|
Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People People on the Move - N° 86, September 2001 Pellegrini e Forestieri, ieri e oggi * S.E. Mons.Francesco GIOIA Segretario del Pontificio Consiglio 1. Concetto di pellegrinaggio Il termine Âpellegrinaggio etimologicamente deriva dal latino peregrinare, ossia ire per agros: spostarsi di villaggio in villaggio attraverso i campi e non lungo le viae che in genere sono supportate da un minimo di attrezzatura di carrozze e di stationes per il vitto e lÂalloggio. ÂAndare per i campi evoca lÂidea del disagio, sotto il sole o la pioggia, senza sapere cosa magiare e dove dormire. Quindi, già nel termine Âpellegrinaggio è racchiusa lÂesigenza della penitenza per purificarsi dai propri peccati. Il peregrinus era un viandante che attraverso i campi si recava a un luogo sacro, ove Dio si è manifestato con un evento prodigioso, la cui memoria è viva. Dal momento in cui parte e fino al momento del ritorno, il pellegrino fa lÂesperienza dello xenos, vive lÂesperienza della xenìteia. Pellegrino è lo straniero alla ricerca del sacro che è ben distinto dal semplice forestiero che ha interessi turistici o economici, e che assai spesso ha bisogno di protezione. 2. Il pellegrinaggio nelle epoche remote I pellegrini sono esistiti in epoche remote. I menhir e i dolmen erano monumenti del sacro, dove si svolgevano riti frequentati da popolazioni più o meno lontane. Nel Sahara sono rimaste testimonianze graffite di santuari, che dovevano essere frequentati dalle popolazioni che vivevano in quelle regioni allora non ancora desertiche, ma terre verdeggianti. Come si vede, si risale molto indietro nel tempo. Anzi, pare esistano buone ragioni per attribuire la prassi dei pellegrinaggi anche allÂHomo Sapiens o addirittura al Sinantropo, vissuto trecentomila anni fa, che nelle vicinanze di Pechino ha lasciato una moltitudine di crani sul vertice di una piccola collina. Documentata è lÂesistenza degli antichi pellegrinaggi nel subcontinente indiano: si pensi, ad esempio, a Benares per lÂinduismo e a Kandy per il buddismo. 3. Il pellegrinaggio presso gli Ebrei Nel mondo ebraico si presenta immediatamente il pellegrinaggio di Abramo, in cui entrano elementi così specifici che lo rendono in un certo senso atipico, cioè unico. Uscito per ordine di Dioda Ur dei Caldei verso il 1880 a. C., il patriarca si mise in cammino (Cf Genesi 12,1) Âsenza sapere dove andavaÂ, commenta lÂautore della lettera agli Ebrei (Eb 11,8), in attesa di conoscere il paese che Dio gli avrebbe indicato (Cf Gen 12,5). Comunemente il Âsacro verso il quale il pellegrino si muove, preesiste in un luogo da raggiungere e di cui egli ne conosce almeno lÂesistenza. Non così per Abramo. Egli si fida della promessa che Dio gli ha fatto più volte nelle grandi notti stellate di oriente: sarebbe divenuto padre di una moltitudine di gente (Cf Gen 15,5;22,17). Evidentemente, in quella Terra che Dio avrebbe un giorno dato ai discendenti del patriarca, il sacro si sarebbe aperto in un sacro immenso come il cielo. Del resto, non è sempre - un santuario - un simbolo che rinvia a quel sacro? LÂatipicità del pellegrinaggio di Abramo nasce proprio dal fatto che svela il Âsimbolismo costitutivo di ogni pellegrinaggio. Invece, per i figli di Abramo, diventati popolo, il pellegrinaggio in senso tecnico  distinto dal fenomeno migratorio vissuto nel lento avvicinarsi alla Palestina  nasce dopo aver conquistato la Terra Promessa e diventa una rivisitazione di quella epopea. Samuele ogni anno sale con i genitori (lÂusanza era quindi stabilizzata!) a visitare lÂArca in Silo (Cf 1 Sam 1,3). Da questa località la meta si sposterà a