Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People People on the MoveN° 105, December 2007
ÂÂVerso una società multiculturaleÂÂ(Intervento alla Tavola Rotonda)*
Arcivescovo Agostino MARCHETTO Segretario Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti
Una parola anzitutto che può riassumere il mio intervento, la mia riflessione ed è: ragionevolezza. Dobbiamo praticarla specialmente per quanto concerne i migranti, oggi. È parola che è legata a ÂÂragione al ragionare, e questo è importante, ma vÂÂè un qualcosa di più; si tiene cioè in conto la ÂÂSitz im LebenÂÂ, la situazione concreta, la località, per quanto riguarda le decisioni, gli atteggiamenti, la popolazione locale, nel quadro certo della legge nazionale e dei diritti umani. ÂÂSitz im Leben è espressione usata dagli esegeti per indicare, per esempio, il ÂÂproprium di ciascun evangelista, lÂÂambiente a cui è destinato il vangelo di ciascun evangelista. ÂÂIl fenomeno dellÂÂimmigrazione [in Italia] ha assunto dimensioni via via crescenti in un arco di tempo relativamente breve. Da paese ÂÂtradizionalmente di emigrazione lÂÂItalia si è trasformata negli ultimi 15 anni in una delle mete privilegiate di flussi migratori provenienti  nellÂÂordine  dallÂÂex Europa dellÂÂEst (ÂÂpaesi in transizioneÂÂ), dallÂÂAfrica (Maghreb e paesi del Golfo di Guinea), dallÂÂAsia (Cina, Filippine, India e Sri Lanka), dallÂÂAmerica Latina (Perù ed Ecuador in particolare). La quota di stranieri comunitari, nordamericani e argentini, pur permanendo, si è fatta marginale. Così da unÂÂÂÂIndagine conoscitiva sulla immigrazione e lÂÂintegrazione dellÂÂIstituto Nazionale di Statistica (Istat)[1]. Tale affermazione è sufficiente per poter dedurre che, con lÂÂimmigrazione, la società italiana si avvia ormai ad essere una società multi-etnica e multiculturale, da cui nasce la questione del come rendere massimi i vantaggi e minimi i problemi posti dalla convivenza tra persone di diverse culture, civiltà e religioni. Nel Messaggio per la Giornata della Pace del 2001[2], Giovanni Paolo II invitò tutti a ÂÂriflettere sul dialogo tra le differenti culture e tradizioni dei popoli considerato ÂÂla via necessaria per lÂÂedificazione di un mondo riconciliato, capace di guardare con serenità al proprio futuro,  decisivo per le prospettive della pace (GMP 2001, n. 3). Del resto aggiunse: ÂÂSi resta sempre meravigliati di fronte alle manifestazioni complesse e variegate delle culture umaneÂÂ, ciascuna delle quali ÂÂsi diversifica dallÂÂaltra per lo specifico itinerario storico che la distingue, e per i conseguenti tratti caratteristici che la rendono unica, originale e organica nella propria struttura.  Questa ÂÂtipicità di ciascuna cultura si riflette  nelle persone che ne sono portatrici (ibid., nn. 4-5). In effetti non esistono culture in astratto ma incarnate nelle persone, e dato che la cultura è espressione ÂÂdellÂÂuomo e della sua vicenda storica, sia a livello individuale che collettivo (ibid., n. 5), non è qualcosa di fisso ma soggetta a modifiche, grazie alle esperienze vissute segnate da una ÂÂcostante dialettica tra la forza dei condizionamenti e il dinamismo della libertà (ibid.). Essa dunque si plasma ÂÂattraverso la famiglia e i gruppi umani con i quali [la persona] entra in relazione, attraverso i percorsi educativi e le più diverse influenze ambientali, attraverso la stessa relazione fondamentale che ha con il territorio in cui vive (ibid., n. 5). Tale processo però, mentre procede spontaneamente nella terra natía, non è altrettanto immediato nella società dÂÂemigrazione. Trovandosi infatti in un nuovo ambiente, lÂÂimmigrato ÂÂdiventa spesso più consapevole di quello che egli èÂÂ[3], per cui potrebbe accadere che egli rifiuti le altre culture che, a suo avviso, mettono in pericolo la propria identità, assumendo così atteggiamenti di chiusura che possono portare alla formazione di ghetti, con conseguente emarginazione. LÂÂestremo opposto, invece, è ÂÂla supina omologazione delle culture (GMP 2001, n. 9), adattandosi al modello di vita locale senza il minimo tentativo di vagliare ciò che gli succede. Ne deriva in questo caso lÂÂassimilazione dellÂÂimmigrato che, avendo trascurato o inconsciamente soppresso la propria identità culturale, diventa quasi ÂÂcopia dellÂÂautoctono, privando così la popolazione locale del contributo arricchente che la propria cultura potrebbe dare. Quale allora deve essere il rapporto tra immigrato e società di accoglienza? ÂÂLa via da percorrere  affermò ancora Giovanni Paolo II  è quella della genuina integrazione, in una prospettiva aperta, che rifiuti di considerare solo le differenze