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Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People People on the Move N° 99 (Suppl.), December 2005 LA SACRALITÀ DELLACCOGLIENZA NELLA BIBBIA Rev. Mons. Bruno Maggioni Docente della Facoltà Teologica dellItalia Settentrionale Nel deserto lospitalità è una necessità per sopravvivere, e tutti ne hanno diritto da parte di tutti. Se colui che ospita e colui che è ospitato sono nemici, laccettazione dellospitalità implica una riconciliazione. Lospite è sacro e deve essere protetto da ogni pericolo. Il viaggiatore, che giungeva in un paese non conosciuto, sedeva sulla piazza del mercato finché uno dei cittadini non lo invitava a casa sua. Sin qui, si può dire, forse un po generalizzando, era il costume del tempo. Ma nella concezione biblica cè molto di più. Racconti di ospitalità La Bibbia parla raccontando. E a proposito dellospitalità ci sono racconti particolarmente illuminanti. Ne scegliamo tre. 1 Abramo e i tre visitatori (Gn 18,1-10). Il Signore apparve ad Abramo alle querce di Mamre, mentre egli sedeva allingresso della tenda nellora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dallingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po di acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto lalbero. Permettete che vada a prendere un boccone di pane e rinfrancatevi il cuore; dopo, potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa pure come hai detto». Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre staia di fior di farina, impastala e fanne focacce». Allarmento corse lui stesso, Abramo, prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese latte acido e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse a loro. Così, mentregli stava in piedi presso di loro sotto lalbero, quelli mangiarono. Poi gli dissero: «Dovè Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». Il Signore riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio». (Gn 18,1-10). Vorrei che anzitutto il lettore si soffermasse un istante sulla bellezza e la freschezza del racconto. La Bibbia non è soltanto un libro da cui trarre insegnamenti. Ha anche una sua innegabile bellezza letteraria, che non va trascurata. Con poche battute lautore ci informa sulle circostanze di tempo e di luogo, ponendoci davanti agli occhi un quadro ricco di particolari e vivace: Abramo siede allentrata della tenda, che come si usava era collocata un poco discosta dalla strada; è lora calda del mezzogiorno, quando si suole riposare. Ecco lì, ad un tratto, i tre uomini. Abramo non li ha visti venire, quasi a significare che Dio arriva sempre di sorpresa. È già un particolare che suggerisce che nellepisodio si nasconde un di più. Linvito di Abramo è tipicamente orientale: cortese e insieme pressante, e alle sue molte parole fa contrasto la risposta breve dei tre visitatori. Qui come già allinizio e poi anche alla fine cè uno strano passaggio dal plurale al singolare: i visitatori sono tre, ma Abramo si rivolge ad essi come se fosse uno solo. Tre e uno: gli ospiti sono il Signore. Ora tutto è in movimento. Le donne si affaccendano per impastare e cuocere il pane, e Abramo corre allarmento per procurarsi la carne. Durante il pasto Abramo attende in piedi, rispettosamente, e sulla scena torna la calma. Poi, improvvisamente, i tre visitatori pongono ad Abramo una domanda e gli fanno una promessa, mostrando in tal modo di conoscere tutta la sua situazione: Il Signore rispose: tornerò da te fra un anno e tua moglie avrà un figlio. Non si tratta di tre semplici viandanti, sono il Signore. Questo racconto può essere considerato esemplare per il tema dellospitalità. Unospitalità che rivela qui tutto il suo spessore teologico: accogliere dei pellegrini sconosciuti è accogliere il Signore!. Allepoca dei patriarchi, e in tutto il mondo antico, lospitalità era la virtù per eccellenza. Amare il prossimo significava, in concreto, offrirgli ospitalità. Si legge nel libro del Deuteronomio: Il Signore vostro Dio
