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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move - N° 88-89, April - December 2002

Questioni di teologia pratica sulla pastorale dei circensi e dei lunaparchisti

Apologia sull’allegria nella Chiesa:
«Se ne ride il Signore » (Salmo 2, 4)

Prof. Leo KARRER

I.Premesse

1.Se ho ben compreso il tema, ciò che ci si aspetta sono impulsi di teologia pratica riguardo la questione fino a che punto i circensi ed i lunaparchisti possono essere promotori e protagonisti di una comunità viva.

Una sfida affascinante! Quando poi il Pastore Ernst Heller mi ha pregato di preparare questa relazione, mi è quasi automaticamente venuto in mente il versetto 4 del Salmo 2, “Se ne ride il Signore”. Questo versetto esprime per me il desiderio di una maggiore allegria in Chiesa e di gioia tra quanti sono stati liberati dalla nuova creazione.

2.Più mi occupavo di questo tema, più esso mi sfuggiva e non permetteva che si formulassero prospettive concrete. Questo fatto non mi ha più allietato. Ero perplesso, ma forse era importante fare proprio questa esperienza. La questione riguardo il posto che i circensi e i lunaparchisti occupano nella Chiesa oppure nelle nostre cosiddette parrocchie normali, cioè comunità, è troppo seria per essere affrontata con burle e arguzia. Forse la vera allegria e la gioia sono in ogni caso troppo profondi e reconditi per essere considerati adeguatamente senza la serietà della vita. Forse è proprio in questo ambito che si impara a distinguere fra allegria e burla, fra gioia e divertimento e fra arguzia e scherzo.

II.Alla ricerca di un progetto pastorale per e con i circensi ed i lunaparchisti

1.Così mi sono avvicinato ai libri - come si usa fare nelle biblioteche - alla maniera di uno studente più assiduo che intelligente. Ma i libri non davano nessuna risposta alla mia richiesta. Mi sono invece di nuovo reso conto che su questo punto esiste un grande silenzio nella letteratura della teologia pratica. Una simile esperienza la si ottiene quando si tratta di temi come coro di chiesa, pastori d’anime e successo, tenebre di anime di persone depresse ed altri problemi palesi.

2.Solo nel dizionario di teologia pastorale (edito da F. Klostermann ed altri, Freiburg 1972) ho trovato una piccola affermazione riguardo la pastorale dei circensi di P. Heinzpeter Schönig, (633) che voi ben conoscete. Ho appreso che nel 1954 è stato lui a dare inizio alla pastorale dei circensi e dei lunaparchisti (fra 2 anni si festeggerà il giubileo).

Devono essere interpellati gli artisti e quanti lavorano nelle imprese di circo, i lunaparchisti e l’intero commercio ambulante, gli artisti della rivista sul ghiaccio e le altre strutture del ramo del divertimento. Il discorso va sulla comunità mobile che contava allora circa 7.000 cattolici. Dal 1970 esiste un consiglio di laici con 5 membri. Si cercava regolarmente di fare visita a tutte le imprese pertinenti e di intrattenere vivi contatti con le associazioni di categoria ben organizzate. Si parla di una attiva partecipazione degli interessati. In vista dell’operato pastorale, vioene vietato un concetto pastorale statico. 

Letteralmente: “Sarebbe augurabile una integrazione pastorale più intensa nei rispettivi luoghi di tournée per evitare una coscienza di gruppo marginale” (633). Mi sembra che già 30 anni fa esistevano quei problemi che oggi appaiono in modo più acuto.

Quando la relazione era stata già scritta, è stato pubblicato un breve articolo riguardante la pastorale dei circensi e dei lunaparchisti (LThK 10, 3/2001, 1465) a firma di P. Schönig. Vi si legge che la pastorale dei circensi e dei lunaparchisti è una parrocchia personale con circa 8.000 cattolici dipendente dalla Conferenza Episcopale Tedesca. In modo lapidario sta scritto: “Il loro modo di vita caratterizza la stretta connessione esistente fra vita lavorativa e grande mobilità. La relazione con una parrocchia regolare non è possibile”.

