macerie dalla cantina e arredare le stanze. Fu inserita una scala in modo da collegare i due piani.

In Segreteria di Stato apparentemente erano un po’ sorpresi dalle nostre attività. Lentamente cominciai ad intuirne il motivo. Apparentemente si era del parere che non spettasse ai Dicasteri del Vaticano coinvolgersi direttamente nella pastorale, ma assicurare che altri nella Chiesa assolvessero bene tale compito. Per fortuna proprio in quelle settimane di lavori di ristrutturazione, i Vescovi tedeschi vennero a Roma per la loro visita ad limina. A diversi di loro ho potuto far vedere il nostro cantiere ed indicare discretamente il nostro numero di conto corrente, così da coprire le spese necessarie.

Il luogo di incontro per i giovani aveva perciò preso forma. Ora si trattava tuttavia di trovare persone giovani che si rendessero disponibili per il servizio di accoglienza. Nel Pontificio Consiglio per i Laici eravamo venuti a sapere dei tanti nuovi movimenti ecclesiali che a partire dal Vaticano II si erano molto diffusi anche in Italia, attivi accanto a gruppi come l’Azione Cattolica, Gioventù Francescana o gli Scout. Abbiamo invitato i loro rappresentanti locali o nazionali, abbiamo spiegato il nostro intento e abbiamo potuto ottenere la loro collaborazione. Si sono impegnati a presenziare per un servizio nel Centro una o due volte al mese, da 6 a 8 ore, in modo da accogliere eventuali ospiti e nel caso rimandarli ad altre parrocchie di Roma.

Più tardi abbiamo riconosciuto che le esperienze fatte nel Centro e le provocazioni raccolte dovevano confluire da qualche parte. Avevamo bisogno di persone che potessero assicurare la continuità del lavoro. Mi sono perciò deciso a visitare Paray le Monial, per chiedere aiuto a Pierre Goursat, il Fondatore della Comunità dell’Emmanuel. Per questo compito, ci ha messo a disposizione due giovani donne; considerando che non avevamo nessun budget finanziario, non potevamo certo stipendiarle. Ciononostante egli accettò, e Véronique e Isabelle ci raggiunsero a Roma. Così iniziò il particolare impegno della Comunità dell’Emmanuel per San Lorenzo. D’altra parte nello stare insieme delle diverse comunità venne a galla in breve tempo un comune spirito di reciproco interesse; tra i giovani del Centro non c’era affatto timore di incontrarsi oppure malevolenza, in modo tale che i pregiudizi che spesso si sentivano nei confronti delle nuove realtà dell’apostolato non si avverarono per niente.

Per l’inaugurazione invitammo il Santo Padre Giovanni Paolo II e con nostra grande gioia Egli accettò. Negli ultimi giorni i lavori si intensificarono. Ci mancava soprattutto una grande Croce per l’abside della Chiesa. Alcuni membri di Comunione e Liberazione di Perugia ci procurarono sotto una notevole pressione temporale la croce di San Francesco d’Assisi che ancora oggi orna la Chiesa. La portarono il giorno dell’inaugurazione sopra un’autovettura, ricoperta di plastica a causa della pioggia.

