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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 111, December 2009

 

 

 

urgenza e sfide della cooperazione ecumenica e interreligiosa nellÂ’attuale situazione dei migranti e dei rifugiati

(lÂ’esperienza dei movimenti ecclesiali)

 

 

Dott.ssa Daniela POMPEI

Responsabile per i servizi agli immigrati

Comunità di SantÂ’Egidio, Italia

 

Per introdurre il mio contributo: “LÂ’urgenza e le sfide della cooperazione ecumenica e interreligiosa nellÂ’attuale situazione dei migranti e dei rifugiati”, vorrei partire da una immagine biblica, quella dellÂ’arca di Noè. Non di rado, e in modo particolare negli ultimi tempi, mi è capitato di riflettere sul ruolo, sul valore la comunità cristiana, che la Chiesa rivestono nel mondo di oggi: unÂ’arca di umanità.

A giugno di questÂ’anno, alla presenza di Sua Eccellenza Vegliò, abbiamo celebrato con una veglia ecumenica nella chiesa di Santa Maria in Trastevere a Roma, la memoria delle oltre 15.000 persone, migranti e rifugiati, che in questi ultimi anni hanno perso la vita nel Mar Mediterraneo, nel tentativo disperato di trovare un futuro fuggendo da situazioni difficili e da conflitti invivibili. “Morire di speranza” è il titolo che abbiamo voluto dare a questo appuntamento ricco di significato al quale si uniscono le comunità cristiane straniere presenti a Roma.

In questa occasione abbiamo donato un ricordo della preghiera a tutti i partecipanti: lÂ’immagine dellÂ’arca di Noè. LÂ’arca che simboleggia la protezione divina in un momento in cui la tempesta del diluvio si riversa con violenza e sommerge la vita di molti. Come il mare che inghiotte uomini, donne bambini, speranze, e invece di unire le sponde sempre più sancisce la separazione di destini e di mondi. NellÂ’arca trovano protezione gli esseri viventi, le persone, i deboli, i poveri ma anche si salvaguardano i valori dellÂ’umanità: il rispetto, la dignità umana, i diritti umani e lÂ’accoglienza. Una riserva, insomma, di speranza e di carità.

I paesi europei, in particolare quelli della sponda sud hanno assistito negli ultimi anni ad un aumento del numero di cittadini stranieri sui loro territori. LÂ’emigrazione porta con sé, oltre allo spostamento delle persone fisiche anche lÂ’immissione nelle società di arrivo della complessità di cui ogni uomo e donna sono portatori: lingue, culture, tradizioni e religioni diverse che si vengono ad incontrare in uno stesso territorio. Il movimento migratorio inserisce nei paesi ospitanti, necessariamente anche la cultura e la religione di appartenenza dei migranti. La componente religiosa è un dato di fatto da conoscere e di cui tenere conto quando si ragiona e si pensa ad interventi nel campo dellÂ’immigrazione.  

La dimensione religiosa del fenomeno migratorio: alcuni dati su cui riflettere.

Secondo i dati delle Nazioni Unite i migranti nel mondo sono circa 200 milioni. In Europa, nella sua suddivisione geografica e non politica, sono 64 milioni[1]. Le più numerose diaspore di migranti riguardano i cinesi (35 milioni), gli indiani (20 milioni) e i filippini (7 milioni). Prevalentemente asiatici.

Il movimento migratorio porta con sé non solo uno spostamento di segmenti di popolazione. Spesso si riduce tutto ad un problema statistico, di numeri, ma le persone non sono numeri o problemi e ci sono degli aspetti delicati da considerare.

La sfida dellÂ’accoglienza per i paesi ospitanti non si riduce solo a creare qualche posto letto, servizi sociali o alloggi in più, che in ogni caso andrebbero previsti. CÂ’è sicuramente una dimensione organizzativa dellÂ’accoglienza, ma cÂ’è anche una “dimensione religiosa” da capire, da rispettare e innanzitutto da conoscere, importante quanto la cultura, la lingua, la domanda di integrazione, la fame di futuro che i migranti portano nel loro povero e ricco bagaglio.

