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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 107, August 2008

 

 

Impegno per la reintegrazione dei ragazzi e delle donne di strada e dei senza fissa dimora nel nucleo familiare 

 

Prof. Mario POLLO

LUMSA e dell’Università Salesiana di Roma

Italia 

 

L’impegno della comunità ecclesiale per reintegrare nella famiglia e nella pienezza della vita sociale i ragazzi, le donne di strada e le persone senza fissa dimora, segue nei diversi paesi del mondo percorsi metodologici diversi, valorizzando le diversità culturali locali e dei diversi modelli di organizzazione sociale. 

Occorre sottolineare, comunque, che il percorso dal fuori al dentro è molto più complesso, arduo e difficile rispetto a quello che ha portato queste persone dal dentro al fuori. 

Ragazzi di strada

Le iniziative sviluppate dal privato sociale/volontariato per favorire il reintegro sociale e familiare dei ragazzi di strada sono di cinque tipi. Il primo tipo, che appare il più diffuso, offre risposte tese a fornire ai ragazzi un luogo di residenza oltre che di accoglienza. In questo tipo rientrano i collegi, le case famiglia, i focolari, gli ostelli/rifugi e le comunità terapeutiche. Il secondo tipo è costituito da strutture di aggregazione/educative diurne come gli oratori, i centri diurni, gli asili e i centri vacanze. Il terzo tipo di iniziative è costituito dalle azioni tese al sostegno, al recupero scolastico e alla formazione professionale dei ragazzi come i doposcuola, le attività di recupero scolastico e i laboratori professionali. In questo gruppo sono inserite tutte le iniziative volte al reinserimento sociale dei ragazzi di strada. Il quarto tipo è formato dalle iniziative educative svolte nei luoghi di vita dei ragazzi come il sostegno familiare, l’educativa di strada, il sostegno individuale e di gruppo e le attività di prevenzione del consumo di droga. Il quinto ed ultimo gruppo è formato dalle attività di sostegno ai bisogni primari come l’alimentazione, il vestiario e in generale la cura del corpo.

L’insieme di queste iniziative copre l’arco delle attività socio-assistenziali ed educative che possono essere sviluppate nei confronti dei ragazzi di strada. In ogni paese vi è comunque sempre solo la presenza di alcune di queste iniziative, per cui questo insieme così completo è il frutto dell’insieme delle azioni condotte nei diversi paesi.

Analizzando i progetti rivolti ai ragazzi di strada si può affermare che essi hanno in comune l’obiettivo del recupero nei ragazzi del senso della propria dignità umana e della propria autostima e di una corretta socializzazione, che si declina nella promozione dell’autonomia, del mutuo rispetto, dell’aiuto reciproco e dell’affetto familiare e nell’offerta delle condizioni essenziali all’equilibrio umano: l’alloggio, l’impiego, il divertimento; andare alla sorgente della devianza; non aiutare qualcuno parzialmente. Una parte minoritaria dei progetti mira anche a far scoprire ai ragazzi l’amore che Dio ha per loro e che si manifesta nel volto di Gesù.

Passando dagli obiettivi dei progetti al metodo attraverso cui gli stessi obiettivi sono raggiunti si osserva che le tappe centrali sono:

  1. il lavoro di strada in cui si entra in contatto con i ragazzi e si conquista la loro fiducia e in cui, quindi, si costruiscono e si consolidano le relazioni con essi;
  2. accoglienza in strutture aperte o residenziali dove i ragazzi trovano ascolto, un pasto caldo, un letto, la doccia e le prime cure mediche, oltre ad un sostegno individuale o di gruppo;
  3. il reinserimento scolastico con l’obiettivo minimo di concludere la scuola dell’obbligo ma dove vi è anche la possibilità di frequentare le scuole superiori e l’università;
  4. il ritorno in famiglia o in una famiglia affidataria o, laddove questo non è possibile, un percorso vero l’autonomia attraverso delle comunità alloggio.

È necessario sottolineare che mentre esistono progetti molto qualificati ed efficaci di affrontamento dei bisogni di natura socio-assistenziale  ed educativa dei ragazzi di strada, esistono pochi progetti di “prevenzione” attraverso la mobilitazione delle comunità cristiane verso il mutamento delle condizioni sociali ed economiche che sono all’origine di questo triste fenomeno. Questo non significa che non debbano essere apprezzati i tentativi sin qui fatti di affrontare il fenomeno sul versante degli effetti che debbono essere comunque fatti e ancora in misura maggiore. Significa solo affermare che una pastorale per i ragazzi di strada non può limitarsi agli effetti ma deve rivolgersi anche alle cause. 

