The Holy See
back up
Search
riga

 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move - N° 87, December 2001

 

Il fenomeno migratorio oggi

Rev. P. Angelo NEGRINI, C.S.
Officiale del Pontificio Consiglio

Le migrazioni, caratteriscitica struttural del mondo d'oggi

  1. Il quadro di riferimento: il sistema mondiale odierno

  2. La mobilità umana, oggi, e le migrazioni internazionali

  3. Distribuzione geografica

  4. Nuova configurazione dell'emigrazione e problemi emergenti

  5. Nuove direttrice migratorie

  6. Diversificazione dei flussi

  7. Dinamiche migratorie

  8. Indicatori socio-culturali

  9. I soggetti

  10. I nuovi poveri

  11. Le cause dell'emigrazione

  12. Ripercussioni socio-economiche

  13. Nuove prospettive socio-culturale e istanze etiche

Conclusione

[French summary, English summary]

Le migrazioni, caratteristica strutturale del mondo dÂ’oggi

Una caratteristica ormai strutturale del mondo attuale è lÂ’accresciuta mobilità umana, divenuta un fenomeno stabile e sempre più consistente. Migrazioni e deportazioni di massa si sono avute in ogni epoca della storia, ma oggi hanno assunto caratteristiche nuove che richiedono continuamente nuove soluzioni. Esse costituiscono una dimensione notevole dellÂ’interdipendenza mondiale creatasi fra tutte le nazioni.

Il numero di persone che vivono in un Paese diverso da quello in cui sono nate continua a crescere: dai 76 milioni del 1965 ai 132 milioni del 1998, cioè una persona su 50 della popolazione mondiale. Inoltre il numero dei profughi allÂ’interno del proprio Paese non cessa di aumentare. Oggi nessun Stato sfugge a qualche forma di migrazione.

Quando ci si accosta a questi problemi, la prima impressione è di sconcerto, anche per la grande eterogeneità di situazioni, difficilmente comparabili lÂ’una allÂ’altra. EÂ’ perciò difficile dare anche solo una visione completa del fenomeno e ancora di più pensare di trovare soluzioni applicabili a fatti così diversi fra loro.

1. Il quadro di riferimento: il sistema mondiale odierno

1.1. Meccanismi di dominazione economica 

Dalla metà degli anni Â’70 la struttura economica mondiale si è venuta a trovare in una grave crisi. Fra i sintomi di tale crisi si possono annoverare: la crisi monetaria, gravi deficienze alimentari, la crisi energetica, la forte disoccupazione anche nei paesi sviluppati, il crescente squilibrio nel salario, il gap tecnologico sempre più grande fra paesi ricchi e paesi poveri, la rovina e i disastri ambientali.

La crisi è endemica nello stesso sistema capitalista che si basa sul principio del massimo profitto: è giusto ciò che è possibile, i profitti devono essere massimizzati senza tenere conto degli effetti sulle persone, la produzione è per il profitto piuttosto che per i bisogni delle persone, le norme etiche non hanno alcun valore nellÂ’attività economica.

UnÂ’organizzazione dellÂ’economia mondiale basata su questi principi porterà necessariamente ingiustizia e povertà alle persone più povere, deboli ed emarginate. La ricchezza non condivisa impedisce al sistema capitalista di garantire un processo di lunga durata nel mondo intero. Le leggi sulla immigrazione, per esempio, sono state stilate contro i paesi poveri; la pressione demografica aumenta sempre di più nei paesi in via di sviluppo; lÂ’imperialismo di tipo neocolonialista sta diventando sempre più vorace e sofisticato. 

Ciò che viene considerato “aiuto” ai paesi in via di sviluppo è un altro mezzo di cui ci si è serviti per accrescere la dipendenza dei paesi poveri e per tenerli legati alle economie dei paesi ricchi. LÂ’aiuto è generalmente sotto forma di prestiti per acquistare tecnologia o materie prime e beni di consumo da parte dei Paesi sviluppati. LÂ’ammontare del debito di alcuni Paesi in via di sviluppo ha raggiunto livelli drammatici. Gli effetti di un tale sistema sono semplicemente disastrosi per i paesi poveri che devono produrre sempre più per guadagnare sempre meno. Nel 1960 la Malaysia scambiava quattro tonnellate di caucciù con una jeep; nel 1970 ne occorrevano dieci. 

Il trasferimento di risorse dalle nazioni povere a quelle ricche supera di gran lunga lÂ’aiuto dato dai Paesi occidentali.

1.2. Meccanismi di dominazione culturale

Il sistema mondiale viene mantenuto non solo attraverso il controllo della ricchezza e lÂ’uso del potere politico e militare, ma anche influenzando la mentalità, i valori, le abitudini delle persone.

Tale dominazione culturale viene esercitata con molti mezzi: lÂ’informazione attraverso i mass media, il sistema educativo, le ideologie ufficiali dei governi e dei partiti politici, le tradizioni religiose e sociali. Attraverso questi mezzi si vuole costringere le persone ad accettare e interiorizzare cultura, valori, atteggiamenti dei gruppi dominanti, e costringerli nel ruolo loro assegnato.

1.3. Rigida suddivisione delle strutture territoriali 

CÂ’è una generale disapprovazione della politica di apartheid (separazione delle razze) un tempo praticata dal Sud Africa. Ma sono pochi coloro che si accorgono che lÂ’intero sistema mondiale è basato su una specie di gigantesco apartheid. Ogni stato-nazione è confinato nei suoi attuali limiti territoriali e ci si aspetta che si sviluppi in essi. 

Ai diversi raggruppamenti razziali (dellÂ’unica razza umana) sono state assegnate “riserve” separate le une dalle altre nelle quali devono vivere: i popoli gialli hanno la Cina, il Giappone e le terre limitrofe; i neri hanno lÂ’Africa; i popoli bruni hanno lÂ’India, il Pakistan e il Sud Est asiatico; gli arabi hanno il Medio Oriente e il Nord Africa; tutto il resto del mondo (Europa, Americhe, Australia) è largamente riservato ai bianchi.

Quando i popoli gialli, neri o bruni hanno potuto emigrare, lo hanno fatto generalmente come schiavi o come forza lavorativa a buon mercato al servizio dei bianchi (è il caso dei neri nelle Americhe, degli indiani in Malaysia, Sri Lanka e Indie occidentali, dei coreani in Giappone).

Finché gli stati-nazione conserveranno i loro attuali confini, è improbabile che si possa realizzare un ordine mondiale più giusto. Le crescenti pressioni per la terra nei paesi poveri sembrano dover condurre ad esplosioni politiche, che alla fine potrebbero travolgere le strutture territoriali mondiali. Ci troviamo forse in un momento della storia nel quale ci saranno ingenti movimenti di massa delle popolazioni attraverso paesi e continenti.

La sperequazione nella relazione fra popolazione e terra peggiorerà nei prossimi decenni a causa della enorme differenza della crescita demografica nei paesi ricchi e nei paesi poveri, che è la causa principale della fame nel mondo. Popolazioni senza terra e senza cibo si sposteranno necessariamente verso terre meno abitate.

1.4. Il rivolgimento demografico e le migrazioni interne

1.4.1 Una totale ricomposizione demografica.

Con lÂ’espandersi della globalizzazione, lÂ’evoluzione della popolazione e le differenze demografiche acquistano un significato sempre maggiore con conseguenze più spiccate rispetto al passato. I veloci indici di crescita demografica in alcune regioni, la perdita di abitanti in altre, lÂ’invecchiamento, le migrazioni sempre più massicce, lÂ’urbanizzazione, lÂ’Aids, caratterizzano sempre più un nuovo ordine mondiale della popolazione.

Un aspetto fondamentale del nuovo ordine è lo spostamento regionale delle popolazioni: dopo la seconda guerra mondiale, lÂ’Europa contava il 22 per cento degli abitanti del pianeta e lÂ’Africa lÂ’8 per cento. I due continenti hanno raggiunto adesso lo stesso livello (il 13 per cento) ma nei prossimi 50 anni lÂ’Africa sarà tre volte lÂ’Europa.

Il vasto flusso migratorio interno (esodo, espulsione dalle campagne verso la città, o da città piccole verso città più grandi) connesso con il fenomeno della rivoluzione ed espansione industriale, è un fenomeno sempre più in espansione.

Oggi lÂ’America Latina - con una fortissima incidenza delle classi in età giovanile ed una situazione in apparenza ingovernabile di squilibrio crescente tra classi povere e ricche, disoccupazione, sottoccupazione, instabilità del posto di lavoro, intransigenza e ottusità governative, ingerenze politiche ed economiche - produce un numero crescente di sradicati e immigrati interni.

In USA 1 persona su 5 cambia residenza ogni anno. Il Brasile è costellato di pedane di lancio costituite dalle periferie delle città dellÂ’interno, prima di arrivare nelle grandi città di Rio, Belo Horizonte, Porto Alegre, San Paolo, Brasilia. Sempre in Brasile, negli ultimi trentÂ’anni si sono spostate quasi quaranta milioni di persone: i dati statistici ci danno lÂ’impressione di una continua rivoluzione con cicli quindicinali che vanno dallÂ’espansione demografica, dovuta alle migrazioni, alla espulsione. E le previsioni sono per una accelerazione del processo di urbanizzazione.