Gerusalemme, quando vi sarà trasportata lÂArca (Cf 1 Cr 15, 1-3). Seguendo quella lunghissima tradizione, Maria e Giuseppe vi saliranno insieme a Gesù (Cf Lc 2,41.52). Originariamente la Legge prescriveva quel pellegrinaggio tre volte lÂanno (Cf Dt 16,16), ma in seguito divenne prassi annuale. La gente vi saliva per vedere il volto di Dio (Cf Sal 42,3). Nei due secoli che precedono Davide e lÂorganizzazione del Regno, gli ebrei imitano le feste agrarie che le popolazioni conquistate osservano, mescolandovi memorie della propria storia. Nasce così la tradizione delle tre feste più importanti: quella degli Azzimi, in ricordo dellÂuscita dallÂEgitto (nel mese di Abib, Âperché in esso sei uscito dallÂEgittoÂ, Cf Es 23,15); la seconda festa è quella delle ÂsettimaneÂ, alla mietitura del grano; la terza quella delle ÂCapanneÂ, che durava otto giorni, durante i quali il popolo si trasferiva in capanne, facendo memoria dei lunghi anni dellÂemigrazione dei padri attraverso il deserto, sotto le tende, senza fissa dimora (Cf Es 23, 14-19). Prima della rigorosa centralizzazione monarchica, le singole tribù ricuperarono con i loro pellegrinaggi le memorie abramiche, come Sichem, dove sorgeva il querceto di Mambre, dove Dio fece la promessa al Patriarca (Cf Gen 12, 6-7) e dove Abramo comprò dagli Ittiti il primo frammento della futura Terra Santa (Cf Gen 23, 1-20); o come Silo e Betel, dove Abramo aveva eretto il primo altare con le pietre del luogo e aveva invocato il nome di Dio (Cf Gen 12,8), qui anche Giacobbe eresse un altare perché proprio in questo luogo gli era apparso Dio (Cf Gen 28,10-19; 35,1-15). DallÂanalisi del pellegrinaggio nella storia degli ebrei emerge chiara la distinzione tra la condizione di straniero e quella di pellegrino. Stranieri erano gli Ebrei, fin dai tempi di Abramo e poi di Mosé (come lo saranno in seguito nelle fasi della deportazione in Babilonia e della grande Diaspora) quando, come altri popoli, erano costretti a muoversi e spostarsi non alla ricerca del sacro, ma di una sopravvivenza o di una migliore condizione di vita. Pellegrini, invece, erano quando si muovevano per salire ai luoghi custodi della memoria della manifestazione del sacro. La peculiarità del pellegrinaggio ebraico, che serve da modello a quello cristiano, è quella di essere un fatto ÂcomunitarioÂ, ÂcoraleÂ: il pellegrino non è la persona che accede ai luoghi sacri per interpellare le divinità sull'esito delle proprie vicende strettamente personali, sia pure comuni a suoi compagni di viaggio, ma per celebrare ricorrenze collettive. Ciò non significa che i singoli non potessero esprimere problemi personali, come la madre di Samuele che chiese la grazia di avere un figlio (Cf 1 Sam 1,3-18), ma tali problemi erano coniugati con la coralità del pellegrinaggio. Le ricorrenze stabilite da tradizioni e leggi dei pellegrinaggi erano occasioni e modalità di aggregazione etnica, corroborata da una fortissima componente religiosa monoteistica che differenziava lÂebreo da qualsiasi altro essere umano, e dava ai singoli un senso di appartenenza che difficilmente altri individui potevano avere. Infine, per gli ebrei, che si muovevano solo in un contesto fortemente religioso, il pellegrinaggio aveva una connotazione unicamente interna alla propria comunità; per questo, il pellegrino ebreo non poteva sperimentare il fatto di sentirsi in paese straniero o di essere a contatto con popoli che non credono nel suo Dio; in una parola, egli perde il senso dello straniero o dellÂinfedele cui testimoniare la sua fede. 4. Il pellegrinaggio nellÂantica Grecia Se dal pellegrinaggio ebraico passiamo al pellegrinaggio di altri popoli, è chiaro