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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move - N° 88-89, April - December 2002

In occasione della Processione Marittima
 a Genova*

S. E. Mons.Agostino MARCHETTO
Segretario del Pontificio Consiglio

Questa nostra processione navale, nelle acque del porto, conclude la giornata di festa in onore di S. Francesco da Paola, il Penitente, (ricordiamo il suo voto di vita quaresimale perfetta) il Dominatore del mare, e per questo “Maritimae gentis Patronus” – come lo dichiarò Papa Pio XII – perché intercede presso Dio, prega Maria e Gesù bambino per Genova e le navi e la gente di mare.

In questa chiusura di giornata, quando il sole sta calando e una certa dolcezza, o malinconia – se vogliamo -, o pace serotina, ci invade lo spirito, vorrei richiamare a Voi e a me un aspetto non sempre posto in rilievo nella personalità del Vostro Santo Patrono, e cioè la sua tenerezza evangelica, che sembra contrastare – ma così non è – con l’asprezza delle sue penitenze.

Nel Taumaturgo, infatti, il Viandante di Dio sulla terra bruciata dalla violenza dei potenti, nel Difensore dei deboli che si oppone ai potenti, risplende una profonda tenerezza evangelica, una presenza caritativa straordinaria.

Di fatto, nelle testimonianze raccolte per i processi della sua canonizzazione, quello Cosentino e quello Turonense, le testimonianze mettono in rilievo chiaramente la sua accoglienza fatta di attenzione evangelica, la sua tenerezza verso gli smarriti, gli ammalati, i colpiti dalle varie sofferenze, l’ascolto piangente di coloro che gli chiedono di guarire le ferite del corpo.

Per lui vale l’austerità, la preghiera silenziosa nelle cellule della penitenza, preghiera ma non solitudine e lontananza dai fratelli e dalle sorelle nel dolore.

Donna Mergherita Tudesca, teste 46 del Processo Cosentino, è disperata per la sua bambina di tre mesi. Molti medici non riescono a guarire “la sua bozza molto grossa al collo”. Francesco ne è profondamente commosso quando la vede. Dà alla madre alcune medicine di erbe, e le insegna come porle sulla parte malata. E questa fu la conclusione: “nella notte seguente la bimba si trovò sana e pulita come se non avesse avuto mai alcun male”.

Francesco è un perfetto discepolo di Cristo: preghiera e umanità, meditazione silenziosa e dialogo con gli ultimi di Dio, penitenza personale e tenerezza con chi soffre, sia nella sua Calabria sia in Francia alla corte di Luigi XI, facendo riconciliare il re con il Dio dell’amore.

In Calabria le sue braccia si aprono all’abbraccio dei corpi malati, anche ai lebbrosi. Uno di essi, - afferma il teste 47 del Processo Cosentino – è accolto nel Convento di Francesco, con carità e tenerezza che si trasformano in guarigione perfetta: “fu guarito perfettamente, - dice il teste – e non si vide mai più detto male, restando pulito come un cristallo”.

E la tenerezza caritativa del frate si espande anche su un ragazzo, che si presenta piangente a lui, perché sua mamma è in fin di vita per un parto difficile. “Padre – dice – mia madre non può partorire, è quasi morta”. Francesco da Paola, commosso, risponde: “Non piangere, per carità, va perché tua madre ha partorito una figliola ed è fuori di ogni doglia e pericolo” (teste n. 11). E il pianto diventa gioia.

Abbiamo menzionato tre testimonianze, tre segni di Dio, della tenerezza del Padre celeste per noi, attraverso la tenerezza di un Santo.

In un mondo violento come il nostro, in guerra in tanti scacchieri internazionali, in una società violenta, nei nostri indurimenti e durezze, ecco il richiamo oggi di S. Francesco: “Siate miei imitatori, come io lo sono di Cristo”, espressione di paolina memoria.

Dobbiamo mettere nel mondo, fratelli e sorelle, un po’ di dolcezza, di pietà e di tenerezza. Non dobbiamo far soffrire gli altri perché noi soffriamo. Siamo pazienti, accogliamo, aiutiamo e curiamo quanti sono abbandonati, vecchi o giovani, poveri o ricchi, ammalati terminali e handicappati, lebbrosi delle moderne lebbre quali sono gli affetti da AIDS o droga, siamo difensori della vita dal seno materno fino alla morte naturale! La dignità dell’uomo è quasi in gioco. Combattiamone la buona battaglia.

In questo atteggiamento di tenerezza e carità, nell’esercizio delle opere di misericordia corporali e spirituali, - che il buon Papa Giovanni volle rimettere in onore – siamo confermati dalla nostra processione, dal nostro procedere insieme, in questo mare e in quello della vita.

Abbiamo fatto un’unità di movimento, con le nostre barche, andando accompagnati (processione abbiamo detto) dall’immagine di S. Francesco e dalle reliquie di lui. Sono segni, mezzi, resti umani, che indicano la presenza spirituale del Santo nel nostro andare quotidiano, nello scorrere dell’elemento fluido del tempo. Siamo anche noi povere barchette, che filano sulle onde.

Procediamo insieme, dunque, protetti da una presenza amica. I Santi sono infatti amici di Dio e nostri e per questo ci soccorrono, pregando Iddio per noi in nostro favore.

E questo atteggiamento di protezione del Santo sarà espresso in fine con la Benedizione della città e del Porto.

La benedizione di Dio sarà invocata su di Voi, in forma di croce, che è il sigillo di ogni santità, nell’unità del mistero pasquale vissuto da Cristo per la salute, la salvezza nostra e del mondo intero. Benedire significa dire il bene, augurare il bene, che con sé porta il giusto, il vero, l’amore, l’unità, il bello.

Questi “trascendentali” – come si dice filosoficamente -, in Cristo, a voi li desidero, invocandoli da Dio Padre, Figlio e Spirito Santo su tutti e ciascuno, per l’intercessione di S. Francesco da Paola.

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