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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 96, December 2004

 

L'INTEGRAZIONE INTERCULTURALE NELLA

ERGA MIGRANTES CARITAS CHRISTI

 

Intervento dell'Arcivescovo Agostino MARCHETTO

Segretario del Pontificio Consiglio 

della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti

 

Nell'Istruzione Erga migrantes caritas Christi, (citata nel Messaggio Pontificio in parola, al n. 1) con richiamo a vari passi dell'Istruzione, sono numerosi i punti che si riferiscono a tale concetto, implicitamente o esplicitamente. Se, inoltre, lo inseriamo nel contesto teologico e pastorale dell'Istruzione, lo vediamo tradotto e trasferito in molti termini, analoghi o speculari, quali universalismo, pluralismo culturale, comunione, ecc. In questo senso si può giungere ad affermare che il concetto di interculturalità non solo pervade tutta l'Istruzione, ma ne forma una delle strutture portanti.

L'attuale fenomeno migratorio, che è entrato, in questi ultimi tempi così prepotente-mente nelle nostre comunità, richiede dunque non solo di essere "riconosciuto" ma ci impone, in effetti, precisi impegni di discernimento e di educazione. Se è vero, come ha ricordato Giovanni Paolo II, che "nella Chiesa nessuno è straniero e la Chiesa non è straniera a nessun uomo e a nessun luogo", diventa perciò indispensabile avviare percorsi di fraternità ecclesiale che riconoscano il valore dei non autoctoni, i quali fanno parte stabilmente, ormai, delle nostre comunità (cfr. Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 1996, N. 5).

Sono vari comunque i percorsi che si potrebbero così esaminare, ma qui desideriamo solo fare anzitutto cenno ai riferimenti dell'Istruzione all'interculturalità in relazione alle diverse etnie. Questo tema, infatti, costituisce la parte centrale della Erga migrantes caritas Chisti, se intendiamo considerare tale processo come l'inserzione del Vangelo in un concreto "spazio" culturale, così da aprirne le espressioni di vita a nuovi orizzonti e da permettere alla fede di svilupparsi secondo le risorse e il genio proprio dei migranti, che appartengono a una determinata cultura. La fede non è certo solo cultura, ma storia e vita. Questa stessa fede, tuttavia, non può esistere che inculturata, espressa cioè nelle forme proprie di una cultura.

L'unità e la pluralità delle culture dicono entrambe che essa appartiene al concreto esistere umano. La loro dignità scaturisce da quella delle persone, mentre la loro multiformità è condizione per il dialogo tra linguaggi culturali diversi. In questo contesto, la scoperta dell'altro, diverso da noi, è la scoperta di una alterità che deve rimanere se stessa senza assimilazione con nessun'altra cultura.

Queste affermazioni fanno da supporto ad alcune importanti acquisizioni - diciamo così - della Istruzione, quando vi si parla, ad esempio, della struttura pasquale e pentecostale del vangelo dell'amore. E' infatti lo Spirito che raduna la Chiesa di Dio collocandola nel mistero della riconciliazione universale operata da Gesù. "Le peculiarità dei migranti - recita la Erga migrantes caritas Christi - diventano richiamo alla fraternità pentecostale, dove le differenze sono armonizzate dallo Spirito e la carità si fa autentica nella accettazione dell'altro. La vicenda migratoria può essere l'annuncio, quindi, del mistero pasquale, per il quale morte e resurrezione tendono alla creazione dell'umanità nuova nella quale non vi è più né schiavo né straniero (cfr. Gal. 3,28)" (n. 18).

In questa prospettiva, le diversità culturali odierne rappresentano una sfida senza precedenti, un kairòs che interpella tutto il popolo di Dio. La stessa dinamica dei rapporti tra Chiesa universale e Chiese particolari, non può certo essere indifferente a queste "logiche" culturali, anzi essa rivive nel suo seno, per contraccolpo, le contrapposizioni che esistono tra culture e nazioni diverse.

Un cenno particolare merita il riferimento dell'Istruzione alle Parrocchie interculturali, di cui potremmo vedere un implicito cenno nel CIC, al canone 517, §1. Si tratta di promuovere una Chiesa che sappia essere spazio affinché i cristiani possano "ridire la fede di un Battesimo inscritto nell'universo culturale del loro Paese di origine" e ugualmente di "donare loro i mezzi per vivere la loro fede in un nuovo contesto culturale". La parrocchia interculturale o interetnica può costituire allora una possibilità ricca, da individuare nelle sue potenzialità e da sviluppare secondo le variabili che la mobilità umana porta con sé.

