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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 103 (Suppl.), April 2007

 

 

DIMENSIONE ECUMENICA, INTER-RELIGIOSA

ED INTERCULTURALE

DELLA PASTORALE PER GLI STUDENTI ESTERI

 

 

S.E. Mons. Robert Sarah

Segretario

Congregazione per lÂ’Evangelizzazione dei Popoli

 

 

Il tema che mi accingo ad esporre, come è risaputo, presenta aspetti molto complessi e difficili, che probabilmente costituiscono una delle principali sfide non solo per la moderna società mondiale, ma altresì per la Chiesa Cattolica e le altre Religioni. Si tratta, infatti, di un fenomeno, molto incidente nel futuro dellÂ’umanità, che possiamo descrivere genericamente come la globalizzazione dello studio e, di conseguenza, la globalizzazione della cultura.

Preciso subito tre punti di vista che mi sembrano importanti per inquadrare e delimitare meglio il tema. Il primo è il seguente: come Segretario della Congregazione per lÂ’Evangelizzazione dei Popoli (C.E.P.), mi sembra indispensabile sottolineare la priorità che sempre conserva, in qualsiasi situazione storica, nonostante o proprio in forza dei cambiamenti che si verificano attualmente, il mandato di Cristo di andare ed annunciare il Vangelo a tutti i popoli. Questa precisazione, ovviamente, non intende contraddire la nuova comprensione che la Chiesa ha maturato della propria missione universale, relativamente ai suoi confini e ai nuovi fenomeni sociali, aree culturali e areopaghi moderni. Neppure intende contraddire allo spirito del dialogo interreligioso e della collaborazione sincera con tutti gli uomini di buona volontà, nel totale rispetto delle culture e delle convinzioni religiose. È solo la riaffermazione dellÂ’identità profonda della Chiesa stessa, che necessariamente incide in ogni sua attività apostolica e la qualifica.

CÂ’è un secondo punto di vista altrettanto importante, senza del quale il primo non sarebbe completo, ed è questo: la pastorale della Chiesa universale e missionaria, dato il crescente fenomeno delle migrazioni, si svolge necessariamente in un contesto molto speciale, differente dal passato, cioè in un contesto fortemente “multiculturale” e “plurireligioso”. Da qui deriva la necessità di maturare sempre più una cultura rinnovata di “accoglienza” ad ampio raggio, che comprenda ed apprezzi i valori autenticamente umani e religiosi degli altri, al di sopra delle difficoltà pratiche di convivere con chi è diverso da noi ed, a volte, almeno in frange isolate ed estreme, si comporta in modo contraddittorio ai principi della convivenza pacifica e rispettosa. [1]

Infine, un terzo punto di vista: qui stiamo esaminando non il fenomeno delle migrazioni o la situazione dei migranti in generale, ma quello della migrazione degli studenti. Alla nostra attenzione si spalanca un orizzonte molto vasto per il futuro dellÂ’umanità sotto tanti aspetti, compreso quello religioso, perché la popolazione degli studenti occupa un posto di rilievo nella società e, un domani, a molti di essi saranno affidate importanti responsabilità nei loro paesi.

Fatte queste premesse, presento le mie riflessioni in tre momenti:

LÂ’importanza degli attuali studenti esteri, considerata lÂ’incidenza che avranno un domani nelle loro nazioni.

La necessità di una formazione integrale di questi studenti.

La cura pastorale diversificata sulla base della loro fede religiosa.

Questi tre punti li presenterò partendo soprattutto dalla visuale del Dicastero Missionario, valorizzandone, per quanto possibile, lÂ’esperienza. Ciò, anche se può limitare lÂ’ampiezza del discorso, sicuramente ne favorisce il realismo, in quanto buona parte degli studenti esteri, almeno nel mondo occidentale, provengono soprattutto dai territori nei quali Propaganda Fide svolge la propria missione.

 

1. Importanza della popolazione degli studenti esteri

La C.E.P. è più che convinta, a livello sia di principio che di azione, che lÂ’istruzione della gioventù e, come conseguenza, la formazione dei “leaders”, è il punto di partenza per lÂ’elevazione dellÂ’uomo in qualsiasi ambito, compreso quello religioso. Nella scala delle iniziative di promozione umana, nei territori di missione, specialmente a partire dal XX secolo, lÂ’istruzione si è sempre posta sul gradino più elevato. Non cÂ’è bisogno di giustificare questa affermazione, tanto è evidente e comprovata. Gli studenti sono sempre stati e sono tuttora una porzione privilegiata delle cure pastorali che Propaganda Fide propone agli operatori della missione.

