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Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti

La missione della Chiesa nel Turismo

S. E. Mons. Agostino Marchetto,
Segretario del Pontificio Consiglio 

Faccio precedere la trattazione del mio tema - me lo permetterete, credo - da un ricordo personale, bello, uno dei più belli della mia vita, e da un contesto, cioè il mio impegno abituale, insieme a quello – da poco assunto – di Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti.

Premessa

A. Ricordo personale

È quello dell’ascesa al Kilimangiaro, là tra Tanzania e Kenya, 3 giorni di cammino, a partire da 1600 metri fino alle nevi perenni di memoria Hemingwayana, attorno ai 6000 metri. Grande bellezza, oltre che elevazione! Silenzio, solitudine, colori vividi e cupi, incantevoli e suggestivi paesaggi! Portavo con me delle medaglie del Pontificato di Giovanni Paolo II che volevo affidare alla Cima, con una piccola croce. Era un gesto di pietà e di passaggio dall’altura, che domina l’Africa intera, all’Altissimo e buon Signore, la Montagna di Dio (cfr. l’Oremus della memoria della Beata Maria Vergine del Monte Carmelo). Era il desiderio di condurre in alto i cuori di tutti coloro che, dopo di me, avrebbero lasciato la pianura per guardare l’Africa da lassù, non prima di aver contemplato il maestoso sorgere del sole. Anch’esso diventava immagine, del Sole di giustizia, Cristo, che rischiara le nostre tenebre e quelle del mondo.

B. Impegno F.A.O.

Il secondo punto propedeutico riguarda il mio impegno, pure attuale, di Osservatore della S. Sede presso la FAO, l’IFAD e il PAM, e voi sapete che la FAO è concretamente responsabile di questo Anno Internazionale delle Montagne che stiamo celebrando (e fu proclamato dalle Nazioni Unite nel Novembre ’98). Ebbene, prendendo in considerazione le radici di tale mio ambiente di missione, ricordo che la scelta del tema è intesa a promuovere la tutela delle montagne, patrimonio dell’umanità, e a migliorare anche la qualità della vita di chi vive nelle località montane, perché tali popolazioni sono tra le più affamate e le più povere del mondo e poiché l’ambiente montano è cruciale per l’intero equilibrio dell’ecosistema mondiale. Infatti, le montagne forniscono più della metà dell’acqua che noi usiamo per scopi agricoli e per produrre elettricità, ma soprattutto per dissetarci. Le montagne ospitano poi una grandissima varietà di animali e di piante che si trovano soltanto in quota e in certi monti, in date situazioni, e quindi sono un deposito fondamentale di quella biodiversità che fa la ricchezza specialmente dei Paesi poveri.

Ma le montagne, per loro natura, ospitano anche culture e tradizioni antichissime di popolazioni indigene e soprattutto hanno – per la maggior parte delle religioni del mondo – un alto valore spirituale, come abbiamo sentito da Mons. Ravasi. Vi sono così molti aspetti da mettere in luce, ma anche molti rischi. In effetti, la maggior parte dei conflitti si svolgono in zone montane. Ne abbiamo conferma, prendendo in considerazione, per es., il fatto che su 27 conflitti armati, nel corso del 1999, ben 23 si sono svolti in zone di montagna. Questa violenza ha portato fame, povertà e molti rifugiati, che hanno quindi abbandonato le loro terre con un forte degrado ambientale. Confermiamo così, pure qui, la convinzione che senza pace non ci può essere sviluppo delle zone montane, né vi può essere benessere per le popolazioni che le abitano. Quest’anno della montagna, dunque, ha una fortissima valenza di pace nel quale diamo un messaggio forte di unione fra tutti, anche fra i turisti. La pace è del resto condizione sine qua non per il Turismo e l’idea è rafforzata dal ricordo che il 48% della superficie terrestre si trova al di sopra dei 500 metri di altitudine e che 300 milioni di persone vivono tra i 1000 e i 2000 metri di altezza.

* * *

Prendendo l’avvio da questa premessa di pace e riconciliazione con la montagna e con i suoi abitanti, possiamo ora guardare brevemente alla missione della Chiesa nel Turismo, facendo attenzione soprattutto agli aspetti che penso possano più facilmente interessarvi.