che manca lÂaggancio al presupposto della ÂSalvezza universaleÂ, allÂinizio solo implicito, ma progressivamente sempre più chiaro fino allÂAnnuncio Gioioso (la Buona Novella) del cristianesimo. Anche nel mondo non ebraico e precristiano esistevano i luoghi del sacro ed erano frequentati: si pensi a Dodona, di cui parla Omero, a Delfi, sacro ad Apollo e Diòniso, a Cuma con la Sibilla che emetteva oracoli in nome di Apollo. Ai grandi santuari affluivano persone facoltose e colte anche da paesi lontani, attratte dal pensiero che il sacro contenesse il mistero del futuro e il potere di sconfiggere il male. LÂesperienza di essere pellegrino facilmente si coniugava con lÂesperienza di essere forestiero. LÂelemento di convergenza era il senso di precarietà davanti al male e al futuro con i suoi enigmi. Era una precarietà che la nostra cultura può anche chiamare creaturalità: ma una volta raggiunta la creaturalità come fondamento dellÂesistenza umana, si arriva  solo esplicando il termine  al concetto del Creatore che del futuro e del male è il padrone e al quale ci si può rivolgere. Invece, gli antichi pellegrini che cosa cercavano e a chi si rivolgevano? Pezzo forte del santuario era lÂoracolo: la parola pronunciata che doveva svelare e guarire. Non viene comunemente messo in rilievo che nel santuario, oltre allÂoracolo, si faceva anche lÂesperienza del sacro; infatti, accanto al cuore del sacro (per esempio lÂantro della Sibilla) esistevano spazi in cui il pellegrino poteva sostare, fare lÂesperienza viva dellÂimmersione del sacro per un certo periodo di tempo, a volte anche prolungato. LÂarcheologia rivela che tutte le località popolate ostentano i luoghi del sacro. E perciò dovevano esistere forme di pellegrinaggio. La toponomastica in Italia è punteggiata di località arcaiche, in cui è presente la radice phan (= rivelare) a indicare che in quel luogo cÂè stata una rivelazione del sacro e perciò un santuario (si pensi a Fano, Fano Adriano, Sacrofano, ecc.). La Âcoralità ebraica derivante dallÂappartenenza a una fede comune, tra i pellegrini, non cÂè, o almeno non è evidente. La liberazione dallÂincertezza e dalla precarietà è un fatto comune, ma non spinge alla solidarietà. Tuttavia, la comunanza di incontri ha dato luogo a manifestazioni aggreganti importanti, come è accaduto, per esempio, a Delfi, dove si celebravano ogni quattro anni i giochi delfici, aperti a tutti i greci, risuscitati dalle nostre moderne Olimpiadi. 5. Il pellegrinaggio cristiano LÂuomo primitivo è partito da una vita che si svolgeva in gruppi chiusi, di natura difensiva, dai quali lÂaltro che stava fuori era lÂhostis-hostilis[1]. Progressivamente lo stesso uomo ha sentito lÂaltro, fuori del gruppo di sicurezza, come lÂhostis-hospes e gli ha riservato lÂaccoglienza (unÂaccoglienza purtroppo, non garantita a tutti, perché alcuni sono stati ridotti in schiavitù!). Finalmente, lÂuomo che viveva nella sicurezza che gli garantiva lÂappartenenza a un gruppo vide nello straniero un altro uomo, un suo simile, aiutato in questo processo anche dallÂimmagine dellÂAltro, di Dio, che ogni altro porta in sé: immagine che ce lo rende fratello. LÂevento cristiano ha introdotto un elemento sconosciuto alla cultura ebraica: lÂagape, lÂamore, che unifica e pone sullo stesso piano il forestiero e il pellegrino. Si pensi alla testimonianza di Giovanni Crisostomo relativa alla Chiesa di Costantinopoli, che accoglieva in apposite strutture ben sette categorie di bisognosi: i forestieri, i malati, gli invalidi, gli orfani, gli anziani, i poveri, tutte le persone in genere[2]. Gerusalemme non avrebbe mai potuto Âcancellare lo straniero e metterlo alla