In questi ultimi decenni, il nostro Dicastero ha preso atto che tra gli immigrati ci sono molti di questi giovani studenti, in cerca di una formazione migliore, o quanto meno differenziata. Per cui le strategie pastorali devono adeguarsi alle nuove situazioni, assumendo una dimensione universale, oltre che locale. In altre parole, le Chiese particolari dei territori di missione e gli Istituti missionari sono consapevoli che gli studenti, porzione importante delle loro cure pastorali, si trovano ovunque nel mondo e non solo in patria. Una sfida enorme per la Chiesa, ma esaltante, perché come si sta globalizzando lÂ’attività di studio, e quindi la cultura, così si deve globalizzare la cura degli studenti. Ma come? Ecco la sfida per tutta la Chiesa.

Ovviamente le ragioni per cui gli studenti migrano sono molteplici, come differenti sono le discipline nelle quali si specializzano. È un fatto che si tratta di una schiera di giovani che si formano in ambienti diversi dai propri per cultura, situazione socio-politica, economica e religiosa. Questa realtà produce una situazione nuova negli studenti interessati, come pure negli ambienti che li accolgono. Soprattutto nei primi tempi, negli studenti esteri si verifica come una “rivoluzione” soprattutto psicologica, a motivo delle attrattive o delle proposte che si sentono rivolte. Essi, proprio perché studenti, sono particolarmente disponibili ad accogliere gli stimoli che provengono dallÂ’esterno, con il pericolo di venire subito condizionati e privati della loro libertà interiore.

Non si dimentichi che la maggior parte di questi giovani, terminato il periodo di studio e forse di pratica professionale, tornano nella loro patria. Con tutta probabilità la loro preparazione per così dire “internazionale” li pone, almeno nellÂ’immaginazione popolare, su di un piano superiore rispetto agli studenti che sono rimasti in patria. Per cui non è esagerato supporre che gli studenti esteri di oggi influiranno molto sulla vita sociale dei loro paesi in un futuro neppure tanto remoto. E ciò soprattutto perché, assieme alla preparazione professionale, essi porteranno e trasmetteranno dei valori diversi e interessanti acquisiti altrove. Sotto tale aspetto, gli studenti esteri potranno diventare “mediatori culturali” capaci di favorire il superamento delle barriere culturali e religiose, allargando la conoscenza reciproca tra i popoli.[2] E più cresce il fenomeno della migrazione degli studenti, come pare si stia verificando attualmente, e più crescerà la loro incidenza. Questo è uno dei mezzi che favoriscono la mondializzazione della cultura.

Faccio notare, per inciso, che gli studenti che non tornano in patria, anche se sono la minoranza, a condizione che non diventino degli sbandati, quando riescono ad integrarsi nel paese che li ha accolti e preparati, possono assumere anchÂ’essi una funzione propria, che non va trascurata. E ciò per due ragioni: perché, data la loro preparazione, sono persone che esercitano una professione di rilievo e, quindi, sono considerati con rispetto, anche se provengono da unÂ’altra nazione; poi anche perché conservano elementi della loro cultura e religione, che possono suscitare interesse ed influire nellÂ’ambiente che li circonda, contribuendo a modificarlo.

SullÂ’importanza degli studenti esteri, in vista della loro incidenza positiva nel futuro, cÂ’è ancora una riflessione da aggiungere, che può incidere sulla pastorale. Dato che, almeno attualmente, il flusso migratorio cammina preferibilmente verso i paesi occidentali, nei quali, purtroppo, si respira unÂ’aria pesante dal punto di vista della vita religiosa, ne consegue che gli studenti esteri vanno messi in guardia e protetti contro due pericoli molto subdoli. Il primo è quel pluralismo religioso che viene considerato con superficialità e che sfocia necessariamente nel relativismo e sincretismo sul piano della religione, rovinando le coscienze. Il secondo pericolo è costituito dal diffuso secolarismo, infatuato di edonismo e consumismo, che sfocia in un materialismo pratico. Se gli studenti esteri assumessero come valori anche questi aspetti negativi, assisteremmo ad una mondializzazione etica e religiosa molto deleteria.

