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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 112, June 2010

 

Carità e verità anche per i migranti*

Questione sociale e questione antropologica al cuore dell’Enciclica

Caritas in Veritate

 

S.E. Mons. Antonio Maria Vegliò

Presidente del Pontificio Consiglio

della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti

 

Un’Enciclica di grande respiro

Nella Sala Stampa della Santa Sede, il 7 luglio scorso, è stata presentata la terza Lettera Enciclica di Papa Benedetto XVI Caritas in Veritate (La Carità nella Verità). Si tratta di un documento suddiviso in 79 articoli, composti in sei capitoli, preceduti da un’introduzione e seguiti da una conclusione. È un’Enciclica di grande respiro sulla dottrina sociale della Chiesa, che affronta molte questioni di forte attualità. Senza dubbio la dimensione sociale coniugata con quella antropologica, in prospettiva di teologia cristiana, forma il centro della riflessione. Essa si dirama attraverso temi che toccano l’etica dell’economia contemporanea e la crisi economica globale, lo sviluppo e il rapporto con diritti e doveri, la solidarietà e la collaborazione, fino ad argomenti di riflesso, ma ugualmente importanti, come l’ecologia e la tecnica, l’educazione e l’associazionismo, le migrazioni e la sussidiarietà, che svelano le sollecitudini del pontificato di Benedetto XVI. In effetti, questo pronunciamento segue da vicino e, anzi, esplicita le precedenti due Encicliche Deus Caritas Est (Dio è amore, 2005) e Spe Salvi (Nella Speranza siamo stati salvati, 2007), con analisi perspicace di temi attuali. 

Carità e Verità nella dottrina sociale della Chiesa

Ecco, dunque, che la dottrina sociale della Chiesa riceve il compito di rendere manifesto il rapporto tra la rivelazione cristiana e la famiglia umana, dal momento che “tutta la Chiesa, in tutto il suo essere e il suo agire, quando annuncia, celebra e opera nella carità, è tesa a promuovere lo sviluppo integrale dell’uomo”, tenendo conto che “l’autentico sviluppo dell’uomo riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni sua dimensione” (n. 11). In tal modo, la Caritas in Veritate dilata a nuovi orizzonti il tema dello sviluppo, che costituiva il cuore della Populorum progressio di Paolo VI, della quale qui si ricorda il quarantesimo anniversario.

Pertanto, l’Enciclica si inserisce perfettamente nel pontificato di Benedetto XVI, che ha fatto dei due termini carità e verità il cuore del suo Magistero, dopo averne apprezzato il valore al cuore stesso del cristianesimo. Accanto ad essi, però, continua a riproporsi l’interrogativo se il cristianesimo sia solo utile o anche indispensabile alla costruzione di un vero sviluppo umano. E il Papa, con coraggiosa determinazione, ripete che tra le principali minacce che sovrastano oggi la famiglia dei popoli vi sono il rifiuto ideologico di Dio e l’ateismo dell’indifferenza, che dimenticano il Creatore e, di conseguenza, rischiano di abbandonare anche i valori che tutelano e promuovono la persona umana. Nella Caritas in Veritate egli afferma chiaramente che “l’umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano” (n. 78). 

La prospettiva teologica del documento

Questi rilievi sintetici sono determinanti per cogliere la visione teologica da cui partire, in modo da mettere in chiaro che il fondamento dell’intera riflessione è la fede apostolica, che illumina le questioni che assillano il vissuto e l’esperienza dell’umanità, orientandone gli itinerari e le scelte. Dunque, la prospettiva centrale non può essere occupata da argomenti di ordine puramente sociale, ma dalla valutazione che la rivelazione biblica e la fede degli apostoli suggeriscono su tali importanti materie. Vi si coglie, cioè, l’incoraggiamento a individuare opportune convergenze tra la visione cristiana della vita e i bisogni autentici della società umana. Per questa ragione l’Enciclica raccomanda, ad esempio, che l’economia non trascuri la gratuità e che, anzi, questa entri a pieno titolo nei processi economici, insieme alle dinamiche di solidarietà e di sussidiarietà. Poi, incoraggia a vedere in unità i temi della giustizia sociale e quelli del rispetto della vita e della famiglia, così come constata che eutanasia e aborto impediscono l’accoglienza dei più deboli e, dunque, sviliscono la forza della legge che dovrebbe ergersi a loro difesa. Inoltre, essa denuncia l’impossibilità di lottare per la salvaguardia del creato senza, nel contempo, difendere la superiorità della persona umana nell’ambiente. Senza dimenticare l’interconnessione tra le esigenze degli attuali sistemi economici, governati dal processo della globalizzazione, e le indicazioni della fede cristiana, modellate dalle caratteristiche della cattolicità e della comunione universale dei popoli, che formano l’unica famiglia umana.