pari dei figli di Abramo. Basti pensare a quello che accadeva anche in una fase di grande maturazione umana e sociale degli ebrei diffusisi nello spazio dellÂellenismo e della romanità. Ebrei di Palestina ed Ebrei della diaspora, anzi unÂinfinità di Âsimpatizzanti partecipavano alle grandi feste ebraiche. Gli specialisti dÂarcheologia hanno calcolato che il tempio con le varie strutture connesse, potesse contenere fino a 180.000 persone. Secondo una stima credibile i pellegrini che salivano a Gerusalemme per la Pasqua arrivavano in media a 125.000, circa il doppio della normale popolazione di Gerusalemme nel I secolo d. C. Alcuni testimoni, stupiti dalle enormi folle che vi accorrevano, hanno fornito delle cifre certamente esagerate, ma significative: Tacito parla di 600.000 pellegrini, Giuseppe Ebreo di 2.700.000 e il Talmud di ben 12.000.000[3]. La distinzione tra Ebrei e stranieri, proseliti o semplici curiosi, è sempre stata tenuta, rigorosamente. Invece, dopo lÂevento cristiano tutti sono uguali nella nuova sinagoga o chiesa: questo non solo nei territori dellÂImpero di Oriente, ma anche nellÂEuropa in cui erano dilagati tanti barbari. Il termine forestiero non ha più senso. Il paroikòs, cioè lo straniero, per il quale lÂImpero precristiano aveva mutuato dallÂurbanistica greca i quartieri riservati  paroikìai  diventa, senza distinzione alcuna, membro della comunità cristiana detta in tardo latino paroecia. Il termine classico relativo allÂesperienza dello straniero, detto in antico xenìteia diventa la agape. I cristiani che muovono da lontano sono peregrini, fratelli che camminano per agros, non forestieri nel senso di estranei, semmai forestieri nel senso di ospiti. Infatti, le abbazie, le cattedrali, le parrocchie e i conventi erigeranno delle domus hospitales, cioè delle case per i pellegrini, che sono hostes/hospites e non hostes/hostiles da cui difendersi! Le grandi lettere H assunte dalla segnaletica di tutto il mondo derivano dalla radice Hospes per indicare lÂalbergo (Hôtel) e lÂospedale (Hôpital). Per tutto il medioevo ai pellegrini viene assicurata lÂaccoglienza. Infatti, per seicento anni si recheranno a fare lÂesperienza del sacro là dove il figlio di Dio si è fatto uomo, lÂevento chiave che ha dato senso a una cultura: a Nazaret, a Betlemme, al Calvario, al Sepolcro di Gerusalemme. Vedere con i propri occhi i luoghi dove Gesù aveva camminato e parlato e operato i miracoli, era la forma più forte di conoscere Gesù per uomini quasi tutti illetterati e perciò sprovvisti di altri mezzi di verifica della propria fede. 6. Il pellegrinaggio nellÂetà moderna Il pellegrinaggio nellÂetà moderna si distacca dallÂobiettivo della Terra Santa che per oltre mezzo millennio era stato quasi esclusivo. Esauriti i tentativi delle crociate, il mondo cristiano ripiega su altri obiettivi. Tanto più che il trascorrere dei secoli e il fiorire di testimonianze vive altrove in Europa e poi anche fuori offre altre mete allÂesperienza del sacro. Molto presto, Roma con le memorie dei suoi martiri e con la presenza del successore di Pietro, e Compostela con le reliquie dellÂapostolo Giacomo fanno ÂconcorrenzaÂ, per così dire, a Gerusalemme. Successivamente Mont-Saint-Michel in Bretagna e il San Michele del Gargano si offrono come mete ai due poli estremi dellÂEuropa. Anche Altötting nel cuore della Germania conserva un santuario meta di pellegrinaggi fin dallÂanno 700 circa. In Italia i pellegrini salgono al colle di Loreto per venerare la Casa della Madonna. Il sacro conteneva ormai per la cultura del continente Europeo il senso dellÂesistenza e i pellegrini ne erano i testimoni. Con comprensibile orgoglio