Donne di strada

Per prima cosa si deve osservare che solo nei paesi europei esistono delle leggi per favorire la liberazione delle donne di strada e il loro reinserimento sociale. La legge più evoluta a questo proposito sembra essere quella italiana.

Occorre però sottolineare che non in tutti i paesi in cui esistono queste leggi ci sono dei servizi pubblici idonei a sostenere il recupero ed il reinserimento sociale delle donne di strada

Diversa appare la situazione per quanto riguarda l’esistenza di servizi per la liberazione delle donne di strada ed il loro reinserimento sociale promossi dal privato sociale e/o volontariato che sono molto più diffusi, anche nei paesi extraeuropei.

I servizi promossi dal privato sociale sono di vario genere e vanno dalle case protette alla fornitura di cibo in un caso, passando per la formazione professionale, l’assistenza medica, l’assistenza legale e il patrocinio in tribunale, l’assistenza sociale, il lavoro sul caso, il counselling.

Alcuni servizi sono destinati ad affrontare situazioni emergenziali mentre altri sono specificatamente vocati a fornire alle persone la possibilità di un effettivo reinserimento sociale.

Partendo dal presupposto che questi due tipi di servizi sono complementari e, quindi, entrambi necessari, occorre rilevare che in molti paesi questa complementarietà è praticamente inesistente. A questo occorre aggiungere che sia i servizi pubblici che quelli del privato sociale sono insufficienti e molto al di sotto del livello necessario a garantire un’efficace azione per recuperare le donne vittime dello sfruttamento sessuale.

Questa affermazione è confermata dal dato relativo al destino delle donne che ritornano al loro paese di origine o al termine della loro attività o più facilmente perché espulse dal paese in cui esercitavano la prostituzione. Infatti nella quasi totalità dei paesi non esiste una forma di accompagnamento che renda meno drammatico e traumatico il reinserimento nella comunità sociale di origine. La situazione di queste donne appare meno drammatica laddove vi è la possibilità per loro di permanenza nel paese di emigrazione.

Si deve sottolineare che in alcune nazioni, specialmente asiatiche, il ritorno al paese di origine non è traumatico perché in questa realtà era sconosciuta la loro vera attività nella località di emigrazione, oppure perché i denari mandati a casa hanno consentito loro, attraverso una sorta di compromesso sociale fondato su una rimozione più o meno cosciente, di acquisire comunque una certa onorabilità. Nonostante queste eccezioni nella maggioranza dei casi le persone che “rimpatriano” non possono contare su alcun sostegno e il loro destino è spesso miserabile, anche perché debbono o affrontare il rifiuto della famiglia e un forte stigma sociale.

Le uniche possibilità per queste ragazze di sottrazione al trauma del rientro, e alla situazione miserabile che lo segue, è o l’inserimento sociale e lavorativo nel paese di emigrazione o un accompagnamento che consenta loro un dignitoso reinserimento nel loro paese di origine.

Purtroppo la legislazione di molti paesi non consente la prima ipotesi, soprattutto quando l’immigrazione è stata clandestina, e per la seconda ipotesi occorre constatare che ci sono pochi servizi che hanno una rete di collegamenti con i paesi di origine di queste donne e che, quindi, possano progettare e realizzare il rientro accompagnato.

Le iniziative ecclesiali a favore delle donne di strada non sono diffuse in tutti i paesi e in molti casi più che di iniziative della comunità ecclesiale, intesa soprattutto nella sua dimensione istituzionale, si tratta di iniziative promosse da appartenenti alla comunità ecclesiale come le congregazioni religiose o i gruppi/associazioni laicali.

Vi è spesso da parte delle persone più attivamente impegnate in questa missione pastorale e sociale l’espressione di un profondo rammarico per l’indifferenza che manifestano alcune Chiese locali per le iniziative volte a combattere questa drammatica piaga sociale e umana.

Nelle realtà ecclesiali in cui vi è l’attivazione di iniziative a favore delle donne di strada queste riguardano essenzialmente la prevenzione, l’assistenza sociale ed economica delle donne e, in qualche caso, un vero e proprio accompagnamento pastorale.

Le iniziative ecclesiali nella maggioranza dei casi sono sviluppate all’interno di una rete sociale che coinvolge o organismi pubblici o organismi del privato sociale o una pluralità di strutture ecclesiali. L’azione di rete appare molto importante perché nelle società complesse gli interventi condotti da un solo soggetto hanno scarsa probabilità di incidere nel tessuto sociale e culturale.

