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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move - N° 88-89, April - December 2002

Accogliere gli immigranti.
Un pericolo o un vantaggio per l'occidente?
Un dovere umanitario?
Un diritto dell'immigrato?*

S.E. Mons.Agostino MARCHETTO
Segretario del Pontificio Consiglio

[French summary, English summary]

Premessa

Ringrazio anzitutto per l’invito a parlarvi su un tema candente e aggiungo una premessa importante. Non ci occuperemo, questa sera, del diritto d’asilo per il quale l’Italia è l’unico Paese dell’Unione Europea a non avere ancora una legge organica. E la nuova normativa sull’immigrazione in esame alla Camera, non risolverà tale situazione. Il testo prevede, infatti, una semplificazione delle procedure per il riconoscimento del diritto d’asilo, ma rimanda l’adozione di una disciplina organica in materia all’approvazione delle procedure minime comuni a tutta l’Unione Europea, attualmente in discussione a Bruxelles. Ricordo a questo riguardo che il diritto d’asilo è un diritto umano fondamentale già sancito dalla Dichiarazione Universale.

E’ vero comunque che, oggi, i flussi migratori si mescolano con quelli dei rifugiati, o meglio dei richiedenti asilo, ed è questa la gravissima difficoltà che ci troviamo a fronteggiare.

Attualità del tema

Dopo la premessa ritorniamo più propriamente al titolo del mio intervento che ne scandisce in effetti le sue parti, richiamando l’attualità del tema, nell’odierno contesto politico europeo, con menzione di Michaïl Gorbačëv, in un suo articolo apparso su “La Stampa” del 3 Maggio.

Per l’Autore, in effetti, il III elemento (dopo il “fondamentalismo di mercato” e la paura di fronte alla minaccia del terrorismo internazionale) che agisce spingendo potentemente a destra gli elettori europei è rappresentato dai fenomeni migratori. “Lo 'scontro di civiltà' che avviene sotto gli occhi di milioni di elettori europei - afferma Gorbačëv – è alimentato anche dall’arrivo nei loro Paesi di migliaia e migliaia di immigranti, in maggioranza musulmani”.

Orbene - continua Gorbačëv - “alcuni Paesi europei hanno maggiori tradizioni e sono meglio preparati ad accogliere altre culture e modi di vita, in cambio di forza lavoro a costo minore, disponibile a funzioni che nessuno in Europa vuole più svolgere. Altri sono meno preparati. Ne conseguono reazioni xenofobe, la paura del contatto ravvicinato con altre usanze e religioni, il razzismo”.

Con questa introduzione d’attualità iniziamo ora la trattazione con un trinomio (primo punto del nostro procedere), cioè con la

1. Connessione diritto (dei migranti) - dovere (di chi accoglie) - diritto (dello Stato che riceve)

Mentre appare ormai ampiamente comprovato il fatto che i Paesi ricchi diventano sempre più ricchi e quelli poveri sempre più poveri, recentemente si è constatato, quale conseguenza, che molte persone dai Paesi poveri decidono (o sono obbligate) di trasferirsi in quelli ricchi. L'ONU, a questo riguardo, stima che nei prossimi cinquant'anni dovrebbero entrare in Europa almeno 160 milioni di immigrati, per mantenere i suoi equilibri interni demografici e occupazionali.

Ebbene, si tratta di una invasione dalla quale i ricchi sono chiamati a difendersi?

Oppure i poveri hanno il diritto, appunto perché poveri, affamati e ammalati, di entrare nella società del benessere?

