Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People People on the Move - N° 88-89, April - December 2002 Madre Cabrini, la Santa degli EmigratiVolume di Don Giuseppe DE LUCA [French summary, English summary] Con una bella introduzione di Lucetta Scaraffia, da cui prendiamo a larghe mani per questa nostra presentazione, pur senza citare continuamente, si apre il volumetto dal titolo: "Madre Cabrini, la Santa degli emigrati", di don Giuseppe De Luca, pubblicato, con il contributo dell'Istituto Suore Missionarie del Sacro Cuore - Cabrini e dell'Associazione Don Giuseppe De Luca, dalle benemerite "Edizioni di Storia e Letteratura" (Roma, 2000, pp. XXIII, 205). Come si sa, l'Autore, nella sua intensa vita intellettuale, si occupò di vari santi, spesso "su commissione", altre volte per simpatia con il personaggio, ma sempre mosso da intento di conoscerne la specifica spiritualità. Condizioni storiche e culturali, vicende biografiche, sono prese, naturalmente, in esame per arrivare a scoprire il modo peculiare che ciascuno di essi ha avuto di essere santo. Quello che De Luca spesso chiama il loro "segreto". E mentre scrive di santi è sempre preso d'ammirazione per l'infinità di modi in cui la santità cristiana ha potuto manifestarsi, in circostanze così differenti e varie, commosso dallo scoprire, di volta in volta, come "Dio ha amato e guidato gli uomini, e come un numero davvero sterminato di essi, assistiti dalla Sua grazia e misericordia, hanno con libero ardore risposto al Suo amore". Si tratta di un genere di letteratura che permette all'Autore, fra l'altro, di mettere in atto il suo progetto di storia della pietà come storia dell'amore fra gli esseri umani e Dio. Il suo modo d'interpretare i santi era quindi sempre calato nel periodo storico in cui essi erano vissuti, senza dubbio lontano da quella elencazione atemporale di virtù caratteristica, invece, di troppi scritti agiografici. Scoprire il loro legame con la storia e la cultura del tempo era infatti uno dei suoi "pensieri" principali, che nasceva dallo sforzo costante di inserire il "cristiano" e il "cattolico" nella vita dell'intelligenza contemporanea. La Cabrini, poi, interessava De Luca proprio per la sua modernità. In uno scritto autobiografico del 1934 egli parla del desiderio e della difficoltà di essere santi nella società contemporanea "ma santi - se potessimo dire - nei quali fosse santa con noi anche tutta la cultura e tutta la poesia e tutta la dolorosa e grande attività dei giorni nostri". In Francesca Saverio Cabrini l'Autore vide senza dubbio una donna che si era assunta il compito di santificare "la dolorosa e grande attività dei giorni nostri". Proprio per questo il rapporto con lei, nato da una richiesta delle Suore Missionarie del Sacro Cuore, - presso le quali studiavano le nipoti di don Giuseppe - impegnate fra il 1937 e il 1938 a celebrare la beatificazione della loro fondatrice, si fece subito profondo. Negli scritti raccolti nel volume che qui presentiamo, - essi coprono un arco quasi ventennale - si assiste infatti ad uno sviluppo, da parte dell'Autore, della conoscenza della santa, che diventa al tempo stesso una sempre più profonda comprensione. Se, quindi, all'inizio, la sua ammirazione può rivolgersi soprattutto alla "natura lombarda attiva", la scoperta della sua peculiare spiritualità lo porta, in seguito, a vederne, ammirato, e a metterne in evidenza tratti sempre più profondi. Nel primo scritto - che è del 1937 e quindi precede di un anno la beatificazione - sono soprattutto l'opera di Francesca Saverio ad interessare l'Autore, e il suo coraggio nel viaggiare incessantemente in tutto il mondo; così De Luca la rappresenta non solo come religiosa degna di ogni elogio, ma anche quale coraggiosa donna italiana: "questa meravigliosa donna italiana, avrà, speriamo assai presto, gli onori del culto, ma meriterebbe, anche al di fuori di religione, conoscenza e riconoscenza, come uno degl'Italiani più grandi". Nel descriverne forza e carattere asserisce: "aveva qualcosa di Teresa d'Avila e di Francesco Saverio". Don Giuseppe usa qui parole molto simili a quelle scelte da Gadda per parlare delle donne della sua regione: "quelle meravigliose donne lombarde