Questo significa che tutte le iniziative sia formative che pastorali per essere efficaci richiedono la costruzione di reti sociali complesse che consentano l’erogazione di servizi sia di tipo assistenziale e formativo sia di tipo pastorale. Nella maggioranza dei casi queste due azioni sono in equilibrio mentre in una minoranza di casi l’azione pastorale è marginale rispetto a quella assistenziale.

Gli obiettivi specificatamente pastorali perseguiti dalle diverse iniziative riguardano in prevalenza lo sviluppo di una relazionalità esistenziale autentica con queste persone necessario ad un vero accompagnamento spirituale e umano, all’interno di un cammino di promozione della persona e, quindi, di sostegno alla scoperta della propria inviolabile dignità umana, facilitando anche, laddove possibile, l’accesso ai sacramenti e la preghiera. Tutto questo in un clima di accoglienza e di ascolto di queste persone.

Questa azione pastorale avviene però spesso a fronte di un inesistente impegno o, peggio, di un orientamento perlomeno diffidente, se non ostile, della comunità cristiana verso la realtà umana del mondo della prostituzione.

Questo indica che la priorità dell’azione pastorale verso le donne di strada non consiste solo nell’azione diretta verso di esse ma, richieda, contemporaneamente, l’attivazione di progetti atti a far prendere coscienza di questa grave emergenza sociale tutta la comunità cristiana.

Solo con una mobilitazione piena della comunità cristiana questa piaga dell’umano può essere efficacemente contrastata e le persone che la vivono restituite alla loro piena dignità di persone.

Tra l’altro occorre rilevare che tra le iniziative ecclesiali pochissime prevedono forme di accompagnamento delle prostitute rimpatriate attraverso un collegamento con le Chiese e interventi di sostegno rivolti specificatamente alle famiglie delle ragazze oggetto della tratta o che si prostituiscono. 

Persone senza fissa dimora

Nella maggioranza dei paesi in cui è presente la Chiesa si registra la presenza di iniziative ecclesiali a favore delle persone senza dimora.

Questa presenza si manifesta nella maggioranza delle realtà nazionali sia attraverso le parrocchie e le diocesi che attraverso le congregazioni religiose e l’associazionismo. Si tratta sovente di iniziative che con il tempo hanno dato vita a vere e proprie reti, anche se di tipo informale, che, quasi sempre, sono nate da iniziative particolari e non da una programmazione.

Un ruolo particolare in alcune realtà nazionali è svolto dalle Caritas. Solitamente le iniziative ecclesiali sono condotte in collaborazione con organismi pubblici o con altre Chiese o con organizzazioni del privato sociale.

La collaborazione con gli enti pubblici e le istituzioni statali e locali è costituita, nella quasi totalità dei casi, da risorse finanziarie che questi organismi mettono a disposizione delle iniziative ecclesiali. Presenti ma assai rari sono le forme di collaborazione con altre Chiese e confessioni religiose, mentre è assai più diffusa la collaborazione con il privato sociale.

La maggioranza delle iniziative ecclesiali riceve finanziamenti pubblici. Quelle che ricevono solo aiuti finanziari da privati sono una esigua minoranza. Invece, le iniziative promosse dalle congregazioni religiose spesso sono autofinanziate.

È utile sottolineare che in molte delle iniziative ecclesiali viene svolta esclusivamente un’attività di accoglienza e di erogazione di prestazioni a carattere socio-assistenziale, educativo e risocializzante e non una specifica azione pastorale. Infatti nella stragrande maggioranza di essi la dimensione religiosa è assente, almeno a livello esplicito, e, quindi, l’azione pastorale coincide interamente con quella sociale.

Passando agli obiettivi perseguiti dalle  differenti iniziative ecclesiali si rileva che l’obiettivo dominante è quello di affrontare le situazioni di emergenza che le persone senza dimora si trovano a vivere e, di conseguenza, la loro azione consiste nell’offrire a queste persone cibo, vestiario, cure sanitarie e un rifugio per la notte.

Accanto all’obiettivo principale ve ne sono altri più squisitamente tesi alla persona senza fissa dimora e al suo reinserimento sociale e che possono essere così riassunti:

  1. arricchimento e sviluppo delle potenzialità personali e sociali delle persone senza dimora per rendere più autonoma e meno disagevole la loro vita quotidiana;
  2. recupero del sentimento della propria dignità umana e del proprio valore personale;
  3. sostegno alla rivendicazione dei loro diritti di cittadinanza e perseguimento della loro reintegrazione nella vita della comunità e, se possibile, familiare;
  4. sensibilizzazione e mobilitazione della comunità cristiana a favore delle persone senza dimora.