Da parte nostra citeremo a risposta il Concilio Vaticano II, punto di sicuro riferimento in vasto pelago di opinioni, che ha elaborato importanti linee di pensiero e direttive circa la realtà migratoria. Esso invita i cristiani a conoscerla (GS, 63) e a rendersi conto dell’influsso che l’emigrazione ha sulla vita individuale. Sono ivi ribaditi il diritto all’emigrazione (GS, 65), la dignità del migrante (GS, 66), la necessità di superare le sperequazioni nello sviluppo economico e sociale (GS, 63) e di rispondere alle esigenze autentiche della persona (GS, 84). Vi è riconosciuto però, all’autorità civile, il diritto alla regolamentazione del flusso migratorio (GS, 87). Il popolo di Dio deve quindi sentirsi impegnato ad assicurare in tutto ciò il suo apporto generoso e i laici cristiani, soprattutto, sono chiamati ad allargare il loro impegno e la loro collaborazione nei settori più svariati della società (AA, 10), facendosi “prossimo” del migrante (GS, 27). Le Conferenze episcopali devono essere altresì sollecite al riguardo e ampliare la loro attenzione ai problemi non solo dei migranti economici, ma anche degli esuli, dei profughi, dei marittimi, degli addetti ai trasporti aerei, dei nomadi, dei turisti (Christus Dominus, 18).

Il Concilio ha segnato dunque un momento “magico” per la cura pastorale dei migranti e degli itineranti, soprattutto per la sua visione rinnovata, nella continuità, dei relativi problemi ecclesiali ed umani. Particolare importanza vi è data infatti alla strada che la Chiesa deve percorrere nella sua missione, camminando accanto ad ogni uomo, al significato della cattolicità intesa come “cittadinanza” che ogni fedele gode nella Chiesa e a quello delle Chiese particolari, nelle quali e dalle quali “sussiste” la Chiesa cattolica (LG, 3), al senso altresì della parrocchia, intesa più come comunità di persone che come pura territorialità, alla visione della Chiesa come mistero-comunione della presenza di Dio che ha posto la sua tenda fra gli uomini, per cui essa appare quale “popolo che deriva la sua unione dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (LG, 4).

D'altra parte, considerando la storia, si può notare che, nel suo corso, fenomeni migratori sempre ci furono, talvolta con effetti positivi, in altri casi traumatici.

Sembra assodato, comunque, che una accoglienza, graduale e ordinata nel tempo, fa progredire il senso umanitario generale e aumenta il potenziale produttivo in campo economico, con arricchimento anche degli scambi sociali. 

2. L'Europa potrebbe dunque trarre benefici dall'immigrazione?

L'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e la Commissione Europea lo affermano, per una migrazione “organizzata”. Molti Governi dell'Unione Europea sono però ancora timorosi dell'opinione pubblica che, secondo le statistiche, è ostile all'aumento del numero di immigrati.

«E' tutto in relazione a come si concepisce il problema – aggiunge qualcuno -. Dobbiamo convincere l'opinione pubblica che l'immigrazione è un vantaggio: se si concepiscono i migranti come utili fautori di un contributo all'economia del Paese che li ospita, allora saranno maggiormente accettati». 

Così dagli anni novanta, dopo politiche a «immigrazione zero», la Francia, l'Italia, la Grecia, il Portogallo e la Spagna hanno accordato permessi ad immigrati non documentati ed offerto a più di 1,2 milioni di persone una residenza legale.

In tale contesto ricordiamo che l'Unione Europea non potrà avere l’economia più competitiva del mondo, entro il 2010, come vorrebbe, se il suo tasso di natalità continuerà a scendere. In effetti la popolazione statunitense, dove gli immigrati rappresentano più del 10% della popolazione locale, aumenta annualmente di circa l'1%, contro soltanto lo 0.2% nell'Unione Europea.

In ogni caso molti immigrati non documentati finiscono per lavorare nelle economie sommerse europee, per un totale, stimato dalla Commissione, del 27.2 % del PIL in Italia, del 23 % in Spagna e del 14.7 % in Francia. 

Antonio Vitorino, Commissario Europeo agli Interni e alla Giustizia, crede peraltro che la lotta contro l'immigrazione clandestina sia intrinsecamente legata all'asilo ed alla immigrazione legale. «La realtà è che se non riusciamo a gestire le migrazioni, dobbiamo avere a che fare con quella clandestina, con il traffico di esseri umani ed il lavoro nero: sono queste le principali minacce alla stabilità dei nostri modelli di società democratiche» – egli ha dichiarato, or non è molto. 