che il proprio vigor di cervello manifestano in pragma (le idee per loro sono atti), cioè in una prescienza vittoriana d'ogni obiezione: col postulare dovunque, davanti a chiunque, la certezza nella propria infallibilità". Anche madre Cabrini - scrive De Luca - "tacque e operò. Non disse mai nulla, e fece tutto". Proprio per questo suo essere "un'anima silenziosa", però, le difficoltà a scriverne una biografia, e tanto più organizzare una raccolta degli scritti, non erano poche. Ricavare il pensiero della Cabrini, le caratteristiche della sua spiritualità, fu anzi veramente difficile. Per la prima biografia, che preparò in occasione della beatificazione del 1938, don Giuseppe poté contare altresì sul volume scritto da Nello Vian, a cui fa spesso esplicito riferimento, soprattutto per quanto riguarda le notizie storiche sulla beata e il contesto storico e sociale in cui ella visse. De Luca invece era senza dubbio più interessato all'aspetto letterario degli scritti cabriniani e alla spiritualità della religiosa: più che biografie, i suoi sono "ritratti di un'anima". Infatti, se le vicende biografiche che narra non apportano sostanziali novità a quanto scritto dai precedenti biografi, peculiari, invece, sono le analisi di De Luca su temi a lui cari, e che si trovano singolarmente presenti nella vita e negli scritti della fondatrice. Si tratta - ripetiamo - del rapporto stretto fra il modello di santità della Cabrini e la modernità del suo "nuovo" stile di scrittura, della specificità di una spiritualità semplice e moderna. Per quanto riguarda la scrittura, egli coglie nella semplicità assoluta del dettato cabriniano, nella scelta volutamente dimessa dei termini e spesso degli argomenti trattati, la modernità stessa: "vede a nuovo, sente a nuovo, e parla, scrive a nuovo". E ancora: "lo scrivere entrava, per lei, nell'agire". L'Autore nostro le riconosceva quindi doti di "vivezza e potenza nell'esprimersi e di volta in volta, certa franchezza, freschezza e novità di visione, che fa pensare alla poesia" e, per quanto riguarda le note di viaggio, (l'unica opera della Cabrini allora pubblicata, col titolo Tra un'onda e l'altra) giudica che si deve annoverare fra "i più bei libri che ci rimangono della santità italiana, nel secondo Ottocento". Ma la modernità della Cabrini traspariva innanzi tutto dal suo fare, dal movimento incessante nello spazio, dai viaggi continui sui mezzi di trasporto più moderni, di cui la religiosa apprezzava la novità tecnica, che le faceva sentire il mondo come molto piccolo: "è troppo piccolo il mondo, vorrei abbracciarlo tutto". Non solo il rapporto della religiosa con lo spazio, ma anche quello con il tempo era moderno, per madre Cabrini, cosi dominato dalla fretta e dalla velocità: "In fretta, in fretta e allegramente, figlie mie...", esorta le sue suore, e addirittura: "il Sacro Cuore fa tanto in fretta a far le cose che io non riesco a seguirlo". Un'altra raccomandazione, di agire "ardentemente e velocemente", ha un sapore quasi futurista, e rende perfettamente il senso del muoversi della santa nel mondo. De Luca ne riconosce, quindi, la straordinaria aderenza alla modernità, ma al tempo stesso ricorda a noi come questa fretta fosse accompagnata da una profonda calma interiore, quella di chi sa che tutto ciò che si va realizzando non è opera propria, ma di Dio. Francesca Saverio Cabrini era perfettamente consapevole, infatti, che la sua volontà di agire era così potente solo perché coincideva con la volontà di Dio. E proprio in questo si fondava anche la sua leggendaria abilità nel trovare denaro, e nell'investirlo vantaggiosamente, che s'accompagnava peraltro a un totale distacco da ogni bene terreno. Esso, però, non le impediva di comprare e di costruire istituti belli, in luoghi belli, senza paura. "Nulla deve mancare di ciò che il mondo può offrire di meglio", diceva. La rapidità con cui si muoveva, decideva e interveniva, le consentiva anche una grande autonomia nell'Istituzione ecclesiastica: sfuggiva, in un certo senso, all'influenza del clero, - scrive De Luca - "non già perché restia e disobbediente, ma perché velocissima, e assai, troppo, più forte di quanto la loro comune mano potesse reggere e