Il discorso delle migrazioni interne si applica a tantissime altre nazioni. Ci troviamo di fronte a un tipo di emigrazione, sottoposta a condizioni di vita alienanti e drammatiche. 

Le migrazioni interne costituiscono, come le altre migrazioni, una sfida per una battaglia comune per i diritti fondamentali e il processo di umanizzazione.

1.4.2. Flussi migratori e invecchiamento della popolazione

A causa della bassa fertilità e dei limiti imposti alle migrazioni, verso la metà di questo secolo la popolazione di 39 Paesi sarà notevolmente diminuita: Giappone e Germania del 24 per cento, Italia e Ungheria del 25 per cento, Russia, Georgia e Ucraina del 35 per cento. LÂ’invecchiamento sarà inarrestabile e la percentuale di anziani senza precedenti: il numero delle persone al di sopra dei 65 anni sarà il triplo nel 2050.

Oggi molti Paesi sviluppati contano sulle ondate migratorie per incrementare la crescita demografica. Per esempio lÂ’emigrazione verso la Ue nel 2000 è stata più di due volte la crescita naturale della popolazione (816 mila contro 343 mila). Senza lÂ’immigrazione, la popolazione delle regioni più sviluppate comincerebbe a calare dal 2003 invece che dal 2006 e per il 2050 la popolazione sarebbe il 10 per cento in meno di quella prevista con un regolare flusso di immigrati.

Al contrario dei Paesi sviluppati, quelli in via di sviluppo non fanno che crescere: negli ultimi 50 anni, gli abitanti dellÂ’Africa si sono triplicati: da 221 milioni a 794 milioni e nei prossimi dieci anni il numero di abitanti si raddoppierà e arriverà a 2 miliardi nel 2050.

1.4.3. Il fenomeno dellÂ’urbanizzazione

Un altro fattore è la crescente predominanza della popolazione urbana. Si ingrossa sempre più il numero delle persone che occupano le periferie delle città, già così povere di opportunità di lavoro e totalmente incapaci di fornire il minimo di servizi socio-sanitari. 

Nei prossimi 30 anni, le città nei Paesi in via di sviluppo raddoppieranno in dimensione: dai 1,9 miliardi ai 3,9 miliardi di abitanti nel 2030. Trentacinque anni fa, due terzi degli abitanti del pianeta vivevano in aeree rurali; tra 35 anni, due terzi della popolazione vivranno in megalopoli. Nel 1950 era New York lÂ’unica città che superava i 10 milioni di abitanti; oggi ci sono nel mondo una ventina di città al di sopra dei 15-20 milioni di abitanti. Le proiezioni demografiche prevedono nei prossimi 50 anni un aumento della popolazione mondiale da 6,1 a 9 miliardi. Ma la maggior parte delle nuove nascite avverrà nei Paesi in via di sviluppo.

Questi dati ci servono per capire la portata dei flussi migratori interni ai paesi più poveri, flussi che preparano a loro volta gli immigrati al tentativo ulteriore dell‘emigrazione verso i paesi più ricchi.

2. La mobilità umana, oggi, e le migrazioni internazionali

2.1. La “planetarizzazione” del fenomeno migratorio 

I flussi migratori, nella loro duplice componente di movimento in entrata e uscita, non sono più una esperienza limitata ad alcune aree, ma costituiscono un fenomeno mondiale, comune ad ogni continente.

Mentre in passato le migrazioni di matrice europea erano predominanti, oggi emerge prepotente il flusso migratorio proveniente dai paesi latino-americani, asiatici e africani. Seguendo in modo prevalente le direttrici Sud-Nord, queste “nuove” migrazioni coinvolgono quantità sempre più grandi di persone che si spostano soprattutto verso aree e Paesi avanzati in campo economico e tecnologico e dove sono in vigore sistemi di tipo democratico-occidentali.

Accanto alle migrazioni internazionali - sempre più “terzomondializzate” - o limitrofe (cfr. le migrazioni dellÂ’Est europeo o in America Latina), si verificano anche spostamenti massicci allÂ’interno di una stessa nazione o del medesimo blocco linguistico.

LÂ’urbanizzazione, fenomeno caratteristico delle società moderne, si rivela in alcuni Paesi conseguenza indotta ed obbligata degli squilibri economico-produttivi interni e internazionali. Il latifondo, la disoccupazione, lÂ’assenza di mezzi di sussistenza e lÂ’emarginazione sociale della popolazione rurale, la mancanza di prospettive nelle aree agricole specialmente per i giovani, nonché lÂ’attrazione consumistica della città sollecitano massicci esodi rurali e portano al conseguente formarsi di aree di insediamento urbano selvaggio e caotico. La crescita abnorme e, in apparenza, incontrollabile delle megalopoli dei Paesi in via di sviluppo, marcata da estrema povertà ed ulteriore emarginazione sociale, rende i nuovi insediamenti precari, trasformandoli spesso in trampolini di lancio verso nuove mete interne o internazionali.

Si può calcolare che oggi nel mondo vi siano più di 100 milioni di migranti: circa 25 milioni sono i lavoratori regolarmente presenti sul territorio di un altro Paese; altri 25 milioni i loro familiari; più di 30 milioni gli irregolari; 15 milioni i rifugiati ufficialmente riconosciuti come tali dalle organizzazioni internazionali e almeno 5 milioni i rifugiati di fatto e i deportati.

Le migrazioni dunque costituiscono un fenomeno planetario. Non esiste al mondo alcuna nazione che non ne sia toccata o in partenza o in arrivo o simultaneamente in partenza e in arrivo. Questa planetarizzazione tuttavia è accompagnata da mutamenti rapidi e continui delle direttrici dei flussi, cosicché risulta complicato prestare la debita attenzione alle singole problematiche. La facilità dei viaggi e delle comunicazioni telefoniche, lÂ’influsso dei media, i rapidi cambiamenti socio-politici, lÂ’intenzione di utilizzare i fondi (previsti in un primo tempo per gli armamenti) per lo sviluppo economico, fanno spostare continuamente i lavoratori, tanto che lÂ’immagine prevalente nel futuro potrebbe diventare quella dellÂ’uomo “senza fissa dimora”, prodotto tipico della cultura postmoderna, in cui sembra essere vietato ritrovarsi ancorati a qualche stabile struttura.

2.2. La “terzomondializzazione” delle migrazioni

Se da un lato, la “gente del nord” diventa sempre più mobile allÂ’interno di spazi ristretti e privilegiati (oggi in Europa gli abitanti, durante la vita, per libera scelta, cambiano casa in media tredici volte e negli USA diciassette volte), dallÂ’altro le popolazione del sud della terra sono invece sempre più costrette ad uscire dai loro Paesi. Dalla terzomondializzazione dellÂ’emigrazione deriva una immissione di religioni e culture diverse in nazioni spesso monoculturali.

2.3. La diversificazione dei blocchi religiosi.

EÂ’ un dato di fatto che verso lÂ’Europa confluiscono tuttora prevalentemente immigrati musulmani e verso lÂ’America del Nord si dirigono i cristiani del sud del mondo. E questo avrà un impatto sempre maggiore sulla composizione religiosa e culturale degli USA e del Canada, mentre lÂ’islamizzazione crescente dellÂ’Europa occidentale provocherà problemi non lievi sul piano religioso, culturale e legislativo. Tramite le migrazioni, anche a livello religioso le nazioni importatrici divengono sempre più pluraliste. 

In Brasile (il maggior paese cattolico del mondo) sta cambiando il profilo religioso degli abitanti. CinquantÂ’anni fa il 98 per cento dei cittadini erano cattolici; oggi la proporzione è del 75 per cento (che, malgrado tutto significa 120 milioni di fedeli). Nel frattempo sono cresciute le chiese protestanti che nel 1990 potevano contare su 12 milioni di seguaci (lÂ’8 per cento della popolazione).

Sono oltre 1,2 milioni i latinoamericani di religione islamica, frutto di tre successive ondate migratorie: quella degli africani trasferiti forzatamente nel “Nuovo Mondo” con la tratta degli schiavi; quella degli indiani e degli indonesiani giunti nelle colonie inglesi e olandesi dalla metà del secolo XIX; e quella più recente, proveniente dal Medio Oriente, iniziata alla fine del ‘900. 

Attualmente i paesi con maggiore presenza musulmana nellÂ’America Latina sono il Brasile con 550 mila fedeli, lÂ’Argentina con 400 mila, Trinidad Tobago con 120 mila, il Suriname con 110 mila e la Guyana con 80 mila, mentre in Europa ammontano a 2,5 milioni in Germania, a 2 milioni in Francia, a 1 milione in Inghilterra e ad almeno 800 mila in Italia. Una recente proiezione demografica indica come fra cinquantÂ’anni vivranno in Europa 80 milioni di musulmani. 

3. Distribuzione geografica.

3.1Area asiatica.