Riconosciuta lÂ’importanza degli studenti esteri, ne consegue che unÂ’adeguata pastorale in loro favore è altrettanto importante. Grazie alla sensibilità apostolica del Pontificio Consiglio della pastorale per i Migranti ed Itineranti, come pure di moltissime Chiese particolari dei paesi che accolgono gli studenti e degli Istituti missionari, già molte iniziative di carattere pastorale si sono fatte o sono in via di realizzazione. Ciò è una confortante dimostrazione che, come ci assicura lÂ’evangelista Marco, Cristo è presente ed “opera” con la Chiesa, la quale, a sua volta, è attenta ai segni dei tempi e rimane fedele alla missione di amore che Cristo le ha affidato (Mc 16, 15-20).

In questo contesto, non cÂ’è dubbio che anche la C.E.P. si sente sempre più impegnata a collaborare con tutte le forze nellÂ’ambito specifico di questa pastorale. E ciò intende realizzare su due piani. Il primo è quello di farsi sempre più presente nelle Chiese particolari delle nazioni che accolgono gli studenti. Ciò è possibile attraverso la collaborazione delle forze apostoliche sulle quali il Dicastero ha giurisdizione, quali gli Istituti missionari e le Pontificie Opere. Il secondo ambito è quello di operare nei territori da cui partono gli studenti. Qui il contatto della C.E.P. con le Chiese locali, come pure con i missionari, è oggettivamente più preciso ed ha una maggiore incidenza a livello operativo. Attraverso interventi mirati è possibile individuare molti di questi giovani che intendono andare allÂ’estero per studiare, contattarli preventivamente e sostenerli con iniziative di preparazione prima della loro partenza. Inoltre, si possono accompagnare da lontano e riaccoglierli al loro ritorno, con iniziative di sostegno per un facile reinserimento.

 

Se avessimo coraggio, queste iniziative di preparazione, di accompagnamento e di accoglienza potrebbero essere offerte liberamente anche a studenti non cattolici. LÂ’obiettivo per la Chiesa è di essere accanto, solidarizzare con queste persone, sia quando sono ancora studenti, sia dopo, quando diventano professionisti in patria, indipendentemente dalla loro religione. Questa mi pare una proposta interessante, anche se riconosco che non è di facile realizzazione.

 

2. Formazione integrale degli studenti esteri

Si sa che le università degli studi si sono gradatamente moltiplicate negli ultimi tempi, in tutti i paesi. Gli studenti universitari, a livello mondiale, non sono più una élite, come una volta, ma una popolazione incalcolabile. Si tratta di un fenomeno di vastissime proporzioni, che se, da un lato, è positivo per il cresciuto numero di giovani che possono formarsi ad alto livello, dallÂ’altro rischia di abbassare la qualità della formazione stessa e di limitarla a settori troppo ristretti.

Indichiamo un dato di fatto: anche nei territori meno sviluppati, ove Propaganda Fide prevalentemente opera, esistono università in grado di dare una sufficiente formazione, frequentate da numerosi studenti locali. Siccome ci sono dei giovani che partono da questi territori per formarsi altrove, ci dobbiamo domandare perché lo fanno. Sembra che diversi, non tutti ovviamente, si spostano perché “spinti” e “attratti” nello stesso tempo. Sono spinti da una situazione di difficoltà in loco, sia personale e sia anche degli ambienti di studio; e sono attratti da una prospettiva migliore della quale hanno sentito parlare. Immaginano che altrove, specialmente nel mondo occidentale, il livello universitario sia superiore e la possibilità di scelta delle specializzazioni sia più ampia. Proprio perché sono giovani, essi non prendono sufficientemente in considerazione tutta la problematica molto concreta connessa con lo sradicamento dal proprio ambiente sociale, religioso e culturale, con lÂ’inserimento in un mondo diverso, a volte anche involontariamente ostile, con la sistemazione economica, ecc. Di fronte alle ovvie prime difficoltà, il pericolo è quello del disincanto, della frustrazione e, quindi, del rifiuto; oppure, allÂ’opposto, il pericolo è quello dellÂ’accettazione acritica delle novità, dellÂ’entusiasmo incondizionato e, di conseguenza, del totale coinvolgimento in un mondo nuovo e diverso dal proprio. Entrambe queste reazioni non sono positive e producono un danno nellÂ’identità degli studenti.

