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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 108 (Suppl.), December 2008

 

 

DOCUMENTO FINALE 

I.  L’evento 

Il III° Incontro Internazionale sulla Pastorale della Strada ebbe luogo il 26-27 novembre 2007, nella sede del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, Palazzo San Calisto, Città del Vaticano.

Erano presenti quattro Vescovi, molti Direttori Nazionali o Rappresentanti di Conferenze Episcopali ed esperti, provenienti da ventotto Paesi, tra cui Argentina, Australia, Belgio, Bolivia, Bosnia-Erzegovina, Brasile, Burundi, Canada, Cile, Cina, Corea, Egitto, Eritrea, Francia, Germania, Giappone, India, Inghilterra, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Repubblica Slovacca, Romania, Stati Uniti d’America, Sud Africa, Taiwan e Zimbabwe. Tra gli ordini religiosi erano presenti Cappuccini, Missionarie della Carità, Piccole Sorelle di Gesù e Missionarie Comboniane. Era altresì rappresentato il Sovrano Ordine di Malta, il SECAM e il CCEE. Vi erano pure presenti associazioni e movimenti, tra cui “Aux Captifs la Liberation”, FEANTSA, FIO, la Comunità Giovanni XXIII e quella di Sant’Egidio, la Società di San Vincenzo de’ Paoli e SELAVIP.

Il Presidente del Pontificio Consiglio, Sua Eminenza il Cardinale Renato Raffaele Martino, accolse e salutò i partecipanti. Egli fece notare che la presenza di un numero tanto considerevole di persone da varie parti del mondo già era attestazione che ci si confrontava con un fenomeno di portata globale. Inoltre, rilevò che la realtà dei senza fissa dimora non era affatto nuova. Fin dalle origini, con la cacciata dei nostri progenitori dal giardino dell’Eden, uomini e donne sono andati errando sulle strade del mondo. In effetti, fin da tempi remoti i Cristiani si sono sforzati di rispondere, con sollecitudine pastorale, alle sventure dei poveri e dei senza tetto. L’Em.mo Presidente enucleò una serie di indicatori nella vita della Chiesa, dal Magistero ordinario a varie direttive, che hanno guidato i Cristiani nella loro cura pastorale dei senza fissa dimora. Infine, egli attinse forza dal messaggio proposto dal Santo Padre Benedetto XVI nella Lettera Enciclica “Deus caritas est”. Qui - egli sottolineò -, sebbene il vangelo non offra immediate soluzioni ai problemi, dovremmo comunque lasciarci guidare dal desiderio di amare il prossimo e di scorgere in esso il volto stesso di Cristo. Pertanto, il servizio ai senza fissa dimora “diventa una profonda rivelazione dell’amore di Dio per l’umanità”.

Di seguito, l’Arcivescovo Agostino Marchetto, Segretario del Dicastero, pronunciò il discorso programmatico, con titolo “Signore, quando ti abbiamo visto…?” (Mt 25,44). Esso focalizzò sia il tono che la sfida dell’incontro, rinviando al comando del Signore di saper riconoscere sempre il volto di Cristo nei più poveri ed emarginati. L’Ecc.mo Segretario anzitutto chiarì che quando si parla dei senza fissa dimora, di fatto ci si confronta con la mancata tutela di diritti umani fondamentali. Egli poi non si limitò soltanto a descrivere la realtà di questo fenomeno globale, ma disse che esso si manifesta in molte differenti sfaccettature. Nonostante tali diversità, la mancanza di una fissa dimora quasi sempre riduce le persone all’infima spirale della carenza sanitaria, della povertà e dell’emarginazione. Per tale ragione, le necessità dei senza fissa dimora fanno appello ad una chiara risposta sia umana che ecclesiale, da ricercarsi non soltanto nel provvedere a soddisfare i loro bisogni fondamentali, ma anche nel tutelare la loro dignità come persone. Allo stesso modo, la Chiesa deve sviluppare una specifica attività pastorale, che sappia guardare la persona in quanto tale, al di là delle sue necessità, dal momento che davvero essa è fatta ad immagine e somiglianza di Dio. Questa è la sfida rivolta alle comunità cristiane: diventare luoghi di accoglienza, dove non solo si riceve il Signore stesso nelle persone senza fissa dimora, ma vi è pure un reciproco accompagnamento nel processo di loro restaurazione e re-integrazione.

