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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 111, December 2009

 

 

 

Messaggio della Federazione Luterana Mondiale

 

 

Dott.ssa Franca DI LECCE

Direttore – Servizio Rifugiati e Migranti FLM - Italy

Delegata del Segretario Generale della FLM

 

È un grande piacere per me partecipare al VI Congresso Mondiale della Pastorale per i Migranti e i Rifugiati in rappresentanza della Federazione Luterana Mondiale.

Porterò una riflessione sul tema del Congresso “Una risposta pastorale al fenomeno della migrazione nell'era della globalizzazione”, partendo dall'esperienza e dall'impegno che le chiese protestanti italiane portano avanti con i migranti e i rifugiati, in un contesto europeo ed internazionale. 

Le chiese protestanti, a livello internazionale, hanno posto da diversi anni il tema delle migrazioni al centro della loro riflessione, non solo teologica, nella consapevolezza che questo rappresenta una delle sfide maggiori anche per le chiese di oggi.

Le migrazioni, come si legge nella introduzione della Erga migrantes caritas Christi, hanno assunto un carattere strutturale e permanente in tutte le società contemporanee.

I movimenti migratori coinvolgono oggi oltre 200 milioni di persone che lasciano i propri paesi di origine, per scelta o per necessità, alla ricerca di migliori opportunità di lavoro e di formazione, per ragioni familiari, o in fuga da guerre, persecuzioni e disastri ambientali.   

La globalizzazione ha aperto i mercati, ha offerto nuove opportunità, ha ridotto le distanze, ha facilitato le comunicazioni e l'accesso alle nuove tecnologie, ha abbattuto frontiere tradizionali, incoraggiando lo spostamento delle persone. Tuttavia profonde sono le contraddizioni emerse: quelle opportunità non sono alla portata di tutti, sono aumentate nel mondo la disoccupazione, la fame e la povertà, le guerre e i conflitti, si sono acuite le disuguaglianze tra Nord e Sud del mondo, nuove frontiere e nuovi muri sono stati costruiti, si sono affermate nuove forme di sfruttamento e moderne schiavitù. 

Migliaia di esseri umani nel mondo oggi vengono venduti e scambiati come merci da organizzazioni criminali per produrre profitti. I migranti, in particolare, sono oggi i “nuovi schiavi” e la tratta di esseri umani è una delle forme più drammatiche e brutali di violazione dei diritti umani.

I migranti di oggi che intraprendono viaggi pericolosi, affidandosi a trafficanti senza scrupoli, spesso muoiono nel deserto, annegati in mare, nei fiumi, assiderati nei valichi di montagna, nascosti nei camion.

Quei corpi negati e annegati nel Mediterraneo, nell'Atlantico, nel Riobravo o respinti alle diverse frontiere del mondo ci parlano.  

Allo stesso tempo, le nostre società contemporanee sempre più si misurano con un modello economico in crisi, un'instabilità sociale crescente che si estende gradualmente anche alle classi medie, ai lavoratori precari, ai giovani. Il concetto di sud del mondo comincia ad acquisire un volto nuovo, un significato non soltanto geografico: periferie emergenti nel Sud come nel Nord del mondo sono accomunate dall'esclusione e dalla marginalizzazione, aumenta la povertà e la disoccupazione nel Nord, crescono le violazioni dei diritti umani in tutto il mondo, l'ambiente è a rischio.

Questo rimescolamento delle coordinate geografiche tradizionali pone nuove domande  e necessità di nuovi strumenti di analisi. 

Se è un dato ormai acquisito il contributo che i migranti danno ai paesi di destinazione, in termini economici e demografici, ma anche sociali e culturali, l'immigrazione nell'ultimo decennio è stata sempre più affrontata in termini di sicurezza internazionale. La preoccupazione maggiore dei Governi continua ad essere quella del contenimento dei flussi e la lotta all'immigrazione irregolare, che senza dubbio è fonte di insicurezza sociale, ma poca attenzione viene data ancora ai percorsi di integrazione e cittadinanza, ai diritti e ai canali di ingresso regolare.

Le attuali politiche migratorie, incentrate sul controllo delle frontiere e ossessionate dalla sicurezza, non hanno raggiunto gli obiettivi: hanno prodotto ulteriore irregolarità, incrementato i traffici illeciti, hanno contribuito ad aumentare nelle nostre società tensioni sociali, marginalità ed esclusione. Le società contemporanee sono dominate dalla paura, le comunità locali e nazionali si percepiscono assediate, i cittadini ripiegano su sé stessi in difesa del proprio territorio e del proprio spazio individuale, alla ricerca di identità statiche e anacronistiche.

Sono aumentati negli ultimi anni la diffidenza  e il razzismo verso i migranti, percepiti come  presenze destabilizzanti e come minaccia ai nostri privilegi e alle nostre identità.

In questo contesto le chiese, e molte organizzazioni umanitarie, attraverso il loro impegno quotidiano in difesa dei migranti e dei rifugiati, rimettono al centro del dibattito la dignità delle persone la centralità dei diritti umani. La cultura dell'accoglienza e della solidarietà, si pone come un'alternativa necessaria e credibile, anche nell'interlocuzione con le istituzioni.

Al binomio sicurezza-immigrazione abbiamo opposto il binomio accoglienza-solidarietà, valori irrinunciabili e fondanti del nostro essere cristiani, ma non basta.

Cosa rimane nell'ombra? Forse è questa la domanda che oggi dobbiamo porci come chiese per spostare i termini della questione.     

Quello che rimane nascosto è la logica con la quale si affronta l'immigrazione, una logica di guerra che devia lo sguardo dei cittadini dalle reali insicurezze e occulta il fallimento di politiche che non hanno portato sicurezza, lavoro, pace e sviluppo.