In sostanza, l’Enciclica chiarisce realtà sociali, economiche e politiche con l’indispensabile ausilio del Vangelo e inserendosi nell’alveo della Tradizione e del Magistero della Chiesa cattolica.[1] In effetti, Benedetto XVI conferma l’unica e autentica dottrina sociale della Chiesa, enucleata da grandi Pontefici dell’epoca preconciliare, come Pio IX e Leone XIII, e ribadita da Paolo VI e Giovanni Paolo II, mettendo così a tacere eventuali insinuazioni su un duplice pronunciamento, uno preconciliare ed uno postconciliare. In tal modo, anche in questo campo, la Caritas in veritate mette in guardia da una falsa ermeneutica di frattura per riproporre con autorevolezza la novità del rinnovamento nella continuità (cfr. n. 12).

L’insegnamento conciliare, poi, riecheggia la raccomandazione al discernimento dei segni dei tempi, tra i quali certamente è da considerare la mobilità umana[2], nel contesto dell’autentico sviluppo, il quale “se non è di tutto l’uomo e di ogni uomo, non è vero sviluppo” (n. 18), inserendovi anche donne e uomini, bambini, giovani e anziani che, liberamente o per costrizione, intraprendono le vie dell’emigrazione e dell’itineranza. 

Migrazioni e itineranza nella sollecitudine pastorale della Chiesa

È in tale ampio contesto che l’enciclica dedica alle migrazioni il n. 62, all’interno del capitolo V, che ha come titolo “La collaborazione della famiglia umana”. Di fatto, il tema emerge nella linea argomentativa sullo sviluppo umano integrale, al quale il Santo Padre esplicitamente rimanda, presentandosi anzitutto nelle sue note descrittive come “fenomeno che impressiona per la quantità di persone coinvolte, per le problematiche sociali, economiche, politiche, culturali e religiose che solleva, per le sfide drammatiche che pone alle comunità nazionali e a quella internazionale”.[3]

La mobilità umana, del resto, è stata da sempre al centro dell’attenzione e della sollecitudine della Chiesa, anche se fu a partire dalla seconda metà del 1800 che i suoi interventi cominciarono ad essere sistematici. Inizialmente fu affidato a Congregazioni religiose missionarie il compito di assistere i migranti: ricordiamo, senza essere esaustivi, i primi interventi dei salesiani di Don Bosco in Argentina, l’attività di Santa Francesca Cabrini negli Stati Uniti d’America, la fondazione di una Congregazione missionaria da parte del Beato Giovanni Battista Scalabrini per i migranti italiani nelle Americhe e, in corrispondenza, l’Opera Bonomelli per l’Europa.

I Decreti Ethnografica studia (1914) e Magni semper (1918), nella contestuale promulgazione del Codice di Diritto Canonico (1917), stabilirono le procedure di assistenza ai migranti, nell’ambito di competenza della Congregazione Concistoriale.

Nel secondo dopoguerra, con la ristrutturazione e l’ampliamento di organismi che si occupavano di emigrazione, si avvertì pure la necessità di un documento del Magistero che raccogliesse l’eredità di orientamenti e disposizioni sperimentate nei decenni precedenti e orientasse la pastorale rinnovata. Fu così che Pio XII, nell’agosto 1952, emanò la Costituzione Apostolica Exsul Familia.