Sempre nella prima giornata vi fu occasione per i partecipanti non solo di presentarsi a vicenda, ma anche di scambiare qualche opinione sulle rispettive esperienze di apostolato. Queste confermarono l’importante contributo che già è in atto nell’ambito della cura pastorale dei senza fissa dimora, così come la straordinaria diversità delle situazioni in cui ciascuno si trova a vivere e ad operare.

Nell’arco delle due giornate, i congressisti si divisero in diversi gruppi linguistici, al fine di condividere esperienze di buone realizzazioni, metodologie, successi e fallimenti nella cura pastorale dei senza fissa dimora. Nella seconda giornata, i gruppi approfondirono le caratteristiche che dovrebbero costituire il fondamento della risposta ecclesiale. Ad essi furono poste alcune domande per facilitare riflessione e dialogo.

Il principale impegno della seconda giornata fu l’ascolto del lungo intervento del Professor Mario Pollo della LUMSA e dell’Università Salesiana di Roma. Egli tracciò un quadro panoramico complessivo del fenomeno dei senza fissa dimora e delle conseguenti varie risposte pastorali, desunte da un’indagine condotta in precedenza dal Pontificio Consiglio tra i diversi partecipanti.

Il pomeriggio del secondo giorno fu dedicato alla Tavola Rotonda sul tema: “L’impegno umano e la cura pastorale dei senza tetto”. La Baronessa Martine Jonet del Sovrano Ordine di Malta, il Sig. Roger Playwin, Direttore Nazionale della Società di San Vincenzo de’ Paoli, negli Stati Uniti d’America, don Barnabe d’Souza, Direttore del ricovero “Don Bosco”, in India, il Sig. Kristian Gianfreda della Comunità di Papa Giovanni XXIII e Suor Maria Cristina Bove Roletti, Coordinatrice Nazionale della Pastorale della Strada del Brasile, misero a confronto le loro esperienze di situazioni particolari dei rispettivi Paesi e delle loro organizzazioni, “scoprendo” i principi che dovrebbero guidare l’attività pastorale in parola e le nuove sue strategie. In special modo, essi sottolinearono non soltanto l’importanza di prendersi cura dei senza fissa dimora, ma anche di manifestare il valore e la dignità delle loro esistenze individuali.

La parte conclusiva dell’Incontro fu riservata alla presentazione dei lavori di gruppo e alla formulazione di conclusioni e raccomandazioni. Il Congresso terminò con l’espressione del vivo desiderio di continuare il dialogo e lo scambio fraterno di esperienze nel campo della cura pastorale per i senza fissa dimora.     

II. Conclusioni

1. A motivo della sua condizione, la persona senza fissa dimora ha una singolarità e una unicità irripetibile. In una società che legge i rapporti sociali in funzione di tornaconti economici, la Chiesa si assume la missione di restituire il valore della gratuità, della relazione nel suo senso più profondo.

2. Nel nostro contesto storico e sociale vi sono alcuni che, di proposito, identificano il povero con colui che è incorso in un’esperienza fallimentare, sia nell’ordine della natura umana che degli umani bisogni. Ne risulta che la povertà è ritenuta l’esito di una vita senza valori e, di conseguenza, una colpa. Pertanto la povertà è vista come una situazione dalla quale è quasi impossibile emanciparsi. La sua durata è un segno in grado di stigmatizzare per sempre l’esistenza umana.

3. Il destino di una persona senza fissa dimora è ulteriormente “segnato” se si considera la sua situazione una “scelta”. Chi mai sceglierebbe una vita di espedienti o un’esistenza contrassegnata dall’instabilità per sé e per la propria famiglia? Malgrado ciò, la ricerca della giustizia prende avvio dal riconoscimento del povero, nella convinzione che definirlo con un nome errato significa aggiungere ingiustizia a ingiustizia.

4. Di solito siamo messi a confronto con l’idea secondo la quale colui che non ha fissa dimora sia una persona “diversa”. Pare che la povertà sia un problema che riguarda altri. In realtà non vi è differenza, poiché viviamo in una “società a rischio”, nella quale nessuno può essere sicuro di non diventare povero.