Cominciamo con un velocissimo excursus storico circa l’interesse della Chiesa per il Turismo.

1) Problemi iniziali e reticenze

Certo tale fenomeno è frutto della modernità e riflesso di alcune delle sue opzioni basilari.
Così il Turismo apparve con il tempo libero, del quale seguita ad alimentarsi. Con l’introduzione delle vacanze pagate, poi, si aprì la porta a quello di massa. Per ultimo, varcata la soglia della rivoluzione informatica, l’umanità ha superato la propria “iniziazione al turismo”, almeno nei Paesi cosiddetti sviluppati. Ma nelle altre Nazioni, o meglio, per la maggior parte dell’umanità, la pratica del Turismo non è ancora possibile.

2) Lo stimolo della pratica pastorale

I primi passi della Pastorale del Turismo, cioè della sollecitudine apostolica per i turisti, sono stati percorsi “in stato di necessità”. Il fatto è che esso, specialmente nel periodo caratterizzato da quello di massa, restò quasi ai margini della pastorale della Chiesa, concentrata tradizionalmente in quella parrocchiale. Ai margini geografici, in primo luogo, in quanto le destinazioni turistiche, soprattutto le spiagge, si trovavano in luoghi in genere privi di edifici sacri, con scarsa disponibilità di sacerdoti o, semplicemente, dove non v’era nulla. Inoltre, ciò che necessitavano anzitutto i turisti non rientrava fra i temi di maggior preoccupazione delle comunità parrocchiali. I turisti, infatti, non potevano essere incorporati direttamente negli impegni di catechesi o di celebrazione. Per loro era necessario dotarsi di materiale ausiliario poco usuale: manifesti, avvisi, fogli in diverse lingue, ecc.

In questa situazione, la Pastorale del Turismo si configurò soprattutto come pastorale di accoglienza, con l’obiettivo di rendere possibile ai turisti la “pratica” degli obblighi religiosi.

Una conseguenza molto immediata, e degna di essere sottolineata, fu il prendere coscienza del fatto che questa pastorale di accoglienza apriva una dimensione ecumenica molto importante.

Vi fu un altro aspetto, derivato dal Turismo, che richiamò l’attenzione pastorale tanto delle parrocchie “turistiche” quanto di quelle che non contavano sulla presenza di turisti: l’aspetto “morale”.

3) Orientamenti del Magistero della Chiesa

Il ruolo che andava assumendo il tempo libero e, in particolare, il suo uso, come Turismo, si rivelò, a poco a poco, fenomeno con ampie conseguenze sulle persone, sulle famiglie e sui gruppi sociali, nonché sullo sviluppo delle Nazioni. È evidente dunque che un fenomeno di questa portata non poteva rimanere assente nelle preoccupazioni pastorali della Chiesa e negli interventi del suo Magistero. Insieme alle considerazioni sul tempo libero in sé o sul Turismo, all’invito a scoprire i suoi valori positivi o all’avviso di vigilare su alcuni abusi, la Chiesa promosse quindi una Pastorale del Turismo che si fondò principalmente sull’accoglienza. Il punto di partenza si inquadrava nella disposizione a estendere la relativa azione pastorale a quanti temporaneamente erano privi di domicilio fisso, dato che questa condizione era quella determinante, in linea di massima, per una pastorale distinta da quella sottoposta al principio della territorialità parrocchiale. Era poi, questo, lo stesso punto di partenza di diverse realtà sociali che la crescente mobilità umana rendeva sempre più consistenti: intendo l’emigrazione, i settori dei trasporti (aeroporti, strade), o di certe attività economiche (in mare).

a. Un luogo nella Curia Romana

L’attenzione pastorale ai diversi settori della mobilità umana diede origine perciò a vari Uffici in seno alla Curia Romana. Accennerò, a questo riguardo, solo al fatto che nel 1967 fu istituito da Papa Paolo VI, presso la Congregazione per il Clero, un Ufficio con il compito di garantire l’assistenza religiosa a tutte le persone coinvolte nel fenomeno turistico.

b. Direttorio Peregrinans in terra

Nel mese di aprile del 1969, poi, la Congregazione per il Clero pubblicò un Direttorio Generale per la Pastorale del Turismo, dal titolo Peregrinans in terra. Esso – notiamolo - diede inizio a un periodo molto fruttuoso di questo tipo di pastorale.

c. Cambi e aggiornamento

La situazione del Turismo è però una realtà dinamica, per cui essa ha subìto un forte processo di cambiamento, seguendo le necessità di una società che è entrata in nuove fasi di sviluppo sociale e conformemente ai parametri di un’economia che è andata avanzando verso la globalizzazione.