3.Dopo aver passato in rassegna tutta la letteratura cattolica, ho voluto anche cercare il consiglio ecumenico. Nel dizionario evangelico per teologia e parrocchia, volume I (Wuppertal 92) trovo sotto la voce “Missione/i professionale/i” (234) le seguenti indicazioni in merito al nostro tema: “Con missione professionale si intende la missione e la pastorale per quelle persone che, per motivi professionali, non possono frequentare regolarmente le funzioni religiose e partecipare alle attività nella e con la comunità”. “La Missione dei circensi e dei lunaparchisti si occupa del gruppo degli artisti, circensi ed artisti di cabaret girovaghi. La loro vita è inquieta, perché il loro contratto vale solo per una stagione, anzi, spesso solo per un mese. Per loro non è possibile ambientarsi in una località e in una parrocchia. Il continuo cambiamento di scuola rende difficile una formazione regolare dei figli. èsorprendente la pronunciata presenza di sentimenti religiosi in artisti coscienti della pericolosità della loro vita (funamboli, domatori, ecc.). Il servizio missionario si realizza tramite visite nei carrozzoni, nelle biblioteche circolanti durante la permanenza in una località, tramite funzioni religiose nell’arena” (P. & G. Möller, 235).

È illuminante confrontare queste due piccole informazioni del dizionario e vedere quale situazione individuano, come la vogliono affrontare e, anzitutto, quale concetto pastorale sta dietro tutto ciò. La pastorale va intesa come missione per le persone oppure come accompagnamento?

Da queste due testimonianze degli anni 1972 (rispettivamente 2001) e 1992 si nota in maniera evidente ciò che manca: indicazioni di letteratura di approfondimento e di proseguimento. Perciò si rafforza la mia impressione che i cosiddetti esperti di teologia e strateghi ecclesiali della pastorale si siano appena occupati del campo della pastorale dei circensi e dei lunaparchisti.

4.Pertanto non mi restava altro da fare che lasciarmi condurre da chi lavora pastoralmente in questo campo tanto affascinante quanto interessante.

Con le ricerche ho scoperto che il Sinodo 72 in Svizzera si è occupato di questo tema. Nel documento sinodale III “Impegno della Chiesa” della Diocesi di Basilea leggiamo: “Una minoranza spesso non considerata nella nostra società è quella costituita dalle persone senza fissa dimora (per esempio commercianti di mercato, espositori, ambulanti, circensi, camionisti, impiegati di imprese gastronomiche, ecc.). La Chiesa in Svizzera è chiamata a compiere la sua missione attendibilmente anche di fronte a queste persone” (3.3.4; III/II). Più in là si legge: “I vescovi sono tenuti a istituire dei centri diocesani di pastorale oppure linguistici secondo le regioni per persone senza fissa dimora (per esempio circensi, lunaparchisti, camionisti, impiegati di imprese gastronomiche, ecc.). Per questi compiti devono essere formati e messi a disposizione dei pastori d’anime” (6.2.4; III, 30). La Conferenza Episcopale Svizzera ha fatto proprio questo compito e ha preparato un piano pastorale per il settore “Circensi e lunaparchisti”. Nel 1980 il sacerdote Marco Cesa fu messo a disposizione di questa pastorale dal vescovo Pierre Mamie e, nel 1981, fu riconosciuto dalla Conferenza Episcopale Svizzera come “Aumônier national” (cioè cappellano nazionale). Similmente a quanto P. Schönig descrive nel suo articolo per la Germania, nel 1982 fu istituito in Svizzera un team pastorale che doveva appoggiare il cappellano dei circensi ed essere presente fra di loro. Nella seconda metà degli anni ’80, Marco Cesa si dimise e così l’incarico rimase letteralmente appiccicato al mentore per la pastorale dei circensi, P. Schönig, fino a che, al passaggio da un millennio all’altro, si è verificato un cambiamento con la nomina di Ernst Heller a Pastore dei circensi, lunaparchisti e commercianti di mercato per la zona di lingua tedesca.