al loro ritorno ne ostentavano per tutta la vita le decorazioni  la palma, per chi era stato a Gerusalemme, la conchiglia, per chi era stato a Compostela  pronti a rendere testimonianza a quanti li interpellavano sulla loro xenìteia rielaborata nel calore dellÂagape cristiana: Sigerico ci ha lasciato un diario tappa per tappa da Canterbury, annottando quello che ha visto in 79 submansiones, nel corso dei lunghi mesi di cammino tra popolazioni che non sentiva straniere, e dalle quali non era percepito come straniero, ma come un fortunato fratello di fede. Nel 1154 lÂabate Nikulas di Munkathvera, in Islanda, partiva per un analogo pellegrinaggio, di cui rimane la memoria, prima fino a Roma e poi fino a Gerusalemme. Un fiume ininterrotto di pellegrini per secoli percorsero lÂEuropa, si incontrarono e si riconobbero fratelli  non stranieri, anche se provenienti da regioni diversissime  e vissero i pellegrinaggi come esperienze di chiesa, di comunità di credenti. A Novacella, appena passato il Brennero, esiste ancora un immenso monastero costruito non per i monaci, ma per i pellegrini che dal cuore della Germania, fino al Baltico, scendevano verso Roma e alle soglie del clima mediterraneo sostavano, venivano curati, rifocillati prima di affrontare lÂultima tappa. La Bassa Padana disponeva di monasteri, dove altri pellegrini in viaggio, rimasti ammalati o senza denaro, venivano ospitati per la stagione dei raccolti in modo che potessero risanare il loro corpo e le loro finanze, prima di riprendere il cammino verso la meta ormai vicina. La tradizione dei prodotti alimentari  come il formaggio grana - risale a iniziative che i monaci di Nonantola e della regione di Modena, Reggio o Piacenza coltivarono per secoli a favore e con la collaborazione dei pellegrini. Sono solo alcuni accenni che suffragano quanto ha detto il Goethe, cioè che lÂEuropa è nata dai pellegrinaggi. Per secoli gli uomini del nostro continente si sentirono ospiti, fratelli di fede (non stranieri!) anche se non riuscivano a dialogare sempre attraverso le parole ma piuttosto attraverso la stessa speranza. Si pensi che S. Bruno fece lÂabate alla Grande Chartreuse, presso Grenoble, e poi in Calabria, dove morì, in comunità composte di fratelli appartenenti alle più disparate regioni dÂEuropa. LÂEuropa era la Terra cui tutti coloro che vi abitavano si sentivano reciprocamente di appartenere. I pellegrinaggi medievali sono stati una formidabile esperienza di chiesa: una maniera itinerante di fare chiesa, di fare esperienza del sacro, anche se nonostante tutto, lÂuomo medievale è stato spesso un grande peccatore (però aveva la coscienza del peccato!). La chiesa itinerante, come quella sedentaria, non è una élite di uomini perfetti. I luoghi che furono teatro delle grandi esperienze mistiche di Benedetto da Norcia, di Brunone della Certosa, di Francesco dÂAssisi, di S. Ignazio di Loyola, di S. Patrizio in Irlanda e altri luoghi del sacro come il santuario di Czestochowa (Polonia) o il santuario di Mariapocs (Ungheria), diventano mete di una cultura che si fraziona su basi regionali. Si adeguano così alle sensibilità regionali, che preludono ai meccanismi degli imminenti Stati Nazionali e ad un sorprendente fiorire in Europa di identità etniche, linguistiche, dinastiche, tanto che in tempi più recenti ogni nazione coltiverà lÂorgoglio di un santuario nazionale principale, cui faranno corona altri santuari regionali. Un modello che dallÂEuropa viene esportato anche fuori: lÂAmerica Latina avrà il santuario di Guadalupe (Messico), di Nossa Senhora Aparecida (Brasile), gli Stati Uniti il National Shrine of the Immaculate Conception, le Filippine il