In riassunto rapidissimo del processo, si potrebbero segnalare questi tre punti:

(1) L’incorporazione della pratica del Turismo nella vita ordinaria delle persone. 

Il viaggio internazionale, per motivi turistici, è ormai qualcosa che la maggior parte della popolazione dei Paesi sviluppati contempla come possibilità e che, una percentuale molto elevata, pratica con assiduità. Le agevolazioni di ogni tipo sono infatti sempre maggiori. Mi riferisco al tempo disponibile, ai mezzi di trasporto, all’omogeneizzazione amministrativa, alle infrastrutture sopranazionali, ecc.

(2) Nuove forme di Turismo

Questa crescente domanda, di conseguenza, non solo si traduce in valori quantitativi, ma ha introdotto anche nuovi aspetti qualitativi. Una maggiore frequenza, per es., spesso unita a una maggiore brevità del viaggio, rende infatti possibile la precisazione della destinazione, in modo che insieme a un viaggio di riposo - diciamo così -, se ne programma un altro a predominante culturale o sportiva. Le stesse infrastrutture sono così poste al servizio di interessi diversificati, adattando elementi che in ciascun caso sono specifici. Lo sviluppo dell’industria turistica permette ora di “personalizzare” il viaggio, non solo nella pubblicità dei foglietti di propaganda, ma nella realtà. 

(3) Maggiore presa di coscienza delle ripercussioni dell’attività turistica.

Le prime tappe dello sviluppo di questo settore furono vissute con grande ottimismo. Infatti, in molte Nazioni il Turismo fu accolto come un “dono del cielo”, giacché esso sembrava crescere quasi spontaneamente, senza bisogno di grandi infrastrutture, di mano d’opera specializzata, indipendentemente - diciamo - dalla disponibilità di materie prime. In quei luoghi carenti di tutto, si poteva di fatto godere del sole, di spiagge pulite e contemplare la bellezza del paesaggio. Qui il Turismo poteva rappresentare la via maestra e rapida per lo sviluppo e per ottenere ricchezza.

Tuttavia, abbastanza presto, si cominciarono a percepire le conseguenze sfavorevoli del fenomeno, sia sociali che ecologiche. Non c’è da meravigliarsene, in quanto, come per l’attività economica in genere, anche per il Turismo giungeva l’ora di porre le condizioni per il suo sviluppo armonico, sostenibile.

In questo contesto, si è prospettata dunque con urgenza la necessità di stabilire nuovi parametri di sviluppo turistico. In modo molto speciale, si va così insistendo sulla necessità di una responsabilità condivisa nella quale le comunità locali, attraverso le loro amministrazioni e organizzazioni, abbiano voce e voto nella pianificazione, nello sviluppo e nella partecipazione dei benefici provenienti dal turismo.

4) Raccogliere un’esperienza

Ebbene, il Direttorio Peregrinans in terra, come abbiamo visto, indicò le coordinate basilari e, in certo modo, permanenti della Pastorale del Turismo. Ma le nuove realtà rendevano necessario un aggiornamento, in sintonia con la preoccupazione pastorale sempre crescente di tutta la Chiesa al riguardo.

C’e da rilevare, comunque, un dato specifico, che rese urgente una nuova riflessione. Mi riferisco al fatto che esisteva una certa qual pluralità di vedute sul Turismo all’interno della Chiesa stessa. 

D’altra parte, opinioni e atteggiamenti diversi possono ricordarci altresì che mai si può considerare il Turismo come una realtà isolata e indipendente dalle condizioni generali in cui si sviluppa la società e la storia delle Nazioni. Il conflitto economico, i pregiudizi culturali e razziali, l’ingiustificabile distanza che separa la ricchezza di alcuni Paesi dall’estrema povertà di molti altri, sono “fatti” presenti nel Turismo, così come lo sono in altri aspetti della vita economica e sociale del mondo.