5.La descrizione dei suoi compiti e i suoi primi verbali di attività danno un’idea eloquente della vastità e della varietà di questo impegno, i cui scopi vengono denominati genericamente: promuovere la predicazione del Vangelo ai circensi e ai lunaparchisti tramite la presenza di una persona della Chiesa ed essere disponibile per le loro necessità umane spirituali.

Come attività vengono elencate: mantenere contatti con i circensi a tutti i livelli; stare a disposizione per funzioni e amministrazione dei sacramenti: benedizioni, Battesimi, Matrimoni, Funerali; aiutare nell’organizzazione dell’istruzione religiosa di bambini e adolescenti di “famiglie circensi” (Prima Comunione, Cresima); essere disposto a colloqui e accompagnamento in situazioni di emergenza; mantenere contatti con i malati e gli anziani e realizzare funzioni religiose insieme al pubblico dei circhi. Questo elenco piuttosto freddo diventa più vario e colorato leggendo nelle relazioni di attività la molteplicità dei contatti e degli incontri in contesti molto differenti, come pure quanta facoltà organizzativa e capacità di immedesimazione siano richieste; inoltre, una grande capacità di concentrazione sul momento e sulla cura delle relazioni professionali in sistemi molto diversi e, oltre a tutto questo, l’accuratezza per tutto ciò che io chiamo profondità spirituale.

Mi sono accorto di tutto ciò, quando ho cercato di familiarizzare con questo campo di competenza e con l’ambiente di questa cerchia pastorale.

III.Cosa possono imparare la Chiesa e la sua pastorale dalla cura d’anime dei circensi e lunaparchisti

1. Percepire più acutamente la situazione generale

Dalle poche indicazioni che avevo a disposizione, risulta chiaramente che non possiamo partire da una immagine di parrocchia o comunità ideale. La cura d’anime dei circensi e dei lunaparchisti è quella che una volta chiamavamo “cura d’anime particolare”, perché gli interessati non potevano essere raggiunti dalla cosiddetta parrocchia normale.

Cosa significa oggi “parrocchia normale”? Non raggiungiamo solo una parte ristretta di quelli che dovrebbero farne parte? La Chiesa non incontra nel mondo dei circhi e dei lunapark una situazione acuta e simile a quella che si presenta in diverse parrocchie, cioè una partecipazione irregolare alla vita della Chiesa, dove sono le persone stesse a decidere della vicinanza e della distanza dalla Chiesa? Non è impegno della cura d’anime di interessarsi più specificamente della situazione delle persone e - come dice uno slogan - di avvicinarle là dove si trovano? Nelle nostre comunità cristiane, non dobbiamo lavorare più intensamente con gruppi, circoli di lavoro, avvenimenti irregolari e progetti?

La pastorale dei circensi non ricorda tendenze che si avvicinano sempre più alle nostre comunità?

2. Una pastorale “per” e “con” le persone del Circo e del Luna Park

Nei tempi passati e pastoralmente soddisfacenti della Chiesa popolare, la gente andava in Chiesa. Riguardo la prassi religiosa, le nostre Chiese avevano il monopolio. Dalla nascita alla morte si era, per così dire, abbracciati e circondati. Tale periodo del raccolto pastorale è terminato. Oggi sembra che ci dobbiamo congedare da una pastorale del raccolto e studiare con fatica una pastorale della semina. La pastorale dei circensi e dei lunaparchisti non è uno dei luoghi in cui la Chiesa può apprendere ad andare incontro alle persone e non attendere che siano loro a venire? Pastorale significa accompagnare e seguire ed anche considerare che pure le confuse strade di vita possono diventare delle vie che conducono a Dio. Ciò avviene perché la Chiesa, con una diversa percentuale tra vicinanza e lontananza, può essere raggiungibile dalle persone nei momenti cruciali della vita ed è presente nella loro vita. In pratica, questo significa che l’operato pastorale si inserisce con più tranquillità e con maggiore fantasia nelle condizioni sociali dirette quali il pluralismo, l’individualizzazione, la mobilità, ecc. Sono le vie degli uomini e le loro situazioni di vita a determinare le vie pastorali, e non i cataloghi ecclesiastici pieni di iniziative oppure un’ampia pastorale opprimente con corsi che, in ogni caso, molti non sopportano.