5. In ognuno dei cinque continenti l’esempio e la dedizione delle comunità cristiane nei confronti degli “ultimi tra gli ultimi” sono un segno visibile dell’amore di Dio per la persona umana, ovunque essa viva, in qualunque situazione esistenziale si trovi. Ciò è ancor più visibile nelle attività specifiche che si promuovono, anche se vengono adottate differenti metodologie e le scelte organizzative sono condizionate dai luoghi nei quali si concretizza l’attività pastorale. Comunque vari valori fondamentali caratterizzano ciò che si realizza e costituiscono il suo sfondo teleologico.

6. Fra tutti i valori ha particolare importanza la dimensione relazionale. Se si accetta la definizione del senza fissa dimora come: “un soggetto che versa in condizioni di povertà materiale e non materiale, portatore di un disagio complesso, dinamico e multiforme”, reso palese appunto nel suo essere senza fissa dimora, si consta che la dimensione della carenza relazionale è elemento che può circoscrivere e provocare una vita di povertà.  Partendo da ciò va tracciato un itinerario verso una maggiore fiducia, una vita vera e significativa, nella quale ogni altra persona può essere considerata un amico, ed è possibile pure in posti dove non vi sono “strutture”, come la strada. Essa può essere quindi un luogo pedagogico, ma anche pastorale, per raggiungere una promozione umana, un cambiamento.

7. A tal fine la Chiesa, la comunità locale, opera nel territorio, sollecita verso le necessità emergenti e offre appoggio per individuare soluzioni. In questo itinerario le persone senza fissa dimora sono inserite in un percorso di riconciliazione, così come ne sono coinvolti anche coloro che risiedono in un determinato territorio. Questo processo di riconciliazione reclama necessariamente una complementarietà esistenziale. Solo mediante le relazioni, infatti, la persona umana può scoprire e riconoscere se stessa.

8. I cambiamenti politici e i fenomeni sociali in continua trasformazione esigono un’azione profetica da parte delle Chiese locali. Attualmente costatiamo che esse sono costantemente impegnate nella tutela della vita, mediante le loro scelte e la testimonianza che l’amore per Cristo è una sorgente di guarigione dalle ferite dell’indifferenza.

9. Alcuni elementi essenziali orientano una “migliore attività pastorale” tra i senza fissa dimora che implica condivisione. Farsi partecipi di un comune destino è frutto di relazioni profonde nelle quali è purificato lo sguardo sul povero. Una tale visione purificata conferma la convinzione che vi sono persone capaci di portare nel loro cuore il destino degli altri, e nel contempo attesta – mediante l’impegno degli agenti pastorali – che Dio ama hic et nunc (qui e adesso).

10. Credere nell’importanza delle relazioni, porre la dimensione della promozione umana accanto a quella del soccorso materiale, essere operatori pedagogici e considerare che la via da percorrere, per evitare gravi forme di emarginazione, sia innovativa in fondo, implica pensare, proporre e credere in un’azione pastorale globale.

11. I senza fissa dimora rappresentano comunque una sfida per l’intera società, che è chiamata alla corresponsabilità nella promozione di un approccio appassionato al problema. Si tratta di capire la situazione più che di trovare una spiegazione, che potrebbe degenerare in  classificazione impropria. Si tratta di considerare la persona non come un oggetto, a cui destinare interventi stabiliti a priori. Ciò richiede un progetto d’intervento che non stigmatizzi ma sia in una logica di vera inclusione. Ciò nonostante, l’accoglienza rimane limitata, fragile, insufficiente, ma va nutrita da un impegno deliberato e costante. Spontaneismo, frammentazione e remore sono da contrastare con approccio integrale, durevole e sostenibile.

12. La conseguente sensibilizzazione – nel contesto di un processo ermeneutico – è la via mediante la quale si pensa e si progetta un futuro diverso, nel quale la dignità è riscoperta (e non soltanto restituita). Proprio per il fatto che ogni persona custodisce in se stessa il suo essere unico e irripetibile, in quanto figlio di Dio, essenziale è rispettare il tempo necessario per la crescita e per il cambiamento. Ciò è vero altresì per la comunità ecclesiale coinvolta nella sollecitudine per il prossimo.