Il 13 marzo 1983 portò il Papa Giovanni Paolo II in quell’antico tempio che contrasta con le luminose chiese romane. Si vedevano ancora sul suo volto le fatiche del suo viaggio apostolico in Nicaragua, dove persino nella celebrazione eucaristica gli si era fatto pesare l’odio dei sandinisti verso di lui e verso la fede cattolica. Sembrava molto preoccupato. Per la sua omelia prese spunto dalla parabola del Figliol Prodigo e del Padre misericordioso, che l’ordinamento liturgico prevedeva per quella domenica. Egli disse tra le altre cose: „E proprio da qui desidero additarla ai Vescovi di tutto il mondo, perché facciano conoscere adeguatamente questo Centro ai giovani delle loro diocesi e vi pongano essi stessi un’attenzione speciale in occasione delle loro visite nella Città Eterna“. Riferendosi al Vangelo di quella domenica, il Papa proseguì: „Se l’uomo si riconosce peccatore, ciò non lo deve umiliare, ma dirgli che la strada verso la gioia della vicinanza del Padre passa per la conversione e il perdono. Il Centro diviene così necessariamente un luogo, in cui deve regnare la Croce. Dove andare in questo mondo, col peccato e la colpa, senza la Croce? La Croce prende su di sé tutta la miseria del mondo, che nasce dal peccato. Essa si rivela come segno di grazia. Raccoglie la nostra solidarietà e ci incoraggia al sacrificio per gli altri. Anche nella croce dei sofferenti e nella nostra propria croce riconosciamo lo strumento della Redenzione, la porta della Risurrezione. Perché è nella croce che il Signore ha vinto il peccato e la morte. È bene, perciò, che in questa chiesa abbiate collocato, a dominarla con la sua grandezza e la sua bellezza, la famosa croce di San Damiano. Venite sotto questa croce, insieme con Maria, la Madre di Dio, che vi è raffigurata. Imparate la sua disponibilità. Divenite, voi stessi, redentori per i giovani del mondo…“. Fin qui le parole del Santo Padre, che indubbiamente diventarono per il Centro un programma inesauribile – come per esempio l’esortazione ad adoperarsi per la redenzione dei giovani di questo mondo.

Una volta un cinese si è perso ed è arrivato al Centro. Aveva già girato mezzo mondo come barista. I giovani di San Lorenzo lo avevano accolto amichevolmente; amava la loro compagnia, la liturgia, i canti. Padre Wolfgang Heiss ofm all’epoca era l’assistente ecclesiastico del Centro. Dopo mesi di contatto l’ospite chiese di essere accolto nella Chiesa cattolica e Padre Wolfgang lo preparò. Quando da questo altare ho potuto amministrargli i sacramenti del battesimo e della cresima, ero tanto commosso. Mi sembrava che Dio volesse provare la sensatezza di questo luogo in modo evidente.

Oltre all’aiuto spirituale, ci fu a volte anche bisogno di aiuto esistenziale. Mi ricordo di un giovane francese. Era arrivato al Centro, senza bagaglio e senza vestiario sufficiente, quando una sera mi chiamarono al telefono. Riuscii a trovare un alloggio da qualche parte in città. Ma lui voleva di più. Cercava il suo padre naturale. Questi portava – così ero riuscito a sapere – un raro cognome italiano. Elencargli difficoltà e ostacoli non gli fece impressione. Marie Barbieri, la quale all’epoca coordinava i vari gruppi, si rese finalmente disponibile ad accompagnarlo; alcuni esperti erano del parere che il cognome in questione provenisse dalla Sardegna. Ed i due insieme riuscirono veramente a reperire la famiglia e a permettere la riconciliazione.

Ad un certo punto i giovani iniziarono l’apostolato di strada in Piazza Navona. All’inizio li ammiravo in silenzio. Poi dissi in modo chiaro la mia approvazione. Alla fine pensai: ora servono più che parole incoraggianti. Così decisi, superando un blocco interiore, di unirmi a loro. Ovviamente non osavo rivolgere la parola ai tanti turisti. Rimasi timidamente nei pressi del piccolo gruppo che restava accanto alla immagine della Madre di Dio e cantava inni mariani vicino ad un cero acceso. La paura continuava a perseguitarmi: „Fra poco arriva qualcuno che mi riconosce. Guarderà con sorpresa. Poi dirà non senza perplessità: ‚Sei finito anche tu in una setta?’”. Ma questo non accadde. Tornai a casa invece con una grande gioia nel cuore – cosciente di avere rischiato qualcosa per il Signore.