non usa parzialità, rende giustizia allorfano e alla vedova, ama il forestiero e gli dà pane e vestito (10,18). 2 Elia e la vedova Il profeta Elia si alzò e andò a Zarepta. Entrato nella porta della città, ecco una vedova raccoglieva la legna. La chiamò e le disse: «Prendimi un po dacqua in un vaso perché io possa bere». Mentre quella andava a prenderla le gridò: «Prendimi anche un pezzo di pane». Quella rispose: «Per la vita del Signore, tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po di olio nellorcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a cuocerla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo». Elia le disse: «Non temere; su, fa come hai detto, ma prepara prima una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, poiché dice il Signore: La farina della giarra non si esaurirà e lorcio dellolio non si svuoterà, finché il Signore non farà piovere sulla terra». Quella andò e fece come aveva detto Elia: «mangiarono il profeta, la vedova e il figlio di lei per diversi giorni. La farina della giarra non venne meno e lorcio dellolio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunziata per mezzo di Elia» (1 Re 17,10-16). Il profeta Elia si alzò e andò a Zarepta, queste le prime parole. Ma occorre sapere che se Elia si alzò, è unicamente perché il Signore glielo aveva ordinato: Su, alzati, và in Zarepta di Sidòne e ivi stabilisciti (1 Re 17,9). Se poi il profeta, vedendo una povera donna che raccoglie legna, osa dirle Prendimi un po dacqua e anche un po di pane, è ancora perché il Signore glielo aveva detto: Ecco, io ho dato ordine a una vedova di là, per il tuo cibo (17,9). Con questa premessa comprendiamo lannotazione che conclude il racconto: tutto è accaduto, secondo la parola che il Signore aveva pronunziato. Lautore sacro vuol farci capire e questa è la sua prima lezione che protagonista dellepisodio non è Elia, né la vedova, ma la Parola del Signore. Tutto avviene in obbedienza a questa Parola, una Parola che realizza ciò che promette, una Parola che salva: La farina della giara non venne meno e lorcio dellolio non diminuì. Elia e la donna sono presentati come due esempi di obbedienza. Ed è perché obbediente per primo alla Parola, che il profeta diventa, a sua volta, portatore di questa Parola, il suo tramite: tutto avvenne secondo la Parola che il Signore aveva pronunziata per mezzo di Elia. Cè una seconda premessa da ricuperare: se Elia si reca a Zarepta di Sidòne, una città straniera, è perché è in fuga, minacciato dal re: Nasconditi presso il torrente Cherit, si legge in 14,3. La minaccia è la sorte di tutti i profeti che hanno lardire di opporsi alle menzogne dei potenti. Fuggiasco e minacciato dagli uomini, ma protetto dal Signore, questa è la seconda lezione: I corvi gli portavano pane al mattino e carne alla sera, e beveva al torrente (17,6). Aiutato da Dio, dunque, ma il nostro racconto aggiunge qualcosa di più: mostra che laiuto del Signore passa attraverso gli uomini. Lospitalità di Dio si serve della generosa ospitalità di una vedova. Laccoglienza del fratello è la trasparenza visibile dellaccoglienza di Dio, che ne detta le qualità, la misura e luniversalità. Una generosità, quella della vedova, che Dio ricompensa: Quella andò e fece come aveva detto Elia: mangiarono Elia, la vedova e il figlio di lei per diversi giorni. La vedova aiuta il profeta e il profeta aiuta la vedova. Chi dona al Signore, riceve. Lospitalità aiuta gli uomini a vivere meglio nel mondo. La vedova di Zarepta ha avuto lonore di essere ricordata dallo stesso Gesù, nella sinagoga di Nazareth: Cerano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una carestia in tutto il paese, ma a nessuna di esse fu mandato Elia se non a una vedova in Zarepta di Sidòne (Lc 4,25-26). Si arguisce facilmente da queste parole che Gesù ha colto nellepisodio un terzo aspetto: unaltra lezione: Dio non aiuta soltanto il suo popolo, ma anche gli stranieri, perché il suo amore è universale e non fa differenze, e la fede, lobbedienza e la generosità le puoi trovare anche là dove non pensi, anche fuori del tuo popolo, della tua chiesa e del tuo gruppo. 3 - Marta e Maria: Lc 10,38-42 Mentre era in viaggio verso Gerusalemme, Gesù entrò in un villaggio e una donna di nome Marta lo accolse nella sua casa (Lc 10,38). Allinizio del medesimo viaggio Gesù aveva chiesto ospitalità in un villaggio di samaritani, ma fu respinto (9,52-53). Ora invece una donna lo ospita in casa, come più avanti alla fine del medesimo viaggio lo ospiterà il pubblicano Zaccheo (19,1-10). In questo cè già un primo insegnamento: lospitalità, appunto. Luca, però, non si riferisce al dovere generico dellospitalità (per altro considerato nel Nuovo Testamento come uno dei doveri più espressivi della fraternità cristiana), bensì a una forma più precisa di ospitalità, quella nei confronti di Gesù e dei suoi discepoli. Si tratta di unospitalità che richiede una disponibilità particolare. Perché Gesù e i suoi discepoli portano in casa una parola che capovolge le abitudini e il modo di vivere. Marta assume nei confronti dellospite un ruolo tipicamente femminile: tutta affaccendata prepara la tavola. Maria, al contrario, si intrattiene con lospite, assumendo un ruolo che la mentalità del tempo riservava agli uomini: un fatto insolito che neppure Marta condivide, prigioniera della mentalità corrente. Le parole con le quali Gesù risponde a Marta ricordano che il servizio non deve assillare al punto da far dimenticare lascolto: Marta, Marta, ti preoccupi e ti agiti per troppe cose
. Laccoglienza non è solo servizio. Marta non è la figura dellamore per il prossimo, e Maria non è la figura dellamore per il Signore. Nel nostro passo non cè alcuna traccia di divaricazione fra il Signore e il prossimo. Entrambe le sorelle sono di fronte al medesimo ospite, che è al tempo stesso come limmagine dellospite dice con chiarezza il Signore e il prossimo. È questo il punto forza dellepisodio. Non ci sono due modi di ospitare e amare, ma uno solo, che si tratti del Signore o del prossimo. Perciò lepisodio deve essere letto simultaneamente in due modi: come accogliere e servire il Signore, come accogliere e servire il prossimo. La tensione che dunque non è fra il Signore e il prossimo non è però neppure semplicemente fra lascolto e il servizio, la contemplazione e lazione. È piuttosto fra lascolto e il servizio che distrae, lo stare con lospite e il troppo affaccendarsi che impedisce di fargli compagnia, fra il secondario e lessenziale. Sono appunto questi i rimproveri di Gesù a Marta. Marta è tanto occupata che non è più attenta: così indica il verbo greco perispao, essere distratto, rivolto altrove. È tanto laffaccendarsi per lospite che non cè più spazio per intrattenerlo. Marta è affannata (10,41) e agitata. Luca utilizza qui il medesimo verbo (merimnan) adoperato altrove per dire che non bisogna agitarsi per il cibo, il vestito e il domani (12,22-32). Affannarsi è latteggiamento dei pagani. Anche lagitarsi per Dio o per il prossimo può diventare pagano. La ragione di tanta agitazione che distrae dallospite che pure si vorrebbe accogliere sono le troppe cose (10,41). A questo punto la tensione che percorre lepisodio assume unulteriore sfumatura, che forse è quella che sta alla radice di tutte le altre: la tensione fra il troppo e lessenziale, il secondario e il necessario. Il troppo è sempre a scapito dellessenziale. Le troppe cose impediscono non soltanto lascolto, ma anche il vero servizio. Fare molto è segno di amore, ma può anche far morire lamore. Lospitalità ha bisogno di compagnia, non soltanto di cose. Un po di vocabolario e qualche conclusione Il vangelo presenta Gesù come predicatore itinerante (Non ha dove posare il capo) e più volte si parla di lui come ospite: non solo nella casa di Marta e Maria, ma anche di Zaccheo e di Levi. Sono note poi alcune sue parole. Per esempio: Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato
Chi avrà dato anche solo un bicchiere dacqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo
non perderà la sua ricompensa (Mt 10,40-42). E ancora: Chi accoglie uno di questi bambini accoglie me (Mc 9,37). Qui cè già tutta la teologia dellaccoglienza. Il verbo privilegiato per esprimere questa accoglienza è dechomai (e i suoi numerosi composti) che significa accogliere, ma anche sentire e capire, per esempio le parole dellospite, i suoi desideri e i suoi bisogni. Sempre dice la compiacenza e la gentilezza. I composti sottolineano poi lamicizia, la stima verso lospite, anche se sconosciuto. E suggeriscono anche di accogliere qualcuno facendolo entrare nella comunità e nel proprio paese. Nellepistolario neotestamentario numerosi sono gli inviti a essere ospitali. Il dovere di essere ospitali rientra nei doveri cristiani comuni, dal vescovo (1 Tm 3,2; Tito 1,8) alla vedova (1 Tm 5,10). Nella lettera ai Romani la virtù dellospitalità si trova accanto alla perseveranza nella preghiera e alla sollecitudine per i fratelli. E la lettera agli Ebrei pone luno accanto allaltro lamore fraterno e lospitalità, praticando la quale alcuni hanno accolto degli angeli senza saperlo (13,2). E infine lanziano, che scrive la terza lettera di Giovanni, insiste perché il presbitero Gaio si comporti fedelmente nei suoi doveri verso i fratelli, anche stranieri (3 Gv 5). Ma voglio concludere questa conversazione con laffermazione di Gesù più ricca e paradossale: Ero forestiero e mi avete accolto (25,35). Al tempo di Gesù, forestiero poteva essere lo sconosciuto di passaggio, che chiede lospitalità per una notte, e che è spontaneo giudicare con diffidenza perché non sai chi egli sia e ne ignori le abitudini e le intenzioni. Più frequentemente era limmigrato, che cerca lavoro e migliori condizioni di vita. Per dire lospitalità Gesù ricorre qui a un verbo (sunago) il cui significato base è raccogliere, riunire cose sparse. Di qui il senso di raccogliere chi è sperduto, ospitarlo nella stessa casa, unirlo ai gruppi dei fratelli. Questo verbo così ricco di significato è ricordato in Matteo 25 tre volte. Non dice solo laiuto, ma proprio laccoglienza. E difatti Gesù fa rientrare il forestiero nel numero dei suoi piccoli fratelli. Forestiero per gli altri ma non per lui. E si comprende che lospitalità è più ampia del semplice aiuto, perché significa aprirsi alla persona e non soltanto ai suoi bisogni. Significa aprire la casa e non soltanto dare un aiuto. E cè di più: il forestiero da ospitare è nel contempo il prossimo da trattare come se stesso e il Signore da servire con tutto il cuore. Perciò deve essere accolto come si riceve il Signore, cioè con riguardo, con delicatezza, e persino umilmente. Una semplice annotazione Una delle caratteristiche della nostra civiltà è lanonimato e, forse, anche la diffidenza e la paura di chi è forestiero. Abitiamo nello stesso palazzo e non ci conosciamo. E cè molta solitudine. In questo contesto lospitalità acquista ancora tutto il suo valore e la sua urgenza, anche se è vero che deve esprimersi in forme nuove, diverse da quella del tempo di Abramo o di Gesù. Deve dare, per esempio, unanima e un po di cuore alle strutture sociali; deve creare famiglie aperte allaccoglienza dellanziano e del malato; deve creare luoghi di accoglienza per limmigrato e il forestiero; deve creare esempi di comunità cristiane, pluraliste e accoglienti. Si legge nel Concilio Vaticano Secondo (Gaudium et Spes 27): Oggi urge lobbligo che diventiamo generosamente prossimi di ogni uomo, e rendiamo servizio coi fatti a colui che ci passa accanto: vecchio abbandonato da tutti o lavoratore straniero ingiustamente disprezzato, o esiliato, o fanciullo nato da ununione illegittima, che patisce immeritatamente per un peccato da lui non commesso, o affamato che richiama la nostra coscienza
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