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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move - N° 87, December 2001

“Verso il 24 gennaio.
La dimensione pellegrinante”[*]

S.E. Mons.Agostino MARCHETTO,
Segretario del Pontificio Consiglio

È pellegrino l’uomo sulla terra[1], “pellegrino dell’Assoluto” (L. Bloy), nel relativo e contingente suo procedere quasi a tentoni, in vita e ancor più in morte; e pellegrina è pure l’umanità, attirata dal miraggio, bellissimo e difficilissimo da realizzare, di una unica famiglia in pace composita. È costitutiva dell’essere umano, insomma, la dimensione pellegrinante, transeunte, itinerante, in periglioso e insicuro cammino, pur portando la lampada che risplende in caliginoso loco (cfr. I Pt 1,19), quando si è cristiani-pellegrini, discepoli di Cristo in questo modo[2]. Anche per ciò il nostro Papa ha pensato la prossima speciale Giornata della Pace, del 24 gennaio 2002, con tale itinerante dimensione, in dolce trinomio pacifico: pellegrinaggio ad Assisi, preghiera e conversione alla pace, in testimonianza sinfonica, per essa, di chi diversamente crede, ma crede.

Il clima? L’amicizia con chi e di chi diversamente prega, ma prega, in mirabile conversione di situazioni, pensieri e azioni. Chi fu suppostamene ritenuto, per secoli, nemico, è invece nostro fratello, in vittoria evangelica sui nostri pregiudizi umani e le paure ataviche per chi è diverso da noi. Scriveva S.Agostino “plerumque cum tibi videris odisse inimicum, fratrem odisti, et nescis"[3].

E per tale visione di antiche e nuove inimicizie, di sedimentazioni letali nei meandri della memoria collettiva di popoli e nazioni, nasce l’affermazione che non v’è pace senza perdono, senza purificazione della memoria, nel rispetto, certo, della storia, dei tempi e dei luoghi, delle circostanze e dei contesti, del difficile procedere zigzagante della coscienza di essere, l’umanità, un’unica famiglia.

Infatti, ci attesta Giovanni Paolo II: “Non v’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”[4], per cui bisogna chiedere e concedere il perdono, al fine di poter anche “proclamare davanti al mondo che la religione non deve mai diventare motivo di conflitto, di odio e di violenza”[5]. Chi è pellegrino deve “fare pace”, deve aprire l’animo suo al perdono reciproco; per questo il “servizio che le religioni possono dare per la pace e contro il terrorismo consiste nella pedagogia del perdono”[6], affinché “il continuo ricorso ad atti terroristici o di guerra”[7] non inneschi un processo folle di violenze e di vendette.

Troviamo qui la considerazione che la natura dell’essere pellegrini, del pellegrinaggio, indetto e annunciato ora con concreto programma, illumina il nostro andare, di fatto o in ispirito, ad Assisi col Santo Padre e con coloro che Lo accompagneranno verso tale luogo di speranza, di amore e di pace, radicato nell’umiltà del Poverello.

Legato a tale considerazione è pure il nesso tra il perdono e la preghiera. Non chiediamo noi, pur sonnolenti pastori, a volte, a chi non sa perdonare – per liberarlo dalla sua difficoltà di ricevere la pace con Dio, che lega il suo perdono a noi al nostro verso i fratelli e le sorelle -: “riesci a pregare per chi ti ha offeso? Se così è, se puoi farlo, indipendentemente dai sentimenti di amarezza e rabbia che scopri in te, ancora, verso l’offensore, vuol dire che almeno una fiammella, quel minimo di spirito di riconciliazione e perdono ce l’hai in cuore. Puoi dunque ricevere da Dio il perdono e la pace nel sacramento della riconciliazione”.

“Fare pace” fra di noi, pregare per la pace fra coloro che camminano su strade del mondo che sempre più si incrociano, e possono essere fattore di comunione o di collisione, dovrà portare a un “impegno comune per la pace”.

