The Holy See
back up
Search
riga

 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 109, April 2009

 

 

Messaggio ai Partecipanti  all’Incontro Annuale del Comitato Cattolico Internazionale per gli Zingari

(Lourdes, Francia, 20 - 22 marzo 2009)

 

Carissimi Fratelli e Sorelle in Cristo, 

Sono lieto di porgere un cordiale saluto a tutti voi, cari partecipanti all’Incontro Annuale del Comitato Cattolico Internazionale per gli Zingari, che si inaugura oggi a Lourdes.

Avete scelto per la vostra riunione un luogo particolarmente caro agli Zingari, i quali ogni anno, il 15 agosto, accorrono numerosissimi alla Grotta di Massabielle per rendere omaggio a Nostra Signora di Lourdes e per attingere qui forza e coraggio per affrontare le fatiche della vita. Ai piedi dell’Immacolata, poi, Rom e Sinti, Manousch e Calé, cercano ristoro e sostegno per realizzare, con rinnovato dinamismo e amore, la propria vocazione cristiana.

Il tema che guiderà le vostre riflessioni in questi giorni Le minoranze: vocazione e dinamismo alla luce del Vangelo – riflessione e formulazione nel vissuto degli Zingari’, è in sintonia con i sentimenti e le attese che spingono i pellegrini verso questo particolare luogo. Vi apprestate dunque a fare un’approfondita rilettura della vocazione e missione di questa minoranza nella Chiesa e nel mondo. Tale rilettura suppone anche una revisione dei modelli di convivenza e di scambio con le società maggioritarie. Auspico per questo che le vostre riflessioni sboccino in decisioni di lavoro concrete, chiare, in grado di ispirare azioni proficue, con pieno rispetto dell’identità e della cultura zingara. 

La questione che vi ponete è sempre stata e continua ad essere, con maggiore intensità, al centro dell’interesse e della preoccupazione della Chiesa e in particolare di questo Pontificio Consiglio. Ne sono espressione concreta anche incontri e congressi promossi dal nostro Dicastero nel corso degli anni, a cui molti di voi regolarmente sono invitati a partecipare.

Gli Zingari, per la loro presenza, che oscilla tra i 12 e i 15 milioni in Europa, possono ben dirsi ‘minoranza europea’, riconosciuta dagli Organismi Internazionali, i quali, poi, hanno sviluppato con successo strutture istituzionali e quadri giuridici necessari per la loro tutela. Tuttavia, in molti Paesi gli Zingari continuano a essere più svantaggiati e/o emarginati, si trovano in posizione di vulnerabilità e spesso divengono oggetto di violenze e aggressioni a sfondo razzista. Inoltre, in quanto minoranza, rimangono tuttora vittime di provvedimenti discriminatori, di stereotipi e pregiudizi spesso consolidati dai media. Eppure, la minoranza zingara, che non conosce confini territoriali, ha sempre ripudiato la lotta come mezzo per imporsi e come ogni altra minoranza anela ad essere riconosciuta come tale nella libertà della sua responsabile autodeterminazione e nel desiderio di partecipare al comune destino dell’intera umanità[1].

Una società ben organizzata deve permettere all’uomo – a prescindere dalla sua appartenenza sociale, culturale, politica e religiosa – di realizzare sé stesso in libertà, in quanto soggetto attivo e responsabile del proprio processo di crescita in tutte le sue dimensioni, e le Autorità sono chiamate a creare condizioni di sviluppo che favoriscono tale processo. Nessuna potestà umana, infatti, può opporsi alla realizzazione dell’uomo come persona, né tanto meno promulgare leggi discriminatorie o emarginanti interi gruppi[2]. Giova ricordare, a questo punto, l’appello di Sua Santità Benedetto XVI il quale non ha mancato di esortare la Chiesa e le Autorità civili ad adoperarsi affinché le relazioni tra i migranti, le minoranze e le popolazioni locali “avvengano nello spirito di quell’alta civiltà morale che è frutto dei valori spirituali e culturali di ogni popolo e Paese. Chi è preposto alla sicurezza e all’accoglienza sappia far uso dei mezzi atti a garantire i diritti e i doveri che sono alla base di ogni vera convivenza e incontro tra i popoli”[3]. Ciò suppone anche, anzi esige, un’interazione reciproca sul piano culturale, sociale, economico e politico che porti a un arricchimento vicendevole e assicuri quanto giova al bene di ciascuno. In ogni caso spetta alla comunità maggioritaria di garantire il necessario perché la minoranza possa realizzarsi in coerenza con i valori inerenti alla propria cultura. Ciò vale per gli Stati, ma anche per la Chiesa.

Essa si impegna a favore della minoranza zingara con una pastorale specifica, di cui anche voi siete Operatori. Il popolo zingaro occupa un posto privilegiato nel “cuore della Chiesa”, che gli fu assegnato da Papa Paolo VI[4]. Negli anni che seguirono, lo zelo pastorale di alcuni Vescovi, Sacerdoti e operatori pastorali laici ha permesso, poi, di determinare il ruolo della Chiesa nella promozione umana, religiosa e sociale della minoranza zingara, come è ben descritto nei nostri “Orientamenti per una Pastorale per gli Zingari”[5].