Gli anni successivi segnarono la grande stagione conciliare, con l’impegno di evangelizzazione del mondo contemporaneo. In effetti, il Concilio Ecumenico Vaticano II e i documenti sociali di Paolo VI gettarono le basi di una rinnovata pastorale migratoria nei temi fondamentali della ecclesiologia, dello sviluppo e della pace. Mentre nascevano o si consolidavano le Conferenze episcopali e gli organismi specializzati per l’emigrazione, Papa Paolo VI intervenne con il Motu Proprio Pastoralis Migratorum Cura, cui fece seguito l’Istruzione De Pastorali Migratorum Cura, pubblicati entrambi nell’agosto 1969. In tal modo venivano offerti nuovi orientamenti per la pastorale dei migranti, delineando nella Chiesa un’attenzione particolare alla persona umana e al suo sviluppo integrale.

Nel 1978 toccò alla Lettera circolare Chiesa e mobilità umana offrire una lettura aggiornata del fenomeno migratorio e una sua interpretazione pastorale, mentre il Codice di Diritto Canonico, nella versione riveduta del 1983, ne precisò la normativa.

Infine, nel 2004, Giovanni Paolo II approvò la pubblicazione dell’Istruzione Erga migrantes caritas Christi, nella quale i segni dei tempi e i cambiamenti delle modalità delle migrazioni trovano giusta attenzione, con richiamo all’unità e alla comunione fra i popoli come occasione provvidenziale, nel reciproco rispetto e nella difesa della dignità e della vita umana in tutte le sue forme.

In tutto ciò, infine, non poteva mancare la costituzione di un organismo superiore di promozione e di coordinamento. Ne aveva intuito la necessità il Beato Giovanni Battista Scalabrini, che lo propose in un Memoriale del 1905 a San Pio X, il quale istituì il primo ufficio della Santa Sede per i problemi delle migrazioni nel 1912. Papa Paolo VI, poi, nel 1970, lo trasformò in Pontificia Commissione per la Pastorale delle Migrazioni e del Turismo e, nel 1988, divenne Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, con la Costituzione Pastor Bonus di Giovanni Paolo II.[4]  

L’apporto specifico alle migrazioni della Caritas in Veritate

La Chiesa, quindi, ha continuato ad offrire un prezioso contributo nel complesso e vasto fenomeno delle migrazioni, facendosi portavoce delle persone più vulnerabili ed emarginate, ma intendendo anche valorizzare i migranti, all’interno della comunità ecclesiale e della società, come coefficiente importante per l’arricchimento reciproco e per la costruzione dell’unica famiglia dei popoli, in un fecondo scambio interculturale.

Pertanto l’Enciclica Caritas in Veritate conferma che i flussi migratori, con tutti i componenti di movimento in entrata, transito e uscita, non sono più esperienza limitata di alcune aree del pianeta, ma costituiscono un fenomeno mondiale e permanente, tenendo conto che accanto alle migrazioni internazionali si verificano anche spostamenti massicci all’interno della medesima regione e che l’urbanizzazione è ormai fatto caratteristico delle società moderne, anche come conseguenza degli squilibri economico-produttivi interni e internazionali. Di fatto, scrive Benedetto XVI, “siamo di fronte a un fenomeno sociale di natura epocale, che richiede una forte e lungimirante politica di cooperazione internazionale per essere adeguatamente affrontato” (n. 62).

Poste tali premesse, il Santo Padre articola la sua densa riflessione scandendo un itinerario che compendia argomenti salienti della dottrina sociale della Chiesa. Infatti, anzitutto mette in rilievo l’esigenza di “una stretta collaborazione tra i Paesi di partenza e di arrivo dei migranti, ai quali dovremmo aggiungere altresì il coinvolgimento responsabile e attivo di quelli di transito. Per analogia, partecipano al medesimo processo anche le comunità cristiane e tutti gli organismi, nazionali e internazionali, che si dedicano ai movimenti migratori. È nell’ambito dei principi di solidarietà e di sussidiarietà, perciò, che si rendono necessarie “adeguate normative internazionali cui devono armonizzarsi quelle nazionali (n. 62).[5]

L’orizzonte che non bisogna perdere di vista, comunque, è la centralità della persona umana, “primo capitale da salvaguardare e valorizzare… nella sua integrità” (n. 25), con attenzione alla tutela dei diritti sia dei singoli migranti e delle loro famiglie che delle società che li accolgono.