governare". La modernità della Cabrini, però - e questo l'Autore lo coglie immediatamente - non consisteva semplicemente in un adeguamento della vita religiosa ai nuovi tempi; il suo impegno nel lavoro, impegno che ella chiedeva a tutte le sue suore, non aveva niente a che vedere con la "smania di lavoro", che assorbe la vita di tanti uomini e donne di oggi. Madre Cabrini "desiderava fare quel che Dio voleva". In tutte le sue iniziative, l'obiettivo unico e principale è la diffusione del messaggio cristiano, soprattutto nei confronti dell'emigrato che "perdeva con la patria terrena, l'eterna". Mossa da questa volontà, al centro della sua vita, si poteva permettere, la santa, di non fare programmi, di non teorizzare nulla. "Ciò che voleva, faceva" perché era interessata solo all'essenziale, al risultato finale delle sue fatiche: portare, o più spesso riportare, alla vita spirituale coloro che se ne erano allontanati". La sua "volontà possente", attesta De Luca, si accompagnava a una "obbedienza onnipotente" alla volontà di Dio, che sapeva discernere con sicurezza, dal momento che si sentiva sempre congiunta in meditazione con Lui. Una obbedienza che ella chiedeva, altrettanto totale e assoluta, alle sue suore, dalle quali si aspettava anche, prontezza e intelligenza nel risolvere i problemi. L'Autore non collega però questa enfasi sull'obbedienza all'atteggiamento innovativo nei confronti delle suore, così poco usuale all'interno delle Congregazioni femminili: la Cabrini le spingeva a valorizzare al massimo le proprie qualità e vocazioni, rinunciando a coltivare una certa idea d'umiltà attraverso le mortificazioni della propria personalità, come insegnavano i metodi più tradizionali. Per questo bastava infatti la totale obbedienza. Questa singolare attitudine della santa era stata colta, invece, dal Vian, così: "Con genio pratico e psicologico, ella infine sapeva penetrare sagacemente le facoltà e attitudini individuali, facendole fruttificare e moltiplicare con insospettata larghezza". Proprio questa particolarità del carisma cabriniano faceva sì che le suore della sua Congregazione mettessero da parte ogni atteggiamento infantile e sdolcinato tanto frequente nelle donne - anche religiose - di quell'epoca e fossero pronte ad assumersi autonomamente responsabilità, come la direzione di scuole, orfanotrofi, ospedali, che aprivano le porte a un'emancipazione ancora neppure progettata nel mondo laico. Questa precoce forma di promozione femminile - quasi una proposta alternativa a quella che stavano elaborando le emancipazioniste in quegli stessi anni - non viene colta esplicitamente da De Luca - conferma Vian - anche se egli si è sempre dimostrato, nel corso della sua vita, favorevole all'impegno intellettuale femminile e capace di vivere importanti collaborazioni con donne. Ma, senza dubbio, nella simpatia che evidentemente egli rivela per la Cabrini, c'è una ammirazione per questo tipo di donna nuova, capace di muoversi nel mondo, di fare, una donna che "si gettò - egli scrive - in compiti che non parevano fatti per una donna". Profonde affinità univano comunque il nostro Autore alla religiosa: la sua combattiva voglia di fare, il rifiuto di un cattolicesimo che, assediato ovunque dalla secolarizzazione, giocasse solo di rimessa. "Uno dei più vivaci ammaestramenti della Madre Cabrini - egli scrive - è stato ed è questo: non bisogna lasciare al male la gloria dell'intrapresa, non bisogna ridurre il bene alla sola qualità e virtù della pazienza". E ricorda in proposito le seguenti parole della fondatrice: Noi siamo diventati vili, codardi, e tante volte per un riguardo o per l'altro tacciamo neghittosi, ci lasciamo sorprendere dal rispetto umano, e lasciamo di mostrarci veri seguaci di Gesù Cristo in faccia al pubblico. Si sente deridere la virtù e si tace, si sente conculcata la verità e si tace; ma e perché si tace? Perché siamo vili. Parole che non poteva non condividere un prete combattivo qual'era De Luca, che considerava il più grave difetto dei cattolici del suo tempo proprio questo "mantenersi sulla difensiva". Per quanto riguarda la vita spirituale della Cabrini, quella "vista dell'anima" tenuta così nascosta da lei stessa, il nostro