Alcuni mesi dopo abbiamo trasferito l’apostolato di strada da Piazza Navona a Piazza San Pietro. Nel frattempo mi ero fatto più coraggioso nell’interpellare i passanti. Anche se Roma è piena di chiese sono successi incontri imprevisti. Una volta un romano mi chiese: „Lei crede che Dio perdona i peccati?“. Da tanti anni ormai non aveva più ricevuto il sacramento della confessione. Dopo un po’ è andato al Centro a ricevere il perdono dei suoi peccati.- Un’altra volta ho visto due giovani che di certo non provenivano dall’Europa. Li interpellai: „Parlez-vous français?“ Risposero: „No!“ „Do you speak english?“ „No!“ „Habla español?“ „No!“ Tutti due rimasero distanti, io però ho insistito. Ci siamo accordati sull’italiano. Iniziarono a criticare il Vaticano ed io scoprii che si trattava di due giovani preti di un altro continente. Allora ho aggiunto: „Anch’io lavoro in Vaticano“. Erano sorpresi. Poi dopo alcuni minuti li ho fatti arrivare ad un certo punto di disorientamento. Dissi: „Sono un Vescovo cattolico!“ Non so se sono riuscito a eliminare i loro pregiudizi.

La “Wirkungsgeschichte” del Centro San Lorenzo sarebbe incompleta, se non raccontassi degli inizi delle Giornate Mondiali della Gioventù. L’idea di crearle è nata nell’Anno Santo straordinario 1983/84. La città eterna fu invasa da associazioni, società, confraternite e gruppi d’ogni genere. Uno dei volontari del Centro, Don Massimo Camisasca di Comunione e Liberazione, chiese: “Perché, in quest’Anno Santo, non facciamo anche un incontro internazionale della gioventù?“ Ribattei: „L’idea è interessante; ma chi potrà organizzarlo?“ Mi sembrava evidente che una faccenda del genere eccedesse del tutto le possibilità del Pontificio Consiglio per i Laici. E che sarebbe potuta riuscire solo a condizione che vi si impegnassero tutte le nuove iniziative spirituali che collaboravano nel Centro. Le radunammo e fummo in grado di strappare la loro disponibilità, contro il parere di alcuni fra i loro dirigenti più anziani, che, a motivo delle loro pessime esperienze in un analogo raduno svoltosi nell’Anno Santo 1975, sollevarono molte riserve. Ma – grazie a Dio – gli scettici non riuscirono a spegnere la fresca serenità e il necessario slancio giovanile degli altri.

Quanto più si avvicinava la prima Giornata della Gioventù, tanto più forti si palesavano le resistenze esterne. Da alcune Diocesi, da noi invitate, provenivano  commenti critici, come: “Non è compito del Vaticano occuparsi dei nostri giovani”. Il sindaco (comunista) di Roma si rimangiò all’ultimo momento autorizzazioni già concesse, sicché non ci fu possibile approntare la prevista tendopoli nel parco della Pineta Sacchetti e installarvi gli alloggi già assegnati. Certi quartieri romani si mobilitarono contro la presunta invasione di ragazzi chiassosi. Agli ecologisti si associarono dei giornalisti per gettare l’allarme sulla prossima devastazione dei giardini e delle aree pubbliche dell’Urbe. Apparvero degli articoli di giornale con titoli del tipo “Arrivano gli Unni”.

Eppure, nonostante la nostra totale inesperienza in fatto di megaraduni di quella specie e nonostante gli ostacoli frapposti, il grande incontro fu un successo trionfale. Qualcosa come trecentomila giovani accolsero l’invito del Papa e la Domenica delle Palme parteciparono all’Eucaristia in Piazza San Pietro. La massa di stranieri era sovradimensionata perfino per Roma, eppure tutto si svolse in modo così ordinato ed esemplare da stupire il mondo intero. Il novantunenne cardinale decano Confalonieri, che aveva seguito alcune fasi della festa giovanile dalla terrazza prospiciente la basilica vaticana, osservò: “Nemmeno i romani più vecchi possono ricordarsi qualcosa di simile”.