Trattandosi di questioni tanto ampie, poi, è opportuno il richiamo del Santo Padre a considerare che “nessun Paese da solo può ritenersi in grado di far fronte ai problemi migratori del nostro tempo” e, pertanto, trova giusta collocazione la raccomandazione rivolta a tutti ad essere attenti “al carico di sofferenza, di disagio e aspirazioni che accompagna i flussi migratori”, anche perché “il fenomeno migratorio è di gestione complessa” (n. 62).

Se, tuttavia, gli aspetti problematici balzano in primo piano con relativa facilità, non si devono sottovalutare gli elementi di positività, anche soltanto dal punto di vista dell’economia legata allo sviluppo. In effetti, “i lavoratori stranieri, nonostante le difficoltà connesse con la loro integrazione, recano un contributo significativo allo sviluppo economico del Paese ospite con il loro lavoro, oltre che a quello del Paese d’origine grazie alle rimesse finanziarie” (ibid.). Proprio nell’ambito del sistema di mercato, ad ogni modo, la voce del Santo Padre risuona con toni di allarme e di denuncia, soprattutto perché siano messi in guardia coloro che sfruttano la condizione di debolezza e di vulnerabilità dei migranti, dal momento che “tali lavoratori non possono essere considerati come una merce o una mera forza lavoro. Non devono, quindi, essere trattati come qualsiasi altro fattore di produzione” (ibid.).

La dichiarazione conclusiva del n. 62, infine, ripropone principi sui quali la Chiesa non è disposta a negoziare, appunto perché, nel mistero dell’incarnazione e della redenzione, contempla la dignità e il rispetto di ogni creatura, voluta “ad immagine e somiglianza” del Creatore. E, dunque, “ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione” (ibid.). 

Una visione nel segno della positività, non senza denuncia

L’Enciclica Caritas in Veritate, poi, fa esplicito riferimento alla mobilità umana in altri due passaggi. Il primo si colloca nel capitolo secondo, che ha come tema “Lo sviluppo umano nel nostro tempo”, ed è inserito nell’elenco di fattori che il Santo Padre definisce “decisivi per il bene presente e futuro dell’umanità” (n. 21).

Pertanto, “gli imponenti flussi migratori, spesso solo provocati e non poi adeguatamente gestiti” (Ibid.), spingono la comunità internazionale, ma anche tutti gli uomini e le donne di buona volontà, a considerare con la dovuta attenzione tutte quelle situazioni attuali che esigono nuovi orientamenti e coraggiose prese di posizione per il bene comune degli Stati e per quello universale.

Le migrazioni, in tale quadro, affiancano “le forze tecniche in campo, le interrelazioni planetarie, gli effetti deleteri sull’economia reale di un’attività finanziaria mal utilizzata e per lo più speculativa, lo sfruttamento sregolato delle risorse della terra” (ibid.). Le migrazioni, in più, hanno una duplice connotazione di valore: in primo luogo, si nota che hanno raggiunto oggi dimensioni considerevoli e, anche soltanto per tale peso quantitativo, non possono essere trascurate; in secondo luogo, è sempre più chiaro il volto ferito dei migranti, nel turbine di movimenti che non sono espressione di libera scelta, ma “spesso provocati”, cioè causati da politiche sbagliate, in particolare nel contrasto all’immigrazione irregolare. In effetti, più le misure sono restrittive e più aumenta il numero dei migranti irregolari e dei trafficanti di manodopera straniera.[6] Così, anche i confini nazionali più protetti vengono quotidianamente varcati da persone che fuggono condizioni di vita inaccettabili e che non si arrestano di fronte a pericoli e ostacoli di ogni genere.

Si tratta, infine, di inadeguata gestione quando l’integrazione è ostacolata da impraticabili condizioni e la partecipazione di tutti alla gestione del bene comune rimane un proclama che non trova modalità per concretizzarsi.

Due, pertanto, sono gli estremi da evitare: quello dell’assorbimento, della completa assimilazione nella società dominante con pregiudizio della identità del migrante, e quello dell’esclusione, che comporta il pericolo dell’emarginazione.[7] 

Proposte di particolare attualità

Il secondo passo si trova verso la fine del documento pontificio, nel capitolo dedicato alla “Collaborazione della famiglia umana”.