Ci sono differenti capacità religiose e una grande differenza nel sentire la religione. Con un atteggiamento di “tutto o niente” si perderebbe ciò che vuole crescere e svilupparsi. Anche oggi ci sono nella Chiesa seguaci zelanti e soci passivi, simpatizzanti e seguaci attivi, sapientoni, distanti, buffi e allegri, scettici e partecipanti passivi, bisognosi di salvezza, cercatori, calcolatori, avversari maliziosi e malvagi approfittatori, ecc. – tipi come quelli che Gesù ha già incontrato. E Gesù non ha respinto o mandato via nessuno, ma ha cominciato dalla situazione di vita degli uomini, qualunque fossero i loro peccati.

Una tale pastorale che cerca la via verso gli uomini e li accompagna, è teologicamente ispirata al concetto che Dio è con loro da prima che la notizia ed il messaggio giungesse loro oppure la Chiesa fosse intervenuta con i suoi strumenti pastorali. In fin dei conti, si tratta qui di cristianità come profonda soddisfazione di vita, di esperienze umane all’orizzonte della fiducia in Dio Gesù e del messaggio del Regno di Dio. Il nucleo centrale di una tale pastorale sta nel fatto che la parola di Dio incoraggia a vivere, interpreta la vita nella sua profondità, nella sua interezza e viene incontro alle persone liberando e risanando laddove ci sono esperienze di felicità, di successo, di gratitudine e di gioia, ma pure esperienze di fallimento, di dubbi destabilizzanti su se stessi, di abissi e solitudine, di paura e cattiveria commessa e subita, di penitenza e disperazione per tutto ciò che non è stato vissuto. Ciò significa tentare di percorrere la strada con chi trascorre un periodo positivo della vita, ma pure con chi si trova in crisi e in discordia e ha bisogno di consulenza ed aiuto, con chi è sottomesso nella professione e nel pubblico, a solitaria responsabilità oppure si ritiene al margine dell’attenzione e della dimenticanza. Penso che sia questa la pastorale che si pretende, che si cerca e che dev’essere realizzata, in modo esemplare, nel campo della pastorale dei circensi e dei lunaparchisti.

3. Cercare nuovi profili dei pastori d’anime

È evidente che questo impegno richiede dai pastori d’anime delle qualifiche speciali. Non c’è più il “guscio” di una parrocchia, dell’ambiente dove ci si controlla vicendevolmente, di una stretta disciplina ecclesiale, del ritmo dell’anno liturgico, delle solennità ecclesiali e della domenica e non ci sono più i riti regolati nel dettaglio che determinano il ruolo dei pastori d’anime. Differenti situazioni, biografie, tipi ed aspettative formulano oggi altre pretese riguardo l’atteggiamento del ruolo pastorale, cioè l’attenzione comunicativa, la capacità conflittuale ed una sensibilità che non si manifestano tramite un rigido atteggiamento di ruolo. Ed in tutto questo, gli uomini non pretendono un pastore d’anime teologicamente e tecnicamente perfetto, ma un confratello che li accompagni lungo la via e a cui si possono rivolgere le domande ed esprimere la ricerca di Dio.