Santo Niño, la Costa dÂAvorio Nostra Signora dellÂAfrica. Sotteso a questo fiorire di santuari per pellegrini è il concetto della religiosità popolare come forma di religiosità destinata alla quotidianità di un popolo cristiano che non svolge più rispetto allÂumanità intera la funzione di leader, che aveva svolto quando sostituì alla cultura ellenistico-romana la grande cultura tardo romano-medievale. Forse nei meccanismi del popolo cristiano allÂuscita del medioevo è da vedere una carica consolatoria o quanto meno conservatrice. Le grandi filosofie rinascimentali tagliano il filo che agganciava lÂesistenza umana alla trascendenza filosofico-teologica del medioevo. Avviluppato nella sua ragnatela che lo imprigiona, lÂuomo moderno ha rifiutato di dare una risposta ai problemi che trascendono la temporalità e la precarietà, categorie esplorabili con la scienza. Bisogna rendersi conto che al pellegrino medievale era sottesa la verifica del disegno di Dio, rivelato ad Abramo. Anche i pellegrinaggi dei popoli estranei alla cultura ebraica cercavano nellÂesperienza del sacro una consolazione alla precarietà esistenziale e allÂincertezza del futuro cui approda lÂesistenza dellÂuomo. Il colpo dÂala che lancia la storia dellÂuomo in direzione trascendente è nato con lÂevento cristiano dellÂIncarnazione, la cui elaborazione ha prodotto i grandi sistemi speculativi, in libera collaborazione con la filosofia greca e islamica. Sono nate così lÂunità sociale dellÂEuropa, nonostante le molte componenti etniche utilizzate, le forme di socialità che sono state lÂImpero e i comuni, le costruzioni artistiche degli stili architettonici, le liturgie monastiche e mille altre cose di chiara marca trascendente derivante dal fatto che quellÂumanità aveva colto e fatto proprio il senso dellÂessere nel mondo con destinazione ultraterrena. LÂuomo del rinascimento ha reciso quel filo che scendeva dellÂalto e sosteneva la nostra ragnatela terrena, senza domandarsi dove immettesse. Così, prigioniero dellÂimminenza, lÂuomo ha cercato di crearsi minuscoli sacche di sopravvivenza nella sfera individuale e sociale. I pellegrini dei secoli successivi allÂevento dellÂIncarnazione, si muovevano per agros, incontrando degli uomini con i quali comunicavano con la parola, con la testimonianza, discutendo i problemi della loro vita. Quei pellegrini non avevano bisogno di libri, perché per loro sulle pareti delle cattedrali veniva dipinta la Bibbia pauperum. I pellegrini irrobustivano la carica di fede che portavano in sé nellÂesperienza vissuta nei luoghi sacri e la comunicavano alle persone che incontravano o presso le quali riposavano una notte e mangiavano il pane dellÂospitalità. LÂEuropa come cristianità è nata da processi del genere. Le elaborazioni teologiche e le stesse omelie seguivano e interpretavano una vita carica di fermenti, anche se a volte anche commista a peccati. Oggi è entrata in crisi la chiave di lettura della vita e dellÂesistenza. Il pellegrinaggio ha perduto così la carica evangelizzatrice e si avvicina piuttosto a quello che era stato il pellegrinaggio dei pagani, i quali andavano ai santuari per trovarvi la risposta alle loro insicurezze, il rimedio alle loro sofferenze. Gli ex voto nei nostri santuari dicono che cosa alcuni pellegrini chiedevano: salute e benessere fisico, qualcosa di ben diverso dalla testimonianza che gli epici romei ostentavano con orgoglio di credenti in Cristo, di messaggeri del trascendente. Il pellegrinaggio oggi è scaduto in un rito, a differenza dellÂesperienza di vita che era stato una volta. I pellegrini spesso sono membri di unÂorganizzazione cattolica, ma raramente hanno la consapevolezza