Parlando della “inarrestabile crescita dell’interdipendenza mondiale” (n. 67), il Santo Padre propone la creazione di una “Autorità politica mondiale” come realtà urgente e necessaria “per il governo dell’economia mondiale; per risanare le economie colpite dalla crisi, per prevenire peggioramenti della stessa e conseguenti maggiori squilibri; per realizzare un opportuno disarmo integrale, la sicurezza alimentare e la pace; per garantire la salvaguardia dell’ambiente e per regolamentare i flussi migratori” (ibid.)[8].

Nel contesto generale dell’Enciclica, ad ogni buon conto, è di particolare valore e interesse il dialogo interculturale, che apre inedite prospettive nell’incontro tra i popoli. In effetti, “l’unità della famiglia umana non annulla in sé le persone, i popoli e le culture, ma li rende più trasparenti, l’uno verso l’altro, maggiormente uniti nelle loro legittime diversità” (n. 53). Ecco tracciata la strada della formazione alla mondialità per una convivialità delle persone e delle culture, che implica ovviamente l’impostazione di una corretta pedagogia per l’accoglienza delle differenze, nel dialogo e nella reciprocità. Il pluralismo culturale è una opportunità che stimola la ricerca sulle grandi domande che riguardano ogni persona, quali il senso della vita, della storia, della sofferenza e della morte.

Qui si innesta altresì l’educazione alla pace come possibilità di rinnovamento nei vari contesti della vita, della famiglia, della scuola, della Chiesa, degli spazi di società amministrativa, politica e sociale.[9]

La Caritas in Veritate contiene, in definitiva, un forte anelito all’educazione interculturale, che motiva e supporta la fatica di consolidare le premesse della pace, come la tolleranza, la giustizia, la magnanimità e il perdono. Sotto tale profilo, la formazione interculturale si offre oggi come via maestra per la soluzione del difficile problema di armonizzare l’unità della famiglia umana nella diversità dei popoli che la compongono.

È necessario, comunque, accostarsi a tutte le culture con l’atteggiamento rispettoso di chi è cosciente che non ha solo qualcosa da dire e dare, o da giustamente pretendere, ma anche da ascoltare e ricevere, dal momento che, con l’ausilio di adeguato discernimento, “anche altre culture e altre religioni insegnano la fratellanza e la pace e, quindi, sono di grande importanza per lo sviluppo umano integrale” (n. 55)[10]. Tale precisazione si fonda sulla constatazione che “la società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli. La ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità” (n. 19).[11] 

Attenzione particolare alla mobilità turistica

Il pensiero del Santo Padre abbraccia anche la vasta realtà del turismo internazionale, che può costituire un notevole fattore di sviluppo economico e di crescita culturale” (n. 61). Non vengono dimenticati, dunque, milioni di persone che portano con sé, sulle strade dell’itineranza turistica, incentivi e benefici significativi per lo sviluppo, purché gli aspetti economici si combinino con quelli culturali, primo fra tutti l’educativo. In effetti, il turismo contiene elementi positivi e valori che ne fanno occasione di reciprocità, di socialità, di maturazione personale, “per la comprensione e il rispetto degli altri, per la carità e l’edificazione interiore nel cammino verso una più autentica umanizzazione”.[12] Pertanto, occorre ribadire che “quando la carità lo anima, l’impegno per il bene comune ha una valenza superiore a quella dell’impegno soltanto secolare e politico” (Caritas in veritate, n. 7). Ne è recente testimonianza l’impegno generale per la ricostruzione di alcune opere d’arte gravemente lese dal terremoto dell’aprile scorso in Abruzzo e regioni limitrofe. Ed è bene comune in quanto i capolavori artistici e culturali di una singola città o area sono al tempo stesso patrimonio di tutta l’umanità.