Le “Piccole Sorelle di Gesù”, che con Marco Cesa hanno partecipato al lavoro e alla vita quotidiana dei lunaparchisti, hanno formulato le loro aspettative per un cappellano dei circensi e dei lunaparchisti come segue: “Ci immaginiamo un padre spirituale dei lunaparchisti che intrattenga con loro un contatto personale, che ne conosca la vita e la mentalità e che riesca a creare un rapporto con le parrocchie in cui i lunaparchisti lavorano. Non dimentichiamo l’orgoglio di un lunaparchista ventenne in Francia per il fatto che la Chiesa li prendeva così in considerazione da assegnare loro un pastore proprio! Tale pastore potrebbe diventare per loro un conoscente e un buon amico che i lunaparchisti sanno essere a loro disposizione”. Insieme ai circensi ed ai lunaparchisti gradiremmo molto “se per le funzioni come i battesimi, i matrimoni o i funerali si potesse realizzare una forma semplice e adeguata, perché essi possano trovare nella Liturgia una relazione con la loro vita. Si dovrebbero pure trovare nuove vie per i bambini che non possono partecipare regolarmente all’istruzione religiosa. Sarebbe augurabile che il pastore potesse vivere parzialmente in questo ambiente” (Manoscritto SPI: Pastorale cattolica per i circensi ed i lunaparchisti del 22.11.1999, 3). Avvertiamo che qui vengono formulate delle aspettative valide per tutti i pastori, sia uomini che donne.

4. Essere solidali con la pastorale dei circensi e lunaparchisti

Il luogo, che ci sembra essere esemplare, è tuttavia debole dal punto di vista istituzionale e strutturale. I circensi non sono direttamente aiutati e legati ad alcuna parrocchia e alle sue strutture. Di conseguenza, il lavoro pastorale, tanto nei giorni lieti quanto in quelli difficili, ricade quasi esclusivamente sui cappellani, che comunque non devono essere lasciati soli come “combattenti solitari” ma che hanno invece bisogno del sostegno solidale della Chiesa.

In tal senso, un primo passo è la loro integrazione in un team pastorale o in un cosiddetto consiglio di laici. Penso proprio che il collegamento con la Diocesi e con la rispettiva Chiesa di un paese sia irrinunciabile. Non per ultimo, i rapporti di attività del Parroco Ernst Heller mostrano quanta competenza e quanto spirito organizzativo richieda proprio il collegamento con i relativi uffici ecclesiali di direzione, gli organi decisionali e naturalmente anche con le relative associazioni e categorie professionali. Alla Chiesa, cioè alle relative commissioni ecclesiali, ai campi o consigli pastorali, viene offerta un’affinità ad un aspetto della vita che altrimenti percepirebbe solo a distanza, forse anche benevolmente, ma difficilmente in modo creativo.

Si pone pure la domanda se una parrocchia locale dove un circo ha il suo quartiere invernale non possa adeguatamente allacciare e realizzare (o organizzare) una relazione col mondo del circo. Non esistono ricette infallibili. Invece, sul piano umano e anche ecclesiale, è importante e vicendevolmente arricchente per la pastorale e per i pastori di non perdersi in una “terra di nessuno” ecclesiale, ma di essere accompagnati affettuosamente da altri ed eventualmente interrogati criticamente sul punto di vista concettuale e pastorale. Va ricordato a margine che la Chiesa deve curarsi, anche sul piano finanziario, di uno sviluppo proficuo della pastorale e non lasciare questo aspetto allo spirito inventivo di un parroco sovraccarico di lavoro.

IV.Il carisma dei circensi e dei lunaparchisti

l. Carisma specifico

Dopo essermi avvicinato al profilo pastorale della cura d’anime dei circensi e dei lunaparchisti ed essermi chiesto quale servizio essi potrebbero rendere alla Chiesa e alla sua pastorale, si pone la domanda: i circensi ed i lunaparchisti potrebbero, con il loro modo di vivere e la loro singolare professione, dire qualcosa di profondo riguardo la natura dell’essere cristiani? Potrebbero indicarci cosa illumina la nostra fede cristiana e la nostra esistenza umana, mostrarci qualcosa che noi, nel quotidiano ecclesiale e pastorale, perdiamo facilmente di vista? Non voglio assolutamente idealizzare questo mondo. I circensi, gli espositori e i lunaparchisti vivono infatti in un mondo scintillante dei sogni che però appare incantevolmente romantico. Ma nel retroscena esistono pure le tragedie umane, la nostalgia, le paure esistenziali, la pressione della concorrenza, l’obbligo della prestazione e certamente anche la solitudine. Penso che proprio chi possiede il dono dell’allegria possa essere triste e conoscere il ridere e il piangere.