di essere un popolo in cammino, portatore di una proposta di vita, che per trovare credito deve possedere la forza di una testimonianza. Vi è anche il rischio che il pellegrinaggio oggi sia una semplice forma di turismo, Âun turismo religiosoÂ. Il turista non ha quasi mai il contatto diretto con gli abitanti del paese ospitante; le organizzazioni turistiche adottano tutte le precauzioni per nascondere quello che può disgustarlo, perché egli è solo una persona che si sposta per divertirsi. Anche il pellegrino può essere soltanto un semplice turista: può arrivare in aereo o in treno, avere a disposizione vitto e alloggio, seguire con precisi orari le sue pratiche religiose, Âcorrette magari con qualche divertimento, e può tornarsene a casa con lÂindulgenza! Siamo molto lontani dallÂicona dellÂanonimo pellegrino russo, che così si definiva: ÂPer grazia di Dio sono un uomo e cristiano, per le mie azioni grande peccatore, per condizione un pellegrino senza tetto della più umile specie, che va errando di luogo in luogo. I miei averi sono un sacco sulle spalle con un po di pane secco e una sacra Bibbia che porto sotto la camicia. Altro non hoÂ[4]. Un tentativo di mettere a fuoco il significato autentico del pellegrinaggio è stato fatto dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti con la pubblicazione del documento Il pellegrinaggio nel Grande Giubileo del 2000, pubblicato il 25 aprile del 1998. Il Grande Giubileo del 2000 è stata unÂoccasione quanto mai opportuna per vivere il pellegrinaggio secondo la sua natura. Soprattutto il Giubileo dei giovani si è svolto in situazioni nuove: da una parte, è stato presente lÂobiettivo dellÂesperienza del sacro (basti pensare alle confessioni al Circo Massimo, alla Via Crucis, al passaggio alla Porta Santa); dallÂaltra parte, è stata vivissima lÂesperienza di Âatto ecclesiale - comunitario, corale  (si pensi allÂospitalità che le parrocchie hanno offerto ad alcuni giovani, alla condivisione del vitto e dellÂalloggio sotto il cielo vissuta da altri e al rapporto da persona a persona instauratosi tra tutti i partecipanti). LÂuomo del nostro tempo, che vive nel Âvillaggio globaleÂ, non può evitare dÂimbattersi nel mistero del dolore, della precarietà e della morte; egli non può reggere a lungo lÂinsignificanza che caratterizza i suoi giorni: ha bisogno della mediazione del sacro per dare un significato alla sua esistenza. Il pellegrinaggio gli rivela la sua dimensione di homo viator, Âstraniero e pellegrino (1 Pt 2,11) su questa terra, senza Âuna dimora stabile, ma in cerca di quella futura (Eb 13,14), ove nessuno Âè più straniero, né ospite, ma tutti saremo concittadini dei santi e familiari di Dio (Ef 2,19). Ricevuta Âla cittadinanza che è nei cieli (Fil 3,20), abbandoneremo lÂabito da viaggio e il bastone del pellegrino Âper essere sempre con il Signore (1 Ts 4,17).
* Pubblicato su LÂOsservatore Romano, il 1 giugno 2001 [1] Vale ricordare la frase di Festus: ÂTra gli antichi il nemico era chiamato straniero, e straniero colui che ora è considerato nemico accanito (ÂHostis apud antiquos peregrinus dicebatur et qui nunc hostis perduellisÂ, De verborum significatu, ed. W. N. Lindsay, Glossaria latina, Parisis 1930, IV, p. 224). Anche Cicerone ci informa: ÂIl nemico, infatti, presso i nostri antenati era detto colui che ora noi chiamiamo straniero (ÂHostis enim apud maiores nostros is dicebatur quem nunc peregrinum dicimusÂ, De officiis, I, 37). [2] Palladio, Dialogus de vita S. Johannis Chrysostomi, V (PG 47, 20). [3] Cf R. Lavarini, Il pellegrinaggio cristiano, Marietti, Genova 1997, pp. 102-108 [4] Anonimo, I racconti di un pellegrino russo, c. I. |