La Commissione ha proposto così una triplice politica sull'asilo e sull'immigrazione, ridisegnando sistema di asilo, controlli più stretti ed immigrazione controllata. Essa avrebbe lo scopo di creare un generoso sistema di asilo per gli autentici rifugiati, con misure di controllo che comprendono una banca dati delle impronte digitali ed impediscono il «commercio dei permessi d'asilo», che vengono richiesti contemporaneamente in più Stati membri, reclamandosi così falsi diritti al rifugio. 

Per combattere l'immigrazione clandestina, la Commissione sta inoltre promuovendo controlli più severi alle frontiere, migliorando l'attuale sistema che regola i visti dell'Unione Europea. I Capi di Stato hanno dunque fissato il 2004 come scadenza ultima per l'attuazione di una politica comune di asilo e di immigrazione, ma le sensibilità nazionali, della Germania in particolare, potrebbero ritardare questo progetto.

In generale, comunque, le elezioni ed i partiti contrari alle immigrazioni di tutta Europa hanno guadagnato terreno in Austria, Italia e Danimarca, portando al potere governi di centro-destra. La Francia è ora anche nell’occhio di tale movimento. «E' possibile - pertanto - che le politiche nazionali rallentino il procedere delle cose, ma assistiamo ogni giorno a tragedie che manifestano l'esigenza di una politica comune», ha affermato, pure di recente, un diplomatico dell'Unione Europea, riferendosi alle centinaia di migranti e rifugiati che perdono la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa. 

La soluzione del problema si deve dunque formulare su base legale, tenendo in conto i diritti umani e la dimensione, i tempi e la regolazione degli afflussi. Comunque, anche se stipato nella stiva di una nave arrugginita, ogni migrante, pure senza documenti, è una persona umana e come tale ha il diritto di difendere la propria dignità e la propria storia, e di essere trattato di conseguenza.

Concludiamo perciò che la venuta regolata dei migranti non è un pericolo per i Paesi industrializzati, ma un vantaggio, che le persone hanno il diritto di emigrare -come si diceva prima- e che la loro accoglienza da parte nostra è un dovere umanitario, non solo, ma anche per noi un preciso dettato evangelico. Esso deve essere assunto dai credenti, singoli e in comunità, anche se si deve sempre passare, nella formulazione delle leggi al riguardo, attraverso la mediazione politica e legale, nel rispetto però dei diritti umani, lo ripetiamo.

La problematica qui soggiacente è vasta e le difficoltà non mancano, ma “le proporzioni che ha assunto il fenomeno migratorio, accanto all'emergenza di conflitti e divergenze a livello planetario, possono trasformarsi in grandi occasioni perché aiutano l'umanità a imparare qualcosa di nuovo, rappresentano un invito a fare un passo in avanti, ad abbandonare abitudini sclerotizzate e facili stereotipi per far posto a nuove esperienze, con rischio certamente, ma anche con un allargamento di orizzonti e un aumento di significati che possono costruire sempre di più il senso della solidarietà e della storia umana». (Card. Martini, «Integrazione e integralismi. La via del dialogo è possibile?», da «L'emigrato», gennaio-febbraio 2001).

Senza nasconderci dunque gli aspetti problematici che l'emigrazione porta con sé, ma sgomberando il campo da alcuni equivoci e pregiudizi, resta infine, su questo punto, una domanda molto concreta: una persona umana in stato di bisogno ha il diritto di essere accolta? Il fatto che abbia un evidente bisogno di aiuto, le dà il diritto di essere oggetto di attenzione?

Si afferma che la libertà è agire senza nuocere agli altri. Ma il non risolvere la situazione disumana dell'altro non è già un nuocergli? Come sempre, la cosa più difficile è conoscere l'altro per quello che è, sentire il dovere di “vedere” la sua fatica e liberarci, noi, da quelle barriere e dai pregiudizi che deformano e fanno considerare gli altri diversi da come sono in realtà.