2. “…essere una benedizione”(Gen 12, 1)

Collego pure il mondo del circo e dell’arte dei lunaparchisti con l’allegria, il gioco, il piacere dell’espressione, con qualcosa come l’inutilità. Troviamo forse qui delle risorse carismatiche che nella nostra Chiesa e nel nostro quotidiano pastorale dovremmo maggiormente sfruttare.

Non dovremmo obiettivamente ammettere che nella Chiesa, e spesso fin nella più piccola parrocchia, abbiamo un conflitto di cultura fra i tradizionalisti antiquati ed i progressisti che spingono in avanti? Così molte forze si orientano eccessivamente su preoccupazioni e problemi interni della Chiesa. Ci si perde spesso nel groviglio impenetrabile di problemi di terz’ordine, artificiali e prepotenti. è evidente che la gioia nei cristiani stressati non può fiorire e che l’allegria viene racchiusa in piccole nicchie dell’anima.

Mi sembra che attualmente rispondiamo alla crisi della Chiesa con un immenso dispendio di buona volontà e di ponderazione su una pedagogia migliore, con funzioni liturgiche più belle, migliori omelie, restauri di Chiese e strutture più adeguate, tentando di salvare l’essenziale; diamo una migliore formazione professionale ai pastori, organizziamo corsi di perfezionamento continuo, forniamo consulenza parrocchiale, diamo spazio alla valutazione e incoraggiamo la supervisione e la consulenza conflittuale ecc... Tutto ciò è molto importante per amore di quanto ci sta a cuore. Ma, inconsapevolmente, corriamo il rischio di perdere l’amore dell’insieme. Confidiamo nel nostro operato e nella nostra conoscenza pastorale e finiamo ugualmente nella disperazione dell’insuccesso e nell’irritazione. Mi sembra che stiamo correndo di nuovo il pericolo dell’eresia pelagiana, secondo la quale dobbiamo guadagnarci la salvezza faticosamente tramite il nostro rendimento morale, che poi è il nostro merito. E dov’è Dio? Confidiamo nelle nostre scienze, negli strumenti della Chiesa, in metodi pastorali perfetti ... oppure in Dio che ci vuole essere vicino con il suo amore liberatore e con l’allegria del suo amore e che ci lascia ugualmente vivere la libertà della nostra storia? Ci orientiamo all’autovalutazione, alle nostre convinzioni oppure a Dio, al Vangelo? Mi chiedo come potreste, partendo dal vostro “Métier”, diventare segno di benedizione per gli uomini e per la Chiesa.

3. L’artista del Circo: simbolo che si oppone ad una società e ad una Chiesa dell’efficienza?

L’uomo è senz’altro un homo faber: obbligato ai compiti, agli impegni, all’operare, al lavoro. Le parole bibliche: “Soggiogate la terra” (Gen 1, 28) ci chiamano a custodire e curare, a dare forma artistica, a darci da fare e a creare. Ci dobbiamo mettere all’opera e cominciare. Anche la professione dei circensi e dei lunaparchisti ha a che fare con l’operare, il lavorare, con sforzi disciplinati e con la produzione del rendimento - fino alla creatività artistica e alla maturità. Ma con la loro arte indicano pure che l’uomo non si esaurisce nella sua efficacia e che la sua dignità non si basa solo sul lavoro, sul rendimento, sul guadagno e sull’essere utile. L’uomo è più di un efficace lavoratore, più della somma delle sue prestazioni e funzioni, più di un’anonima ruota funzionante in un ingranaggio economico. L’uomo non deve essere considerato solo come oggetto di funzionamento, come se il suo significato si limitasse alla sua idoneità e al suo buon atteggiamento senza disturbi nell’apparato produttivo.