Noi del Consiglio per i Laici eravamo ridotti allo stremo delle nostre forze fisiche. Per sei mesi non avevamo avuto in mente altro che la Giornata della Gioventù. Tutto il resto lo avevamo lasciato da parte. Ci si rinfacciasse pure d’averci creduto e d’averla voluta; di fatto avevamo pagato il nostro debito verso la gioventù mondiale fino all’ultimo centesimo. Evidentemente Papa Giovanni Paolo II la pensava in tutt’altro modo. Poco prima delle vacanze estive ci fece sapere: “L’anno prossimo è stato proclamato dall’ONU Anno della Gioventù. Non sarebbe il caso di invitare di nuovo a Roma la gioventù del mondo?”. Nel sentire la proposta, è comprensibile che il nostro entusiasmo fosse molto contenuto. Di tempo per i preparativi ce ne restava pochissimo, giacché la pausa delle vacanze estive con i due mesi di interruzione era alle porte, e la data da fissare sarebbe stata di nuovo la Domenica delle Palme. Senza contare che non avremmo potuto di nuovo per sei mesi pretendere l’impegno di gruppi del Centro per una nuova Giornata della Gioventù. D’altro canto dovevamo dire di sì al Papa, anzitutto perché era il Papa, e poi perché avevamo visto in prima persona che la prima Giornata della Gioventù aveva segnato un grande impulso di fede per moltissimi giovani . La nostra buona disposizione all’obbedienza trovò subito un’eco inaspettata, che ci tolse molte preoccupazioni: Chiara Lubich, la fondatrice dei Focolari, mise a nostra disposizione tutte le forze del suo movimento, in modo che potemmo appoggiarci a un’organizzazione già collaudata.

Per la seconda volta la partecipazione dei giovani fu oceanica: alla liturgia di chiusura davanti alla basilica del Laterano si contano circa duecentocinquantamila presenze.

Noi del Consiglio per i Laici avremmo voluto chiudere per un po’ il capitolo “gioventù”; ci incombevano infatti molte altre faccende da sbrigare. Il Lunedì Santo, al limite dell’esaurimento, me ne scappai in Germania per poter finalmente dormire e riprendermi un po’ dalla fatica. La Domenica di Pasqua seguii la trasmissione televisiva della liturgia in Piazza San Pietro. L’omelia dell’allora ancor giovane Papa mi entusiasmò. Ma ecco che un passo venne a irritarmi: con fortissimo slancio il Papa scandì queste frasi: “con centinaia di migliaia di giovani mi sono incontrato domenica scorsa e ho impressa nell’anima l’immagine festosa del loro entusiasmo. Nell’auspicare che questa meravigliosa esperienza possa ripetersi negli anni futuri, dando origine alla Giornata mondiale della gioventù nella domenica delle Palme...”. Il Santo Padre ci aveva preso gusto,  e aveva instaurato una prassi nuova nella Chiesa cattolica.

Ebbe così inizio la celebrazione delle Giornate della Gioventù, che toccò svariati paesi del pianeta, alternando raduni internazionali con quelli realizzati nelle Chiese locali. A inaugurarla fu Buenos Aires in Argentina. Seguirono poi gli USA, l’Europa e l’Asia. Di particolare rilievo furono l’incontro di Parigi e quello di Roma durante l’Anno Santo del 2000. Il picco numerico si toccò con le Filippine, dove si radunarono qualcosa come quattro milioni di persone in festa. I media furono concordi nel commentare che la famiglia dei popoli non aveva ancora mai assistito a un evento cui avesse partecipato – volontariamente e con grandissima gioia – una così grande moltitudine di persone.

Le Giornate Mondiali della Gioventù sono diventate una catena che congiunge paesi e continenti. Questo si è reso palese anche in Colonia allorché il Paese è stato invaso dal grande stuolo internazionale di giovani globals pacifici, entusiasmati per la prima volta da un Papa tedesco.

La forza comunionale della fede s’incarna in modo particolarmente tangibile tutte le volte che nella giornata conclusiva avviene la consegna della Croce dell’Anno Santo. Data l’importanza di tale Croce, vorrei concludere col dire quel che so della sua storia; perché questa storia inizia pure nel Centro San Lorenzo.