Mi vorrei soffermare su questo aspetto. Alcuni paesi, tra questi lÂ’Italia, che per secoli hanno visto la presenza dominante di unÂ’unica religione, o confessione cristiana, negli ultimi 30 anni hanno visto una impressionante e rapido cambiamento di prospettiva con la compresenza e la pluralità nei propri confini di differenti credi religiosi e confessioni cristiane. Basti pensare allÂ’Italia dove fino alla fine degli anni ‘70 erano presenti di fatto solo due grandi religioni, i cristiani con la quasi totalità di cattolici, fatta eccezione per una piccola minoranza di protestanti e gli ebrei italiani che contavano circa 35.000 persone.

Oggi il panorama religioso italiano è profondamente mutato grazie allÂ’arrivo e la permanenza dei cittadini stranieri. Tra i migranti, i cristiani - e non i musulmani - sono la maggioranza e solo gli ortodossi alla fine del 2008 erano circa 1.500.000 sul totale di 3.900.000 di stranieri regolari, cioè a dire più di un terzo.

Complessivamente i cristiani “stranieri”, comprendendo cattolici, ortodossi e protestanti erano alla stessa data 2.534.545.[2] Non va sottovalutata anche la presenza delle sette e la loro azione è molto agguerrita tra le comunità di immigrati. LÂ’islam è divenuta la seconda religione del paese, i musulmani sempre alla fine del 2008 erano 1.200.000 persone, a seguire troviamo circa di 150.000 buddisti, 15.000 sikhs e intorno a 91.000 induisti. Per gli ebrei possiamo parlare di una emigrazione di transito tra i migranti, molti ebrei dellÂ’est europeo, russi, sono passati per lÂ’Italia con lo scopo di raggiungere gli Stati Uniti o Israele. I falasha, gli ebrei etiopici, hanno transitato velocemente sul territorio italiano. Oggi gli ebrei in Italia sono 30.000 persone[3].

Nel resto dellÂ’Europa la situazione non si discosta molto, e al contrario di quanto alcune notizie giornalistiche riportano, nel 2006 –ultimo dato disponibile – solo il 9,3 % dei nuovi ingressi di migranti nei paesi dellÂ’Unione Europea era costituito da musulmani.[4] La maggior parte dei migranti invece proviene dai paesi dellÂ’Unione Europea (romeni e polacchi) e altri da paesi dellÂ’Est Europeo (Ucraina, Moldavia, Albania etc). Per completare il quadro è giusto ricordare come nel contesto europeo alcuni paesi di vecchia immigrazione, Francia, Germania, Regno Unito, vedono delle consolidate e consistenti comunità di cittadini musulmani di origine straniera. Si pensi ai turchi in Germania, ai marocchini e algerini in Francia, e ai pakistani e asiatici in Gran Bretagna.

Sulla presenza dei musulmani, è opportuno fare le dovute precisazioni perché non stiamo parlando di un mondo monolitico, al contrario. Si tratta di decine e decine di “mondi” musulmani: Hararici, Oromo, Magrebini, le diverse confraternite senegalesi, i Pakistani, i siriani, i bangladeshÂ… Mi fermo solo per ragioni di tempo, per dire la pluralità di un mondo che solo uno sguardo superficiale può considerare omogeneo. Uno degli aspetti significativi dellÂ’esperienza della Comunità di SantÂ’Egidio è stata lÂ’ospitalità per le feste religiose delle comunità straniere. Ricordo quando si trattava di ospitare la festa per la fine del Ramadan e da subito comprendemmo che non si poteva immaginare “una” festa. Per gli etiopici, per dire solo una delle nazionalità, significava fare ben tre feste diverse, non era ipotizzabile mettere insieme gli Oromo con gli Hararici o gli Affar. Figuriamoci le differenze con i musulmani asiatici. Â… Non è ovviamente un problema di temperamento religioso: basta pensare alla distanza esistente in Belgio tra un cattolico fiammingo e uno vallone.