Che cosa può fare la pastorale per aiutare questi giovani a superare le difficoltà, a rimanere se stessi, arricchendosi di una formazione integrale, che maturi la loro identità, senza deformarla?

Voglio ricordare, a questo punto, una riflessione molto pertinente che lÂ’indimenticabile Sommo Pontefice Giovanni Paolo II ha proposto nel Messaggio allÂ’VIII Forum Internazionale dei Giovani, svoltosi a Rocca di Papa nel 2004: «Fortunatamente – scriveva il Papa – oggi si è molto indebolito lÂ’influsso delle ideologie e delle utopie fomentate da quellÂ’ateismo messianico che tanto ha inciso in passato in molti ambienti universitari. Non mancano, però, nuove correnti di pensiero che riducono la ragione allÂ’orizzonte della sola scienza sperimentale e quindi delle conoscenze tecniche e strumentali, per rinchiuderla talora in una visione scettica e nichilista. Oltre che inutili, questi tentativi di sfuggire alla questione del senso profondo dellÂ’esistenza possono diventare anche pericolosi».[3] Come si vede, il Papa denuncia il rischio profondo e subdolo di sfigurare la formazione dei giovani con nuove correnti di pensiero.

Nessuno dubita dellÂ’importanza che assume lÂ’università sul piano della formazione integrale dei giovani. Essa, infatti, è luogo privilegiato di ricerca della verità, in quanto, per sua natura, è preposta al conseguimento di una conoscenza scientifica della verità, in ogni campo del sapere e del vivere. Inoltre, lÂ’università è non solo un luogo di apprendimento scientifico, ma di crescita umana, fortemente coadiuvata dal fatto che essa è ugualmente luogo di incontro e di scambio. Gli studenti, infatti, si spostano dal loro paese e incontrano coetanei di diverse nazionalità, con i quali il confronto, se curato, può essere molto positivo sul piano del sapere e, soprattutto, del vivere. LÂ’internazionalità della comunità, quando viene giustamente compresa e valorizzata, è un terreno molto propizio per un cammino formativo in continuo progresso.

Ecco perché siamo convinti che la pastorale universitaria, indipendentemente da motivazioni di carattere religioso, è di una importanza decisiva per il bene dei giovani, e potremmo aggiungere soprattutto per quelli che provengono da altri paesi e richiedono un accompagnamento più mirato. Giovanni Paolo II ha molto insistito su questo aspetto, convinto comÂ’era che «senza un legame profondo tra Chiesa e Università è la persona umana a subirne danno».[4]

La C.E.P. ha lÂ’esperienza che non tutti i giovani che partono dal loro paese per studiare allÂ’estero raggiungono lÂ’obiettivo di tornare adeguatamente formati. Come ho già ricordato, alcuni, fortunatamente pochi, addirittura non tornano. Non tutti quelli che tornano, però, sono immuni da influssi negativi di tipo ideologico, o di tipo socio-politico, o anche religioso. Si constata, purtroppo, che in alcuni casi, invece di un arricchimento, si è verificata una deformazione a livello di identità culturale.

Emerge, quindi, imperiosa la necessità che la formazione dei giovani studenti allÂ’estero venga il più possibile salvaguardata, perché risulti integrale, inserita armoniosamente nella cultura di origine, arricchita dal contatto con una cultura diversa, non troppo settoriale, religiosamente matura, libera da condizionamenti ideologici o politici. Questi obiettivi vanno garantiti prima di tutto dentro gli ambienti di studio, dove i giovani trascorrono la maggior parte del loro tempo e dove pongono le loro principali aspettative. Va poi accompagnata anche fuori di questi ambienti, fornendo loro possibilità adatte. La pastorale deve intervenire in entrambi questi ambienti, dentro e fuori le università.