13. In ogni rapporto di natura pastorale bisogna esseri “veri”. Vivere la verità nell’esercizio della carità dovrebbe costituire il fondamento di ogni eventuale attività. E tale verità esige una dimostrazione della sua gratuità, della sua origine e delle sue ragioni di fondo. Possiamo dire che il paradigma di una Chiesa che è vicina ai suoi figli, malgrado essi siano spesso lontani da “casa”, dovrebbe consistere nel suo “essere sale e luce”.

14. Procurare una “casa” è quindi la missione intrinseca di ogni attività pastorale nel campo in parola. Non si tratta semplicemente di offrire un riparo, quanto piuttosto un luogo in cui le persone possano essere se stesse in pienezza e con dignità. È cioè un posto dove si può costruire la propria dimora relazionale e sviluppare ogni dimensione dell’esistenza, compresa quella spirituale.

15. Il numero delle persone senza fissa dimora tende ad aumentare sia nei Paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo, nelle grandi città e nelle zone rurali, tra cittadini residenti e immigrati, compresi uomini, donne di ogni età e bambini.

16. La Chiesa, mediante le sue molte istituzioni, si è impegnata a soccorrere i senza fissa dimora grazie a mense, ricoveri, corsi di formazione professionale e collocamento, advocacy, fornendo tirocini per l’assunzione dell’impiego lavorativo come parte del processo di integrazione nella comunità e garantendo assistenza pastorale.

17. V’è qui spazio per l’ordinaria, territoriale, pastorale della Chiesa, ma anche per quella specifica, che dev’essere olistica, multidimensionale, spirituale, sociale e relazionale.

18. La cura pastorale dovrebbe essere intesa in senso ampio in quanto risposta alle necessità materiali  e spirituali.

19. Il ministero dell’ospitalità, soprattutto nei confronti degli emarginati, è altresì parte integrante della vita parrocchiale. Quando nella comunità vengono meno il povero e il senza fissa dimora, la Chiesa non è “completa”.  C’è poi un chiaro collegamento tra le opere della carità e le esigenze della giustizia. 

III. Raccomandazioni

Per la società

1. Dal momento che la realtà socio-economica è complessa e fare opere di giustizia significa vivere la giustizia, è necessario operare nella complessità evitando la frammentazione. Inoltre la perdita dei valori destabilizza la convivenza sociale così che le Chiese locali dovrebbero presentare una prospettiva assiologica che riconduca l’uomo all’uomo.

2. Per raggiungere questi obiettivi è importante formare una “rete” locale, nella quale siano riconosciute le responsabilità e le competenze, con preferenza data alla  programmazione piuttosto che all’intervento in situazioni di emergenza. Si promuovano perciò incontri di coordinamento intra-ecclesiale ed extra-ecclesiale per definire obiettivi comuni.  Ci sia altresì reciproca comprensione dei linguaggi usati per analizzare e affrontare i bisogni dei senza fissa dimora. Anche in tal modo si svilupperà una loro cura pastorale purificata da stereotipi, “pre-giudizi” e divisioni ideologiche.

3. Pur essendovi organizzazioni o gruppi che si sentono di occuparsi dei senza fissa dimora, è opportuno riconsegnare le rispettive responsabilità alle autorità civili, centrali e locali.

4. Si promuovano lavoro e abitazione anche nella prospettiva dei diritti fondamentali. Fra questi vi è pure quello alla salute, intesa non solo come assenza di patologie, bensì quale possibilità di accesso al benessere esistenziale.

5. È quindi opportuno che in ogni azione pastorale per i senza fissa dimora – come l’accoglienza abitativa, il lavoro, le cure psicologiche, l’accompagnamento educativo, ecc. – si assumano i limiti della persona, per quanto possibile, allo scopo di evitare il fallimento. Ciò significa che bisogna avere obiettivi possibili e raggiungibili.

6. Parlando di persone che vivono senza dimora fissa si sviluppino nuove e rispettose espressioni linguistiche per indicarli.

7. Senza giudicare le persone, le attività di loro servizio siano mirate alla promozione della qualità della vita e a soluzioni a lunga scadenza, proposte con rispetto, prendendo in considerazione la Dottrina sociale della Chiesa sulla dignità della persona umana. Inoltre tali interventi devono tendere alla trasformazione totale.