Non vanno poi dimenticate le comunità religiose asiatiche dei Sik, induisti, buddisti, e restando nellÂ’ambito della fede cristiana abbiamo i pentecostali.

La domanda religiosa merita attenzione e rispetto accanto ad altri aspetti della vita degli immigrati. La domanda religiosa accompagna la vita dei cittadini stranieri dallÂ’inizio del percorso migratorio. Spesso in una esistenza fatta di precarietà assoluta, e in un quotidiano vissuto sulla strada perché non cÂ’è la casa, non è raro incontrare nel cuore delle baraccopoli che nascono ai margini delle città un luogo di preghiera pulito e curato che può essere una piccola moschea, o un tempio sikh, dove il rispetto per il luogo fisico denota unÂ’attenzione particolare alla dimensione religiosa.   

Il dialogo ecumenico: un fatto di popolo

Il dialogo ecumenico è stato a volte rappresentato come un tema per pochi, confinato agli ambiti ristretti dottrinali e teologici. Per anni è stato così: un campo di interesse riservato a specialisti. Ma oggi lÂ’immigrazione mette milioni di persone ogni giorno a confronto con altri che vivono, che credono (o che si secolarizzano) in modo differente. Insomma il dialogo ecumenico è divenuto pane quotidiano di milioni di persone. Aggiungo, necessario come il pane. Quando con la Comunità di SantÂ’Egidio 30 anni fa accoglievamo i primi egiziani che venivano in Italia e insegnavamo loro la lingua italiana, cosa ci chiedevano? Aiuto concreto certo, ma rimanemmo stupiti dalla richiesta insistente di avere un luogo per pregare e per celebrare la Liturgia, la Liturgia copta. Non si trattava infatti di egiziani musulmani ma cristiani.

Ricordo ancora quando Saad, un uomo egiziano che lavora come cuoco, mi invitò per la prima volta alla loro Liturgia, in quel tempo ospitata in un garage dove potevano celebrarla solo una volta al mese! La comunità copta contava più di 2000 persone, e potevano celebrare la Messa una volta al mese in un garageÂ… Ora è più normale per le chiese cattoliche ospitare le altre comunità cristiane ortodosse, romene o etiopiche, penso allÂ’esperienza significativa di alcune parrocchie di Roma, Napoli e di numerose città italiane ma si potrebbe estendere anche alle città europee. Ma ricordo che 25 anni fa per primi e non senza qualche timore ospitammo gli egiziani per celebrare la liturgia copta. Ci siamo resi conto, cioè, che non era possibile dividere le persone a metà: da una parte i bisogni concreti e dallÂ’altra quelli spirituali, ma che bisognava rispettare profondamente chi avevamo davanti. La domanda di fede richiedeva la nostra attenzione ma anche ci provocava come cristiani a vedere gli stranieri come fratelli e sorelle. 

Pasqua Ecumenica

NellÂ’incontro quotidiano con i cittadini e le cittadine straniere si viene a conoscenza attraverso il dialogo ad esempio che la Pasqua non si celebra per tutti lo stesso giorno, così come anche il Natale. Non è raro vedere in diverse città europee dove ci sono comunità ortodosse che la festa della Resurrezione si celebra in giorni diversi. Circa ogni 4 anni il giorno della Pasqua coincide per tutti i cristiani e allora è oramai consuetudine che dove ci sono Comunità di SantÂ’Egidio nelle differenti città ci si riunisce per pregare insieme il lunedì dellÂ’angelo. Una preghiera ecumenica di tutte le comunità cristiane degli immigrati con i loro responsabili religiosi. CÂ’è una domanda di unità e di essere insieme per alcune grandi feste religiose cristiane che nasce anche dallÂ’esperienza dellÂ’emigrazione.