Autore cerca di indovinarla dai silenzi, dai pochi scritti, ma soprattutto dalle azioni, ben consapevole, egli, che "le sue opere non sono che appena la pallida ombra della sua vita intima". Il suo "attivismo" non ha quindi niente a che fare con l"americanismo", cioè quella corrente di pensiero cattolico, nata negli Stati Uniti a fine Ottocento, che riteneva l'azione superiore alla contemplazione. De Luca mette bene in luce come l'azione di Francesca Saverio Cabrini fosse ispirata dallo Spirito Santo perché nasceva dalla preghiera contemplativa. Più che agire direttamente, la santa sapeva lasciare spazio all'azione di Dio, e assecondarla. Su questo argomento è centrato quello che si può considerare il saggio più bello e profondo del volume che qui presentiamo, e ci riferiamo all'introduzione alla raccolta - sempre opera delucana - di una selezione degli scritti della religiosa (v. pp. 67-107). Ma anche nei più brevi saggi su Il segreto di madre Cabrini (v. pp. 139-143 e 159-166) l'Autore continua ad esplorare la specificità nascosta della santa, e riconosce la straordinaria semplicità della strada spirituale di una donna di cultura non eccelsa, non guidata da veri e propri direttori spirituali, ma che ha seguito, fino in fondo, l'insegnamento cristiano tramandato dalla Chiesa che le era arrivato attraverso i parroci del suo paese: "quel che le dissero i suoi poveri preti, bastava". Niente di speciale dunque: si trattava proprio di quella tradizione religiosa comune a tutti i veri cattolici della sua epoca e condizione, presa però sul serio, portata alle conseguenze estreme. La stessa "via semplice" è percorsa, negli stessi anni, da un'altra religiosa, la carmelitana Teresa di Lisieux, che però, a differenza della Cabrini, scrisse la straordinaria storia della sua esperienza, anch'essa apparentemente normale e insignificante. La constatazione di una somiglianza profonda fra due sante apparentemente così diverse, l'una monaca di clausura, l'altra impegnata in una serie continua di opere e di viaggi incessanti, non avrebbe trovato contrario De Luca, il quale, a guardar bene, aveva paragonato la Cabrini a Teresa d'Avila e sempre sottolinea la possibilità, dietro a una vita di azione, - "sempre a spendersi senza limite" - di una preghiera continua, di un amore ininterrotto per la meditazione, di un'unione sicura con Dio. Questa prodigiosa, assidua, ininterrotta e ininterrompibile avvertenza di Dio presente costituiva la dolcezza e insieme la terribilità, la trepidazione e la intrepidezza, la giusta diffidenza di sé e la fiducia senza limiti in Dio di Madre Cabrini. E per questa fiducia, ella tutto osava e tutto riusciva, e se poi non le riusciva come avrebbe voluto, sempre si realizzava come voleva Iddio, e dunque riusciva meglio. Una spiritualità però - la sua -, secondo De Luca, non solo tutta implicita, ma anche in una certa misura inconsapevole: "Nemmen l'ombra d'una qualche teoria, maturata lentamente come una teoria personale, su qualche punto della vita religiosa, così intima come sociale". Invece, a guardar bene, e a cogliere tutti gli accenni, non solo dietro la vita attiva della Cabrini c'è un profondo percorso mistico, (come ha dimostrato Maria Regina Canale, strettamente legato alla devozione al Sacro Cuore, in totale adesione alla cultura religiosa del suo tempo) ma anche l'elaborazione, forse, di un modello teologico nuovo, legato a una diversa concezione della "riparazione". Non "riparazione", cioè, attraverso la sofferenza come nell'interpretazione "classica", condivisa da altre mistiche dell'Ottocento, Teresa di Lisieux compresa, ma riparazione attraverso "il fare". Invece del sacrificio redentore, realizzato con ricerca della sofferenza, madre Cabrini, e insieme a lei altre fondatrici di Congregazioni di vita attiva, propongono di riscattare con il proprio lavoro il bene sul male, ("vincere il male con il bene" di paolina proposta), individuando in ciò il compito dell'uomo e della donna nella storia, a imitazione di Gesù. Una teologia della "riparazione" basata, quindi, sulla convinzione che, per espiare il dolore del Sacro Cuore, non sono tanto necessari sangue e dolore, (altra vocazione, questa) ma piuttosto azioni positive, concrete