L’Asia dell’Est e quella del Sud-Est si caratterizzano sia per i flussi di esodo verso altri paesi sia per i movimenti intraregionali, con un notevole scambio di beni e capitali e di integrazione economica. I “paesi del Golfo” invece sono solo un’area di attrazione dell’immigrazione.

I danni provocati dalla crisi economica del 1997, iniziata in Thailandia ma estesi a tutta lÂ’area (danni per 2.000 miliardi di dollari), hanno accentuato i movimenti migratori.

Gli asiatici sono il 30 per cento degli immigrati in Australia, nel Canada e negli Stati uniti e sono più di 1 milione nellÂ’Unione europea, con lÂ’India al primo posto, seguita da Cina, Filippine e Sri Lanka.

A loro volta molti paesi asiatici ospitano consistenti gruppi di immigrati: 2 milioni Giappone e Malaysia; 1 milione Indonesia, Cambogia e Thailandia; 500 mila Singapore; 150 mila Corea.

3.2. Area del Nord America e dellÂ’Australia

Stati Uniti, Canada e Australia sono Paesi nati con lÂ’immigrazione e dove é rilevante la percentuale dei residenti nati allÂ’estero: 24 milioni (13 per cento della popolazione) negli Stati Uniti; 5 milioni (17 per cento) in Canada; 4 milioni (21 per cento) in Australia.

Gli Stati Uniti, in particolare, sono un paese molto aperto allÂ’immigrazione perché è agevole lÂ’acquisizione della cittadinanza, ritenuta funzionale allÂ’inserimento nella società; sono notevoli i flussi in entrata (in media 1 milione di immigrati definitivi e mezzo milione di immigrati temporanei), con alcune restrizioni intese a favorire lÂ’immigrazione qualificata (nel Canada i flussi in entrata sono pari a 300 mila unità e in Australia pari a 150 mila unità); lÂ’immigrazione, infine, viene considerata una componente normale della società.

3.3. Area europea

NellÂ’Europa dellÂ’Est, tra il 1989 e il 1996 si sono spostati (allÂ’interno di uno stesso stato o verso altri stati) ben 9 milioni di persone. LÂ’area è diventata una enorme zona di transito per persone provenienti da tutte le parti del mondo, che intendono trasferirsi come meta definitiva nellÂ’Europa occidentale.

LÂ’Unione europea è un grande polo migratorio anche se per un quarto di secolo vari paesi che ne fanno parte hanno proclamato lÂ’immigrazione zero. I 15 stati membri si avvicinano alla crescita zero, il saldo naturale diminuisce e i decessi sono già il 91 per cento delle nascite, diminuite di 2 milioni nellÂ’arco di 40 anni. Il saldo migratorio dellÂ’Unione, che si collocava oltre il milione e mezzo di unità nel 1990, è sceso al di sotto delle 500 mila unità. Alla fine del 2000 gli immigrati nellÂ’Unione sfioravano i 20 milioni di unità.

LÂ’immigrazione irregolare è aumentata in Europa, in seguito alle politiche restrittive, a partire dagli anni Â’70: allÂ’inizio degli anni Â’90 il numero degli irregolari era stimato pari a 2,6 milioni (ora la stima sarebbe piuttosto ardua). Le acquisizioni di cittadinanza sono circa 600 mila lÂ’anno.

Prevalgono gli immigrati di origine europea (gli jugoslavi vengono al primo posto con 1,7 milioni di unità, seguiti da 1 milione di italiani, da 800 mila portoghesi, 400 mila greci e 300 mila spagnoli), che costituiscono la maggioranza in otto Paesi dellÂ’Unione; col tempo però sono andati diversificandosi i paesi di provenienza (policentrismo migratorio). Alcuni Paesi dellÂ’Est, oggi paesi di emigrazione extracomunitaria, sono candidati allÂ’adesione allÂ’Unione. 

4. Nuova configurazione dellÂ’emigrazione e problemi emergenti 

4.1. LÂ’esplosione dellÂ’etnicità e del nazionalismo 

LÂ’esplosione del nazionalismo va di pari passo con la ricerca di radici e retaggio da parte di tanti ex-emigrati (emigrati di origine tedesca che vivono in Russia o Polonia, oriundi italiani dellÂ’America Latina, brasiliani di origine giapponese) che fanno appello alle loro ascendenze per una nuova sistemazione nel loro Paese di origine, considerando ciò un loro sacrosanto diritto.

4.2. UnÂ’Europa sempre più multiculturale

Negli Stati europei vive un contingente rilevante di gruppi etnici di immigrati provenienti da altri Paesi europei, africani o asiatici. Paesi che, in alcuni casi, hanno subito in precedenza la dominazione coloniale degli stessi stati che ora li ospitano. LÂ’Europa si presenta sempre più come un mosaico interculturale. Si tratta di una situazione “provocatoria” non solo rispetto alle strutture ma anche nei confronti della cultura europea, con valori e modi di vita sociali e religiosi propri, che acutizza il processo di transizione culturale nel quale queste società sono ancora immerse.

La risposta di organizzazioni e istituzioni nazionali, provocata dalle nuove problematiche che accompagnano questo trapasso, denota spesso il ricorso a forme di corporativismo e protezionismo, accompagnate, non di rado, da spinte nazionalistiche e xenofobe. E questo soprattutto negli stati dellÂ’Unione europea. La liberalizzazione della circolazione della manodopera allÂ’interno degli stati membri è un obiettivo che invece di portare ad una apertura del mercato del lavoro, tende a trasformarsi in una sorta di protezionismo inteso a salvaguardare gli interessi degli stati membri.

4.3. Le nuove frontiere in America Latina

NellÂ’area latino-americana i flussi di migrazioni interne tendono a ridurre la durata di insediamento. LÂ’arco di tempo che intercorre tra insediamenti e nuova mobilità forzata si restringe sempre più e varia, sovente, in funzione della spinta degli interessi del latifondo e dellÂ’attrazione dei grossi insediamenti urbani.

Alcuni Paesi dell’America Latina sono stati interessati negli ultimi anni da una immigrazione “regionale”, proveniente da Paesi limitrofi. Si tratta di manodopera non qualificata nei confronti della quale i governi pongono o intendono porre in atto politiche di contenimento e di dissuasione.

Il passaggio da nazioni importatrici di manodopera africana prima (tratta degli schiavi) e, poi, prevalentemente europea, a nazioni in cui convivono di fatto tre tipi di migrazioni (interna, limitrofa e sud-nord) fanno parlare sempre più in termini di “migrazione regionale” o movimento circolare delle migrazioni.

4.4. Nuova composizione sociale nel Centro e Nord America

Il Nord America, in particolare gli USA, da sempre meta tra le più ambite per gli immigrati e i profughi di tutto il mondo, negli ultimi anni hanno visto modifiche radicali nella loro composizione sociale. Il Messico e il Centro America sono diventati sempre più un crocevia di popoli in perenne movimento e sempre più ansiosi di attraversare il confine americano.

4.5. Nuovi flussi in Asia in Africa

Non solo i due continenti continuano a riversare sulle nazioni industrializzate del Nord un elevato contingente di persone con conseguenti difficoltà di adattamento per motivi razziali o religiosi. Come in America Latina, anche qui vanno sempre più prendendo consistenza, oltre che le migrazioni allÂ’interno dello stesso paese, le migrazioni limitrofe o regionali. Le migrazioni interne in India, Cina, Thailandia raggiungono quote molto elevate, come pure le migrazioni regionali nellÂ’Africa occidentale.

Gli spostamenti “forzati” di popolazioni in Africa sono di tali proporzioni da far dire a qualche studioso che i confini nazionali sono in continuo movimento. L’Africa si rivela, per la presenza di folti squilibri interni, serbatoio inesauribile di manodopera e terra di profughi per eccellenza, come pure numerosi paesi del sub-continente indiano e del sud-est asiatico anche se alcune nazioni sono riuscite a risolvere il problema degli esodi e sono divenute Paesi di immigrazione, tanto da ipotizzare modelli di emigrazione Sud-Sud.

5. Nuove direttrici migratorie

5.1. Sud-Sud

La più importante forma di migrazione e che interessa il maggior numero di persone è quella Sud-Sud: la stragrande maggioranza degli emigranti provenienti dalle regioni del Sud trova accoglienza in Paesi in via di sviluppo, essi stessi molto poveri. Un dato di fatto, questo, che purtroppo nei ricchi Paesi del Nord è poco noto. Nella sola Africa a sud del Sahara, vi sono 39 milioni tra profughi ed emigranti per motivi di lavoro (circa il 10 per cento dellÂ’intera popolazione).

5.2. Sud-Nord

Di fronte a tali cifre, la migrazione Sud-Nord verso i Paesi industrializzati dellÂ’Occidente appare ben poca cosa. La spinta allÂ’emigrazione dal Terzo Mondo verso il Nord dovrebbe tuttavia crescere nel futuro, soprattutto nellÂ’area mediterranea: si dovrebbe cioè registrare un flusso migratorio dai Paesi del vicino Oriente e dal Nord Africa verso lÂ’Europa meridionale, come pure dallÂ’America Centrale e Meridionale verso gli Stati Uniti e il Canada.