Promuovere quando è possibile momenti comuni di preghiera tra cristiani di confessioni diverse può essere una via concreta per vivere un dialogo ecumenico che coinvolge il popolo dei credenti.

Il dialogo Interreligioso

Pochi anni dopo, ospitammo in una delle nostra case di accoglienza “la tenda di Abramo” − un nome che meriterebbe una sottolineatura in più − un gruppo di etiopici che transitavano prima di andare come destinazione definitiva in Canada o negli USA. Terminato il periodo di ospitalità siamo andati a sistemare la casa. Si può capire lo stupore nel vedere fissate ad alcune spalliere del letto le Mezuzah, simbolo ricco di significato della religione ebraica, che avevano portato con loro e avevano attaccato di nascosto: nella stessa casa, anzi proprio nella stessa stanza erano accolti anche musulmani etiopici. Erano ebrei falasha, ospitati da una comunità cattolica, insieme a dei musulmani: le tre religioni del libro si trovavano accanto lÂ’una alle altre in una vicenda di accoglienza e di solidarietà.

Alcuni paesi mediorientali, penso al Libano, sono stati e sono ancora per definizione paesi pluri-religiosi. In particolare le religioni del libro si sono confrontate per secoli negli stessi spazi sociali e umani.

Oggi sempre più questa convivenza “religiosa” è divenuta lo scenario normale in molti paesi del mondo ricco. Penso a tanti contesti che in pochi anni hanno visto il loro panorama religioso arricchirsi e articolarsi in tante espressioni. Questo è vero non solo per i paesi tradizionalmente cristiani della vecchia Europa ma è anche una realtà in molti paesi ricchi che hanno una maggioranza religiosa islamica. Si pensi alla Turchia. Colpisce trovare ad Istanbul le chiese cattoliche piene di cittadini filippini che celebrano la liturgia in inglese. Mentre diminuiscono e scompaiono i cristiani caldei turchi. I cristiani asiatici, emigrati per motivi di lavoro, sono un segno anche negli Emirati Arabi è importante in contesti mono religiosi anche solo vedere dei cristiani che pregano e si riuniscono per il giorno dedicato al Signore. Gli immigrati possono rivitalizzare dove sono anche il tessuto religioso nei luoghi di insediamento.

 È un processo che va accompagnato, bisogna ricollocarsi in una nuova prospettiva più ricca e non necessariamente minacciosa: si pensi ad un cattolico italiano che vede sorgere una moschea nel suo quartiere, ma si pensi anche ad un cittadino marocchino che si trova ad essere inserito in una minoranza, lui che proviene da un paese dove i simboli della religione islamica sono maggioritari e pervadono tutta la vita quotidiana, dal canto del Muezzin in poi.

La Chiesa non si è stancata, anche negli ultimi tempi, di reclamare questo importantissimo diritto che è il rispetto per il credo religioso.[5]

A questo proposito vorrei citare le parole di Chiara Lubich. In una lettera del 1980 al movimento dei focolari, Chiara Lubich dava questa consegna: «Se nelle vostre città vÂ’è una moschea o una sinagoga o qualche altro luogo di culto non cristiano, sappiate che lì è il vostro posto». Il giornalista Accattoli in una intervista del 2004 le chiedeva: “Ripeterebbe quella indicazione, dopo aver udito le parole violente che vengono dalle moschee? Chiara Lubich senza esitazione rispondeva «La sento più che mai attuale. Essa è, nella sostanza, una risposta allÂ’invito di Gesù di farsi tutto a tutti.»[6]