I metodi seguiti nelle iniziative ecclesiali nei vari paesi, pur nella loro diversità, sono sempre centrati sull’accoglienza incondizionata, sull’ascolto e sul riconoscimento della dignità delle persone senza dimora e propongono un vero e proprio percorso ritmato sui tempi della persona senza dimora che ne usufruisce.

Infine occorre segnalare che questi progetti ricevono nella maggioranza dei casi un sostegno pubblico, oltre quello di organismi privati, e che possono contare oltre che su risorse professionali anche su un buon numero di volontari.

Passando ad una analisi più specifica dei diversi metodi seguiti si possono individuare i seguenti modelli:

  1. modello dell’offerta di servizi essenziali come ricoveri notturni, fornitura pasti, assistenza medica e psichiatrica, consulenza legale, assistenza spirituale, assistenza sociale.
  2. modello delle tre A (accoglienza, ascolto, aiuto). I passi del trattamento sono tre:
  1. accoglienza incondizionata;
  2. ascolto della persona e dei suoi problemi;
  3. offerta dell’aiuto e accompagnamento secondo ciò che la persona desidera e non secondo ciò che pensano gli operatori.
  1. modello motivazionale. La base del metodo è il considerare la persona senza dimora nonostante tutti gli svantaggi, pregiudizi e limiti, dotata di capacità e competenze. E, quindi, vi è l’offerta di colloqui motivazionali finalizzati a incoraggiare le persone che hanno perso tutto, dando loro nuove speranze e rendendole disponibili ad accettare aiuti e consigli.
  2. modello della presa in carico intensiva. Questo intervento si rivolge a un numero limitato di persone ed è svolto da una equipe strutturata che opera affinché la persona riscopra interamente i propri diritti e doveri e riacquisisca i propri documenti di cittadinanza. Quando la persona ha recuperato uno status sociale e risparmiato viene progettato il suo reinserimento in famiglia o, se questo non è possibile, in un appartamento dove la persona sarà accompagnata ed aiutata a strutturare la nuova vita;
  3. modello del centro diurno a bassa soglia. Il centro diurno propone un’offerta per usufruire della quale non è necessario per l’utente porsi degli interrogativi complessi. Esso permette  alle persone che accedono al servizio di prendersi una pausa dalla strada in un ambiente confortevole dove possono svolgere un’attività ludica, avere informazioni rispetto ad altri servizi pubblici e privati del territorio, essere aiutati a stilare il proprio curriculum vitae, essere supportati nella ricerca di lavoro, usare il computer. Il centro è strutturato intorno le seguenti azioni:
  1. accompagnamento all’utilizzo dei servizi in special modo in quelli che offrono interventi diurni diversamente strutturati;
  2. presa in carico della persona offrendole percorsi di accoglienza residenziale;
  3. riottenimento dei diritti di cittadinanza (residenza anagrafica, tutela sanitaria, legami);
  4. sostegno verso una progressiva autonomia attraverso progetti educativi finalizzati in spazi e comunità di accoglienza diurna;
  5. offerta di specifici percorsi sanitari e socio-educativi per raggiungere l’astinenza dalle bevande alcoliche e un miglioramento nelle aree della salute vitale;
  6. costruzione di progetti individualizzati di reinserimento socio-lavorativo tramite la frequenza nei centri diurni ad offerta strutturata;
  1. modello della mediazione con i servizi. Esso è centrato sull’ascolto, la relazione, l’accompagnamento, nel rispetto dei luoghi e dei tempi dell’utenza, sul lavoro di rete con i servizi pubblici e privati che si occupano di emarginazione adulta. Le azioni specifiche previste sono:
  1. osservazione e mappatura delle situazioni di marginalità e delle persone senza dimora nel territorio milanese;
  2. contatto e costruzione di relazioni significative con le persone senza dimora attraverso l’offerta di uno spazio relazionale strutturato in luoghi e spazi destrutturati;
  3. individuazione dei bisogni primari e delle problematiche sottostanti;
  4. orientamento e accompagnamento ai servizi del territorio con un’attività di sostegno individualizzata;
  5. supporto a tutti i servizi del territorio che si occupano di emarginazione grave ;
  6. sensibilizzazione e restituzione al territorio della gravità e dell’urgenza delle situazioni di estrema povertà ed emarginazione presenti sullo stesso;
  7. formazione dei volontari che affiancano nell’uscita gli operatori dell’unità mobile.
  1. modello telematico. È un modello attivo in India sviluppato dai salesiani con l’Unicef a favore dei ragazzi di strada. È un progetto basato su un programma Web che comprende i dati di 25.000 bambini e un network di 56 organizzazioni diffuse in tutto il territorio. I bambini sono individuati e rimpatriati attraverso il Web. Complementare a questo vi è un servizio fondato nel 1996  costituito da un numero telefonico di emergenza, raggiungibile 24 ore su 24, gratuito che si rivolge a bambini bisognosi di aiuto e di assistenza. Sino ad oggi questo servizio è stato utilizzato da 4.500.000 bambini ed è presente in 55 città/distretti dell’India. Il servizio è in grado di fornire rifugi temporanei o permanenti ai bambini abbandonati o che hanno lasciato la loro casa, che sono sieropositivi o che hanno particolari bisogni, o anche bambini le cui famiglie sono in crisi. Sovente questi bambini sono ricondotti al loro luogo ed alla loro famiglia di origine.