E se facciamo attenzione alla vita di coloro che vengono a casa nostra, avremmo modo di “vedere” che nei loro Paesi si muore di fame, mentre da noi molti si ammalano per ipernutrizione; da loro il denaro sta spesso tutto in un portamonete, mentre noi, molti di noi, col nostro denaro, riempiamo le casse di una infinità di banche; da loro poi sovente non c’è libertà, mentre da noi se ne abusa.

3. Connessione minaccia (dei migranti) - paura (di chi accoglie

a. Minaccia e paura per motivi socio-economici 

Il 34.mo Rapporto Censis, sulla situazione sociale in Italia, presenta questo Paese in bilico tra emozioni e ansie, desideri e paure, come quella, prevalente, della criminalità, e ciò porta a temere «l'altro», l'immigrato: per oltre l'ottanta per cento degli italiani nel Paese ci sono troppi stranieri e quasi il 75% ritiene che ci sia un legame tra immigrazione e criminalità. «La globalizzazione fa sentire più vulnerabili», afferma il Rapporto. Per questo l'aumento degli immigrati (che peraltro non supera il 2,2% - il 3% per alcuni - della popolazione) viene vissuto come un problema dal 31,2% degli italiani.» Il 76,9% è convinto che nell'ultimo anno i reati siano aumentati; in realtà quelli denunciati sono calati del 2,2%.» Per l’80,4% degli intervistati gli stranieri sono troppi; per l'88,1% il Governo dovrebbe limitarne i flussi. Ma il 62% esclude che tolgano lavoro ai connazionali, anzi il 73,4% ritiene che facciano i mestieri più scomodi.

Vi sono, in merito, - è evidente - alcune paure provocate da luoghi comuni e affermazioni, più o meno diffusi nell'opinione pubblica, che è necessario verificare nella realtà dei dati.

Esaminiamo alcune di tali affermazioni.

- L'immigrazione provoca sempre l'aumento del numero dei reati nel Paese di arrivo.

Mi pare ovvio. Il fatto che si aggiunga una popolazione di immigrati, per pochi che siano, a una popolazione esistente, comporta una serie di aumenti di reati (come del resto cresce la domanda di cibo, abitazione, ecc.). Eppure, normalmente, anche questa proposizione provoca paura e può diventare addirittura oggetto di contesa politica, nonostante sia assolutamente ovvia.

- Il forte aumento di criminalità nell'ultimo decennio è stato provocato dagli immigrati.

Per strano che possa sembrare, nell'ultimo decennio, in Italia non c'è stato un forte aumento della criminalità, ma addirittura una stasi nel numero dei reati che invece erano cresciuti, di molto, nei due decenni precedenti, come del resto è avvenuto in tutti i Paesi occidentali.

- Oggi in Italia gli immigrati extracomunitari commettono alcuni reati più spesso dei cittadini italiani a parità di sesso e di età.

Se con questa affermazione si intende parlare dei cosiddetti reati di «microcriminalità» (furti, violenze sessuali, traffico di droga) l'affermazione è purtroppo vera: complessivamente gli immigrati extracomunitari commettono più reati, tra quelli appena ricordati, dei cittadini italiani.

- In tutti i Paesi occidentali gli immigrati hanno sempre commesso reati di microcriminalità più frequentemente degli autoctoni.

Quel «sempre» non corrisponde alla verità. Quello che avviene oggi non capitava un tempo in Italia, dove non c'erano immigrati, ma neanche in Paesi, da sempre, di forte immigrazione, come gli Stati Uniti.

b. Minaccia e paura per motivi religiosi

Ma la paura degli occidentali in genere (dei cristiani europei in specie) è legata principalmente al fatto che molti immigrati in Europa sono islamici, il che fa temere una subdola invasione della cultura e della religione che si rifà a Mohammed.

Le complicazioni della storia recente (non ultima quella dovuta all’attentato, terribile, dell'11 settembre) hanno acuito, certo, in molti la percezione di una opposizione quasi radicale e di una frattura direi insanabile tra mondo occidentale (mondo cosiddetto cristiano) e islamico. Ma le radici del conflitto - sappiamo - stanno lontano.