È noto che la pastorale degli studenti esteri, grazie a Dio, è già molto attiva. Certamente tutte le iniziative vanno lodate e incoraggiate. La C.E.P. ritiene che sia necessario garantire iniziative in favore di tre aspetti caratteristici degli studenti esteri Il primo è il seguente: come ho già ricordato, questi studenti dovrebbero giungere nel posto del loro studio già introdotti alla realtà che incontrano. Sarà importante che le Chiese dei luoghi di origine inventino iniziative per preparare in antecedenza gli studenti, di modo che conoscano e siano capaci ad affrontare responsabilmente lÂ’ambiente che li attende, sul piano culturale, sociale, politico, economico e religioso. Se poi si potrà creare una rete di collegamenti a raggio internazionale, nei nostri ambienti di Chiesa, di modo che la preparazione previa che viene data nel paese di origine sia poi accompagnata e perfezionata nei luoghi di accoglienza, questo sarebbe davvero la realizzazione di un sogno. Capisco che prospetto ideali più che iniziative. Ma è importante crederci.

Un secondo aspetto è quello di cooperare a creare il più possibile uguaglianza psicologica e reale tra gli studenti. Nessuna sindrome di superiorità, ma nemmeno di inferiorità, ma solo di reciprocità. LÂ’ambiente pluriculturale che hanno oggi le università è sicuramente ricco di opportunità, ma contiene anche pericoli di conflittualità. Gli studenti esteri, essendo generalmente una minoranza rispetto ai locali, corrono il rischio di soffrire un complesso di inferiorità, oppure, come reazione, un complesso di superiorità. LÂ’ho già indicato prima, entrambe queste posizioni sono deleterie per la loro formazione. La pastorale universitaria, sia nei paesi di partenza che in quelli di arrivo, può fare molto per dare ai giovani un giusto equilibrio e facilitare la loro serena integrazione, senza gravi squilibri.

Un terzo aspetto è quello di aiutare questi studenti esteri a non isolarsi da soli o in gruppi nazionali, rifiutando lÂ’integrazione. Così per favorire un giusto modo di tenere uniti i gruppi nazionali, e anche quelli religiosi, per favorire in essi un mutuo sostegno. In questo modo sarà anche più facile contrapporsi a possibili discriminazioni di gruppi a motivo della nazione, della cultura o della religione, il che creerebbe grossi danni alla formazione integrale di questi giovani.

 

3. Le dimensioni della pastorale per gli studenti esteri

Rimane da affrontare più dettagliatamente il discorso sulla cura pastorale per gli studenti esteri, diversificata in base alla loro fede religiosa. Alcune suggestioni valide per la pastorale comune per tutti gli studenti esteri sono già contenute in quanto ho detto finora. Ne aggiungo qualcuna più mirata per gli studenti cattolici, per quelli appartenenti ad altre Chiese o comunità cristiane e, infine, per quelli appartenenti ad altre religioni. Emergeranno così meglio le dimensioni ecumenica, interreligiosa e interculturale della pastorale. Criterio di base per questa pastorale è di evitare che, ai molteplici sradicamenti, venga aggiunto anche lo sradicamento dalla propria identità religiosa.

1. Studenti esteri cattolici. Sembra che la pastorale in loro favore debba essere privilegiata, ma non è così del tutto. Come “studenti migranti” sono nelle stesse condizioni di tutti gli altri e la Chiesa non chiede lÂ’appartenenza religiosa per collaborare ed aiutare. Ciò che facilita la cura pastorale di questi giovani è la comunione nella fede e lÂ’identità di vedute sui punti fondamentali della vita. Essi non devono essere aiutati più degli altri, ma sono più facilmente avvicinabili e, quindi, più facilmente curati. Ed allora quali direzioni può avere la cura pastorale per essi?

Anzitutto, cercare di creare un collegamento con la Chiesa di origine, anche solo attraverso lo studente stesso. È importante che lui si accorga che la Chiesa è comunione. Quindi, procurarsi informazioni circa la sua situazione generale, la sua formazione religiosa, come è stato preparato, perché è venuto, quali sono le sue reali possibilità, ecc. Preparare una scheda personale è molto utile.

Tenendo presente ciò che questi studenti saranno un domani nel loro paese, è nostro impegno facilitare lÂ’arricchimento di esperienze religiose, oltre che sociali. LÂ’esperienza religiosa della comunità ecclesiale del paese dove studiano sarà una fonte di arricchimento per la loro crescita. Anche il reciproco confronto sulla vita religiosa va aiutato, perché sia corretto e positivo.