5.3. Est-Ovest e Est-Est

Tuttavia, nei prossimi anni, la sfida fondamentale per lÂ’Europa Occidentale potrebbe rivelarsi la migrazione Est-Ovest alimentata dai Paesi dellÂ’ex blocco orientale.

Oltre a questa, vi è poi unÂ’altra migrazione, di estensione quanto meno pari alla precedente, che è quella Est-Est. La sola migrazione interna della “Comunità di Stati Indipendenti” viene valutata in un ordine variabile da uno a due milioni di persone. LÂ’entità dei possibili problemi futuri, soprattutto a causa di conflitti di nazionalità, può essere desunta dal fatto che nellÂ’ex Unione Sovietica 65 milioni di persone (tra cui 25 milioni di russi) vivono al di fuori della loro zona di origine. Tuttavia, poiché lÂ’ex blocco orientale, similmente ai Paesi industrializzati dellÂ’Occidente, presenta una piramide dellÂ’età favorevole, esso, a lungo termine, potrebbe anche divenire una terra di immigrazione per i popoli del Sud.

6. Diversificazione dei flussi

6.1. Migrazione volontaria e forzata

Una distinzione importante da un punto di vista teorico, anche se in pratica difficile da applicare, è quella tra migrazione volontaria e migrazione forzata. QuestÂ’ultima vale soprattutto nel caso del tanto controverso problema politico concernente i flussi di rifugiati, i quali, a differenza di altre forme migratorie, sono determinati prevalentemente o esclusivamente dai fattori di spinta. Oggi si tratta spesso di “migrazioni di massa forzate” (come ad esempio i curdi dellÂ’Iraq settentrionale, i profughi di guerra della ex Jugoslavia). Tutto ciò dimostra che la distinzione tra i “rifugiati politici” che sperano di ottenere asilo politico e gli altri “esclusi” (i profughi che fuggono dalla povertà, dalla guerra, o dai disastri ambientali) è molto dubbia e spesso arbitraria, perché questi ultimi possono venire a trovarsi in una situazione altrettanto pericolosa per la loro vita.

6.2. Emigrazione interna e internazionale

UnÂ’altra distinzione, quasi altrettanto problematica, almeno per quanto riguarda le sue ripercussioni politiche, è quella tra lÂ’emigrazione interna ( nellÂ’ambito di un unico Paese) e lÂ’emigrazione internazionale (con passaggio di frontiere) la quale si basa unicamente sul principio di Stato nazionale. Per quanto riguarda in particolare lÂ’emergenza profughi, la discussione politica attualmente in corso prende purtroppo quasi esclusivamente in considerazione la dimensione internazionale e non si preoccupa affatto che i problemi dellÂ’emigrazione interna siano pressoché uguali, specialmente negli Stati multinazionali (come ad esempio lÂ’ex Unione Sovietica). Ciò dimostra ancora una volta quanto la consapevolezza dellÂ’urgenza di un problema dipenda ogni volta dalle diverse prospettive.

Lo stesso vale anche per la distinzione puramente giuridica tra migrazione legale e illegale, la quale non rende assolutamente giustizia delle cause effettive dei flussi migratori e di profughi.

6.3. Tendenze

Le previsioni riguardanti i prossimi flussi migratori devono essere prese con la massima cautela, in quanto dipendono da eventi spesso assai poco prevedibili (cfr. la dissoluzione dellÂ’Unione Sovietica, la guerra del Golfo, ecc.). 

Stime realistiche prevedono un flusso di 20 milioni di emigranti verso lÂ’Europa Occidentale nei prossimi 10-20 anni, di cui 15 milioni dallÂ’Europa dellÂ’Est e 5 milioni dal Terzo Mondo. Molto più grande dovrebbe risultare invece il numero degli emigranti interni e dei profughi allÂ’Est e soprattutto nel Sud.

7. Dinamiche migratorie

7.1. Vecchi e nuovi fattori di spinta e di attrazione 

Nella teoria della migrazione, nel precisare le cause dellÂ’emigrazione, ci si avvale della differenza tra i cosiddetti fattori di spinta e di attrazione.

I fattori di spinta (push-factors)sono dati dalle condizioni negative presenti nel luogo di origine, le quali determinano la migrazione: perlopiù si ha un complesso di fattori, che possono essere di natura: fisica (clima, catastrofi naturali), demografica (densità della popolazione), economica (povertà, disoccupazione), socioculturale (discriminazione, emarginazione sociale) o politica (oppressione).

I fattori di attrazione (pull-factors)sono dati dalle condizioni effettive o presumibili presenti nel luogo di destinazione, le quali invogliano al trasferimento. Anche queste possono essere di natura fisica (clima favorevole), demografica (scarsa densità di popolazione), economica (disponibilità di terre, opportunità di lavoro, redditi maggiori), socioculturale (libertà individuale, opportunità per il tempo libero) o politica (colonizzazione, asilo politico, programmi statali per lÂ’immigrazione).

Mentre in passato i fattori di espulsione e attrazione erano da addebitarsi prevalentemente a motivazioni economiche, oggi osserviamo, in proporzioni ingigantite e complesse, lÂ’accavallamento di ragioni economiche, politiche, religiose, demografiche, che spiegano la decisione o il bisogno di espatriare. La mobilità umana forzata è un fenomeno sempre più inclusivo nel quale convergono masse crescenti di rifugiati, profughi politici ed economici, desplazados. Le cause allÂ’origine di questo fenomeno riflettono situazioni di squilibrio di varia natura che perpetuano la tendenza allo spostamento. Là dove esiste uno squilibrio, diviene molto probabile la tendenza allÂ’esodo, a meno che non intervengano altri fattori impedienti.

7.2. Squilibrio demografico e socio-economico

Si verifica al giorno dÂ’oggi un forte squilibrio demografico, come abbiamo già accennato, con alti tassi di fecondità in aree a scarso sviluppo economico e tassi di crescita demografica tendenzialmente nulla nei Paesi ad elevato incremento socio-economico.

Si nota inoltre un forte squilibrio nella distribuzione delle ricchezze e dei proventi del lavoro e delle materie prime. LÂ’arresto pressoché totale dello sviluppo economico in tanti Paesi, e il conseguente blocco del commercio internazionale, colloca molte nazioni in posizione di dipendenza economico-politica. Le connivenze tra forze politiche ed economiche, il gioco di interessi di oligarchie detentrici del potere finanziario in campo nazionale e internazionale, il ripetersi di calamità naturali come siccità o inondazioni, sono tra i principali fattori della persistente arretratezza strutturale, della disoccupazione e mancata emancipazione da stati di necessità in intere popolazioni che si trasformano in serbatoi di emigrazione forzata.

7.3. Instabilità politica.

LÂ’instabilità dei sistemi politici nazionali e la regimentazione della vita civile da parte di forme dittatoriali di governo risultano spesso un ostacolo insormontabile per un effettivo godimento dei diritti civili e politici. LÂ’emigrazione diventa lÂ’unica via dÂ’uscita per chi desidera una emancipazione autentica.

La tragedia si inasprisce quando i differenziali economici, sociali, politici tra i Paesi in via di sviluppo e i Paesi altamente industrializzati tendono a dilatarsi nel tempo. La scarsità di cibo, di acqua potabile, di energia, di abitazioni, di accettabili condizioni igieniche, la mancanza di scuole e ospedali, lÂ’assenza di libertà individuali acuiscono il contrasto con lÂ’altra faccia della terra che gli strumenti di comunicazione sociale rivelano a tutto il mondo. Un recente studio ha messo in luce come 1 miliardo e 200 milioni di persone che vivono in 57 nazioni sono solo parzialmente liberi e quasi 2 miliardi che vivono in altri 53 Paesi non lo sono affatto. Il desiderio di fuggire da condizioni sempre più insostenibili viene poi facilitato dalla maggiore rapidità, economia, sicurezza di trasporti internazionali che consentono di superare distanze e ostacoli un tempo praticamente insormontabili.

8. Indicatori socio-culturali

8.1. Dal pregiudizio alla paura dellÂ’immigrato

Le migrazioni hanno sempre comportato drammi e disagi senza numero, ma in passato spesso venivano incoraggiate e favorite, in quanto, almeno globalmente, erano viste come fattore di sviluppo economico, sociale, culturale per la nazione ospite. I paesi oggi industrializzati non sarebbero diventati tali senza lÂ’apporto, nel passato, di milioni di emigranti. 

Qualcosa di analogo si verifica oggi per le correnti migratorie dirette ai Paesi del Sud-Est asiatico: Taiwan, Corea del Sud, Singapore, Giappone, Malaysia. Sono migrazioni a contratto temporaneo in cui ancora una volta il migrante è considerato come strumento di produzione.