Tenuto conto che esso, da sempre, maschera spesso contenuti e motivi di altra natura (economica e politica), oggi sembra più che mai necessario cercare, invece, con gli islamici un dialogo, un confronto sereno, lucido e pacato, puntando, peraltro, sul principio della reciprocità. E' vero, comunque, che alcuni Paesi mostrano di sostenere (grazie alle risorse derivanti specialmente dal petrolio) movimenti integralisti, che giungono a forme di terrorismo contro il mondo occidentale, motivato da fanatiche considerazioni, nelle quali si mescolano citazioni del Corano ed espressioni di vendetta per i «soprusi subiti dagli sfruttatori dell'occidente», oltre alla volontà di ripulire «la corrotta civiltà consumistica dell'Europa e degli Stati Uniti», come ripetutamente ha affermato Ben Laden.

Ma se, da parte nostra, commettiamo l'errore di considerare l'integralismo come espressione unica dell'Islam, non faremo che rinforzare proprio gli integralisti che vogliono, per l'appunto, non apparire frangia isolata, ma essere, invece, “coscienza” di tutto il mondo musulmano. Esso, al contrario si presenta come un arcipelago di mentalità e convinzioni tra loro, a volte, molto diverse.

E' anche vero, però, che nell'islam v’è un nucleo di religiosità «dogmatica». Il sistema teocratico che lo caratterizza deve, però, non farci dimenticare situazioni analoghe vissute in passato. Se da un lato, dunque, fa paura il musulmano «ipnotizzato» da un tipo di religione che propone come «credere, obbedire e combattere» (… e morire: vedi i recenti atti di terrorismo dei “martiri” islamici), va anche detto che vi sono musulmani usciti da tale «gabbia» e da questo limite, pur rimanendo musulmani. Perché non sperare dunque in una evoluzione simile a quella che ha portato i Paesi occidentali all'attuale tolleranza e “moderazione”? Anche per essere vissuto qualche anno nel Maghreb ho peraltro ben presente tutta la problematicità della cosa.

Per un cristiano, tuttavia, la dimensione di fede porta ad uno atteggiamento specifico. Se consideriamo, di conseguenza, l'umanità come famiglia di Dio, allora l'imperativo che ci viene dal Vangelo è almeno quello di trattare gli altri come vogliamo che gli altri trattino noi.

La Chiesa poi è cattolica anche perché va verso ogni uomo e donna, a curare, come buon samaritano, le ferite di ciascuno. La Chiesa cattolica si propone altresì di incontrare tutti e ognuno senza distinzioni o preferenze: «Nella Chiesa nessuno è straniero» (Paolo VI). Pertanto, di fronte all'immigrazione e alle altre religioni, tutti noi abbiamo una straordinaria occasione di incontrare gli altri, di offrire a tutti il nostro amore e servizio e testimoniare così il Vangelo nel rispetto della libertà, in una missione che ha portato ormai fin qui, in Europa, le sue tende, proprio a causa delle migrazioni. L’evangelizzazione dei lontani, fatti vicini, batte alla porta della nostra mente e del nostro cuore.

4. Per una accoglienza umana e cristiana

Ricevere gli immigranti, dunque, è risposta a un diritto da parte loro, con dovere da parte nostra, in mediazione politico-legale (con regolamento statale dei flussi), nel rispetto dei diritti umani, ma è soprattutto, la nostra risposta, una cartina di tornasole della coscienza e responsabilità cristiana. «Il principio fondamentale per accostare il problema dell'accoglienza degli stranieri - afferma il Card. Martini -, è un'apertura dello spirito a cogliere, nel particolare evento epocale, una circostanza provvidenziale, un invito ad un mondo più fraterno e solidale, ad una integrazione che sia segno della presenza di Dio tra gli uomini (…). L'annuncio evangelico chiede di rompere ogni complicità con atteggiamenti razzistici e di fare nostra l'utopia di una fraternità universale (…). La presenza degli stranieri nelle nostre città è, dunque, un prezioso segno dei tempi, che sveglia le nostre coscienze (…), non deve essere vista perciò come fenomeno fastidioso, inopportuno o come minaccia per il futuro; al contrario, questa presenza è una 'chance' per rinnovare la nostra cultura e la nostra fede» (cit. da «Nuovi Orizzonti Europa”, gen.-feb. 2002).