Il coinvolgimento nelle comunità cattoliche offre a questi studenti la possibilità di comunicare le proprie esperienze. Così diventano vettori di fraternità ecclesiale, di ecumenismo allÂ’interno della Chiesa cattolica, e sono un motivo di arricchimento per le comunità accoglienti. Quindi, sarà utile integrarli in modo attivo nelle comunità cattoliche che li accolgono, facilitando loro varie possibilità di esprimersi. Diversi provengono da Chiesa giovani e fervorose e, di conseguenza, non solo imparano, ma insegnano come vivere la propria fede.

Quando sono inseriti in paesi dove il cristianesimo è maggioritario, questo tipo di accoglienza è più facile, perché ci sono strutture adeguate. Quando, invece, questi studenti migrano in paesi dove la Chiesa cattolica è minoritaria, lÂ’impegno deve moltiplicarsi. Qui la C.E.P. ha una possibilità più concreta di intervento, soprattutto attraverso la collaborazione dei missionari.

CÂ’è un particolare coinvolgimento da sottolineare, quello cioè che lo studente estero cattolico deve avere nellÂ’ambiente universitario. La testimonianza di coerenza cristiana degli studenti esteri è un forte richiamo per tutta la comunità studentesca, compresa quella dei cattolici locali, spesso vittime di indifferentismo religioso. Nel messaggio agli studenti citato in precedenza, Giovanni Paolo II così si esprimeva al riguardo: «Mediante il dono della fede abbiamo incontrato colui che ci si presenta con quelle parole sorprendenti: “Io sono la verità” (Gv 14,6). Gesù è la verità del cosmo e della storia, il senso e il destino dellÂ’esistenza umana, il fondamento di ogni realtà! A voi che avete accolto questa Verità come vocazione e certezza della vostra vita, spetta di dimostrarne la ragionevolezza anche nellÂ’ambiente e nel lavoro universitario. Si impone allora la domanda: quanto incide la verità di Cristo nel vostro studio, nella ricerca, nella conoscenza della realtà, nella formazione integrale della persona?».[5]

Quando gli studenti esteri appartengono ad uno dei Riti Orientali in comunione con la Sede Apostolica, la cura pastorale per essi deve tenere conto anche di questo aspetto che è fondamentale. Sarebbe un danno per essi se avessero lÂ’impressione di venire sradicati anche dal loro rito. La loro presenza, generalmente minoritaria in ambiente cattolico, diventa un arricchimento per tutti, in quanto induce a condividere lÂ’esperienza di vita cristiana, soprattutto di preghiera, diversificata quanto al rito. Lo scambio di esperienza a livello di liturgia è anche unÂ’opportunità favorevole di contatto con quanti appartengono ad altre religioni, i quali possono toccare con mano la ricchezza, anche culturale, della preghiera cristiana. Per quanto è possibile, è opportuno che le Chiese di accoglienza si muniscano di mezzi utili per sostenere gli studenti esteri cattolici appartenenti ai Riti Orientali.

 

In definitiva, gli studenti esteri cattolici, oltre ad essere assistiti nelle loro necessità, come tutti gli altri, siano il più possibile coinvolti nella vita ecclesiale del paese che li ospita, di modo che si sentano di casa. Si crea così unÂ’opportunità di interscambio molto ricco a livello di fede e di cultura. Si eviti che rimangano isolati, interessati solo al loro studio. LÂ’obiettivo è che tornino nel loro paese non solo più preparati intellettualmente e professionalmente, ma anche, se così posso esprimermi, più maturi come cattolici, con una formazione più universale.

2. Studenti esteri di altre Chiese e Comunità ecclesiali cristiane. Tra gli immigrati di cristiani non in piena comunione con la Chiesa cattolica, ci sono anche molti studenti. Essi pure hanno bisogno di una cura da parte della Chiesa, e non solo a livello di assistenza materiale.

Quando essi non hanno la possibilità di integrarsi nelle loro comunità, forse poco presenti o addirittura inesistenti in loco, è opportuno che siano assistiti anche spiritualmente, di modo che, con la crescita culturale e professionale, anchÂ’essi progrediscano nella loro identità cristiana. Anche se separati, sono fratelli e credono nello stesso Signore. Essi pure rischiano di essere vittime, come i cattolici, dei pericoli derivanti soprattutto del secolarismo occidentale. Anche se non lo richiedono, necessitano, e diciamo pure che meritano, una speciale assistenza sul piano religioso.