Ci riferiamo ora brevemente ad alcuni percorsi dell'interculturalità accennati nella Istruzione, sottolineandone alcuni titoli indicativi. Essi sono:

Pluralismo culturale

L'Istruzione attesta "un pluralismo culturale e religioso forse mai sperimentato così coscientemente finora. Da una parte, si procede a larghi passi verso una apertura mondiale, facilitata dalla tecnologia e dai mezzi di comunicazione sociale - che arriva a porre a contatto o addirittura a rendere interni l'uno all'altro universi culturali e religiosi tradizionalmente diversi ed estranei tra loro -, dall'altra rinascono esigenze di identità locale, che colgono nella specificità culturale di ciascuno lo strumento della propria realizzazione" (35).

Interculturalità e comunione ecclesiale

L'Erga migrantes caritas Christi proclama: "Nella società contemporanea, che le migrazioni contribuiscono a configurare sempre più come multietnica, interculturale, e multireligiosa, i cristiani sono chiamati ad affrontare un capitolo sostanzialmente inedito e fondamentale del compito missionario: quello di esercitarlo nelle terre di antica tradizione cristiana. Con molto rispetto e attenzione per le tradizioni e le culture dei migranti, siamo cioè chiamati, noi cristiani, a testimoniare il Vangelo della carità e della pace anche a loro" (100).

L'Istruzione a questo riguardo attesta: "Il passaggio da società monoculturali a società multiculturali può rivelarsi segno di viva presenza di Dio nella storia e nella comunità degli uomini, poiché offre una opportunità provvidenziale per realizzare il piano di Dio di una comunione universale" (9).

Pastorale d'insieme e parrocchie interculturali

"Pastorale d'insieme significa, qui, soprattutto comunione che sa valorizzare l'appartenenza a culture e popoli diversi, in risposta al piano d'amore del Padre, che costruisce il suo Regno di pace - per Cristo, con Cristo e in Cristo - in potenza dello Spirito, nell'intreccio delle vicende storiche, complesse e spesso apparentemente contraddittorie, dell'umanità. In questo senso si possono prevedere la Parrocchia interculturale o interetnica o interrituale, dove si cura, allo stesso tempo, l'assistenza pastorale degli autoctoni e degli stranieri residenti sullo stesso territorio. La Parrocchia tradizionale territoriale diventerebbe così un luogo privilegiato e stabile di esperienze interetniche o interculturali, pur conservando, i singoli gruppi, una certa autonomia" (93).

Identità e alterità

A tale proposito la Erga migrantes caritas Christi conferma che "in quanto comunione (la Chiesa) dà valore alle legittime particolarità delle comunità cattoliche, coniugandole con l'universalità. L'unità della Pentecoste non abolisce infatti le diverse lingue e culture, ma le riconosce nella loro identità, pur aprendole all'alterità attraverso l'amore universale operante in esse" (37).

Migrazioni, universalità e missionarietà della Chiesa

A questo riguardo l'Istruzione afferma: "Nella comunità cristiana nata dalla Pentecoste, le migrazioni fanno parte integrante della vita della Chiesa, ne esprimono bene l'universalità, ne favoriscono la comunione, ne influenzano la crescita … se c'è. Appare chiaro che non è soltanto la lontananza geografica che determina la missionarietà, quanto l'estraneità culturale e religiosa. Missione è perciò andare verso ogni uomo per annunciargli Gesù Cristo e, in Lui e nella Chiesa, metterlo in comunione con tutta l'umanità" (97).

Migrazioni, pluralismo etnico-culturale e unità della Chiesa

Come attesta Giovanni Paolo II, in espressione ripresa dalla Erga migrantes caritas Christi: "Le migrazioni offrono alle singole Chiese locali l'occasione di verificare la loro cattolicità, che consiste non solo nell'accogliere le diverse etnie, ma soprattutto nel realizzare la comunione di tali etnie. Il pluralismo etnico e culturale nella Chiesa non costituisce una situazione da tollerarsi in quanto transitoria, ma una sua dimensione strutturale. L'unità della Chiesa non è data dall'origine e lingua comuni, ma dallo Spirito di Pentecoste che, raccogliendo in un solo Popolo genti di lingue e nazioni diverse, conferisce a tutte la fede nello stesso Signore e la chiamata alla stessa speranza" (103).

Conclusione

Una delle sfide più difficili del terzo millennio è dunque quella di imparare a vivere uniti nella diversità e nella molteplicità delle culture, delle etnie, delle religioni. Il rispetto e il riconoscimento delle diverse identità culturali non deve fare cioè ostacolo, ma essere condizione essenziale per la costruzione di una umanità unita nella pluralità, pur con base in quanto ci è comune: la nostra comune umanità.

 

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