L'Europa di oggi, senza negare le sue radici cristiane che dovrebbero avere un riverbero anche nei futuri testi istituzionali europei, si presenta già come un continente multietnico, multiculturale e multireligioso. Siamo confrontati infatti con l'intensificarsi dei flussi migratori di minoranze etniche sempre più differenziate, la presenza massiccia di migrazioni non cattoliche e non cristiane, l'esigenza della difesa dei diritti umani e anche religiosi, dei migranti, quelli legittimi, la promozione di un dialogo complesso e difficile, con mediazione culturale e politico-legislativa.

Le migrazioni spingono così a domandarci quale tipo di società stiamo costruendo o vogliamo costruire e, nello stesso tempo, chiedono che si progetti una società nella quale si allarghino gli spazi di appartenenza e di partecipazione e si restringano quelli di emarginazione e di esclusione.

L'obiettivo di fondo e la sfida, per i Paesi occidentali, sono dunque la costruzione di una «società integrata». Questo richiede non tanto la difesa di culture e religioni contrapposte, quanto piuttosto l’impegno per l'incontro delle culture e il dialogo interreligioso per favorirne, nel rispetto di ciascuno, la relazione, lo scambio, il rapporto, nella pace e nella giustizia.

Per la stessa Chiesa in Europa le migrazioni diventano così il terreno quotidiano dove verificare le sue capacità di dialogo (non solo interreligioso). E’ questa inoltre la realtà su cui basare una educazione capace di trasformare la coabitazione sul medesimo territorio in luogo di tolleranza, di convivialità e di solidarietà cristiana. La Chiesa partecipa così, con attenzione e sollecitudine, all'allargamento della comunità internazionale nelle sue varie forme, mentre vi intravvede la propria tensione a creare unità nel genere umano, in giustizia e carità, una famiglia di Nazioni e di popoli, la famiglia umana.

La Chiesa intende abbracciare il mondo intero nel desiderio e nella disponibilità all'accoglienza, ricordando che è proprio un valore della tradizione cristiana accogliere il pellegrino, difendere l'ospite, sostenere la persona che ha bisogno. Diversamente trasgrediremmo il comando stesso di Dio: «Amate dunque il forestiero, poiché anche voi siete stati stranieri nel Paese d'Egitto» (Dt. 10,19). E quanti furono gli italiani che migrarono nel corso dei cinquant’anni a cavallo del secolo XIX-XX? Si calcola che il 25% della popolazione in quel periodo prese il cammino delle Americhe. L’Italia ha quindi vissuto in carne propria il fenomeno dell’emigrazione, sanguinandone. Le odierne migrazioni spingono dunque la Chiesa e i cristiani verso una visione e un impegno sempre più universali. Essa deve, in ogni tempo e luogo, accettare in effetti il giusto pluralismo, - voluto da Dio stesso, creatore di tutti gli uomini e di tutte le razze umane - allargando l'ambito della sua presenza fino ai confini della terra, per portare il messaggio di liberazione e di grazia dell'amore fraterno, riflesso dell'Amore infinito ed eterno di Dio.

Conclusione

Siamo convinti che le riflessioni “Incontri sull’etica” che, stasera, abbiamo iniziato, costituirà un valido contributo a una più attenta valutazione di fatti e di idee, nella ricerca della verità. E la verità ci farà liberi e la libertà ci renderà anche rispettosi gli uni degli altri, pronti a incarnare la solidarietà e l’amore cristiano per una convivenza pacifica di tutte le razze, culture e religioni nella nostra società in movimento. Sempre con gli occhi e con il cuore aperti, dunque. E’ il mio augurio.

