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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 108, December 2008

 

 

“DALLA MORATORIA ALL’ABOLIZIONE

DELLA PENA CAPITALE”*

(Convocato dalla Comunità Sant‘Egidio)

 

                                                                    

            Arcivescovo Agostino MARCHETTO

Segretario del Pontificio Consiglio 

della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti

                       

Sono particolarmente lieto di prendere la parola in questo Terzo Congresso Internazionale dei Ministri della Giustizia, convocato dalla Comunità di Sant'Egidio per discutere sugli orizzonti e le prospettive della lotta contro la pena di morte nel mondo e per la sua abolizione. E vi dico che ho accettato di essere con Voi anche per i miei 20 anni trascorsi in Africa e perché l'umanesimo che vi ho trovato manifesta un grande amore alla vita, nonostante tutto.

La Chiesa cattolica guarda con estremo favore e con grande speranza alla mobilitazione internazionale che ha come obiettivo finale quello di cancellare da tutti gli ordinamenti giuridici e statuali la pena capitale, e al tempo stesso è consapevole della complessità della cosa e della necessità di procedere con decisione ed anche gradualità, per giungere ad un simile traguardo. Per questo si segue con  interesse non solo il procedere delle decisioni che i singoli Stati prendono in tale materia, ma anche l'applicazione della proposta di moratoria delle esecuzioni, che ha trovato nel dicembre dello scorso anno una pubblica ed alta sanzione da parte dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Si è trattato -credo- di una svolta radicale e di un'occasione straordinariamente opportuna, offerta a tutti i Governi, anche a quelli che manifestano difficoltà e resistenze all'eliminazione totale di questa pena senza appello e senza funzione di riabilitazione del condannato. Si apre dunque – questo è anche il significato del voto dell'ONU - una stagione di riflessione, di esame, di controllo sulle espressioni migliori della giustizia penale atta a garantire efficacemente ordine pubblico e sicurezza delle persone, e al tempo stesso sia più conforme alla dignità dell'uomo, anche di quella del condannato. La moratoria appare anche come il primo passo necessario -direi- per quei Paesi che hanno bisogno di dotarsi di strumenti del diritto appropriati e di offrire radici più profonde, o anche inedite, a una cultura della vita, oggi più condivisa universalmente, nonostante continue minacce e derive violente.

Quando si dibatte della pena capitale, ci si trova sempre di fronte a due vie, caratterizzata, lÂ’una, dalla visione tragica dell'uomo, che attribuisce deterrenza e sicurezza alla violenza pur legale, dello Stato cioè. L'altra va invece verso una giustizia più vera e propositiva. Del resto, come si afferma anche nell'atto costitutivo del Tribunale Penale Internazionale, la pena di morte non è mai necessaria, neanche di fronte a crimini orrendi o al genocidio.

In una prospettiva storica, poi, -e mi piace rilevarlo da storico- l'evoluzione dei singoli Stati è persino incoraggiante: gli ultimi trent'anni hanno visto, cioè, una straordinaria accelerazione del processo di eliminazione della pena di morte dagli ordinamenti giudiziari. E penso di nuovo all'Africa, tanto cara alla Chiesa, alle sue ricchezze e contraddizioni, al suo travaglio e alle sue conquiste. Sono certo comunque della nostra comune responsabilità nel sostenere il movimento abolizionista: esso deve e può divenire una conquista stabile, oltre l'instabilità politica. Deve e può diventare una conquista permanente, in sinergia con altri attori dello scenario internazionale. Si tratterebbe di un nuovo protagonismo africano, che fa onore al Continente. In questi ultimi 27 anni, costato che i Paesi africani abolizionisti sono cresciuti e sono arrivati a 13, mentre quelli che applicano una moratoria de facto sono 23. Nel contesto generale, come certifica l'ONU, su 141 Paesi esenti dalla pena capitale, l'Africa può rappresentare dunque una porzione significativa, forse decisiva. Sarebbe un fatto di rilevanza straordinaria per unÂ’area geografica del mondo, scrutata sempre dai grandi analisti internazionali con occhio scettico o pessimista. Tuttavia abbiamo bisogno gli uni degli altri, poiché questa battaglia non si può vincere da soli.

La Chiesa difende da sempre, nonostante tutto, e continua a farlo, la sacralità della vita umana, dal concepimento sino alla morte naturale, come valore universale. Di fronte a questa acquisizione della coscienza, che è riflesso di una vera e oggettiva natura dell'uomo, fondata sul disegno di Dio, la pena di morte appare sempre di più strumento inaccettabile, prima ancora che inutile o dannoso. Il progetto divino è, infatti, quello di una "civiltà dell'amore e della vita", "senza la quale - scrive Giovanni Paolo II nell'enciclica Evangelium vitae - l'esistenza delle persone e della società smarrisce il suo significato più autenticamente umano".

È per questo che il magistero cattolico, che ha magnificamente illustrato il valore della vita come fondamento di ogni socialità, condanna apertamente, umilmente ma senza esitazione la pena capitale. Cito: "Nel medesimo orizzonte - si legge al numero 27 - si pone altresì la sempre più diffusa avversione dell'opinione pubblica alla pena di morte anche solo come strumento di «legittima difesa» sociale, in considerazione delle possibilità di cui dispone una moderna società di reprimere efficacemente il crimine in modi che, mentre rendono inoffensivo colui che lÂ’ha commesso, non gli tolgono definitivamente la possibilità di redimersi".

Come possiamo allora, da cristiani, accettare che sia negata all'uomo la speranza della redenzione? Un uomo e una donna che hanno sbagliato, che hanno commesso un crimine, per quanto efferato sia, debbono avere la possibilità di essere perdonati, pur subendo una grave pena riparatrice, e vivere nella speranza. I cristiani, specialmente, non possono quindi non credere nella forza e nella grazia del pentimento, che trasforma il cuore e la vita. Essi sanno che il ravvedimento è una fonte di bene e di umanità che può contagiare e irradiarsi a tutti.

Vorrei concludere esprimendo gratitudine alla Comunità di Sant'Egidio, non solo per aver organizzato questa ulteriore giornata di riflessione, così opportuna e propizia, ma anche per tutto il lavoro costante, capillare, a livello internazionale, volto a favorire, presso le Istituzioni e i Governi, presso l'opinione pubblica e le persone comuni, una sensibilità più aperta alle esigenze di una giustizia "che va oltre", rispettosa cioè della vita umana, anche dei condannati.

Mi auguro, insieme a tutti voi, che il cammino verso un mondo senza la pena di morte sia sempre più spedito e giunga presto alla sua destinazione finale. Che tutto questo riesca altresì a fare questo nostro mondo meno violento e macchiato di guerre e ingiustizie.

 

* III Congresso Internazionale dei Ministri della Giustizia, convocato dalla Comunità di Sant'Egidio, Palazzo Rospigliosi 29 settembre 2008 – Roma.

 

 

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