La sicurezza, è diventato lo slogan esibito dai Governi, sempre più strumentalizzato per occultare l'incapacità di garantire la sicurezza, e cioè di promuovere la legalità, di punire il crimine organizzato e la corruzione, di combattere la disoccupazione e la povertà attraverso politiche di inclusione sociale, economica e culturale rivolte a tutti i cittadini. Il dilagante razzismo nelle nostre società è uno degli effetti più devastanti di questa strategia.

I meccanismi del razzismo sono gli stessi della guerra perchè si fondano sul concetto di superiorità e supremazia, sopraffazione e annientamento dell'altro, sulla coercizione e sulla crudeltà intenzionale. Come la guerra, il razzismo annienta le differenze, semplifica e impoverisce, riduce le persone a numeri, individua un nemico da perseguitare e distruggere. I meccanismi disumanizzanti della guerra e del razzismo sono legati da un filo occulto e pericoloso che è il processo di graduale normalizzazione. Ci si abitua alla guerra e al razzismo a poco a poco: quello che all'inizio sembra intollerabile diviene gradualmente sopportabile, fino a diventare normale.

La guerra è talmente crudele che le sofferenze altrui diventano trofei. Oggi in Italia il numero delle persone respinte in Libia, senza che della loro sorte si sappia più nulla, è il trofeo di questa modalità di guerra. Persone in fuga da povertà e guerre vengono rispedite al mittente come pacchi scomodi di cui disfarsi rapidamente. Non sappiamo i loro nomi, non conosciamo le loro storie di fuga, e forse non le conosceremo mai. 

La legge sulla sicurezza recentemente approvata in Italia, nella parte relativa all'immigrazione, è un inganno e risponde a una strategia della paura che porta ad una tragica anestetizzazione dei sentimenti e delle coscienze. 

Oggi in Italia è diventato reato una condizione individuale, la condizione di migrante: si  punisce chi non è in regola con il permesso di soggiorno e non perchè commette reato.

Si restringono i diritti delle famiglie dei migranti, si ostacolo i percorsi di integrazione, si inaspriscono gli strumenti penali e aumentano i centri e i tempi di detenzione. La cultura della solidarietà e dei diritti su cui abbiamo fondato le nostre democrazie occidentali lascia il posto alla cultura della sudditanza, della umiliazione, della concessione dei diritti a pochi e sempre minori. La riduzione dei diritti dei migranti, uomini e donne da tenere in condizioni di precarietà, ricatto e sfruttamento, crea insicurezza con gravi ripercussioni sulla pacifica convivenza nelle società.

L'accanimento nei confronti dei migranti “colpevoli” di non essere in regola con il permesso di soggiorno sta creando un clima sempre più instabile e teso, sta radicalmente cambiando il volto delle nostre società. 

I movimenti migratori portano grandi cambiamenti nelle società contemporanee, dunque anche le chiese cambiano, sia quelle dei paesi di origine che quelle dei paesi di destinazione. I migranti arricchiscono e mettono in discussione le nostre chiese, ci interrogano sul nostro impegno missionario, sul nostro modo di vivere la fede e di essere comunità aperte e inclusive. La presenza di credenti migranti all'interno delle nostre chiese ci porta a ripensare le nostre categorie, i nostri schemi e a intraprendere percorsi nuovi di dialogo.

Le migrazioni rappresentano oggi per tutti noi una grande opportunità ecumenica: la costruzione di uno spazio di pace e di riconciliazione, dove la diversità non è motivo di esclusione ma un'opportunità per la crescita reciproca. I migranti cristiani non sono solo oggetto di solidarietà, accoglienza e assistenza pastorale, ma protagonisti attivi nella vita delle nostre chiese e nella società. Nella quinta raccomandazione del messaggio conclusivo della III Assemblea Ecumenica Europea, tenutasi a Sibiu nel 2007, si raccomanda alle chiese di riconoscere che “i migranti cristiani non sono semplici destinatari di cura religiosa ma che possono svolgere un ruolo completo e attivo nella vita della chiesa e della società”.

Non sono ospiti, ma membri a pieno titolo, sono sorelle e fratelli responsabili insieme a noi  dello spazio della creazione che ci è stato affidato. 

Per questo le chiese, e tutte le comunità di fede, hanno un ruolo importante da giocare nei processi migratori. Possono diventare ponti di dialogo tra differenti culture e tradizioni religiose, un modello di integrazione stimolante per la società, se rinunceranno ad essere esclusive e dominanti, e condivideranno valori, beni e spazi.

Per noi cristiani, dunque, la logica della guerra e del razzismo, che mira alla conservazione delle disuguaglianze globali, è una trappola che acutizza i problemi, non dà risposte ai veri bisogni dell'umanità, non ha visione e non offre alternative per cambiare  le nostre società avvelenate, malate e anestetizzate.

Ma un'alternativa c'è! Proprio a partire dall'elaborazione di quel dolore che proviamo nel nostro lavoro quotidiano quando incontriamo i migranti e rifugiati e ascoltiamo  le loro storie di diritti negati, di vite spezzate e umiliate.

L'alternativa è quella di affrontare le migrazioni internazionali a partire da valori del Cristianesimo: pace, amore e giustizia che, pragmaticamente, nell'era della globalizzazione, si possono tradurre nel  trinomio di  pace, democrazia e sviluppo. 

Vi ringrazio per aver avuto l'opportunità di condividere con voi preoccupazioni e speranze per il futuro dell'umanità  e sono convinta che questo VI Congresso porterà un contributo importante alla riflessione e all'analisi delle migrazioni nell'era della globalizzazione, dando nuovo slancio all'impegno delle chiese con i migranti e rifugiati.  

 

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