Ma, nelle regioni di industrializzazione avanzata, attualmente lÂ’arrivo di immigrati viene vissuto dai Paesi riceventi come una intrusione indesiderata, un peso inammissibile. Si innescano circuiti di intolleranza, alimentati da casi di reale responsabilità degli stessi immigrati che non osservano le leggi del Paese di accoglienza, suscitando atteggiamenti che diventano pregiudizio e rifiuto generalizzati. Molte popolazioni vedono infatti, negli immigrati, potenziali concorrenti sul mercato del lavoro, bene sempre più raro e quindi prezioso. Il flusso degli immigranti irregolari e clandestini, valutato ormai in oltre 20 milioni, inarrestabile in ogni paese industriale, aggrava poi sensibilmente la situazione, avvertita a livello di popolazione come una vera e propria minaccia.

8.2. Dalla paura alla incapacità di comprendere lÂ’altro

Il sentimento che invade la popolazione indigena è soprattutto la paura che la società di accoglienza si dimostri incapace di governare flussi crescenti di migranti portatori di culture completamente diverse, e di conseguenza la percezione della incapacità di capire “lÂ’altro” e di sentirsi minacciati nella propria identità.

Sono relativamente poche le persone dei Paesi di accoglienza capaci di apprezzare la positività e i vantaggi della multicultura (che peraltro è un fenomeno irreversibile) quale compresenza su uno stesso territorio di gruppi provenienti da esperienze e mondi culturali diversi. Ancora meno sono in grado di comprendere e di compiere lÂ’ulteriore passaggio dalla multiculturalità allÂ’interculturalità quale rapporto dinamico fra queste diverse esperienze culturali basato sulla reciprocità: agire infatti secondo dinamiche interculturali suppone e stimola lÂ’approfondimento della propria identità culturale sia personale che di gruppo dÂ’appartenenza.

8.3. DallÂ’incomprensione allÂ’odio razziale

Gli studiosi enumerano varie forme di razzismo: il razzismo addizionale o da allarme, atteggiamento che si sviluppa quando ad una differenza oggettiva (culturale, etnica, somatica) si aggiunge un allarme sociale come ad esempio la droga, la microdelinquenza, ecc.; il razzismo concorrenziale, atteggiamento che ha alla base la difesa del territorio o delle sue risorse, come la disponibilità dei servizi e il loro utilizzo; il razzismo culturale che nasce dalla pretesa del primato della propria cultura, del proprio sistema di valori e dal proprio stile di vita rispetto a quello degli altri.

In un contesto in cui lÂ’immigrazione è sempre meno individuale e anonima e in cui le minoranze culturali cominciano ad essere più visibili, lÂ’intreccio fra le tre modalità di “essere razzisti” rischia di divenire un fatto normale. Si attua così il passaggio da sporadici episodi di razzismo a situazioni di razzismo, ossia vere e proprie abitudini mentali tese a discriminare gli immigrati.

Il documento sul razzismo del Pontificio Consiglio Justitia et pax del 1988 parla anche di un “razzismo spontaneo”, strettamente legato alle migrazioni: “I pregiudizi coi quali gli immigrati vengono spesso visti rischiano di innestare delle reazioni che possono manifestarsi, inizialmente, con un nazionalismo esasperato, per degenerare poi in xenofobia o addirittura in odio razziale. Tali atteggiamenti dipendono dalla paura irrazionale che spesso provocano la presenza dellÂ’altro e il confronto con la differenza. Consciamente o meno essi hanno quindi come scopo quello di negare allÂ’altro il diritto di essere ciò che è, o comunque di esserlo “in casa nostra”. Certamente possono esistere dei problemi di equilibrio tra le popolazioni, dÂ’identità culturale e di sicurezza. Ma questi problemi dovrebbero essere risolti nel rispetto altrui, nutrendo fiducia nel fatto che la diversità umana arricchisce. Alcuni grandi Paesi del Nuovo Mondo hanno guadagnato in vitalità grazie a questo crogiolo di culture. LÂ’ostracismo e le numerose vessazioni di cui troppo spesso sono vittime profughi e immigrati sono invece assolutamente negativi ed hanno come effetto quello di spingerli a raggrupparsi e chiudersi tra di loro e a vivere per così dire in un ghetto. Ciò ritarda la loro integrazione nella società che li ha ricevuti sì, da un punto di vista puramente amministrativo, ma non li considera e non li tratta certo in modo umano e dignitoso”.

La presenza, sempre più visibile e consistente, di immigrati musulmani nei Paesi di accoglienza si inscrive nel capitolo più ampio dellÂ’incontro tra le culture e del dialogo tra le religioni.

9. I soggetti 

9.1. La famiglia

La famiglia è il primo ambito di organizzazione sociale in cui si riflettono le trasformazioni della società e delle relazioni interpersonali .

Alcuni eventi - come il lavoro extradomestico della donna, la rete spezzata della famiglia allargata, i ritmi serrati del lavoro e della vita in genere, la crisi del sistema del vicinato - hanno da un lato trasformato e dallÂ’altro reso molto più vulnerabile la famiglia (soprattutto quando compaiono eventi particolari come la malattia di un membro, la cura di un anziano, la nascita di un figlio, la crisi di un adolescente). In questo quadro di trasformazione generale della famiglia si inserisce la famiglia immigrata. 

LÂ’immigrazione è oggi sempre più un fatto di famiglie: lo dimostra il numero delle richieste di ricongiungimento familiare e lÂ’elevato numero delle nascite dei bambini stranieri. La presenza di famiglie fa sì che si passi da una condizione di tendenziale invisibilità sociale a un rapporto più intenso con il paese di immigrazione: si usano i servizi sociali, educativi, culturali del paese di accoglienza; i figli crescono e vanno a scuola insieme ai loro coetanei, della stessa o di una diversa nazionalità; le famiglie si conoscono e si confrontano; a volte si diventa famiglia insieme (coppie miste, la persona anziana e la giovane straniera che la cura...)

Giovanni Paolo II, nel Messaggio per la Giornata mondiale dei Migranti 1987, così si esprime a proposito della famiglia migrante: “Si tratta di situazioni complesse e difficili da risolvere, che risultano al centro di tanti problemi e costituiscono quasi il punto più vivo e più acuto e spesso più doloroso di tutto il grande fenomeno migratorio umano. La famiglia infatti sembra essere la struttura più fragile, più vulnerabile e, di fatto, maggiormente investita dagli aspetti scabrosi e negativi della migrazione”.

9.2. I figli dei migranti

In stretta connessione con i problemi della famiglia immigrata sono quelli riguardanti i figli degli immigrati. La presenza di bambini, di giovani, in qualunque processo migratorio, è un forte elemento di stabilità. I piccoli solitamente arrivano quando i grandi hanno deciso di vivere nel nuovo paese, di inserirvisi stabilmente. Possiamo quindi tranquillamente affermare che i bambini rendono meno preoccupante per i nativi la presenza degli immigrati in un territorio, ma sollecitano in profondità i servizi e gli operatori di tali servizi. La loro presenza infatti conferma il dato di una immigrazione straniera sempre più in via di stabilizzazione e integrazione: è sempre di più un fatto di famiglie che si spostano, si ricongiungono, si formano. Mentre lÂ’adulto immigrato solo e normalmente giovane e sano può vivere ai “margini” della società senza usufruire di certi servizi, le famiglie usufruiscono invece dei servizi educativi, sociali, sanitari, di tempo libero e sovente li mettono in discussione o comunque rendono visibile la loro presenza con tutte le caratteristiche di diversità.

Il problema dei figli dei migranti e in particolare delle seconde generazioni (la cui personalità di base è così difficile da precisare a causa dei molti intrecci culturali e sociali) diviene risolvibile se si riusciranno a trovare interessi di solidarietà fra la comunità dei nativi e quella degli immigrati. Gli aspetti più specificamente culturali ed educativi dovranno essere affrontati in funzione dei bisogni e delle aspettative, e in rapporto al grado di benessere sociale, economico, politico raggiunto (o desiderato) dai genitori.

9.3. La donna emigrata.

La condizione delle donne emigrate evidenzia lÂ’esistenza di difficoltà specifiche, connesse alla condizione femminile, che nascono da condizionamenti derivanti dallÂ’appartenenza a sistemi culturali e familiari in genere poco sensibili al processo di emancipazione della donna. Emigrare viene quindi a significare per molte di esse il distacco da quellÂ’insieme di relazioni comunitarie che, se anche tenevano la donna in una condizione di dipendenza, la proteggevano e garantivano sicurezza per sé e i propri figli. Ma non solo: cambiano anche i modelli di coppia e di coniugalità, così come cambia il ruolo di capofamiglia, quando la donna raggiunge una indipendenza economica, prima sconosciuta. Le tappe psicologiche dellÂ’adattamento sono di fatto molto delicate: se manca un forte senso di identità, diventa difficile sopportare i cambiamenti e lÂ’esperienza migratoria può rivelarsi minacciosa per la stessa integrità della persona: lÂ’invisibilità sociale, la marginalità nel mercato del lavoro, la solitudine affettiva, il desiderio di emanciparsi e rendersi economicamente indipendenti, le barriere linguistiche e culturali, sono altrettanti motivi di difficoltà dal punto di vista psicologico.