D’altra parte, il Papa non nasconde il pericolo che il turismo possa svilupparsi in modo egoistico, consumistico e non sostenibile, trasformandosi, anzi, persino in occasione di sfruttamento e di degrado morale, quando insorgono “comportamenti immorali, o addirittura perversi, come nel caso del turismo cosiddetto sessuale, al quale sono sacrificati tanti esseri umani, perfino in giovane età” (n. 61). Sotto tale profilo, “se il turismo si sviluppa in assenza di un’etica di responsabilità, parallelamente prende corpo il pericolo della uniformità e della bellezza come «fascinatio nugacitatis» (cfr. Sap 4,12). Accade così, per esempio, che gli autoctoni possono fare per i turisti spettacolo delle loro tradizioni offrendo la diversità come un prodotto commerciale, solo per lucro”.[13] Spetta, allora, ai Governi, alle istanze internazionali e alla Chiesa, con la sua presenza vigile e caritatevole, tutelare i diritti delle persone, affinché sia accessibile a tutti fruire dei beni della natura, della cultura e dell’arte. Il turismo deve essere opportunità di arricchimento e non motivo di sfruttamento, tenendo in conto che il grado di civiltà di una nazione si misura anche dall’attenzione che essa riserva ai suoi membri più vulnerabili. 

Un’Enciclica coraggiosa

L’Enciclica Caritas in Veritate è un documento coraggioso anzitutto perché elimina eventuali perplessità sul ruolo pubblico della fede cristiana e sul fatto che da essa derivi una coerente visione della vita, in concorrenza con altre visioni.

Poi, quanto all’ambito specifico di cui ci siamo occupati in questa presentazione, la Caritas in Veritate ribadisce l’urgenza di accompagnare l’umanità, come famiglia di popoli, non solo nel dialogo e mediante una carità senza verità, ma è da salvare mediante la carità nella verità. Per giungere a questo traguardo il Santo Padre conferma il punto di vista teologico dal quale la Chiesa deve considerare fatti e temi sociali, che oggi compongono il panorama internazionale. In effetti, in questa Enciclica per la prima volta vengono trattati in modo sistematico i temi della globalizzazione, del rispetto dell’ambiente, del turismo internazionale, della bioetica e della sua centralità sociale, guardando decisamente al futuro con il coraggio del realismo della sapienza cristiana.

Anche nell’ambito del fenomeno migratorio si propone una lettura piena di fede e di speranza perché, al di là dei risvolti drammatici che spesso accompagnano la storia dei migranti, i loro volti e le loro vicende portano il sigillo della storia della salvezza e della teologia dei “segni dei tempi”.

Pertanto, pure i migranti sono provvidenziale risorsa da scoprire e da valorizzare nella costruzione di una umanità nuova e nell’annuncio del Vangelo. Benedetto XVI affida a tutti la responsabilità di promuovere e garantire uno sviluppo sostenibile, compresi i Paesi emergenti e le élites di quelli poveri. Nel rispetto dei principi della solidarietà e della sussidiarietà si fa strada la legittima rivendicazione delle diversità. Certamente si apre, poi, non senza fatica, la via della scoperta che l’altra faccia della differenza è la somiglianza e che la somiglianza non coincide affatto con l’uniformità, ma è il criterio più ragionevole per la costruzione dell’unica famiglia dei popoli, con radice nella rivelazione biblica e nella feconda storia del cristianesimo. 

Conclusione

Incontrando il Santo Padre, nell’udienza concessa ai partecipanti al VI Congresso mondiale della pastorale per i migranti e i rifugiati, lo scorso 9 novembre, ho ribadito che “gli odierni movimenti di popoli rendono necessari ulteriori approfondimenti su temi come l’unità fondamentale del genere umano, la libertà di religione e di culto, la fraternità universale, la destinazione universale dei beni di questo mondo, il diritto alla libertà di movimento, la centralità della persona umana e dei suoi diritti fondamentali da tutelare ovunque, come quello del ricongiungimento familiare e quello dell’educazione che rispetti la cultura originaria del migrante, e, infine, la responsabilità dei Governanti a cercare soluzioni stabili, in campo socio-economico, che non obblighino più i cittadini ad emigrare”.