La questione dell’immagine dell’uomo è, in ultima analisi, la questione dell’immagine di Dio. Chi fa dell’uomo un oggetto, tratta anche Dio in modo commerciale, abusando sfrenatamente di religione e religiosità (come hanno dimostrato gli eventi dell’11 settembre 2001). Partiamo da una comprensione di Dio coniata sull’immagine del padrone che richiede obbedienza incondizionata, cioè sottomissione, virtù borghesi e che legittima i potenti, che controlla il nostro buon comportamento e punisce senza riguardo le nostre omissioni e i nostri peccati?

Gesù di Nazaret ha superato questa immagine con le parole e con le opere, con il suo annuncio e la radicalità della sua vita. Si richiama a un Dio con cui vive in una relazione tanto stretta da chiamarlo Padre. Questo Dio approva ogni uomo prima di ogni efficacia e rettitudine e gli viene incontro in modo salvifico, nonostante tutta la colpa e la limitatezza, a profetargli salvezza e vita in pienezza (Giov 10, 10). Gesù s’interessa dell’uomo nella sua individualità concreta. Non potrebbe allora l’homo ludens, l’uomo che gioca, il clown del circo, rendere sensibile ciò che è importante per l’uomo e che si vuole esprimere nella biblica immagine dell’uomo?

Giocando, l’uomo si esprime gratuitamente e libero dalla costrizione di dover funzionare. è governato da se stesso e dal libero gioco delle forze e si dà liberamente al gioco. Nel gioco la libertà e l’efficienza sono praticamente inserite una nell’altra. Se si gioca per denaro, il gioco viene rovinato, viene sottoposto ad uno scopo estraneo. Così lo sport agonistico può essere la fine dello sport come gioco. Anche in senso figurativo si può dire che ogni gioco commercializzato ha la propria vita e corre il pericolo di alienarsi e di perdersi, se viene determinato dall’esterno e violentato, se non si tratta più di “divenire e di essere” partendo dal proprio centro e dal “gioco” fra se stessi e gli altri, ma invece per guadagno, possesso, maggiore autorità, più denaro, più informazioni, più soddisfazione di bisogni, ecc. Ma sempre nella maniera del possesso.

Giocando, l’uomo osserva se stesso, prova, sperimenta, può eventualmente anche perdere, corre rischi, gioca col fuoco oppure con pensieri e movimenti di scacco... Per chi non sa perdere, sarà meglio non giocare; ma allora non può nemmeno vincere giocando. Mi vengono in mente le parole bibliche: “Chi non dona la sua vita, non la conserverà” (Giov 12,25). Così la gioia e la passione del gioco possono mostrarsi come gioia dell’esistenza; e questa gioia gratuita non ha bisogno di essere puntellata al di fuori del gioco e del gruppo di persone che si mettono al gioco.

Vincere e perdere è fondato nel gioco. è fondamentale prendere parte al gioco e fidarsi l’uno dell’altro, purché vengano osservate le regole del gioco. Chi improvvisamente non partecipa più, solo perché sembra perdere oppure non rispetta le regole, diventa incapace e distrugge il gioco. Il gioco stesso viene rimesso in questione. Così ha un senso, e non solo in vista della vittoria e del successo. Forse i bambini sono buoni giocatori, perché giocando possono dimenticare in certo qual modo il tempo, perché si donano totalmente al presente e vivono il momento esente dal tempo. Forse nella nostra vita non c’è niente di così concreto ed intenso come il vivere il presente e stare nel presente. Allora si mostra chi sono i giocatori, se sono impetuosi o sventati, più pieni di cuore, più birichini, furbi o scaltri, chi indovina prima oppure è tardo a comprendere, chi imbroglia, chi si mette al coperto o gioca nascosto. Vengono alla luce. Si mostrano. Colui che alla fine perde non dev’essere umanamente e moralmente il perdente. Può giocare solo chi prende il significato della parola sul serio. Il giocare è fine a se stesso e non deve essere strumentalizzato dall’esterno, per esempio in modo commerciale. Ciò indica l’esistenza e l’essere una persona che am se stessa. è un modo dell’esistenza e, nello stesso tempo, della comprensione, dove la sensualità e la ragione si incrociano.