Nulla di tutto ciò può sorprendere quanti, pastoralisti, consideriamo la persona umana nella sua vocazione trascendente e nella sua finitezza peccatrice. Nel conflitto all’interno della persona stessa, nel campo della sua libertà, si va infatti, decidendo come le realtà del mondo e della storia personale e universale vadano inserendosi o appartandosi dalla storia della salvezza. E nel Turismo, dove i desideri del singolo individuo sono decisivi e prevalgono su tutto, si percepisce con maggiore forza e crudezza che ogni violenza, anche quella in relazione al Creato, è, alla fine, violenza contro la persona.

Ebbene, la sua difesa è un orizzonte che la Pastorale del Turismo ha incorporato da sempre. In essa è inclusa la difesa del lavoratore sottomesso a condizioni lavorative molto peculiari, quella della comunità locale, della sua identità culturale e del suo patrimonio, come pure la difesa del turista stesso, tante volte svilito, asservito e ricondotto ad essere mera fonte di facile guadagno economico.

Sono queste le linee portanti del pensiero ecclesiale, soggiacente quindi alla Pastorale del Turismo.

Grazie a Dio, questa centralità stessa della persona ha spinto lo sviluppo del Turismo verso orizzonti più umani. La motivazione culturale, l’interesse per i costumi di altre società, il desiderio di conoscere più da vicino le ricchezze e gli spazi naturali, la preoccupazione di mantenere una qualità di vita più salubre, la partecipazione ad avvenimenti che rafforzano la comunità sociale, ecc., sono fattori che vanno incidendo sempre più sulla definizione dell’attività turistica, e non solo dal punto di vista cristiano.

Il Turismo oggi è perciò un fatto antropologico, che forma la persona. L’impegno di fare in modo che esso sia accessibile a tutti, nelle migliori condizioni, è l’obiettivo che la Pastorale del Turismo ha assunto e che condivide con molte organizzazioni che lavorano per un Turismo “dal volto umano”.

5) Avvicinare il Turismo all’esperienza cristiana

In questi tempi di sviluppo turistico, nonostante tutto (lo scorso anno il flusso è calato dell’1,37% rispetto al 2000, anche a seguito degli avvenimenti dell’undici settembre), una delle maggiori urgenze con le quali si confronta la Pastorale è di avvicinare il Turismo all’esperienza di fede. Esso, invece, è ancora purtroppo una realtà della vita di ogni giorno che non ha, o ha scarsamente, un collegamento con la vita cristiana. Non sono stati, forse, sufficientemente spiegati i motivi teologici, morali, incluso ascetici, in grado di sostenere l’esperienza cristiana nel Turismo e, poi, continua a pesare su tutti l’antico errore di considerare, a tutti gli effetti, il tempo turistico come tempo “fra parentesi”.

Gli Orientamenti per la Pastorale del Turismo, pubblicati dal nostro Pontificio Consiglio lo scorso giugno 2001, si iscrivono nell’impresa di accrescere le “ragioni” di un Turismo cristiano, ben radicato nella dimensione antropologica del Turismo stesso, nei suoi valori sociali e nelle radici teologiche che devono sostenere la decisione di dedicare tempo al Turismo.

Il citato documento attesta: “il cristiano, nella pratica del turismo, è invitato a rivivere in modo speciale l’azione di grazia per il dono del Creato, in cui risplende la bellezza del Creatore, per il dono della libertà pasquale, che lo rende solidale verso tutti i suoi fratelli in Cristo Signore, e per il dono della festa con cui lo Spirito Santo lo introduce nella patria definitiva, anelito e meta del suo pellegrinare in questo mondo” (n. 14). Azione di grazia, libertà pasquale, dono festivo, anelito e speranza di andare oltre il visibile, come si vedesse l’invisibile (cfr. Eb intero cap.11), sono dunque gli atteggiamenti fondamentali del cristiano-turista e piste di azione pastorale per quanti si interessano all’uomo tutto intero, anche alla sua dimensione pellegrinante-turistica.

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