e visibili: "oggi - attesta la Cabrini - non è tempo che l'amore sia nascosto, ma diventi operoso, vivo e vero....". L'introduzione della Scaraffia si conclude con una "Nota ai testi" (pp. XXI-XXIII) che, per essere successivi nel tempo, comportano alcune ripetizioni. Ma non fanno male al tutto. Noi, per questo Pontificio Consiglio e quanti si occupano della pastorale dei Migranti e dei Rifugiati, specialmente italiani, segnaleremmo inoltre, due intensissime pagine (123ss.) su di essi "all'estero", a cominciare dai Romani "che fecero del Mediterraneo un lago italiano" fino agli "italiani smarriti e fuggiaschi, sulla soglia dell'unità", a cui Francesca Saverio Cabrini rispose così: "Pregava, e amava. Lavorava, e amava. Viaggiava, e amava. Parlava, e amava. Sorrideva, e amava. Redarguiva, e amava". (p. 95). Mirabile! Richiamiamo anche il fatto "violento" delle migrazioni ("non c'è soltanto - ed è De Luca che scrive - la violenza aperta e diretta, c'è anche la violenza coperta di chi crea condizioni di vita che risultano un capestro o un carcere": p. 152, cfr. pure pp. 156s.) ed alcune espressioni - belle, anche stilisticamente - per cui la vita è un'eterna partenza (e ciò illumina anche il nostro compito al Pontificio Consiglio, non è vero?). Attesta De Luca: "Iddio non era soltanto la sua partenza e il suo arrivo: Iddio era la sua vita. Quante partenze conobbe, dai porti terreni, dalle stazioni famose; quanti arrivi... Iddio era il suo mare e la sua nave, il suo vento e la sua vela; il suo albero e il suo remo. La portava Iddio" (p. 101), ma "sulla nave della Chiesa" (p. 68). E ancora, quale inno: "Il tuo cenere, o Santa, riposa in America ... la tua vita non fu che un solo viaggio tra gli uomini di ogni patria terrena, perché tutti della stessa patria e dello stesso Padre nei cieli: Prega per noi ... Facci vivere, come tu vivesti, Iddio" (p. 137). "La sua vita (insomma) fu tutta un partire, e partire, si sa, è un po' morire: la partenza suprema era quella che segretamente anelava l'anima sua" (p. 63). E sino alla morte camminerà, e morrà in una casa dov'era di passaggio (v. p. 85) poiché "c'è chi viaggia per arrivare, e c'è chi per partire. Può far piacere giungere ad un luogo nuovo; ma un piacere anche maggiore può nascere dal lasciare un luogo vecchio" (p. 84, v. anche pp. 86 e 87). E concludiamo, con De Luca: "Dal veloce e operoso passaggio della Beata sulla terra nasce, oltre un senso di grandezza e celerità quasi di folgore, un senso di mestizia, quasi di pianto per noi che siamo ancora in questo crepuscolo mattutino dell'eternità, che è il tempo; e siamo così tardi, così inetti, quasi intirizziti e semivivi" (p. 107). Da quanto qui riportato penso - e facciamo un pò di "morale" - risulti evidente perché, una volta, si leggevano di più "le vite dei santi". Si potrebbe però "tornarci su". Mère Cabrini, la Sainte des Emigrés.Résumé Mère Cabrini, la sainte des émigrés, dont Mgr Marchetto présente la biographie écrite par Giuseppe De Luca, est une sainte moderne, non seulement parce qu'elle a vécu à une époque récente mais surtout parce quelle a synthétisé quelques caractéristiques absolument inédites de la sainteté : la culture, le courage, l'esprit dentreprise, l'activité frénétique, le concret dans l'action, la force d'un caractère extrêmement pragmatique. « Une merveilleuse dame lombarde - pour parler comme De Luca dont la vigueur intellectuelle se manifeste dans le pragmatisme (pour eux les idées sont des actes : ils ne disent jamais rien mais font tout), cest à dire avec une prescience victorienne de toutes les objections : en postulant devant quiconque, la certitude de sa propre infaillibilité ( ) Même l'écrire entrait, pour elle, dans l'agir. Le caractère « moderne » de sa sainteté transparaît surtout dans son « faire » : « du mouvement incessant dans l'espace, des voyages continuels par les moyens de transport les plus modernes, dont la religieuse appréciait la technicité moderne, qui lui faisait voir le monde comme tout petit». Sainteté « moderne » jusque dans l'usage de l'argent sans préjugés : dans sa capacité légendaire pour le trouver et pour l'investir à l'avantage des plus pauvres et démunis, et en particulier