Anche qui il servizio completo della pace, oltre le parole, è radicato nell’esperienza del pellegrinaggio, che non si riduce solo a preghiera, lo sappiamo dalla “storia della pietà” nel corso dei secoli. Esso si traduce, cioè, pure in atti di penitenza, in opere di misericordia e carità. I pellegrini si lavano i piedi gli uni gli altri, si sostengono a vicenda nel duro camminare. Non si dice infatti: “bisogna agire come se la preghiera fosse inefficace e pregare come se l’azione fosse inefficiente”? Preghiera e azione, dunque, vanno insieme. Agire bisogna, perciò, ma di certo in gradualità di approccio.

Il pellegrinaggio, in effetti, nella forma scelta dell’andata ad Assisi in treno, illustra bene tale aspetto di progressivo avvicinamento alla meta, alla pace; dice della fatica della ricerca costante di cammini di pace, parla di gradualità d’impegni, contando sulla fedeltà del “passo dopo passo”. L’andare in aereo, in elicottero, fa saltare la fase di avvicinamento, che è pure importante. In tal modo si è quasi “paracadutati” in un luogo, perdendo molto del visivo contemplare, di natura e persone e cose che ci fanno capire meglio dove si arriva.

Col treno, invece, giungiamo vedendo d’appresso. Ricordo, specialmente in Africa, che nella prima visita a una diocesi, come Rappresentante Pontificio, cercavo sempre di compiere il viaggio via terra, per strada, cioè in macchina o in treno, percorso piuttosto più difficile di quello dei cieli (volo aereo), naturalmente, ma che riserva insospettate piste di conoscenza e composizione di luogo.. e di tempo, ancor prima di giungere sul posto.

Anche qui la natura del mezzo del pellegrinaggio scelto dal Santo Padre ci può dunque incamminare nella comprensione di esso, nella sua preparazione.

Il treno ad Assisi evoca poi il viaggio, il primo di un Papa dopo l’unità d’Italia, di Giovanni XXIII, pure ad Assisi. Ricordo la foto sua “col cappello in mano”, quel tradizionale cappello papale, nell’ultimo secolo almeno. Amore alla tradizione anche in fatto di foggia di vestiario (pensiamo alla rispolverata al camauro, da parte di Papa Roncalli), ma anche - così ci piace pensare -, “col cappello in mano come il povero in casa del signore”, di un tempo che fu. Lui, il Papa, davanti al suo Signore. Ne implorava così la benedizione sul novello pontificato romano, per intercessione del Poverello e, ancor prima, della Madonna Lauretana.

“Col cappello in mano” siamo ancora noi in questo pellegrinaggio di pace ad Assisi, per chiedere il dono della pace, uniti ad esso in ogni diocesi e comunità cristiana, nella preghiera a Dio, unico e ricco in misericordia. La pace, per realizzarsi, per nascere e crescere, deve trovare la sua risposta a Dio in uomini di buona volontà, per grazia, che amino il Signore e i fratelli e le sorelle in umanità e/o in religiosità. E non debbono esserlo per primi i rappresentanti delle varie religioni che si riuniranno ad Assisi, senza ombra di sincretismo religioso, convocati dall’uomo di pace per eccellenza che è il nostro Papa Giovanni Paolo II? E che essi possano essere segno della presenza spirituale di tanti altri correligionari, sparsi nel vasto mondo, con in cuore il seme della pace!

Note:
[*] Contributo di riflessione del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti in vista del pellegrinaggio ad Assisi del 24 Gennaio. Il testo, che potrebbe visivamente intitolarsi “Con il cappello in mano”, è stato pubblicato da “L’Osservatore Romano” del 9 gennaio 2002, p.5. 
[1]Il pellegrinaggio, infatti, sorge dal cuore stesso dell’esistenza umana, dato che “fin dal suo primo affacciarsi sulla scena del mondo l’uomo cammina cercando nuove mete, indagando l’orizzonte terreno e tendendo verso l’infinito” (Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, Il Pellegrinaggio nel Grande Giubileo del 2000, Libreria Ed. Vaticana,1998, 1, p. 3).
[2]Cfr. Lumen Gentium, 49.
[3]Enarratio in Psalmis, Psalmum LIV, 4, CCL 39, p. 658.
[4]Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2002.
[5]Angelus del 18 novembre 2001, in L’Osservatore Romano ( 19-20 novembre 2001), p. 1.
[6]Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2002.
[7]Ib., 11.
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