LÂ’arte del convivere – così lÂ’ha definita Andrea Riccardi – deve trovare intelligenza, idee. Benedetto XVI nella Enciclica Caritas in Veritate ha richiamato lÂ’insegnamento d Paolo VI e della Populorum Progressio quando “notava che «il mondo soffre per mancanza di pensiero» - scrive Papa Benedetto XVI - L'affermazione contiene una constatazione, ma soprattutto un auspicio: serve un nuovo slancio del pensiero per comprendere meglio le implicazioni del nostro essere una famiglia; l'interazione tra i popoli del pianeta ci sollecita a questo slancio, affinché l'integrazione avvenga nel segno della solidarietà”.[7] Uno slancio che si nutre anche di percorsi comuni di memoria e di incontro. I movimenti ecclesiali si sono cimentati in questo sforzo. Penso al Movimento dei Focolari, a Comunione e Liberazione e molti altri che costruiscono un tessuto cristiano aperto al dialogo e allÂ’incontro con lÂ’altro. Cito le parole di Sua Eccellenza Vegliò: “La sapienza del Vangelo, lÂ’umanesimo cristiano che scaturisce dalla Chiesa, non è debolezza o ingenuità: è intelligenza e cultura, senso di responsabilità e capacità di edificare il bene comune.”[8]

In questo senso le parole di Giovanni Paolo II a conclusione della Preghiera per la pace ad Assisi nel 1986, necessitano oggi più che mai di essere incarnate. “La pace è un cantiere, aperto a tutti e non soltanto agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi”. La pace. Perché non deve essere sottaciuto che attorno alle questioni delle migrazioni è legato anche il futuro di pace e di serenità delle nostre società. Penso alla conflittualità, alla violenza e alla spinte xenofobe e razziste che aumentano in modo preoccupante in tantissimi paesi del pianeta[9]. Essere “Genti di Pace”, uomini e donne di culture, lingue e religioni diverse che cercano la pace nella vita quotidiana, che imparano a vivere insieme.

"Verrà il momento in cui la Chiesa sarà sola a difendere nello stesso tempo l'uomo e la cultura" così diceva Newman, ci sono stati tempi e momenti difficili in cui questo è stato vero. Forse anche nel nostro tempo la voce della Chiesa, e proprio su questi temi, è restata sola ed isolata a difendere lÂ’uomo e la cultura: unÂ’arca di speranza e di umanità in un mare agitato.

Credo allora si possano indicare alcuni punti su cui sviluppare un lavoro comune

  • Costruire lÂ’Europa come un laboratorio di convivenza pacifica tra le religioni. Andrea Riccardi nella sua riflessione sul convivere e sulla sfide del vivere insieme delinea un forte ruolo dellÂ’Europa: “unÂ’Europa segnata dalla stratificazione culturale e dallo scambio, – dice Andrea Riccardi - non può essere un continente di uomini e donne svuotati. Esistono radici spirituali e umanistiche da cui prendere orientamento per una identità profonda(Â…) “Nel clima spirituale europeo sono maturati il senso forte della pace, la pietas verso la vita e il valore della vita umana. (Â…) Bisogna negoziare e allargare un patto per vivere insieme con altri che non sono del tutto estranei. LÂ’Europa può avere un ruolo importante in questo processo.”[10].
  • Il lavoro culturale per fare conoscere e avvicinare le diverse tradizioni religiose, per sconfiggere lÂ’ignoranza. LÂ’avere organizzato dei momenti di approfondimento e delle giornate di studio sulla chiesa dellÂ’Etiopia o sulla Romania o sulle chiese del Medio Oriente per contrastare il pregiudizio e favorire la conoscenza, è stato un vero servizio per una nuova cultura del dialogo ed un nuovo umanesimo.
  • La memoria dellÂ’olocausto. Un fatto della storia europea che non può essere dimenticato (solo una breve parentesi: è davvero significativa la presenza dei musulmani nelle varie giornate di memoria che la Comunità di SantÂ’Egidio organizza ogni anno in molte città europee, sono momenti che costruiscono una memoria storica condivisa, proprio a partire dallÂ’olocausto, per i cittadini europei vecchi, che facilmente lo dimenticano, e nuovi che ancora lo ignorano).
  • La memoria dei morti in mare. Una memoria cristiana ecumenica che unisce i credenti, e che accompagna davanti al Signore chi ha visto rubare la propria vita e speranza da una morte profondamente ingiusta e che implora di salvare il mondo ricco dalla disumanità e dallÂ’indifferenza, dallÂ’abisso tra sé e i poveri che il ricco Epulone della parabola evangelica ostinatamente non si preoccupa di colmare, che lo allontana dal povero Lazzaro ma anche che lo condanna ad un futuro di tormenti.
  • LÂ’ospitalità per le feste religiose di cui ho parlato.
  • La solidarietà e lÂ’amore per i poveri come terreno comune per aiutare chi è più in difficoltà (Solo alcuni esempi e se ne potrebbero fare tantissimi altri: La Chiesa ortodossa di Cipro che ha finanziato il Programma DREAM per la cura dellÂ’AIDS in Africa della Comunità di SantÂ’Egidio; I molti immigrati di religione diverse tra cui non pochi musulmani che ci aiutano nei nostri servizi alla mensa, ai centri di accoglienza, alla scuola di Italiano che aiutano gratuitamente nello spirito della amicizia gratuita che hanno ricevuto.