Un cenno particolare merita la tratta delle donne. “Nelle pieghe dellÂ’immigrazione clandestina si infiltrano non di rado elementi di degenerazione, come il commercio della droga e la piaga della prostituzione (...) Organizzazioni inaffidabili spingono giovani donne sulla via dellÂ’espatrio clandestino, lusingandole con la prospettiva del successo non senza averle prima depredate dei risparmi accumulati con sacrificio. La sorte a cui molte di esse vanno incontro è nota e triste: respinte alla frontiera, si ritrovano spesso trascinate, loro malgrado, nel disordine della prostituzione” (Messaggio di Giovanni Paolo II in occasione della Giornata Mondiale dei Migranti del 1995).

9.4. Gli anziani

Il problema degli anziani emigrati è andato via via riacutizzandosi mano a mano che ilavoratori immigrati, che da sempre avevano desiderato ritornare in patria una volta maturato il periodo per la pensione, per tutta una serie di motivi modificano il loro progetto migratorio e decidono di rimanere allÂ’estero. Per costoro si pongono grossi problemi soprattutto per quanto riguarda il processo di socializzazione. Nella convinzione di ritornare al proprio paese molti emigrati infatti non hanno mai sviluppato meccanismi di partecipazione nel luogo di emigrazione.

La loro esperienza migratoria è stata vissuta spesso in una specie di assenteismo sociale, guardando al passato più che cercando di capire e progettare il futuro. Venendo a cadere i rapporti creati sul luogo di lavoro, lÂ’anziano emigrato rischia di trovarsi chiuso in un mondo incomunicabile, con pochi agganci con lÂ’ambiente esterno: un mondo di solitudine, soprattutto in quei (molti) casi in cui la lingua non è stata sufficientemente assimilata.

10. I nuovi poveri

10.1. Gli operai stagionali delle imprese cantieristiche

LÂ’emigrazione cantieristica diviene sempre più un modello adottato su larga scala cui generalmente non si presta ancora molta attenzione: una categoria di operai “usa e getta”, tipico della nostra mentalità; un sistema modulare che può essere adattato ai contesti più disparati; operai continuamente succubi di cambiamenti politici o economici. La loro esperienza migratoria è valida fin quando dura il loro contratto di lavoro. Ma questo ha spesso un prezzo, sia in termini finanziari che etici. I lavoratori a contratto provengono sempre di più da nazioni povere dove i governi si preoccupano soprattutto di aumentare lÂ’introito delle rimesse più che tutelare i diritti umani fondamentali tramite convenzioni bilaterali o un controllo più rigoroso da parte di ambasciate e consolati.

Se le nazioni di provenienza si mostrano deboli o incerte sul da farsi, le nazioni di arrivo dei “contract workers” spesso ignorano le norme di protezione sindacale o negano i diritti più elementari, quali il ricongiungimento familiare o la libertà di religione.

10.2. I clandestini 

La chiusura delle frontiere e le varie leggi restrittive messe in atto dai governi, o addirittura la totale mancanza di leggi, hanno favorito lÂ’intensificarsi del fenomeno delle migrazioni clandestine, ora ritenute da molti studiosi fenomeno strutturale della società del benessere. Il continuo aumento di migranti irregolari può addirittura portare ad ipotizzare una legge migratoria simile a quella formulata da E. G. Ravenstein nel 1889: più le misure sono restrittive e più aumenta il numero dei clandestini e dei trafficanti di manodopera straniera. Anche i confini nazionali più protetti vengono quotidianamente varcati da questa nuova forma di invasione che non si arresta di fronte a pericoli e ostacoli di ogni genere.

Gli Stati europei ed americani devono, più di ogni altra nazione, confrontarsi con questo fenomeno. Una cultura, ormai acquisita, delle nazioni industrializzate di avere sempre a disposizione manodopera a buon prezzo soprattutto nel settore del terziario non qualificato e nei lavori generici pesanti, sporchi, pericolosi e gli evidenti vantaggi derivanti dallÂ’economia sommersa non fanno che incrementare questo tipo di emigrazione.

A livello ufficiale e di massmedia i clandestini vengono accusati ingiustamente di un elevato tasso di criminalità, di competitività antioperaistica sul mercato del lavoro, di sovraccarico di lavoro degli enti pubblici preposti alla assistenza e previdenza sociale: tutto questo per mascherare lÂ’incapacità dei politici e degli economisti di ricercare una soluzione diversa ai problemi del diritto alla vita e al lavoro da parte di tutti i cittadini. Invece di imporre sacrifici a tutti, si preferisce calpestare i diritti di alcuni milioni di persone. I confini nazionali e le politiche di controllo dei flussi servono a mantenere una disuguaglianza globale, mentre la scarsa sindacalizzazione dei lavoratori, le carenti politiche governative, lo spregio dei diritti della persona (nonché la cultura del “tutto e subito” tipica del post-moderno che attecchisce anche nei paesi poveri) non fanno che aggravare le condizioni della illegalità.

10.3. I rifugiati 

Tutti abbiamo davanti agli occhi le immagini dei profughi dellÂ’Afghanistan, della Liberia, Etiopia, Somalia, Eritrea, Sudan, Kurdistan: non sono foto storiche, ma tragedie dei nostri giorni. Il secolo XX è stato definito il secolo dei rifugiati. Mai come in questo tempo lÂ’umanità ha dovuto fare i conti con fughe drammatiche dal carattere biblico che hanno cambiato il volto di intere nazioni. 

La mescolanza di cause e motivazioni politiche, economiche, religiose rende sempre più difficile distinguere i profughi economici da quelli politici, mentre le nazioni del benessere sono tentate di chiudersi sempre di più in se stesse. La tragedia nella tragedia sta proprio nel fatto che sono le nazioni più povere della terra quelle che hanno dimostrato più spirito di accoglienza, mentre le nazioni ricche addirittura diminuiscono i fondi stanziati.

Negli ultimi trentÂ’anni sono fuggiti dal proprio Paese più di 15 milioni di individui. Sono persone che per timore fondato di essere perseguitate a causa della loro razza, religione, nazionalità o appartenenza a un determinato gruppo sociale, o per le loro idee politiche, si trovano in un Paese diverso da quello di cui possiedono la cittadinanza. Oltre il 90 per cento dei profughi proviene dai Paesi più poveri del mondo e si trasferisce nelle nazioni più povere del mondo per il motivo più semplice e naturale: per non morire.

I Paesi industrializzati danno spesso risposte evasive al problema sostenendo che non spetta loro risolvere i problemi di tutti. Eppure un Paese come il Malawi, uno dei più piccoli e poveri del continente africano, negli ultimi due anni ha dato ospitalità a 630 mila profughi mozambicani, sebbene fosse contemporaneamente colpito da una siccità di dimensioni catastrofiche e da una devastante invasione di insetti.

11. Le cause dellÂ’emigrazione.

11.1. Nei Paesi di provenienza

11.1.1. Conflitti e guerre.

I motivi concreti e più impellenti della “nuova migrazione dei popoli”, e in particolare dellÂ’attuale emergenza profughi, sono molteplici e perlopiù quasi inestricabilmente intrecciati fra loro. In gran parte essi sono legati ai Paesi di provenienza.

Una prima causa è data dai conflitti e dalle guerre dovute a controversie confinarie, che talvolta hanno radici storiche secolari e vengono fomentate da ideologie nazionalistiche (come ad esempio tra Vietnam e Cambogia, tra Serbia e Croazia). Tali guerre e conflitti vengono spesso scatenati da contrasti sui confini (specialmente in Africa) o da aspirazioni di egemonia regionale (come nel caso della Serbia e dellÂ’Iraq).

11.1.2. Tensioni razziali

Un secondo fattore spesso alla base di tali conflitti è dato dalle tensioni etnico-razziali e religioso-culturali, specialmente allÂ’interno di società molto eterogenee. Vittime di violenti sentimenti di ostilità e spesso di sistematiche discriminazioni sono soprattutto le minoranze (ad esempio i curdi e gli armeni nel Vicino Oriente, i musulmani nel Myanmar, gli indios in America Latina). Tali contrasti stimolano tendenze separatiste che fin troppo spesso sfociano in cruente guerre civili (come avviene per i Sikh in India, per i Tamil nello Sri Lanka, per gli Eritrei in Etiopia) e possono anche assumere lÂ’aspetto di vertenze confinarie (come tra lÂ’Armenia e lÂ’Arzebaigian per il Nagorno-Karabah). 

11.1.3. Repressioni politiche.

In stretta relazione con ciò vi è un terzo motivo, cioè la repressione politica, le violazioni dei diritti umani e la militarizzazione (i regimi militari, gli squadroni della morte), operati dai regimi totalitari, spesso con un fondamento ideologico (il nazionalismo, la dottrina della sicurezza nazionale). La monopolizzazione e lÂ’intollerante esercizio del potere impediscono lÂ’instaurarsi di strutture sociali pluralistiche e di una democrazia partecipativa, scatenano violenti lotte per la spartizione del potere stesso e non di rado finiscono con suscitare rivolte, attività di guerriglia e di antiterrorismo (ad esempio, in Sudan, Liberia, El Salvador). 