Poi, ho concluso il mio discorso d’apertura a quell’importante assise dicendo che “qui, del resto, si inserisce la sollecitudine pastorale della Chiesa che, anche attraverso la cooperazione di ciascuno di noi, suggerisce, raccomanda e verifica nuove strategie di evangelizzazione e di accompagnamento dei migranti, con l’ausilio della catechesi, della vita liturgica e di quella sacramentale. È principio di giustizia garantire ad ogni essere umano la dignità di appartenere alla famiglia umana. L’accoglienza all’interno di questa famiglia, poi, è il vero nome della giustizia”.[14]

Benedetto XVI, dal canto suo, nell’udienza cui sopra ho accennato, ha confermato che “lo sviluppo autentico riveste sempre un carattere solidale. In effetti, in una società in via di globalizzazione, il bene comune e l’impegno per esso – ho osservato ancora nella Caritas in Veritate – non possono non assumere le dimensioni dell’intera famiglia umana, vale a dire della comunità dei popoli e delle Nazioni (cfr n. 7). Anzi, lo stesso processo di globalizzazione, secondo quanto opportunamente ebbe a sottolineare il Servo di Dio Giovanni Paolo II, può costituire un’occasione propizia per promuovere lo sviluppo integrale, soltanto però «se le differenze culturali vengono accolte come occasione di incontro e di dialogo, e se la ripartizione disuguale delle risorse mondiali provoca una nuova coscienza della necessaria solidarietà che deve unire la famiglia umana».[15] Ne consegue che occorre dare risposte adeguate ai grandi cambiamenti sociali in atto, avendo chiaro che non ci può essere uno sviluppo effettivo se non si favorisce l’incontro tra i popoli, il dialogo tra le culture e il rispetto delle legittime differenze”.[16]

 

* L’articolo è apparso sulla Rivista Libertà civili 1 (2010), pp. 116-127.

[1] Tra i tanti interventi sull’Enciclica segnalo la Lectio magistralis svolta il 24 novembre 2009 da S.E.R. Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, sul tema “Verso un nuovo umanesimo”, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2009-2010 dell’Università Europea di Roma.

[2] Cfr. Benedetto XVI, “Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2006”: L’Osservatore Romano, 29 ottobre 2005, p. 4.

[3] Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, curato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, afferma che “l’immigrazione può essere una risorsa, anziché un ostacolo per lo sviluppo” (n. 297), per cui “la regolamentazione dei flussi migratori secondo criteri di equità e di equilibrio è una delle condizioni indispensabili per ottenere che gli inserimenti avvengano con le garanzie richieste dalla dignità della persona umana” (n. 298). Inoltre, “gli immigrati devono essere accolti in quanto persone e aiutati, insieme alle loro famiglie, ad integrarsi nella vita sociale. In tale prospettiva va rispettato e promosso il diritto al ricongiungimento familiare. Nello stesso tempo, per quanto è possibile, vanno favorite tutte quelle condizioni che consentono accresciute possibilità di lavoro nelle proprie zone di origine” (Ibid.).

[4] Meriterebbero un’attenzione particolare i Messaggi pontifici per l’annuale Giornata di sensibilizzazione sui temi dell’emigrazione e dell’itineranza, ufficialmente avviata sotto il pontificato di Benedetto XV, con la Lettera circolare Il dolore e le preoccupazioni, del 6 dicembre 1914. Non potendomi, però, dilungare in questa sede, rimando a G. Bentoglio, “Paolo e i migranti nella voce della Chiesa”, in G. Bentoglio (a cura di), Sulle orme di Paolo. Dall’annuncio tra le culture alla comunione tra i popoli, Urbaniana University Press, Roma 2009, 193-222.

[5] Benedetto XVI ha altresì ribadito che “è importante tutelare i migranti e le loro famiglie mediante l’ausilio di presidi legislativi, giuridici e amministrativi specifici, ed anche attraverso una rete di servizi, di punti di ascolto e di strutture di assistenza sociale e pastorale”, nell’Angelus del 14.01.2007: People on the Move XXXIX (104, 2007) 31. Ciò in consonanza con la precisazione che “la Chiesa offre, in varie sue Istituzioni e Associazioni, quell’advocacy che si rende sempre più necessaria”, nel Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2007: People on the Move XXXVIII (102, 2006) 42.