Note: 
*Intervento pronunciato venerdì 10 maggio 2002 nell’ambito degli “Incontri sull’etica: immigrazione oggi, problemi etici connessi” organizzati dalla Caritas della Comunità di Sant’Anna in Vaticano, presso la Sala del Buon Consiglio, Via del Pellegrino, Città del Vaticano.

Accueillir les émigrés. Un danger ou un avantage pour l'Occident ? Un devoir humanitaire ? Un droit de l'émigré ?

Résumé

L'article reprend une intervention prononcée dans le contexte des « Rencontres sur l'éthique : immigration aujourd'hui et les problèmes éthiques connexes », organisée par la Caritas de la communauté de Sainte-Anne au Vatican, le 10 mai 2002.

Une affirmation de Gorbachov, selon laquelle en Europe il y aurait une « rencontre de civilisations », alimentée aussi par la présence de milliers d'immigrés, en majorité musulmans, fournit au conférencier le cadre dans lequel analyser la connexion entre le droit (des migrants), le devoir (de ceux qui les accueillent) et le droit (du Pays qui reçoit) d’en régler les flux. La vague migratoire en Europe n'est pas comme une invasion dont les riches sont appelés à se défendre, même avec le droit des pauvres de faire partie de la «société du bien-être». L’histoire et notre expérience nous assurent qu’un accueil graduel et ordonné dans le temps, fait progresser le sens humanitaire générale, outre qu’il augmente aussi le potentiel productif dans le domaine économique, avec un enrichissement consécutif au niveau des échanges sociaux. Le flux contrôlé des migrants n'est donc pas un danger pour les pays industrialisés, mais un réel avantage. Les personnes ont le droit d'émigrer et leur accueil de notre part n'est pas seulement un devoir humanitaire, mais aussi, pour les chrétiens, un commandement évangélique précis.

Une seconde connexion est à souligner : celle entre la menace (des migrants) et la peur (de ceux qui accueillent), menace et peur causées par des motifs autant économiques et sociaux que religieux. Ils sont la source de toute une série de préjugés envers les migrants eux-mêmes. 

Le principe fondamental pour approcher le problème de l’accueil des étrangers -- conclut le conférencier en citant le Cardinal Martini – c’est une ouverture de l'esprit d’accueil, dans un événement moderne particulier, une circonstance providentielle, une invitation à un monde plus fraternel et solidaire, et à une intégration qui soit signe de la présence de Dieu parmi les hommes.


Welcoming immigrants. A danger or an advantage for the West? A humanitarian duty? A right of the immigrant?

Summary

The article reports a talk given in the context of the “Meeting on Ethics: Immigration Today and Related Ethical Problems”, organized by Caritas of the Sant’Anna Community, in the Vatican, on 10 May 2002.

Gorbačëv affirmed that in Europe, a “clash of civilizations” is taking place, supported also by the presence of thousands of immigrants, who are Muslim by majority. This was the author’s basis for analyzing the relation between the rights of migrants, the duties of those who receive them and the right of the receiving State to regulate migration flows. Thus, the migration wave in Europe is not an invasion against which the rich are to defend themselves, but a right of the poor to form part of the “society of wellbeing”. History and our experience assure us that a gradual and orderly welcome through time would make the humanitarian sense grow, aside from making the productive potential in the economic field increase, and consequently enriching social exchange. The regulated flow of migrants, therefore, is not at all a danger for industrialized countries, but a real advantage. People have the right to emigrate and welcoming them, on our part, is not only a humanitarian duty, but also, for Christians, a precise evangelical prescription.

A second relationship needs to be underlined: that between threat (to migrants) and fear (of those who receive them), threat and fear caused both by socio-economic as well as religious reasons. These cause a whole series of prejudices towards migrants themselves.

The fundamental principle in facing the problem of welcoming foreigners – concludes the author, citing Cardinal Martini, - is opening the spirit towards seeing, in the special epochal event, a providential occasion, an invitation to a more fraternal world in solidarity and to an integration that is a sign of the presence of God among men.

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