I fenomeni negativi sopra accennati (discriminazione, razzismo, emarginazione-ghettizzazione, intolleranza) danneggiano non soltanto l’integrità della comunità zingara ma anche il suo dinamismo interiore. Si apre così un vasto campo d’azione per gli Operatori pastorali disposti ad avvicinare gli Zingari con atteggiamenti ispirati al Vangelo, di solidarietà e di amore cristiano. È, infatti, lo spirito evangelico a spingerci ad accogliere incondizionatamente la proposta di Gesù di abbattere le barriere e superare i confini e le divisioni per offrire opportunità per tutti e indicare nuovi percorsi da seguire per realizzare intesa e collaborazione. Dunque, far fronte, in spirito evangelico, ai problemi e alle sfide che minacciano la minoranza zingara, non significa altro che creare condizioni per una convivenza pacifica, atta a eliminare ogni forma di marginalità ed estirpare stereotipi e pregiudizi. Ne consegue, inoltre, che anche la minoranza zingara si impegni ad adempiere ai propri doveri e obblighi, con la partecipazione valida e responsabile di ogni suo membro.

Il Vangelo è ricco di modelli a cui ispirarsi nella progettazione dell’impegno finalizzato a ridare alle comunità zingare il loro vigore originario e a formare persone creative, capaci di adoperarsi per l’integrazione e il miglior inserimento degli zingari nelle attività e nelle opere sociali.  La carità disinteressata del buon samaritano (cfr Lc 10,25-37), la disponibilità alla condivisione e riparazione di Zaccheo (cfr Lc 19,1-10), lo zelo evangelico della samaritana (cfr Gv 4,1-26), la fede e l’umiltà della donna Cananea (cfr Mc 15,21-28), sono tutti atteggiamenti da assimilare e rendere operativi. La peculiarità della pastorale zingara richiede, inoltre, dall’Operatore pastorale atteggiamenti ispirati al Vangelo, quali p.es. una testimonianza di vita secondo lo Spirito, l’esperienza personale di incontro con la Parola, l’amore e la passione maturati nel silenzio della preghiera.

Gesù stesso traccia per ognuno di noi un programma di vita e di lavoro, invitandoci a mettersi alla scuola del Vangelo per imparare ad amare, ad ascoltare, ad apprendere quella saggezza che permette di creare spazi di accoglienza incondizionata e di dialogo affettuoso con l’altro, diverso ed emarginato. Quanto eloquente è al riguardo la riflessione di Benedetto XVI, che desidero proporre qui alla vostra meditazione. Il Pontefice così narra: “Giovanni Paolo II aveva una bellissima espressione ‘L’uomo è la via della Chiesa’ (Redemptor Hominis 14). Possiamo applicare quelle sue parole anche a noi stessi: Dio con noi ha reso l’uomo la nostra via. Sì, l’uomo è la nostra strada. Che l’uomo sia la nostra strada è – direi – pressoché inevitabile; ma ciò può avvenire in un duplice modo. Il primo: come calpestiamo la strada, così possiamo calpestare l’uomo. Ciò avviene quando nella nostra vita noi facciamo dell’uomo solo uno strumento, che poi, una volta usato, non ci serve più. Ma vi è anche un secondo modo: l’uomo può essere nostra strada in un senso alto; quando cioè noi ravvisiamo in lui il tramite per raggiungere  altri uomini nella loro propria realtà; di più ancora, il tramite per giungere al fine, allo scopo della nostra vita. ... Se troviamo in Cristo la nostra via, allora anche l’uomo che noi incontriamo, diventa la nostra via, non nel senso basso di ‘strumento’,  ma nel senso alto, dell’uomo che non è mai mezzo, mai strumento e che è invece sempre ‘fine’ in cui noi ci identifichiamo; diventa nostra via, fino a lasciarci riconoscere in lui, … l’immagine stessa di Cristo, il quale ha detto che dobbiamo riconoscerlo anche nell’ultimo dei nostri fratelli”[6].

Con l’augurio che quel secondo modo indicato dal Papa diventi la norma del vostro agire e marchio delle vostre relazioni reciproche, imploro dal Signore, per l’intercessione di Nostra Signore di Lourdes, la benedizione per voi, per le vostre comunità e per i vostri cari.

 

Grazie.

 

 

 

+ Antonio Maria Vegliò

Presidente

 

 

 

+ Agostino Marchetto

Arcivescovo Segretario


 

 

 


[1] Cfr Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Convegno organizzato dal Centro Studi Zingari (26 settembre 1991): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIV, 2 (1991), p. 658.

[2] Cfr Giovanni Paolo II, Messaggio per la XXI Giornata della Pace (8 dicembre 1987): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X, 3 (1987), p. 1333.

[3] Benedetto VI, Angelus (4 novembre 2007): Insegnamenti di Benedetto XVI, III, 2 (2007), p. 548.

[4] Cfr Paolo VI, Omelia al Campo Internazionale degli Zingari (26 settembre 1965): http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/homilies/1965/documents/hf_p-vi_hom_ 19650926_intmeeting-nomads_it.html

[5] Il documento è pubblicato sulla Rivista del nostro Dicastero “People on the Move” Supplemento al N. 100 ed è reperibile sul sito web: www.vatican.va Curia Romana Pontifici Consigli Pastorale per i Migranti e gli Itineranti Nostra Rivista “People on the Move”.

 

[6] Benedetto XVI, Omelia, Messa di benedizione del Presepe di Netturbini (20 dicembre 2007): www.vaticanstate.va/IT/Stato_e_Governo/StrutturadelGovernatorato/Presidenza/Presidente/2007/20_dicembre_2007.htm

 

top