[6] Giovanni Battista Scalabrini, già nel 1888, in una lettera aperta all’onorevole Paolo Carcano, sottosegretario alle Finanze, denunciava l’opera negativa degli agenti di emigrazione e li definiva “fiutatori di cadaveri… negozianti di carne umana”: Il disegno di legge sulla emigrazione italiana. Osservazioni e proposte, Tipografia dell’Amico del Popolo, Piacenza 1888.

[7] In tale ampio contesto non sono mancati pronunciamenti dei Vescovi, che hanno fatto sentire la loro voce negli interventi che qui segnaliamo fra gli altri: “We are aliens and transients before the Lord our God”, 2006, della Conferenza Episcopale Canadese; La Pastoral de las Migraciones en España. Reflexión pastoral y Orientaciones Prácticas para una Pastoral de Migraciones en España a la luz de la Instrucción Pontificia ‘Erga migrantes caritas Christi’”, 2007, a cura della Conferenza Episcopale Spagnola; Graced by Migration”, pubblicato nel 2008 dalla Conferenza Episcopale Australiana. Tra il 2000 e il 2003, i Vescovi Statunitensi hanno pubblicato tre importanti lettere pastorali: “Welcoming the Stranger Among Us: Unity in Diversity”; “Asian and Pacific Presence: Harmony in Faith” e “Strangers No Longer: Together on the Journey of Hope”, scritta in collaborazione con i Vescovi del Messico. A sua volta, il “Service National de la Pastorale des Migrants et des Personnes Itinérantes”, in Francia, ha emanto il documento “Artisans de communion. Aumôneries et aumôniers des Communautés des catholiques de la migration”, nel 2007.

[8] Vale la pena qui ricordare che, a questo riguardo, un passo importante da compiere, da parte dei Governi che non l’hanno ancora fatto, è la ratifica della “Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie”, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nella sua risoluzione 45/158 del 18 dicembre 1990, e entrata in vigore il 1 luglio 2003. Attendono altresì di essere più coralmente ratificati altri accordi internazionali, elencati, ad esempio, nel n. 78 del Piano d’azione della “Conferenza di revisione di Durban”, che si è svolta nello scorso mese di aprile, in continuità con la “Conferenza Mondiale contro razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e intolleranza”, tenutasi a Durban, in Sudafrica, nel 2001.

[9] Ciò comporta da un lato un processo dinamico di reciprocità dello scambio e dell’aspetto relazionale e, dall’altro, un’integrazione che presuppone la partecipazione alla creazione e al cambiamento delle relazioni anche sociali. In tale processo è indispensabile il coinvolgimento anche delle giovani generazioni di migranti, alle quali Benedetto XVI ha dedicato il “Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2007”: People on the Move XXXIX (105, 2007) 55-58.

[10] Cfr. A. M. Vegliò, “Accogliere i migranti: minaccia, dovere o diritto?”: Aggiornamenti sociali 7-8 (2009) 521-527.

[11] La scuola, in particolare, diventa il laboratorio del dialogo tra le culture e dell’educazione dei giovani alla convivenza, come ha ribadito la XVII Assemblea Plenaria – su “Migrazione e itineranza da e per (verso) i Paesi a maggioranza islamica” – del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti (15-17 maggio 2006) nel suo Documento Finale, nn. 34-37: People on the Move XXXVIII (101 Sup., 2006).

[12] Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi della Sardegna in visita ad limina, 9 gennaio 1987, n. 4: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X/1 (1987), Città del Vaticano 1988, p. 64.

[13] Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, Messaggio pastorale per la Giornata Mondiale del Turismo 2009.

[14] Per sottolineare l’importanza della memoria storica si potrebbe utilmente rileggere un testo del 1912, relativo agli immigrati italiani negli Stati Uniti d’America, immaginando di collocarlo, però, nel contesto delle odierne migrazioni, soprattutto in quello dei flussi di immigrazione in Italia: “Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri con­sumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle fron­tiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra colo­ro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pen­sano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali. Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavo­rare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano pur che le famiglie rimangano unite e non contestano il sala­rio. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell’Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione”: Relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso ameri­cano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti d’America, Ottobre 1912.

[15] Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 1999, in: Insegnamenti XXII, 2 (1999) 988.

[16] L’Osservatore Romano, 10 novembre 2009, p. 12.

 

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