Concludendo con i sogni di chi opera con:

I ragazzi di strada

I  sogni espressi in particolare da parte di chi opera nei paesi in cui la situazione appare più critica e il problema della povertà, delle ineguaglianze e, quindi, dei ragazzi di strada è più drammatico sono molto semplici ma radicali. Infatti essi chiedono per prima cosa che gli educatori siano padre, madre, fratello o sorella per i bambini, subito dopo che vi siano migliori possibilità di comunicazione con i ragazzi di strada, politiche pubbliche attente alla vita affinché non vi siano più ragazzi ed adolescenti socialmente esclusi che vivono nella strada. In altre parole è la richiesta di costruire un mondo più umano in cui sia rispettata la dignità delle persone e vi sia tra queste comunione e solidarietà, soprattutto verso quelle più svantaggiate.

Le donne di strada

I sogni delle persone che sono attivamente impegnate nel lavoro con le donne di strada sono tutti molto “realistici”. Infatti le cose che sognano dovrebbero essere presenti nella realtà di qualsiasi società che voglia definirsi civile.

Che la prostituzione non esista più è l’utopia di sfondo che illumina il faticoso presente di chi è impegnato in questa missione sociale e pastorale.

All’interno della scena che questo sfondo delimita vi è la necessità di costruire un’accoglienza autentica della comunità cristiana nei confronti di queste persone fornendo relazioni, situazioni e luoghi che consentano loro di riscoprirsi persone importanti agli occhi di Dio, di ritrovare una piena coscienza di sé e il controllo della propria vita.

Perché questo si realizzi è necessario che le leggi cambino, che siano attivati servizi ad hoc per queste persone, che sia offerta loro una effettiva protezione sociale e la possibilità di denunciare i loro sfruttatori e di liberarsi dalle catene che le imprigionano nella prostituzione.

È Necessario anche che la comunità cristiana, ed in primis i sacerdoti, sia formata ad affrontare non solo “teologicamente” ma esistenzialmente e, quindi, relazionalmente questo mondo, invisibile nonostante lo scandalo che produce.

Infine è necessario che le chiese dei paesi in cui operano le donne di strada attivino dei progetti a favore dei loro paesi di origine.

Questi sogni in una società civile dovrebbero essere da tempo realtà.

Le persone senza dimora

I sogni raccontati dagli operatori sono centrati sul recupero umano e sociale delle persone senza dimora e riguardano essenzialmente lo sviluppo da parte loro della consapevolezza della propria dignità umana e sociale, anche nella situazione di emarginazione grave che vivono, accompagnata dal sostegno alla scoperta ed allo sviluppo delle proprie potenzialità, dall’accoglienza e dal riconoscimento della loro vulnerabilità e fragilità e, infine, dalla scoperta e dal riconoscimento dell’essere portatrici di diritti tra cui quello di godere di adeguati servizi per l’affrontamento dei loro bisogni e della loro situazione personale.

Altri tratti dei sogni riguardano, invece, la necessità dello sviluppo di una maggiore sensibilità e progettualità da parte della Chiesa, lo sviluppo a livello sociale di politiche di prevenzione, contrasto e superamento del fenomeno e la messa in opera di percorsi di risocializzazione in cui le persone possano partecipare alla vita sociale utilizzando le effettive risorse che posseggono, anche se limitate, e, di conseguenza, l’offerta della possibilità di svolgere un lavoro appropriato a loro, anche se diverso da quello svolto normalmente dalle altre persone.

 

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