11.1.4. Errata politica di sviluppo.

In quarto luogo, come concause a tali situazioni, agiscono in molti casi la cattiva amministrazione e una errata politica di sviluppo, le quali impediscono lÂ’accesso alle risorse economiche alla maggioranza della popolazione (ad esempio, lÂ’allontanamento dalle terre, il lavoro forzato, i prezzi iniqui, i salari di fame, la corruzione). Ciò ha come conseguenza enormi disuguaglianze sociali nonché la miseria e la fame.

11.1.5. Catastrofi naturali.

Un quinto motivo, che per lungo tempo non ha riscosso molta attenzione ma che si dimostra sempre più importante, è dato dalle catastrofi naturali, le quali non hanno cause solo naturali (come ad esempio lÂ’eruzione del vulcano Pinatubo nelle Filippine) ma sono anche lÂ’effetto della distruzione dellÂ’ambiente e del selvaggio sfruttamento ecologico e dunque di una errata condotta umana (come ad esempio alcune frane, Chernobyl). Particolarmente deleteri sono gli effetti della continua distruzione dei terreni arativi e dei pascoli a causa dellÂ’insano sfruttamento del suolo e delle acque. Il risultato è un numero crescente di rifugiati ambientali che forniscono un contributo notevole al processo di urbanizzazione in atto nel Terzo Mondo. Così in Africa, i ricorrenti periodi di siccità hanno trasformato in profughi tredici milioni di persone, le quali spesso non hanno alcuna possibilità di riparare nelle immediate vicinanze.

11.2. Nel sistema internazionale

11.2.1. Squilibri sociali

I motivi dei nuovi flussi migratori e di quelli dei profughi devono però ricercarsi anche nel sistema internazionale. Essi sono la conseguenza degli squilibri economici, demografici e politici a livello planetario e la cui natura è pertanto principalmente politico-strutturale. Nello stesso tempo essi sono espressione della profonda frattura dellÂ’ordine mondiale attuale con i suoi iniqui rapporti di dipendenza determinati da modalità economiche e di vita di tipo “capitalistico”.

Dobbiamo anzitutto ricordare lÂ’eredità storica del terzo Mondo o degli ex Paesi comunisti. Molti Paesi in via di sviluppo hanno ricevuto in retaggio dallÂ’epoca coloniale alcuni dei loro attuali problemi interni, come ad esempio le loro controverse frontiere (tali perché arbitrariamente stabilite) o la devastazione delle loro strutture economiche e dei loro ecosistemi a causa delle precedenti monoculture. I Paesi dellÂ’ex blocco orientale si trovano oggi alle prese con tensioni etniche o devono addirittura far fronte alla dissoluzione degli Stati a causa delle integrazioni coatte, sia come conseguenza della prima guerra mondiale (come nel caso della Jugoslavia) sia come conseguenza della politica di stanziamento attuata da Stalin nellÂ’Unione Sovietica.

11.2.2. Divario economico.

Un secondo motivo, cui abbiamo già accennato, è il crescente divario tra Nord e Sud come pure tra Est e Ovest. LÂ’abisso che separa i redditi dei Paesi ricchi da quelli dei Paesi poveri è noto: le nazioni più benestanti, che rappresentano il 20 per cento della popolazione mondiale, dispongono oggi di oltre lÂ’82 per cento delle entrate mondiali, mentre il 20 per cento rappresentato dalle nazioni più povere può contare solo su una quota di poco superiore allÂ’1,4 per cento. EÂ’ pure chiara la responsabilità in proposito dei Paesi industrializzati che continuano a mantenere un ordine economico mondiale a spese dei Paesi del Terzo Mondo e dei poveri che vi risiedono, come dimostra ad esempio la loro rigorosa politica dei debiti. Ovviamente tutto ciò contribuisce alla migrazione sia allÂ’interno del Terzo Mondo sia verso i Paesi ricchi.

11.2.3. Modello economico occidentale.

Tale divario produce un effetto ancor più dirompente in virtù dellÂ’effettivo “carattere esemplare” assunto dal modello economico e di vita dellÂ’Occidente, che attraverso i mezzi di comunicazione di massa, la pubblicità e le esportazioni viene costantemente trasmesso in tutto il mondo, suscitando lÂ’aspettativa di uno “sviluppo di riscatto” (per quanto il modello della civiltà occidentale non possa essere esteso a livello universale, se non altro per motivi ecologici, giacché la terra non potrebbe sopravvivere se tutti vivessero come il Nord privilegiato).

A un processo di una sempre più ampia diffusione dei valori occidentali che riducono la distanza culturale tra le regioni del mondo, si contrappone dunque un crescente divario di sviluppo che estende la distanza strutturale tra ricchi e poveri. Questa tensione produce quasi inevitabilmente un alto potenziale di migrazione a livello planetario, perché è logico che i poveri vadano verso i Paesi ricchi se la ricchezza non va da loro. 

Pertanto si può vedere nelle attuali migrazioni un processo di adattamento strutturale a livello internazionale, poiché, se il capitale, le merci e le prestazioni si muovono nel mondo con grande libertà e se i danni ambientali si fanno risentire a livello globale, le persone non possono essere le sole a restare là dove risiedono. Un ruolo importante svolgono inoltre le moderne opportunità di trasporto internazionale che consentono di trasferire in tempi brevissimi un alto numero di persone attraverso grandi distanze.

Tutte queste concatenazioni dimostrano che lÂ’odierno fenomeno migratorio e il flusso di profughi possiedono una dinamica loro propria che è alquanto indipendente dalle varie politiche sullÂ’immigrazione e sullÂ’asilo, che si perseguono nei Paesi di destinazione e continueranno nonostante le misure restrittive da essi messe in atto.

12. Ripercussioni socio-economiche

12.1. Nei Paesi di origine e nei Paesi di accoglienza.

Per i Paesi di origine le migrazioni comportano nella maggior parte dei casi costi considerevoli, poiché essi vengono a perdere la parte della loro popolazione economicamente più attiva e importante ai fini del processo di sviluppo. Tale perdita non viene totalmente compensata neppure dallÂ’eventuale sgravio del mercato del lavoro e dalle rimesse valutarie inviate in patria dagli emigrati.

Gli immigrati e i profughi comportano non pochi oneri anche per i Paesi di accoglienza, soprattutto nel campo dellÂ’occupazione, degli alloggi e delle prestazioni sociali. Particolarmente interessati sono i Paesi in via di sviluppo, nei quali trovano accoglienza la maggioranza degli emigrati e circa il 90 per cento dei profughi.

Tutti questi problemi reali non dovrebbero tuttavia falsare la prospettiva riguardo ai notevoli vantaggi economici che gli immigrati portano pure normalmente ai Paesi di accoglienza. Ciò vale in particolare per un numero crescente di Paesi dellÂ’Europa Occidentale con problemi demografici (invecchiamento della popolazione). Senza lÂ’immigrazione di manodopera, essi non possono né mantenere il loro livello di occupazione né, alla lunga, assicurare finanziariamente il loro sistema previdenziale e pensionistico.

12.2. Conflitti sociali

La coesistenza di gruppi etnicamente diversi solleva conflitti in campo socio-professionale che inducono a mettere in atto politiche di integrazione e di ricongiungimenti familiari, irrigidendo contemporaneamente i controlli in entrata.

La chiusura delle frontiere o il sistema più o meno velato delle quote di ammissione non fa che aumentare il numero dei lavoratori stranieri in situazione irregolare, disposti a tutto pur di ottenere un lavoro che offra loro la possibilità di sopravvivere in Paesi dove per tanti la questione fondamentale è ora semplicemente la qualità della vita. La mancanza di un mercato del lavoro più flessibile e la presenza di una economia sommersa molto diffusa permette a molti datori di lavoro lÂ’utilizzo di questa manodopera a basso costo in quegli spazi solitamente lasciati liberi dalla gente del posto.

12.3. Conflitti culturali e religiosi

Il rimescolamento delle popolazioni e la consistenza dei flussi e degli stocks migratori cambiano il volto delle nazioni. I confini geografici perdono la connotazione nazionalistica, trasformandosi sempre più in una mera prassi amministrativa. Il fenomeno del multiculturalismo genera conflitti e tensioni, creando nuove sfide alle istituzioni preposte alla sanità, allÂ’educazione, allÂ’ordine pubblico, al lavoro e alla tutela previdenziale. LÂ’impreparazione del personale, la mancanza di leggi adeguate e aperte e la non scontata accettazione reciproca tra differenti etnie sul medesimo territorio, con diversa provenienza geografica, appartenenza culturale e credenze religiose, rendono il cammino verso la convivenza solidale una meta non facilmente raggiungibile. Basti pensare alla presenza del Cristianesimo e della religione islamica su uno stesso territorio.