Il giocatore richiama l’attenzione sulla creazione e sull’uomo. Se la creazione di Dio può essere paragonata ad un gioco, allora vuol dire che non occorre ulteriore interpretazione o precisazione di senso. è Dio che ha dato le regole della vita, ma non ci sottrae il gioco e il gioco libero delle forze.

In tal senso mi chiedo se il carisma e la vocazione dei circensi e dei lunaparchisti, nonostante tutta la serietà della vita, non possa dare più spazio all’allegria e alla gioia nella Chiesa e nella nostra società ed essere vivi strumenti di speranza, che oggi sembrano essere esauriti e logori.

Allora la pastorale dei circensi e dei lunaparchisti non sarebbe solo un cammino con gli uomini che incontriamo e che salutiamo “in cammino”, ma pure un cammino nelle parrocchie, negli organismi ecclesiali e negli uffici ecclesiastici direttivi per preparare ed aprire un accesso al mondo al carisma dei circensi, dei lunaparchisti, ecc. (a mio parere, il parroco Ernst Heller indica uno spiccato carisma per ambedue le vie). Mi sembra importante metterlo in evidenza, perché si parla molto di crisi, di emergenze e problemi, della ricerca di Dio, del travaglio di Dio e dell’allontanamento religioso. Dimentichiamo facilmente di creare spazio e clima per la gioia, per la speranza e la fiducia in Dio che subentra per noi liberando, salvando e amando, laddove non possiamo più sopraggiungere per noi stessi e per il prossimo, per trovare gioia nella fede e da ultimo anche gioia in Dio.

4. Simbolo per gli “uomini in cammino”: Compagnia di viaggio

Comprendendo la pastorale dei circensi e dei lunaparchisti come “compagnia di viaggio” con persone che, per motivi professionali e di famiglia, sono mobili e, per così dire, sempre in viaggio, essa diventa simbolo e segnale della cosiddetta “società mobile”. Questa mobilità è altamente ambivalente. Da una parte è complessa e interessante, con cambiamenti e ritmi variabili, d’altra parte non ha patria e collegamento locale. Essi provano specificamente cosa significa la sfida e, in parte, la sorte dell’uomo odierno: viaggio, mobilità, essere in viaggio durante il tempo libero, essere pendolari, cambiamenti professionali, essere sottoposti per tutta la vita a formazione continua, varietà e fasi delle biografie individuali... Cosa risulta, nel campo dei lunaparchisti e dei circensi, cosa giova al benessere degli uomini e cosa costa loro al corpo ed all’anima e frena la loro vitalità?

Per finire una piccola indicazione: se la Chiesa non è, anzitutto, una casa di gloria di pietra o di organizzazione, ma in comunione con le persone nella vita e nella nostra società, è solidalmente “in cammino”, allora il modo di vivere dei circensi e dei lunaparchisti simboleggia il carattere presente della Chiesa che deve intendere se stessa come via e non come meta. La Chiesa è il popolo di Dio in cammino attraverso la storia, deve spesso disfare le sue tende e continuare la strada. Il suo “vivere nella tenda” significa essere in cammino. La vostra pastorale mi ricorda ciò che distingue profondamente la Chiesa: compagnia di viaggio con gli uomini a partire dalla buona novella che il Dio di Gesù ha, con il suo amore, sempre preceduto le nostre vie.

La vita con la sua serietà non viene proprio sottovalutata. Ma i cristiani si avvicinino alla realtà senza identificarsi e senza disperarsi. E sarebbe già cosa molto favorevole se, nonostante la serietà della vita, diventassero un po’ più raggianti.

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