pour les émigrés italiens dans les Amériques. Une sainteté « belle » : dans son aspect littéraire surtout (vivacité et puissance d'expression unies à la fraîcheur et loriginalité de la vision). Son Dune vague/onde à lautre, lunique oeuvre littéraire de la Cabrini, est jugée par l'auteur « parmi les plus beaux livres de la sainteté italienne du XIXe siècle, qui demeure». Belle, sa sainteté lest aussi sous l'aspect plus proprement esthétique (la Sainte visait ici à construire des hôpitaux qui soient beaux, des instituts qui soient beaux dans des lieux beaux). Toutes ces valeurs « humaines » la Cabrini les a canalisées vers la sainteté, parce que toujours reliés à la disponibilité de faire la volonté de Dieu : « Elle voulait faire ce que Dieu voulait. Dans toutes ses initiatives, objectif unique et principal était la diffusion du message chrétien, surtout dans l'environnement de l'émigré, qui perdait -- elle l'affirmait -- avec la patrie terrestre, l'éternelle aussi. Et, enfin, un autre concept « moderne » de la sainteté: la réparation nest plus tellement réalisée à travers sa propre mortification et sa souffrance, mais à travers son «faire », à travers, disons, le rachat du mal au moyen de son propre travail, consacré à l'amour vers les autres. Elle priait, et aimait. Elle travaillait, et aimait. Elle voyageait, et aimait. Elle souriait, et aimait. Elle blâmait, et aimait. Une synthèse aussi moderne quancienne de la sainteté incarnée dans la Sainte des Migrants. Mother Cabrini, the Saint of EmigrantsSummary Mother Cabrini, the Saint of emigrants, whose biography, written by Giuseppe De Luca, is presented by Msgr. Marchetto, is a modern saint, not only because she lived in recent times, but especially because she synthesized some absolutely unedited characteristics of holiness: culture, courage, intrepidity, tireless activity, concrete action, strength of an extremely pragmatic character. A wonderful Lombard woman, as De Luca wrote, who manifests her brains strength pragmatically (for these women, ideas are actions: she never said anything and did everything), that is, with a Victorian foresight for all objections: making petitions everywhere, in front of anyone, sure of her own infallibility ( ). For her, writing was also part of acting. The modern characteristic of her holiness was evident, first of all, in her doing: in moving unceasingly throughout the land, in continuous travels, using the most modern means of transportation, which the religious appreciated because of its technical modernity, which made her feel that the world was very small. Modern holiness even in her unscrupulous use of money: in her legendary capacity of obtaining and investing it to the advantage of the poorest and the most needy, particularly the Italian emigrants in the Americas. A beautiful holiness: above all under the literary aspect (liveliness and power of expression united with a fresh and new vision). Her Tra unonda e laltra (Between one wave and another), the only literary work of Cabrini, is judged by the Author as one among the most beautiful books that is left to us by Italian sanctity, at the second half of the 1800s. Her holiness is beautiful also under aspects that are more strictly aesthetic (the Saint who aimed to construct beautiful hospitals, beautiful institutes, in beautiful places). Cabrini directed all these human values towards holiness, because they were always accompanied by the willingness to do the will of God: She desired to do what God wanted. In all her initiatives, the primary and only objective was the diffusion of the Christian message, especially with regards to the emigrant, who was losing the eternal home with the earthly homeland. Finally, another modern concept of holiness: reparation done not anymore through ones own consummation and suffering, but by doing, that is, making up for evil through ones own work, dictated by love for others: She prayed and loved. She worked, and loved. She travelled, and loved. She spoke, and loved. She smiled, and love. She scolded, and loved. A modern and at the same time ancient synthesis of holiness incarnated by the Saint of the Migrants. |
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