Per questi studenti, qualora provenissero da territori ove la C.E.P. opera direttamente, sarebbe opportuno avere una previa conoscenza, da procurarsi in qualche modo, attraverso i missionari, di modo che si possa conoscere meglio la loro situazione reale e, quindi, assisterli più adeguatamente.

Trattandosi di studenti, si apre una porta quanto mai favorevole per chiarire, ad un livello superiore, certi equivoci circa il mutuo rapporto. Se lÂ’ambiente cattolico li accoglie, essi possono conoscere meglio la Chiesa e superare molte delle passate incomprensioni. Così, al loro ritorno in patria, potranno diventare veicoli qualificati di ecumenismo. LÂ’ecumenismo nelle università può diventare una valida premessa di ecumenismo nelle Chiese. Anche la missione universale della Chiesa ne guadagnerà.

In definitiva, certo nei termini previsti dalla legge canonica, si faccia il possibile di integrare anche questi studenti esteri cristiani non cattolici nei nostri ambienti di Chiesa. Oltre a ricevere, anchÂ’essi hanno qualcosa da offrire.

3. Studenti esteri appartenenti ad altre religioni. Probabilmente questi studenti sono numericamente i più numerosi e, molti di essi, non hanno un punto di appoggio religioso nel paese di accoglienza. Diventano così, una parte importante della cura pastorale da parte della Chiesa cattolica.

Probabilmente essi si attendono dalla Chiesa, specialmente dove essa è maggioritaria, unÂ’accoglienza e unÂ’assistenza per i bisogni concreti della loro esistenza quotidiana. Forse non chiedono altro. Eppure, la cura pastorale non si ferma a questi aiuti, anche se li offre nel limite del possibile, perché sa che la promozione umana è parte integrante dellÂ’evangelizzazione ed espressione della carità. Ecco allora alcuni ambiti di intervento a livello religioso.

È indispensabile che la pastorale promuova un contatto anche sul piano del religioso, di modo che questi studenti esteri siano aiutati a conservare la dimensione trascendente della vita. Sarebbe una sciagura se tornassero dallÂ’estero meno religiosi, soprattutto se questo estero è cristiano. A questo proposito, merita ricordare quanto lÂ’attuale Sommo Pontefice Benedetto XVI rilevava a Subiaco, allÂ’inizio di aprile di questÂ’anno: «LÂ’Europa ha sviluppato una cultura che, in un modo sconosciuto prima dÂ’ora allÂ’umanità, esclude Dio dalla coscienza pubblica, sia che venga negato del tutto, sia che la Sua esistenza venga giudicata non dimostrabile, incerta, e dunque appartenente allÂ’ambito delle scelte soggettive, un qualcosa comunque irrilevante per la vita pubblica».[6] Questa esclusione di Dio dalla coscienza pubblica, purtroppo, non è solo retaggio dellÂ’Europa. Una oculata cura pastorale può difendere gli studenti esteri di altre religioni anche da questo pericolo.

Instaurare un dialogo su contenuti religiosi è un passo che non si può evitare. Conosciamo gli aggettivi con i quali qualifichiamo il dialogo religioso: che sia illuminato, sincero, aperto e rispettoso con tutti; che non sia ingenuo, né sprovveduto. Questo dialogo, parte importante della pastorale con gli studenti esteri di altre religioni, ha una motivazione immediata per facilitare la mutua conoscenza, lÂ’accordo sui grandi temi della vita, sulla pacifica convivenza, anche sullÂ’inculturazione. CÂ’è pure una motivazione a più lungo termine, in quanto questi studenti, tornando in patria, diventeranno messaggeri esperti e credibili di dialogo interreligioso, con effetti molto positivi per la pacifica convivenza dei loro paesi, come pure per lÂ’evangelizzazione.

Oltre a tutto ciò, la cura pastorale ha qualcosa dÂ’altro cui deve mirare. Il contatto a livello del religioso, con questi studenti non può prescindere dalla comunicazione convinta e gioiosa della propria fede religiosa. So che questo è un aspetto delicato, per non dire scivoloso, perché può sapere di proselitismo. Preferisco esprimermi con le parole che Giovanni Paolo II adopera nella Lettera Apostolica “Novo Millennio Ineunte”, quando parla di dialogo e missione: «Non dobbiamo aver paura che costituisca offesa allÂ’altrui identità ciò che è invece annuncio gioioso di un dono che è per tutti, e che va a tutti proposto con il più grande rispetto della libertà di ciascuno: il dono della rivelazione del Dio-Amore, che “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16)».[7] È impensabile che la cura pastorale organizzi non solo incontri di dialogo, ma anche corsi per far conoscere meglio il cristianesimo agli studenti esteri di altre religioni?