tra immigrati ed autoctoni (GMMR 2005, n. 2) ed aprendosi per accogliere gli aspetti validi dellÂÂaltro, miri ÂÂa formare società e culture  [che sono] sempre più riflesso dei multiformi doni di Dio agli uomini (ibid., n. 1). A questo punto vorrei mettere una pulce allÂÂorecchio a Voi con-gressisti ricordando che oggi non pochi parlano di interculturalismo, anziché multiculturalismo. La differenza cÂÂè, anche se non posso ora qui inoltrarmi su questo campo. Da un lato è importante saper apprezzare i valori della propria cultura, ma dallÂÂaltro occorre essere consapevoli che ÂÂogni cultura, essendo un prodotto tipicamente umano e storicamente condizionato, implica necessariamente anche dei limiti (GMP 2001, n. 7), per cui non bisogna chiudersi agli altri, bensì conoscere serenamente, senza pregiudizi negativi, le loro culture. Del resto, esse ÂÂmostrano molto spesso, al di sotto delle loro modulazioni più esterne, significativi elementi comuni (ibid.). Come per la persona umana, che si realizza attraverso lÂÂaccoglienza dellÂÂaltro e il dono generoso di sé, anche le culture ÂÂvanno modellate coi dinamismi tipici del dialogo e della comunione, sulla base dellÂÂoriginaria e fondamentale unità della famiglia umana (ibid., n. 10) e la basilare uguaglianza di tutti gli esseri umani e popoli, dotati di dignità, con relativi diritti e doveri. Nel dialogo si salvaguardano le culture sia nelle loro peculiarità che nella loro reciproca comprensione e comunione (cf. ibid.). Avviene così un arricchimento reciproco e la società si trasforma in un mosaico, dove ogni cultura ha il suo posto nel comporre unÂÂunica figura, sempre più bella nella molteplicità delle culture, secondo il primordiale disegno dÂÂunità del genere umano (cfr. ibid., n. 7.). Questo esige che ÂÂl'umanità tutta, al di sopra delle sue divisioni etniche, nazionali, culturali, religiose, formi una comunità senza discriminazioni fra i popoli, e che tenda alla solidarietà reciproca e ÂÂle diversità dei membri della famiglia umana siano messe al servizio di un rafforzamento della stessa unità, anziché costituire un motivo di divisioneÂÂ.[4] È da notare che lÂÂintegrazione non è un processo a senso unico. Sia gli immigrati che i membri della popolazione locale devono essere disposte al dialogo, giacché esso è il motore dellÂÂintegrazione. Bisogna comunque tenere saldi, ovunque, alcuni punti fermi. Eccoli: Il dialogo fra persone di culture diverse si faccia ÂÂin un contesto di pluralismo che vada oltre la semplice tolleranza e giunga alla simpatiaÂÂ, in un atmosfera ÂÂdi autentica comprensione e benevolenza (GMMR 2005, n. 3). Occorre ricordare che ÂÂgli immigrati (anche gli zingari, i lavavetri, i ragazzi e le donne di strada e i senza fissa dimora) vanno sempre trattati con il rispetto dovuto alla loro dignità di persona umanaÂÂ. A questo principio ÂÂdeve piegarsi la pur doverosa valutazione del bene comune, quando si tratta di disciplinare i flussi immigratori e altri aspetti della vita sociale. Bisogna cioè ÂÂconiugare lÂÂaccoglienza che si deve a tutti gli esseri umani, specie se indigenti, con la valutazione delle condizioni indispensabili per una vita dignitosa e pacifica per gli abitanti originari e per quelli sopraggiunti (GMP 2001, n. 13). Vanno dunque rispettate e accolte le istanze culturali di cui gli immigrati sono portatori, a condizione che ÂÂnon si pongono in antitesi ai valori etici universali, insiti nella legge naturale, ed ai diritti umani fondamentali (ibid.). Infatti ÂÂl'apertura alle diverse identità culturali  non significa accettarle tutte indiscriminatamenteÂÂ[5] pur rispettandole ‑ perché inerenti alle persone ‑ ed eventualmente apprezzandole nella loro diversità (cf. EMCC 30).[6] Per quanto riguarda le specifiche espressioni culturali degli immigrati ÂÂche non facilmente si compongano con i costumi della maggioranza dei cittadiniÂÂ, occorre avere ÂÂuna cultura dellÂÂaccoglienza che, senza cedere allÂÂindifferentismo circa i valori, sappia mettere insieme le ragioni dellÂÂidentità e quelle del dialogoÂÂ. È cioè necessario ÂÂgarantire a un determinato territorio un certo ÂÂequilibrio culturaleÂÂ, in rapporto alla cultura che lo ha prevalentemente segnato  che, pur nellÂÂapertura alle minoranze e nel rispetto dei loro diritti fondamentali, consenta la permanenza e lo sviluppo di un determinata ÂÂfisionomia culturaleÂÂ, ossia quel patrimonio fondamentale di lingua, tradizioni e valori che si legano generalmente allÂÂesperienza della nazione e al senso della ÂÂpatria (GMP 2001, n. 14). ÂÂNella prospettiva poi del dialogo tra le culture, non si può impedire allÂÂuno di proporre allÂÂaltro i valori in cui crede, purché ciò avvenga in modo rispettoso della libertà e della coscienza delle persone (ibid., n. 15). È perciò ÂÂassai importante che lo Stato assicuri e promuova efficacemente la tutela della libertà religiosa in particolar modo quando, accanto ad una forte maggioranza di credenti di una determinata religione, ci sono uno o più gruppi minoritari aderenti ad un'altra confessione (GMP 1989, n.8). E qui potrebbe emergere la questione della reciprocità.