13. Nuove prospettive socio-culturali e istanze etiche

Le previsioni in campo migratorio sono generalmente molto labili, anche a medio termine. Analizzando tuttavia lÂ’evoluzione in atto, è possibile individuare alcune direttrici e le problematiche emergenti:

  • La linea di demarcazione tra migrazioni internazionali e interregionali diventa sempre più labile e incerta.
  • LÂ’internazionalizzazione dellÂ’emigrazione rende necessaria una legislazione comune che armonizzi le varie tendenze e tenga conto delle esigenze delle persone.
  • La ricerca di un nuovo ordine economico internazionale esige precise scelte per una equa distribuzione dei beni della terra che possano frenare gli esodi: lÂ’emigrazione diviene una questione etica.
  • Si prospetta un ruolo più incisivo dei sistemi educativi e di informazione in un mondo sempre più pluralistico allo scopo di attrezzare gli alunni, siano essi figli di immigrati o di genitori autoctoni, a vivere in pienezza la mondialità, che è soprattutto uno sguardo, un modo di vivere la realtà, una visione del mondo, della famiglia umana globale intesa come una comunità di popoli, piuttosto che come società di Stati-nazione.
  • Acquistano una rilevanza sempre maggiore gli organismi sociali intermedi (il privato sociale) come cerniera con lÂ’apparato istituzionale e come input verso uno “stile di convivenza” fra diversi e la creazione di una controcultura che tenga in debito conto gli “esclusi”.
  • Dobbiamo tutti sentirci coinvolti nella battaglia in favore dei diritti umani.
  • Siamo chiamati a riscoprire sempre più il valore dellÂ’etnicità.
  • Dobbiamo prendere atto del passaggio da diritti basati sulla concezione di Stato-nazione a diritti basati sulla residenza in un determinato luogo.
  • Siamo chiamati ad approfondire la ricerca di valori comuni minimi ma indispensabili che sostengono la vita di una società pluriculturale.
  • Si stanno aprendo nuove vie al dialogo interreligioso ed ecumenico: il passaggio da società monoculturali a società pluriculturali deve essere interpretato come segno ed inizio di una più forte presenza di Dio tra gli uomini.

Conclusione

Dalla tolleranza, alla capacità di convivenza con la diversità

Se in passato la cultura occidentale ha risposto al problema della diversità con il principio della tolleranza (che nasce dopo le guerre di religione e si afferma soprattutto con lÂ’illuminismo borghese europeo), oggi tale principio non basta più perché la diversità non è più una eccezione nella nostra società.

Il nuovo contesto storico è caratterizzato dalla presenza dei mille volti dellÂ’altro: altri popoli, altre culture, altre religioni, altri gruppi etnici. Oggi la tolleranza non basta più perché la diversità è diventata la regola: occorre costruire una società basata sulla cooperazione per la convivenza di tutti. 

Come ieri si è passati da uno spirito di ostilità e di scomunica allo spirito di tolleranza (grandissima acquisizione culturale, politica, etica, religiosa, giuridica), così oggi dobbiamo passare da uno spirito di tolleranza a uno spirito di cooperazione, di condivisione. 

Ma questa nostra società non sembra preparata o particolarmente predisposta alla “convivialità delle differenze” (Levinas), allÂ’interculturalismo, allÂ’interdipendenza dei popoli, alla soluzione non-violenta dei conflitti, a un rapporto pacifico con la natura e lÂ’ambiente circostante. Sembra essere finalizzata piuttosto alla più ampia omologazione delle identità. Il diverso è out. La differenza deve essere cancellata: non cÂ’è posto per lÂ’altro. Dobbiamo dunque sentirci tutti chiamati a una cultura della solidarietà per realizzare insieme una vera e propria cultura della “convivialità delle differenze”.


Le Phénomène Migratoire aujourdÂ’hui

Résumé 

Une caractéristique désormais structurelle du monde dÂ’aujourdÂ’hui est lÂ’augmentation de la mobilité humaine devenue un phénomène stable et toujours plus consistant. Il y a eu des migrations et déportations de masse au cours de toutes les époques de lÂ’histoire, mais aujourdÂ’hui elles ont pris des caratéristiques nouvelles qui demandent des solutions inédites et diverses. Le phénomène migratoire révèle chaque jour lÂ’interdépendance mondiale que partagent aujourdÂ’hui tous les pays.

Le nombre de personnes qui vivent dans un pays différent de celui où elles sont nées est en constante augmentation : il est passé de 76 millions en 1965 à 132 millions en 1998. Même le nombre des personnes déplacées à lÂ’intérieur de leur propre pays ne cesse dÂ’augmenter, alors que celui des réfugiés approche les 22 millions aujourdÂ’hui. Aucun Etat nÂ’est exempt aujourdÂ’hui de quelque forme de mobilité.

Quand on étudie de près ces preoblèmes, la première impression est déconcertante, tant les situations sont hétérogènes et difficilerment comparables les unes aux autres. CÂ’est pour cela quÂ’il est difficile de donner une vision complète du phénomène et, à cause de cette diversité même, encore moins dÂ’imaginer des solutions semblables

LÂ’article décrit dÂ’abord le système mondial actuel, comme cadre de référence intégrant le phénomène migratoire, passant en revue les mécanismes de domination économique et culturelle, la recomposition démographique en acte, le vieillissement de la population, pour examiner ensuite quelques unes des caractéristiques du phénomène migratoire actuel (la « planétarisation » et la « tiersmondialisation » des migrations, la diversification des blocs religieux, la distribution géographique des migrants), les problèmes émergeant (lÂ’explosion de lÂ’ethnicité et du nationalisme, le phénomène de la multiculturalité), les nouvelles directions et la diversification des flux migratoires, les nouvelles dynamiques migratoires et quelques indicateurs socio-culturels importants provenant de la migration (préjujés, incompréhension, haine raciale). Les catégories de migrants les plus désavantagès et majoritairement frappés par le phénomène sont surtout les familles nucléaires, les enfants des migrants, la femme, les personnes âgées, les travailleurs saisonniers, les clandestins, les réfugiés. Les causes du phènomène, les répercussions socio-économiques, les perspectives socio-culturelles et les principes éthiques concluent lÂ’examen du phénomène migratoire actuel.

Si par le passé la culture occidentale a répondu au problème de la diversité par le principe de la tolérance (née après bien des guerres de religion et affirmée surtout par lÂ’illuminisme bourgeois européen) un tel principe ne suffit plus aujourdÂ’hui car la diversité nÂ’est plus une exception dans la société actuelle. Le nouveau contexte historique est caractérisé par la présence des mille visages des autres : autres peuples, autres cultures, autres religions. Il faut construire une société basée sur la collaboration en vue de « lÂ’exister ensemble » de tous les groupes ethntiques présents sur le territoire. Les sociétés modernes ne semblent malheureusement pas préparées à accepter le différent, lÂ’interculturalisme, le phénomène toujours plus évident de lÂ’interdépendance entre les peuples. Nous devons donc nous sentir tous appelés à fonder dans notre société une culture de la solidarité pour une vraie et juste « exister ensemble des différences » (Levinas).


The Migration Phenomenon Today

Summary

A structural characteristic of the world today is growing human mobility that has become a stable and increasingly vast phenomenon. Migration and mass deportation have existed in every period of history, but at present they have assumed new characteristics that require new and diversified solutions. TodayÂ’s migration reveals interdependence among all nations in the world.

The number of persons living in a country different from the land of their birth is constantly increasing. It has gone from 76 millions in 1965 to 132 millions in 1998. The number of displaced people within their own country has not stopped increasing either. Refugees are estimated to be some 22 millions today. No state can claim to be exempt from every form of human mobility.

Before all these problems, one is likely to be taken aback. This is due to a number of factors including a great heterogeneity of situations which are difficult to compare with each other. This makes it difficult to give a comprehensive picture of the phenomenon and it is even more difficult to come up with similar solutions for such diverse conditions. 

The article attempts to describe the system existing in the world today. In this context it tries to analyze the migration phenomenon by going though the mechanisms of economic and cultural domination, the ongoing demographic re-composition and population ageing. It then examines some characteristics of the present migration phenomenon (the “globalization” of migration and its incidence in the third world, the diversification of religious blocks, the geographic distribution of migrants), the emerging problems (the explosion of nationalism or ethnic identity, the phenomenon of multiculturalism), the new streams and diversification of migration flows, the new dynamics of migration and some related socio-cultural indicators (prejudice, misunderstanding, racial hatred). The migrant categories that suffer most are above all the families, the children of migrants, women, the elderly, seasonal workers, clandestine migrants and refugees. The causes of the phenomenon, the socio-economic repercussions, the socio-cultural perspectives and ethical questions conclude the analysis of the migration phenomenon today.

If, in the past, western culture responded to the problem of diversity by the principle of tolerance (which was born after the wars of religion and developed with the bourgeois European enlightenment), today such a principle is no longer enough because diversity is not an exception in modern society. The new historical context is characterized by the presence of a thousand faces of “the other”: other peoples, other cultures, other religions. It is therefore necessary to build a society based on collaboration that foresees a life together among all the ethnic groups in the territory. Unfortunately, modern societies do not seem to be prepared to accept one who is “different”, for “interculturalism”, for the growing interdependence among peoples. Thus, we must all feel called to introduce a culture of solidarity in our societies, towards an authentic “conviviality of differences”.

top