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Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move - N° 90,  December 2002, p. 195-198.

Le nuove sfide del pellegrinaggio postgiubilare.

Una pastorale “pellegrinante” per una Chiesa missionaria*

 

S. E. Mons. Agostino MARCHETTO,

Segretario del Pontificio Consiglio

della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti

Stimati fratelli nel sacerdozio, cari fratelli e sorelle.

Per una felice circostanza, la liturgia odierna ci offre molteplici motivi per prolungare le riflessioni di questo vostro incontro sulle nuove sfide del pellegrinaggio postgiubilare alla luce della Parola di Dio e per trasformarle nella grande preghiera di Cristo e della Chiesa, qualÂ’è la nostra Messa.

La memoria liturgica della Presentazione della Santissima Vergine è infatti intimamente unita alla storia del pellegrinaggio. In effetti sembra che la sua origine risalga alla dedicazione di una chiesa a Gerusalemme, costruita precisamente nel luogo che fu scenario della storia che la riguarda, narrata anche dai Vangeli apocrifi. Ciò accadeva verso la metà del sesto secolo, quando la straordinaria affluenza di pellegrini a Gerusalemme stava per completare la geografia spirituale e materiale della Palestina, creando quella che chiamiamo Terra Santa. Il pellegrino percorreva cioè quei luoghi, cercando con lo sguardo contemplativo ciò che amava già in cuore. A questa ansia religiosa rispose il gesto dellÂ’imperatore Giustiniano I, che fece costruire una chiesa in memoria dellÂ’evento. E così qualche secolo dopo, in Occidente, un calendario liturgico ricordava quella “oblatio sanctae Mariae in templo cum esset trium annorum”.

“Oblatio sanctae Mariae”. In queste parole si riassume non tanto un semplice fatto della biografia della Madre del Signore, ma il senso profondo di tutta la sua vita, la dimensione teologica del suo gesto fontale: “Eccomi, sono la serva del Signore” (Lc 1,38), aveva esclamato, infatti, la Santissima Vergine.

La festività della Presentazione di Maria, ha avuto, però, una storia diremmo movimentata, lo riconosciamo. Alcune riforme liturgiche ne sospesero, infatti, la commemorazione, ma poco dopo essa veniva nuovamente introdotta nel calendario. Questi alti e bassi aiutarono ad approfondire però il significato della festa liturgica e, oltre lÂ’immagine, cara alla pietà popolare, della Vergine bambina che sale la scalinata del tempio, venne sottolineata la dedizione totale nella fede di Maria. Era la dedizione, dedicazione, salutata dalle parole dellÂ’angelo: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te” (Lc 1,28), che lasciava passo al compimento della promessa da parte di Dio: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dellÂ’Altissimo” (Lc 1,35).

La pagina del Vangelo che abbiamo ascoltato ci sostiene, dunque, fratelli e sorelle, anche in questa odierna contemplazione della dedizione di Maria. Il contrasto fra Lei, la Figlia di Sion, tipica, visitata dallo Spirito Santo, e Gerusalemme, antitipo, in questo caso, che rifiuta Gesù, è perciò altamente istruttivo. Da una parte vÂ’è la dedizione fiduciosa e totale, dallÂ’altra lÂ’ostinazione orgogliosa nelle proprie certezze, nelle proprie mura, quelle di uno spirito che non è nella linea dei Profeti che annunciano il Messia.

A tale riguardo, il Concilio Vaticano II si è riferito espressamente alla dedizione, dedicazione, di Maria, la Quale “abbracciando la volontà divina di salvezza, con tutto il cuore e senza impedimento di alcun peccato, si è dedicata totalmente, quale serva del Signore, alla persona e allÂ’opera del suo Figlio, mettendosi al servizio del mistero della redenzione, sotto di lui e con lui, per la grazia di Dio onnipotente” (Lumen gentium, 56). In questo modo - come ricorda ancora il Concilio -, prendendo lo spunto da SantÂ’Ireneo, Maria è la nuova Eva. Sono proprio due lignaggi che dividono lÂ’umanità in una stessa storia umana la quale tanto spesso rifiuta di fare posto a Dio, di accoglierlo veramente come guida e salvatore, Lui che nulla toglie allÂ’uomo di tutto ciò che è degno, giusto, buono e umano.

La successione cronologica indicata dallÂ’Evangelista (le parole di Gesù  seguono alle acclamazioni della sua entrata a Gerusalemme) ci spinge proprio a pensare a questa storia dellÂ’umanità, alla lotta tra il bene e il male. Quel giorno, quanti lo acclamavano si trovavano spalla a spalla con coloro che lo respingevano. VÂ’era chi vedeva compiersi lì la speranza di Israele, e chi si chiudeva nella durezza del proprio cuore. Come aveva predetto il vecchio Simeone, si tratta dellÂ’attimo in cui vengono “svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2,35).