Visto poi che la maggioranza di questi studenti appartiene allÂ’Islamismo, la pastorale per essi ha necessariamente delle attenzioni specifiche. Anzitutto, anchÂ’essi hanno bisogno di essere protetti, come dice Benedetto XVI, parlando dellÂ’ambiente europeo, «dal cinismo di una cultura secolarizzata che nega le proprie basi» storiche religiose.[8] È vero che lÂ’Islam ha quasi ovunque strutture sufficienti in cui inserire gli studenti, ma ciò non toglie che il contatto con il mondo cattolico va potenziato il più possibile. Nel futuro questi giovani potranno diventare punti di riferimento per i loro compatrioti ai fini di una migliore comprensione e convivenza. La loro formazione integrale sarà migliore se saranno aiutati ad integrarsi nel mondo religioso cristiano, in modo da conoscerlo con esattezza a apprezzarlo per la sua fede. Data lÂ’innegabile presenza dellÂ’estremismo islamico, con i pericoli connessi, la cura da parte nostra di questi studenti islamici diventa addirittura urgente, anche quando non è richiesta.

Dal punto di vista della C.E.P., la pastorale per gli studenti appartenenti allÂ’Islam deve pure puntare sulla garanzia della reciprocità nelle libertà fondamentali proprio sul piano religioso, di modo che, tornando in patria, diventino paladini e garanti della libertà religiosa in favore di tutte le espressioni religiose, compresa quella cristiana.

 

Conclusione

Come conclusione alle riflessioni che vi ho proposto, credo di potere indicare alcuni punti di convergenza, che così esprimo:

- Curare gli studenti esteri, attraverso una attenta pastorale, significa lavorare per un futuro migliore dei popoli e, quindi, dellÂ’intera umanità. Gli attuali studenti, non dimentichiamolo, saranno sicuramente i responsabili nelle società civili del domani.

- Promuovere gli studenti esteri significa collaborare perché cresca in modo sano il processo di mondializzazione a tutti i livelli. Significa pure migliorare noi stessi per lo scambio di umanità, di cultura e di religiosità.

- Il dialogo interreligioso, necessariamente collegato con la cura pastorale degli studenti esteri, sarà una via maestra per promuovere la religiosità a livello mondiale, per ampliare gli orizzonti vitali di tutti, garantire una convivenza più pacifica, ed, infine, contrastare la diffusione dellÂ’ateismo.

- La cura degli studenti esteri non va considerata solo come una pastorale ordinaria, ma come direttamente collegata con la missione “ad gentes” della Chiesa, in quanto rappresenta uno dei più interessanti areopaghi moderni dellÂ’attività missionaria.

- In questo contesto di reciprocità, la testimonianza e lÂ’annuncio della fede cattolica è un dono irrinunciabile che intendiamo offrire con gioia  a quanti lo vogliano liberamente considerare e, con lÂ’aiuto dello Spirito, accogliere.


 

[1] Cf. giovanni paolo ii, Es. Ap. post-sinodale Ecclesia in Europa, nn. 100-103.

[2] Cf. pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, Istr. Erga migrantes caritas Christi, n. 61.

[3] pont. consilium pro laicis, I Giovani e lÂ’Università: Testimoniare Cristo nellÂ’ambiente universitario, Città del Vaticano 2005, p. 12.

[4] Giovanni Paolo II, Al Clero di Roma, 8 marzo 1982.

[5] pont. consilium pro laicis, I Giovani e lÂ’Università: Testimoniare Cristo nellÂ’ambiente universitario, Città del Vaticano 2005, pp. 12-13.

[6] joseph ratzinger, LÂ’Europa di Benedetto nella crisi delle culture, ed. Cantagalli, Roma 2005, p. 36.

[7] giovanni paolo II, Lett. Ap. Novo Millennio Ineunte, n. 56.

[8] joseph ratzinger, o.c., p. 40.

 

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