Agli inizi dell’Anno Santo straordinario 1983/84 il nostro Santo Padre si accorse che nella basilica di San Pietro mancava una croce alta che attirasse gli occhi di chi vi pregava. Fece quindi collocare sulla Confessione una croce lignea di due metri buoni. Quando attraversò per l’ultima volta la Porta Santa, consegnò questa croce ai giovani del Centro San Lorenzo e, come se parlasse in privato, disse ai cinque che la ricevevano: “A conclusione dell’Anno Santo affido a voi il segno di questo anno giubilare: la Croce di Cristo. Portatela nel mondo come segno dell’amore di Gesù per l’umanità e annunciate a tutti che solo in Cristo, il Signore morto e risorto, è salvezza e redenzione”.

I giovani del Centro erano già stati conquistati quando mi raccontarono questo. Erano intenzionati a portare davvero la Croce nel mondo. Pensai di ridimensionare i loro fervidi entusiasmi dicendo che ognuno porta la sua croce nel mondo. Ma essi intendevano prendere proprio alla lettera la consegna del Papa. Finii per cedere alla loro insistenza. Ma a chi interessava una croce di legno, anche se era stata innalzata in San Pietro in Vaticano, anche se potevamo rifarci al desiderio del Papa? Dovemmo quindi conferire un posto specifico alla Croce con un atto di culto. Ed eccoci allora in piccola comitiva a pregare e cantare per le vie di Roma, diretti verso i  centri dei vari movimenti spirituali: Comunione e liberazione, i carismatici, la parrocchia dei Martiri Canadesi per il Cammino neocatecumenale. Alla fine delle processioni, catechesi, liturgia e solenne adorazione della Croce, spesso nello stile della comunità monastica di Taizé.

Poco dopo – luglio 1984 – ebbe luogo a Monaco il Katholikentag. Con una copertura di  metallo rendemmo trasportabile la nostra croce e volammo in Baviera. Il vescovo ausiliare Mons. Tewes, poi defunto, era il responsabile della liturgia. Lo pregammo di far erigere per la celebrazione conclusiva nell’Olympiastadion una grande e semplice croce di legno che fosse visibile a tutti. Ma faceva fatica a capire la nostra richiesta: portare da Roma una croce di legno! A Monaco scarseggiavano forse croci abbastanza belle? Insistemmo: si trattava della Croce dell’Anno Santo, e il Papa ci aveva esortati a portarla nel mondo come segno della salvezza che viene da Cristo. Monsignor Tewes temporeggiò ancora. Allora ci rimettemmo di nuovo per le strade, stavolta della capitale bavarese, armati di un megafono, pregando e cantando. Grande fu poi la nostra gioia allorché il Vescovo accondiscese al nostro desiderio e la Croce ebbe il suo posto d’onore durante la cerimonia conclusiva.

Nel successivo incontro col Santo Padre potei riferirgli: “I giovani del Centro San Lorenzo hanno adempiuto l’incarico ricevuto di portare la Croce dell’Anno Santo per il mondo”. Per tutta risposta il Papa dice: “Ma allora portatela anche al cardinal Tomaček a Praga”. Non era per niente semplice farlo, e per ragioni politiche. La Cecoslovacchia era uno dei paesi più fortemente asserviti al comunismo. La Chiesa non vi aveva libertà né spazio vitale. E il grande oppositore del regime, il Cardinale di Praga, era completamente isolato e controllato a vista. Solo con qualche stratagemma ci sarebbe riuscito di portar la Croce fino all’eroe della resistenza anticomunista, allora già ottantaseienne, e consolarlo nei suoi arresti domiciliari. I giovani architettarono il piano: ottenere il visto per un gruppo di studenti dell’università di Tubinga in viaggio di studio alla volta di Praga. Le autorità comuniste concessero il visto d’entrata, ed essi riuscirono a camuffarsi da squadra di operai edili, entrare nell’abitazione del Cardinale e trasportarvi di nascosto la Croce. Il Cardinale era commosso fino alle lacrime e benedisse quei giovani temerari che a loro gran rischio e pericolo gli avevano manifestato l’affetto del Papa. Furono scattate delle foto, che in seguito, pubblicate  su uno dei maggiori giornali tedeschi, suscitarono grande sensazione.