Per la Chiesa

8. L’impegno ecclesiale a favore dei senza fissa dimora sia basato sulla verità fondamentale che in essi si rende presente il Cristo sofferente e risorto. Seguendo l’esempio di Cristo, è necessario ascoltarli, dare spazio alla fiducia e creare relazioni. A tal fine, la Chiesa vada loro incontro sulla strada, in positivo coinvolgimento.

9. In vista di offrire un servizio migliore ai senza fissa dimora, è necessario promuovere la collaborazione tra istituzioni ecclesiali, mettendo fine alla tendenza di operare da soli, talvolta con spirito di competizione. Si incoraggi altresì un’appropriata cooperazione con le autorità civili, con altre denominazioni religiose e con istituzioni non confessionali che condividono le medesime preoccupazioni e finalità. Pure le iniziative ecumeniche siano attivamente incoraggiate.

10. Le persone senza fissa dimora ricevano uno stimolo a partecipare alla vita sociale ed ecclesiale, nella misura del possibile. I programmi a loro favore tengano conto delle loro rispettive esperienze, convinzioni, culture e necessità, coinvolgendo le persone nella loro opera di recupero ed evitando di creare dipendenze.

11. Le persone siano avvicinate come soggetti unici, riconoscendo in esse l’immagine e la somiglianza di Dio, e chiamando ciascuno per nome.

12. Nonostante le difficoltà dell’ambiente in cui si opera, bisognerà percorrere con convinzione i sentieri della giustizia, ribadendo la specificità della missione della Chiesa.

13. Pertanto è necessario ed opportuno conoscere questa realtà sia attraverso lo studio sia attraverso l’accoglienza, come risultato della relazione. I poveri sono parte della comunità ecclesiale e come tali devono essere accolti al pari delle famiglie in difficoltà, delle vedove, ecc. Ogni persona ha la sua storia e problemi specifici che vanno conosciuti e affrontati. I senza fissa dimora devono essere considerati portatori di diritti e non considerati soltanto come un catalogo di necessità da soddisfare.

14. Le persone senza fissa dimora siano messe in condizione di potersi esprimere nella Chiesa e negli eventi pubblici. Ciò può avvenire anche nella dimensione tipica del teatro o degli altri mezzi di comunicazione.

15. Si coinvolgano gli studenti, nei diversi livelli formativi, affinché apprendano ciò che è sotteso nella situazione dei senza fissa dimora e siano in grado di aiutare, nella misura appropriata al loro livello.

16. Nelle parrocchie si promuovano buone relazioni familiari e comunitarie, in modo che siano individuati i bisogni emergenti in loco e si provveda ad un’azione preventiva, capace di arginare l’insorgere del fenomeno dei senza fissa dimora.

17. I documenti ecclesiali vanno utilizzati come una risorsa per offrire un ministero efficace.

18. Siano messe a disposizione adeguate misure di finanziamento per permettere ai laici di offrire il proprio apporto alla cura pastorale delle persone senza fissa dimora.

Per le Conferenze Episcopali e corrispondenti Strutture Gerarchiche delle Chiese Orientali Cattoliche

19. Le Conferenze Episcopali e le corrispondenti Strutture Gerarchiche delle Chiese Orientali Cattoliche facciano opera di advocacy per i diritti alla casa e allo sviluppo, nello spirito della Populorum Progressio. Una buona attività di advocacy deriva da informazioni affidabili. I Vescovi locali possono ottenere conoscenza dell’argomento in questione dalle proprie associazioni e da altre, operanti nelle loro diocesi/eparchie.

20. Un cammino di forte impegno implica l’attivazione delle Conferenze Episcopali e delle corrispondenti strutture Gerarchiche delle Chiese Orientali Cattoliche, l’ausilio della Santa Sede, l’illuminazione del Magistero pontificio.

21. In tale contesto, le Conferenze Episcopali e le corrispondenti Strutture Gerarchiche delle Chiese Orientali Cattoliche propongano orientamenti per l’opera di finanziamento, al fine di sostenere le attività specifiche a sostegno delle persone senza fissa dimora, progettare un futuro diverso, aiutare coloro che già operano per i poveri (spesso anch’essi in condizioni di povertà).