[7] Nel suo primo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, Benedetto XVI affermava: ÂÂTutti gli uomini appartengono ad un'unica e medesima famiglia.  Occorre ricuperare la consapevolezza di essere accomunati da uno stesso destino, in ultima istanza trascendente, per poter valorizzare al meglio le proprie differenze storiche e culturali, senza contrapporsi ma coordinandosi con gli appartenenti alle altre culture La pace appare allora  non come semplice assenza di guerra, ma come convivenza dei singoli cittadini in una società governata dalla giustizia, nella quale si realizza in quanto possibile il bene anche per ognuno di loroÂÂ.[8] Si può dire dunque  e concludo  che ÂÂla pluralità è ricchezza e il dialogo è già realizzazione, anche se imperfetta e in continua evoluzione, di quell'unità definitiva a cui l'umanità aspira ed è chiamata (EMCC 30). *Incontro organizzato dal Ministero degli Interni Italiano, Firenze, 21-22 settembre 2007. [1] Istat, ÂÂIndagine conoscitiva sulla immigrazione e lÂÂintegrazioneÂÂ, presentata in occasione dellÂÂAudizione dellÂÂIstituto Nazionale di Statistica presso il ÂÂComitato Parlamentare italiano di Controllo sullÂÂattuazione dellÂÂAccordo di Schengen, di vigilanza sullÂÂattività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazioneÂÂ, Roma, 21 febbraio 2007. [2] Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2001 (dÂÂora in avanti, GMP 2001), http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/ messages/peace/ documents/hf_jp-ii_mes_20001208_xxxiv-world-day-for-peace_it.html. [3] Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2005 (dÂÂora in avanti, GMMR 2005, n. 2, http://www.vatican.va/ holy_father/ john_paul_ii/messages/migration/documents/hf_jpii_mes_20041124_world-migration-day-2005_it.html e People on the Move, Vol. XXXVI, N. 96 (dicembre 2004), p. 222. [4] Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1989 (dÂÂora in poi, GMP 1989), n. 3, http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/messages/peace/ documents/hf_jp-ii_mes_19881208_xxii-world-day-for-peace_it.html. [5] Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, Istruzione Erga migrantes caritas Christi (dÂÂora in poi, EMCC), Roma, 3 maggio 2004, n. 30, http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/ migrants/documents/rc_pc_migrants_doc_20040514_erga-migrantes-caritas-christi_it.html e People on the Move, Vol XXXVI, n. 95 (Agosto 2004), p. 62. [6] Cf. anche n. 11 delle ÂÂConclusioni e Raccomandazioni della XVII Sessione Plenaria del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti (Vaticano, 15-17 maggio 2006), Atti in People on the Move, Vol XXXVIII, n. 101 Suppl. (Agosto 2006), p. 43: ÂÂÈ parso inoltre rilevante saper distinguere quel che  [le società che li accolgono] possono tollerare o no della cultura islamica, quel che va rispettato o condiviso, in relazione ai credenti di altre religioni (v. EMCC 65 e 66), con possibilità di dare indicazioni, a tale riguardo, anche ai politici, per una giusta formulazione della legislazione civile, nel rispetto delle competenze di ciascuno. [7] Cf. per esempio EMCC 64: ÂÂNelle relazioni tra cristiani e aderenti ad altre religioni riveste infine grande importanza il principio della reciprocità, intesa non come un atteggiamento puramente rivendicativo, ma quale relazione fondata sul rispetto reciproco e sulla giustizia nei trattamenti giuridico‑religiosi. La reciprocità è anche un atteggiamento del cuore e dello spirito, che ci rende capaci di vivere insieme e ovunque in parità di diritti e di doveri. Una sana reciprocità spinge ciascuno a diventare ÂÂavvocato dei diritti delle minoranze dove la propria comunità religiosa è maggioritaria. Si pensi in questo caso anche ai numerosi migranti cristiani in Paesi con maggioranza non cristiana della popolazione, dove il diritto alla libertà religiosa è fortemente ristretto o conculcato. [8] Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2006, n. 6, http://www.vatican.va/holy_father/ benedict_xvi/messages/peace/documents/hf_ben-xvi_mes_20051213_xxxix-world-day-peace_it.html.
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