Ancora oggi, fratelli e sorelle, coloro che sono in pellegrinaggio per infine incontrare Gesù, si trovano, sulle vie del mondo, con quanti non vogliono invece accettare “la via della pace”. E ciò accade proprio oggi, in modo molto concreto e lancinante, nei luoghi stessi della Terra di Gesù. Certamente Egli poi non stava parlando solo della “sua” Gerusalemme, non piangeva soltanto per quella città geograficamente intesa. Il suo dolore e la sua esortazione attraversano, infatti, tutta la storia umana: allora come oggi il ricordo e il desiderio della pace si scontrano con la violenza, la distruzione e si traducono in miseria visibile agli occhi di tutti, per ausilio dei moderni mezzi di comunicazione sociale.

Simile, dÂ’altro canto, è la storia contenuta nel libro “scritto sul lato interno e su quello esterno” (Ap 5,1) che lÂ’Apocalisse di Giovanni ci ha presentato nella Liturgia della Parola. Sigillo dopo sigillo, ci verrà rivelato quanto terribili siano le conseguenze della trascuratezza per quanto riguarda la pace, dellÂ’oblio del Dio della Rivelazione. A causa di ciò, soffrono violenza uomini e donne (cf Ap 6,4), i credenti sono perseguitati (cf Ap 6,9) e la desolazione ferisce a morte la natura (cf Ap 6,12). Malgrado tutto questo, lÂ’Apocalisse ci insegna però che la storia intera è contenuta in un libro il cui principio e la cui fine sono suggellati dalla “vittoria dellÂ’Agnello”, con epilogo in una Gerusalemme nuova, “la dimora di Dio con gli uomini”, quando Dio sarà tutto in tutti “e tergerà ogni lacrima dai loro occhi” (cf Ap 21,3-4). Allora, in pienezza e per sempre, potremo cantare “Benedetto il Signore Dio dÂ’Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo” (Lc 1,68).

Mentre percorriamo da pellegrini questa storia, che, nonostante tutte le contraddizioni, diventa storia di salvezza, facciamo memoria dunque della visita del Signore al Suo Popolo. La rendiamo attuale, questa visita, nellÂ’Eucaristia e la riviviamo altresì nei nostri Santuari, meta di tanti buoni pellegrinaggi. E nei Santuari, noi stessi, che dovremmo essere visitatori visitati, ci disponiamo allÂ’ascolto per comprendere il cammino della nostra pace e lasciarci condurre dal Signore.

Oggi, dunque, non siamo qui riuniti come semplici pellegrini, poiché insieme riflettiamo per rinnovare il nostro impegno di servitori dei pellegrini, di responsabili pastorali dei pellegrinaggi che le comunità cristiane intraprendono. Sappiamo così che, allÂ’inizio di questo terzo millennio, dobbiamo confrontarci con nuovi condizionamenti e circostanze, nuove espressioni di fede e sfide. Dovremo quindi scoprire anche metodi rinnovati per rendere efficace in permanenza e allÂ’alba di tempi nuovi il nostro servizio.

La Parola di Dio che abbiamo ascoltato, senza dubbio, ci ricorda che i pellegrini sono tutti partecipanti alla medesima storia, quella in cui si scrive coniugando insieme la visita di Dio e la laboriosa decisione dellÂ’uomo di rispondervi generosamente. Le nuove circostanze dei pellegrinaggi oggi non dovrebbero quindi nascondere il significato fondamentale di essi: vale a dire lÂ’appello a ciascun pellegrino a sentirsi protagonista di questa storia, affinché egli accolga la chiamata del Vangelo di Gesù Cristo benedetto e si affidi totalmente al Signore per compiere la sua volontà.

“Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia” è il programma che la Conferenza Episcopale Italiana intende realizzare nei prossimi anni. Per rispondervi missionariamente, in tempo di cambiamenti rapidissimi, è necessario altresì un profondo rinnovamento, pur nella continuità (come avvenne nel Concilio Vaticano II), occorre cioè una riflessione molto attenta e una comprensione esigente del cammino della pace nel suo senso pieno. Anche nel pellegrinaggio molte cose stanno mutando, dunque dobbiamo cambiare. Mutano i luoghi visitati, cambia forse lo sguardo dei pellegrini, e perciò deve trasformarsi, altresì lÂ’amore nei loro cuori e diventare più sincero, più pacifico, più profondo e generoso. Questo secolo sarà spirituale e religioso o non sarà. Tale è il compito, arduo e gioioso, al quale siamo chiamati e per il quale dobbiamo prepararci con convinzione di fede e metodi rinnovati.

Nella “offerta” di Maria, la Figlia di Sion per eccellenza, ci è dato lÂ’esempio da seguire anche per la nostra bella missione pastorale. Possa Ella assistere maternamente il vostro lavoro di questi giorni e proteggere tutta intera lÂ’attività pastorale al servizio dei pellegrinaggi, dei pellegrini alla ricerca dellÂ’Assoluto, nel duro e contingente loro e nostro quotidiano.
 
* Omelia pronunciata il 21 Novembre 2002 in occasione del Convegno Nazionale, Roma (Domus Mariae), organizzato dallÂ’Ufficio Nazionale dÂ’Italia per la Pastorale del Tempo Libero, Turismo e Sport.
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