22. La Sacra Liturgia potrebbe esprimere tale sollecitudine mediante segni liturgici che manifestino la centralità dei poveri nel cuore di Dio. Una giornata di preghiera per sovvenire alle povertà estreme (magari il 17 ottobre, giornata mondiale contro la povertà), potrebbe contribuire in questo senso.

Per le Diocesi/Eparchie

23. Beni ecclesiali inutilizzati (edifici) potrebbero essere messi a disposizione per abitazioni economiche e ospizi. Le Diocesi/Eparchie considerino l’opportunità di predisporre un progetto per l’abitazione dei senza fissa dimora come segno concreto di questo primo Incontro internazionale, se già non ne hanno approntato uno.

24. Seminaristi, religiosi e operatori pastorali ricevano elementi di formazione sulla dottrina sociale della Chiesa e sulla cura pastorale dei poveri e degli emarginati.

25. Si incoraggi una maggior presenza del Diaconato permanente nel servizio ai poveri e ai senza fissa dimora.

26. Sia stimolata una miglior interconnessione nell’attività dei religiosi e delle religiose e delle associazioni che vantano una lunga tradizione di servizio sociale.

Per le parrocchie e le comunità

27. Le parrocchie siano “comunità di accoglienza”. Si favorisca la costituzione di “comitati sociali” per promuovere e mettere a fuoco le opere di misericordia corporale.

28. Omelie e forme di catechesi siano attente a trattare le sventure dei senza fissa dimora e le conseguenti risposte cristiane.

29. Per essere comunità di accoglienza, quella cristiana metta da parte i pregiudizi, operando un’azione di riconoscimento. In tal senso non esistono poveri che sono prerogativa esclusiva per l’azione di qualcuno. Ad ogni modo, è sempre la comunità che se ne deve fare carico, quand’anche si tratti di un’azione di riconsegna della responsabilità. In un determinato territorio, una comunità è accogliente quando individua il bisogno e offre risposte flessibili, che rifuggono dalla “burocratizzazione”. Pertanto le comunità ecclesiali possono assumersi il rischio di vivere una carità profetica.

30. È opportuno che al proprio interno le comunità ecclesiali riconoscano la presenza di competenze da mettere a disposizione. Tali competenze siano accompagnate da una proposta formativa capace di fornire elementi che risultano utili per la comprensione della realtà.

31. Nelle parrocchie è quindi possibile promuovere “opere che siano segni”, per affermare profezia, interesse e impegno della comunità cristiana per i senza fissa dimora. In particolare, a livello locale, è opportuno cogliere i sintomi della sofferenza e, ancor prima, quelli del disagio. Quest’ultimo si può prevenire quando si dà ampio spazio all’ascolto di ciò che la persona sta vivendo e sperimentando.

32. Tutte le parrocchie e gli altri gruppi ecclesiali accettino il mandato evangelico di accogliere i forestieri e, tra loro, di prendersi cura nel miglior modo possibile del bisognoso e di chi è senza tetto. I sacerdoti e i direttori spirituali siano prontamente disponibili nei confronti dei senza fissa dimora, soprattutto nelle situazioni critiche della loro vita e in occasioni di lutto.

33. La comunità locale, la Chiesa, il popolo di Dio sono chiamati a credere nel futuro delle persone anche senza fissa dimora. Ciò può avvenire mediante la costante comunicazione, nelle forme e nei tempi opportuni. Ogni occasione intesa a “dare voce a chi non ha voce” (si veda l’esperienza dei cosiddetti giornali di strada) è una possibilità in grado di cambiare la percezione che le persone senza dimora fissa hanno di se stesse, ma anche la considerazione e la comprensione della società nei loro confronti. Tutto ciò è un passo nell’accrescimento della fiducia in sé e nella vita.

Per il Pontificio Consiglio

34. Il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, con l’aiuto dei partecipanti, stenda una lista delle organizzazioni che operano con i senza fissa dimora, così che sia facilitato lo scambio dei “modelli” e siano resi più semplici la comunicazione e il coordinamento.

35. Il Pontificio Consiglio dedichi altresì ogni anno una settimana alla sensibilizzazione sulle necessità pastorali delle persone senza fissa dimora, in concomitanza magari con le giornate internazionali loro dedicate.

36. Il presente Incontro non dovrebbe essere il primo e l’ultimo; è importante che vi sia un seguito.

 

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