Concludo. La Chiesa cattolica, sembra essere la destinataria di una grandissima aspettativa di pace e di dialogo. In questa epocale trasformazione che le nostre società vivono anche grazie ai processi migratori i cristiani possono essere lÂ’anima di un nuovo corpo sociale che si va costituendo. “A dirla in breve – come scrive lÂ’autore della lettera a Diogneto –, come è lÂ’anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani” e a proposito di questo ruolo decisivo dei cristiani nel mondo lÂ’autore conclude “Dio li ha assegnati a una posizione tanto importante che non è loro lecito sottrarvisi.”[11]

Le parole di Paolo VI, pronunciate nel 1964, credo che possano anche oggi rappresentare un punto di riferimento per il nostro essere cristiani in questo mondo bello e contraddittorio: “Oggi la fratellanza sÂ’impone; lÂ’amicizia è il principio dÂ’ogni moderna convivenza umana. Invece di vedere nel nostro simile lÂ’estraneo, il rivale, lÂ’antipatico, lÂ’avversario, il nemico, dobbiamo abituarci a vedere lÂ’uomo, che vuol dire un essere pari al nostro, degno di rispetto, di stima di assistenza, di amore, come a noi stessiÂ…Â…..che i confini dellÂ’amore si allarghino.”[12]  


 

[1] Cfr. ONU 2007, Migration Internationales et development Fiche dÂ’information, www.unmigration.org e Global Commission on International Migration (GCIM). Les migrations en bref www.gcim.org

[2] Elaborazione Comunità di SantÂ’Egidio sui dati degli stranieri residenti in Italia forniti dallÂ’Istat.

[3] Dati Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.

[4] Elaborazione Comunità di SantÂ’Egidio su dati Eurostat, Statistics in focus 98/2008 Recent migration trends.

[5] Benedetto XVI, Caritas in Veritate n. 29.

[6] Chiara Lubich e la sorpresa dei Focolarini di Allah, Intervista di Luigi Accattoli a Chiara Lubich, Sul Corriere della Sera - Terza pagina – 13.2.2004.

[7] Benedetto XVI, Caritas in Veritate n. 53.

[8] Omelia di Monsignor Vegliò a Santa Maria in Trastevere, il 25 giugno 2009.

[9]European Union Agency for Fundamental Rights, ANNUAL REPORT 2009 http://www.fra.europa.eu/fraWebsite/attachments/FRA-AnnualReport09_en.pdf

[10] Andrea Riccardi, Convivere, Ed. Laterza, Bari 2006 cit. pag. 151.

[11] Lettera a Diogneto, VI Ed. Paoline, 2002.

[12] Paolo VI, Radiomessaggio natalizio, 22 dicembre 1964.

 

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