Da allora ad oggi la Croce dell’Anno Santo ha fatto, per così dire, carriera. Ora la si chiama non più “Croce dell’Anno Santo”, bensì “Croce della Giornata Mondiale della Gioventù”. Il desiderio di averla è tale che se ne sono dovuti approntare dei duplicati, perché davanti ad essa nel mondo intero ci si possa ricordare dell’amore di Gesù. Davanti ad essa hanno pregato giovani di tutti i continenti, e, grazie a tali preghiere, qualcuno ha riscoperto il nesso fra i propri peccati e la passione del Signore e dopo anni e anni, ha ritrovato la via del confessionale. Davvero la Croce è stata un segno efficace di salvezza!

Cari fratelli e sorelle,

Ancora oggi Dio nella sua Chiesa scrive la storia della salvezza. Questo perlomeno mi è apparso chiaramente nel Centro San Lorenzo e nei suoi frutti.

A ragione tutti noi riteniamo la fede e la fiducia nel Padre celeste come un dato che rientra nella nostra intima convinzione, in certo qual modo come una qualità mistica. Quando si deve trovare la via della salvezza dobbiamo mettere in gioco quella bussola che dà orientamento alla nostra anima. I grandi nella Chiesa lo testimoniano in modo fin troppo palese: un Sant’Ignazio di Loyola abbandonò la sua vita da soldato e accettò di recarsi a Manresa (Spagna) per istituire i suoi noti esercizi. Madre Teresa di Calcutta decise, chiamata nel suo cuore dallo Spirito Santo, di lasciare l’ordine delle Suore di Loreto e di dedicarsi ai moribondi nelle strade di Calcutta. Così un giovane coglie nel suo cuore, in modo vago seppur percepibile, la chiamata di Dio a seguire Gesù Cristo nel servizio sacerdotale o nella vita consacrata. Dio infatti – come già diceva Sant’Agostino – è più intimo a noi del nostro stesso intimo.

Ciononostante la nostra fede ha bisogno di essere sollecitata e rinsaldata dal contesto in cui viviamo, dalla comunità e dalla nostra esperienza personale. Deve essere destata e consolidata dal quotidiano e dal contesto in cui ci troviamo. C’è un detto in filosofia che esprime questa verità in modo molto bello: non c’è niente nell’intelletto che prima non sia stato nei sensi. Secondo il filosofo greco Aristotele la nostra mente è come una tabula rasa. Resta vuota, se i nostri sensi non vi lasciano impresso qualcosa. I colori, la musica, grandi e piccoli eventi della nostra vita, avvenimenti ed esperienze personali riempiono questa tavola. Non da ultimo la Parola di Dio ci indica la via della fede, poiché “la fede viene dall’ascolto”, come l’Apostolo Paolo scrive alla comunità di Roma (10,17). C’è perciò una interazione tra l’esterno e l’interno, tra il sensibile e la forza della fede.

Nella modalità appena descritta, per tanti visitatori e soprattutto per i giovani, questo Centro ha fatto germogliare le radici della fede o le ha consolidate. Ecco la chiesa come edificio in tutta la sua austerità e sobria bellezza, di cui il Papa Benedetto ha parlato non più tardi di domenica scorsa. Per coloro che lo hanno vissuto anche una sola volta, questo spazio suscita un senso di sicurezza, un certo sentimento di familiarità. C’è poi “la Croce della gioventù”. Per quanti l’hanno portata nei vari continenti del mondo e per quanti l’hanno venerata in preghiera, è diventata un ponte verso il Signore crocifisso; per quanti giovani è stata il motivo che li ha spinti a ricevere il sacramento della penitenza. E finalmente la “Giornata della Gioventù” con i suoi effetti sul cammino di vita e di fede di così tante persone;  ma di questo abbiamo già parlato precedentemente.

In questo giorno giubilare di oggi possiamo essere certi che il Centro Internazionale Giovanile San Lorenzo è diventato per innumerevoli contemporanei in cammino verso il Padre nei cieli una sorgente di grazia. E per questo bisogna però rendere grazie.

S.Em. Card. Paul Josef Cordes
Presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum