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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 99, December 2005

 

 

XXa GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ

(Pellegrinaggio a Köln)

 

I° Catechesi: É pellegrino l’uomo sulla terra*

 

 

S.E. Mons. Agostino MARCHETTO

Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale

per i Migranti e gli Itineranti

 

Carissimi, in ogni Giornata Mondiale della Gioventù v’è una componente lampante: il pellegrinaggio. Veniamo da vari Paesi, i mezzi di trasporto sono diversi, chi è giunto anche a piedi, portando la croce gloriosa di Cristo (da Dresda a Colonia, per es., c’è stato chi ha fatto il “pellegrinaggio della croce”), ma siamo tutti qui pellegrini. Permetterete dunque al Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, di sottolineare, d’inizio, tale aspetto importante del nostro essere a Köln.

Questo dato di esperienza vissuta fu del resto quello dei Magi, venuti dall’Oriente, che sono stati scelti come nostra icona, nostro modello, per la Giornata Mondiale del 2005. Essi hanno dovuto lasciare la loro terra, le loro sicurezze, qualche comodità, e mettersi in cammino. Una prima conclusione s’impone dunque a noi: è pellegrino l’uomo sulla terra, e cito un documento del PCPMI, dal titolo: “Il pellegrinaggio nel Grande Giubileo del 2000”, che attesta: “fin dal suo primo affacciarsi sulla scena del mondo, l’uomo cammina cercando nuove mete, indagando l’orizzonte terreno e tendendo verso l’Infinito”.

Ecco “tendendo verso l’Infinito”; pellegrino dell’Assoluto è l’uomo (come scriveva Léon Bloy). In effetti il nostro cuore, il nostro essere, ha un’apertura infinita: al Sommo Bene, a tutto il Vero, al Bello totale, senza imperfezione, all’Uno in cui tutto si specchia e da cui dipende, nell’essere, ogni creatura. Di fatto noi ci incontriamo con ciò che possiede questi “trascendentali” (così si dice in filosofia) in grado ridotto, non in pienezza, o non ne ha. Da qui l’insoddisfazione, la ricerca di altro, appena raggiunta una meta, l’insaziabile desiderio di verità, di gioia e anche di piacere, che ci spinge oltre, oltre. E S. Agostino esclama: “Ci hai fatti per te Signore ed inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te” (Conf. 1,1)!

Scopriamo perciò che è costitutiva dell’essere umano, del mio essere, del mio esistere, la dimensione pellegrinante, transeunte, itinerante, in periglioso e insicuro cammino… verso la Verità che salva.

Siamo soli? No, ma in compagnia, siamo qui venuti insieme, e forse questo ha contribuito a deciderci di venire. Un amico, un’amica ci ha invitato. Bene! Ma questo ci apre alla visione di tutta un’umanità pellegrinante, in ricerca, verso un’unica famiglia in pace.

Siamo insieme, quindi, per aiutarci, sostenerci, è la dimensione comunitaria, caratteristica anche della Chiesa, del gruppo, dell’associazione, del movimento, dell’aggregazione, così importante specialmente nel mondo di oggi per tanti versi disumano e disumanizzante.

Insieme, e con una “lampada” per far luce in caliginoso loco, in luogo oscuro, tenebroso (cfr. I. Pt. 1,19). Del resto anche i Magi, nostra icona quest’anno, nella loro ricerca (“Dov’è il Re dei giudei che è nato?”), avevano un lume, anzi una stella, ad indicare il cammino, che può scomparire, peraltro, e farsi ritrovare. Capita anche a noi, non è vero? 

Quella lampada, la stessa, è per noi la Parola di Dio, di Cristo, della Chiesa, del Papa e dei nostri Vescovi – si chiama il “Magistero ecclesiale” –, a cui rispondiamo con l’adesione di fede. Il nostro è un pellegrinaggio di fede, per obbedienza alla fede, nella verità, nella gioia forse di una fede ritrovata. I Magi provarono grandissima gioia al rivedere la stella (cfr. Mt 2,10) e contemplarono il Bambino e la Madre, e adorarono il Bambino. 

V’è un’altra cosa che ci accomuna ai Magi. Essi scrutarono, nelle stelle, i segni dei tempi, i segni del Re-Salvatore, del Messia, e anche noi dobbiamo interpretare i segni dei tempi, come si fece in occasione del Vaticano II e secondo l’esortazione che ci fece Giovanni Paolo II. Vanno interpretati questi segni alla luce della Parola di Dio, della Parola della Chiesa. 

Fra i segni, qui, credo ci sia Köln, questo luogo dove c’è un legame-reliquiario con i Magi, un luogo che è crocevia di Europa … un crocevia ecumenico … un crocevia inter-religioso (pensiamo a quanti musulmani vivono in Germania, sono in permanenza ormai in Europa, … pensiamo alla sfida del terrorismo), un crocevia interculturale, multietnico …

E’ segno del mondo di oggi, che è specialmente il Vostro, l’emigrazione, la mobilità umana. E qui parla il Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. 

Rispondiamo quindi all’invito del Papa, a queste sfide, con fede anche nel nostro essere Chiesa, nell’universalità, oltre la località, che trascende le razze e culture (N.M.I., 3 ed E.M.C.C., 8 e 35). Ricordate? Una stessa fede, un solo battesimo, una stessa Chiesa, una e pluriforme; “In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas” (S. Agostino): unità nelle cose necessarie, libertà in ciò che è dubbio, ma carità in tutto.

Difficile? Alcuni dicono: Cristo sì, Chiesa no! Ma come si può separare Cristo da quella comunità degli Apostoli che è stata tutto l’impegno della sua vita pubblica? Degli Apostoli e dei loro Successori …

Consideriamo un altro segno dei tempi, cioè questo inizio del III Millennio. Ascoltiamo le parole di Giovanni Paolo II che “inventò” queste Giornate mondiali: “Ricordiamo il passato con gratitudine (lode e adorazione: quest’aspetto ci occuperà nella II catechesi), viviamo il presente con entusiasmo – siate giovani! Solo il presente è in nostro “possesso”! – e guardiamo al futuro con fiducia” (N.M.I., 1).

Al centro di questa fede, di questa obbedienza della fede, c’è Cristo, che fu obbediente fino alla morte e alla morte di croce, e per questo Dio lo ha risuscitato e fatto sedere alla sua destra, nel posto d’onore e di gloria. Per ciò noi L’adoriamo, nel mistero dell’incarnazione, passione, morte e risurrezione (uno dei 2 misteri fondamentali della nostra fede. Il I è l’Unità e Trinità di Dio).

Contempliamo l’incarnazione, giovani. Ci siamo abituati a questa rivelazione (come l’acqua scorre sulle vetrate, così il mistero scorre su di noi senza penetrare, senza sorpresa, ammirazione, gratitudine, azione). Il Figlio di Dio si è spogliato della sua gloria (Fil. 2,6) e noi siamo così vanagloriosi! Dio si è fatto povero … e noi siamo così “ricchi”! “Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore” – Egli disse. E noi siamo miti? Potrei continuare: Beati i puri di cuore – disse –. E noi? Sono le Beatitudini, ricordate? Sono il distintivo del cristiano, con il Padre nostro e la nostra regola d’oro, il comandamento dell’amore, di Dio e del prossimo, oltre che di noi stessi, che rinserra in sé tutti i 10 Comandamenti, le 10 “Parole”.

 E la storia? La nostra è una fede vissuta nella storia, di Cristo, di ciascuno, di tutta l’umanità e del mondo, in viaggio verso “cieli nuovi e terra nuova”!

Quando facevo la catechesi ai ragazzi della I° comunione, in Africa, – ricordo –, per illustrare questo punto disegnavo una grande elisse su cui abbozzavo figure corrispondenti alle epoche storiche, piramidi, per es., ad indicare l’Egitto, il Pantheon per significare Roma, ecc. ecc., e al centro disegnavo la croce e la pietra rotolata via dal sepolcro di Gesù, la croce gloriosa, dunque. Il cristianesimo è religione calata, incarnata, nella storia. Cristo è il fondamento e il centro della storia, ne è il senso e la meta ultima (v. il libro “Memoria e Identità” di Giovanni Paolo II). Lo è anche della storia personale, della mia vita? 

Perché lo sia sempre più e meglio siamo qui a Köln per adorarLo. Al centro della elisse che abbiamo detto, è l’incarnazione, culminante nel mistero pasquale e nel dono dello Spirito Santo (N.M.I., 5). 

Lo fa presente l’Eucaristia – questo è l’anno ad essa dedicato –, con le sottolineature proprie fin dall’inizio secondo si segua la scuola Antiochena o Alessandrina. La prima ha l’incarnazione al centro, la seconda la Pasqua, con finale unità, naturalmente. Celebriamo oggi l’Eucaristia con questo telone di fondo, adoriamo oggi il santissimo e divinissimo Sacramento, come i Magi: “e prostratosi lo adorarono”. 

 
* Il Segretario del PCPMI ha partecipato alla “Giornata” come espressione della nostra sollecitudine per la pastorale dei pellegrinaggi. Il titolo completo dell’intervento di Mons. Marchetto è stato: É pellegrino l’uomo sulla terra, e pellegrini sono anche i Magi venuti dall’Oriente a adorare il Signore Gesù. Così noi ricerchiamo la verità, il senso profondo dell’esistenza umana.


*******


II°Catechesi:“Siamo venuti per adorarLo” (Mt 22)

“Siamo venuti per adorare l’unico vero Dio”* (Giovanni Paolo II)

 

S.E. Mons.Agostino MARCHETTO

Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale

per i Migranti e gli Itineranti

 

“Venimus adorare Eum”, (l’Emanuele, Dio con noi) è il titolo del canto che è stato scelto come inno ufficiale di questa Giornata Mondiale della Gioventù di Colonia. Siamo venuti per adorarLo. Quando uso questo verbo mi viene in mente un gesto che mi impressionò molto e vi trasmetto come immagine da fissare. Ero Nunzio in Bielorussia e mi si invitò a partecipare al pellegrinaggio annuale al Santuario di Budslav. Dopo aver incontrato, lungo il cammino a piedi, molti giovani che si dirigevano al Santuario, li osservai al loro entrarvi. Ebbene moltissimi si prostravano a terra, volto e pancia all’ingiù, e stendevano le braccia in modo da formare, con il corpo steso, una croce, così sul pavimento. Ecco un gesto di adorazione, di vera adorazione espressa anche con il corpo – mi dissi –, e il corpo siamo noi, con l’anima, l’altra componente sostanziale del nostro io. Noi infatti non abbiamo un corpo, ma siamo il nostro corpo, come siamo la nostra anima.

Puntando direttamente sul tema Eucaristia, oggi, direi che, in genere, non vedo, anche in giovani ben preparati dalla catechesi, un’espressione esterna di quell’adora-zione che è dovuta al sacramento dell’Eucaristia, a quella presenza che rimane, legata sempre alla celebrazione della S. Messa – segno di amore è la presenza –, in quello che chiamiamo il tabernacolo, accanto al quale v’è, di solito, un lumino rosso o una lampada rossa ad indicare quella presenza che ci attende. E nemmeno più si fa una genuflessione per quella presenza, e nemmeno quella doppia quando v’è l’esposizione del Santissimo Sacramento, appunto. E se cerchiamo quel tabernacolo all’entrare in una chiesa, vi sostiamo davvero poco tempo, impazienti, come un bambino che diceva alla sua nonna dimorante in adorazione: nonna quando diventa verde quel lumino così che possiamo andare via? (con evidente legame al semaforo).

Sì, oggi siamo più portati a considerare la Chiesa come nostra casa, quella della comunità, e vedere Gesù come amico, fratello, Maestro, a cui diamo del tu – ed è questa una dimensione giusta della nostra vita religiosa, cristiana –, ma senza dimenticare l’altra dimensione, quella della creatura di fronte al Creatore, del redento, in faccia al Redentore, Dio fatto uomo, Emanuele, Dio con noi.

Vi presento qui ora alcuni spezzoni incandescenti dalla contemplazione nel deserto di quel “fratello universale” – come diceva di sé – che fu Charles de Foucauld. Egli voleva per sé il penultimo posto, perché Gesù si è preso l’ultimo, scrisse.

Così definiva l’adorazione: “un’ammirazione muta che è la più eloquente delle lodi”. Poche parole dunque, magari ripetute (“Ti adoro mio Dio”), perché la ripetizione lenta faccia scendere nel nostro cuore la pace e la dolcezza di riconoscerci creature e figli davanti a Dio.

Certo possiamo dividere il tempo di adorazione dedicando alcuni minuti all’uno o all’altro degli “atteggiamenti” fondamentali della preghiera, come faceva del resto Charles de Foucauld.

Per aiutarci a memorizzare vi suggerisco un acrostico (non è mica un crostaceo!) e cioè “ardor” (significa “ardore” in latino). Allora ne deriva “a” come adorazione, “r” come ringraziamento, per sé e per gli altri, “d” come domanda per gli altri e per sé (qui significativamente l’ordine è l’inverso del precedente), “o” come offerta e “r” come riparazione (dei peccati nostri e degli altri: “un’anima che si innalza, eleva il mondo intero, e una che si abbassa porta giù tutta l’umanità: è il principio dei vasi comunicanti applicato al mondo spirituale, perché siamo tutti uniti, come Corpo mistico, misterioso).

Continuiamo con la citazione di Fratel Charles: l’adorazione è “ammirazione muta (cioè contemplativa), che racchiude la più appassionata delle dichiarazioni d’amore”. Bellissimo! “Vi adoro mio Dio, vi amo con tutto il cuore” si dice. Con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, con tutta la volontà, e il prossimo mio, come me stesso. Ecco la regola d’oro del cristianesimo. Ma ditemi, fratellini, cos’è di più grande, entusiasmante e bello di questo comandamento dell’amore richiesto da Gesù nostro Signore, che in sé racchiude tutti e dieci comandamenti? Difficile? Certo, difficile, ma non nella logica dell’amore, che voi stessi conoscete nella versione “amore umano”, a un ragazzo, a una ragazza, e forse – oso sperarlo – anche in quella dell’amore divino. Ecco i santi, i martiri, i folli di Dio, i pazzi per Iddio, secondo il giudizio della gente, che pensa e giudica in base ai criteri di questo mondo, da voi ben conosciuti, perché vi sbattete contro il naso ogni momento. Amore, amore, amore vero, vo’ cercando, dice il Signore. Ho cercato consolatori “et non inveni”, e non ne ho trovati, ripete il Cuore di Gesù. L’amore non è amato, predicava S. Francesco d’Assisi.

No, qualcuno lo trova, a ben considerare, volete farvi trovare anche voi? Come Charles de Foucauld, che scrisse: “Non conosco niente di più dolce delle ore passate davanti al tabernacolo, in profonda solitudine esteriore. Sentire Dio così vicino a sé e sentirsi soli con Lui nell’immensità e bellezza della sua creazione, che riflette la Sua bellezza; più si beve di questa dolcezza e più se ne ha sete”. E questo vale anche quando non c’è più dolcezza sensibile – aggiungo io, e capita –, e si rimane, lo stesso, in adorazione, nell’aridità del cuore, nel deserto della “notte oscura”, che purifica, di cui parla S. Giovanni della Croce, il grande mistico, Direttore di spirito di S. Teresa d’Avila.

V’è qui cenno all’adorazione non solo davanti al Tabernacolo, ma anche a quello della creazione, aiutati magari da Teilhard de Chardin, con la sua Messa sul mondo, nel cuore del mondo, della materia.

E ricordo per voi le notti in prostrata adorazione di Giovanni Paolo II, e il suo pensare, scrivere, decidere, davanti al SS.mo Sacramento, davanti al Tabernacolo.

E ricordo a voi l’inizio della conversione di Romana Guarnieri, una straordinaria studiosa, filologa, amica di don Giuseppe De Luca, letterato e prete romano, con la sua storia della pietà (la storia vista con gli occhi della “pietà”, e cioè dell’amore di Dio e dei fratelli, nella letteratura – in tutte le letterature del mondo –, nella poesia – in tutte le poesie del mondo –). In un momento particolare del suo travaglio spirituale, Romana approda alla casa di don De Luca. Orbene, per ricompensarlo del tempo, lungo, che pensava di aver “rubato” a quell’uomo di studio, gli chiese cosa poteva fare per lui. Ed egli rispose: “entri in chiesa e davanti al tabernacolo dica: mi manda quel tuo amico, sempre così impegnato, che non può venire a salutarti oggi, e ha mandato me a darti un saluto in suo nome”. Bello, no? Potessimo farlo spesso noi, a nome di tutti: “le mani alzate verso te, Signor, per offrirti il mondo”.

Sentite ancora Fratel Charles: “L’Eucaristia è il bene infinito e il nostro tutto … Una comunione è più della vita, più di tutti i beni della terra, più dell’universo intero: è Dio stesso”. Esagerazioni pie? Pensateci e vedrete che, nella fede, il nostro ha ragione. Sì, ha ragione! Ma alla base di tutto, oltre magari il fasto del culto, la radice della lode divina è nei nostri cuori, nel nostro amore.

Concludo con l’ultimo pensiero e ricordo che vi lascio: “l’adorazione sia all’inizio di tutte le nostre azioni e riempia una gran parte della nostra vita”, come diceva de Foucauld.

Orbene abbiamo una bellissima preghiera che vi propongo di recitare all’inizio di ogni giornata della vostra vita, dopo il segno della croce.

E’ vero, quando ci svegliamo, il nostro pensiero non va spontaneamente a Dio, come si dovrebbe. Ecco lì subito, è cosa psicologicamente comprensibile, la nostra preoccupazione più grave o anche la nostra gioia più intenso. Invece di seguirle, eleviamo il nostro spirito, offriamo la nostra giornata, a partire da questa Giornata Mondiale della Gioventù, se finora non l’abbiamo, fatto, recitando il “Vi adoro”. Sentite che bello: “Vi adoro mio Dio, [Vi amo con tutto il cuore], Vi ringrazio d’avermi creato, fatto cristiano, conservato in questa notte, vi offro le azioni della giornata, fate che siano tutte secondo la Vostra S. Volontà e per la maggior gloria Vostra preservatemi dal peccato e da ogni male, la grazia Vostra sia sempre con me, e con tutti i miei cari. Amen”. Naturalmente potete anche dare del “Tu” a Dio, invece del Voi. Io preferisco però ancora quest’ultimo pronome personale.

Se avessimo tempo vi illustrerei ogni aspetto di questa bellissima preghiera mattutina, ma non l’abbiamo. Pazienza! Potreste però rifletterci su voi stessi e scoprirete in questa orazione una ricchezza straordinaria, di vita cristiana.

Concludiamo proprio, guardando a Maria. Ella è stata il tabernacolo vivente di Dio per 9 mesi, giorno più o giorno meno, e poi ha presentato Gesù ai Magi e fa lo stesso anche con noi, a Colonia, venuti qui per adorarLo. Maria è modello e figura della Chiesa, ricordiamo, è pure Donna Eucaristica e nostro modello di adorazione. “Et nos venimus adorare Eum”, per Mariam. Siamo venuti per adorarLo, grazie a Maria. 

 
*Il Segretario del PCPMI ha partecipato alla “Giornata” come espressione della nostra sollecitudine per la pastorale dei pellegrinaggi.

 

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